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                   Dalla 
                  parte di chi lotta e non s'inchina 
                   
                  Attenzione! Attenzione! 
                  Questo, a distanza di 100 giorni dal mio arresto, è un 
                  piccolo contributo che voglio dare per mettere in guardia voi 
                  tutte e tutti. 
                  1) Se per caso avete lampadari in casa, funzionanti con lampadine, 
                  fate attenzione, potreste pentirvene. Ma se proprio non potete 
                  farne a meno di averne qualcuno, non tenete in casa altre lampadine, 
                  oltre quelle già inserite negli appositi lampadari. Quando 
                  si fulmineranno, vagherete nel buio e solo allora potrete averne 
                  di nuove. Assicurandovi però di buttare quelle rotte, 
                  perché anche esse, come fatto notare dagli acutissimi 
                  Ros e Pm, sono un ottimo mezzo per costruire bombe. 
                  2) Se ritenete opportuno abbellire la vostra presenza fisica 
                  con orecchini, badate bene a non acquistarli, qualora siano 
                  di rame. E se per caso un amico o amica ve ne voglia regalare 
                  un paio, separatevene senza indugi, perché sono armi 
                  pericolosissime. 
                  3) Se non avete la maniacale abitudine di dare un posto ad ogni 
                  cosa, ma siete disordinati e tendete ad avere una improvvisata 
                  scatola degli attrezzi, dove tenete fra l'altro chiodi e pinzette 
                  per fermare i fogli, che dirvi? Evidentemente siete pericolosi 
                  terroristi, pronti a preparare bombe in ogni minuto. 
                  4) Se vi capita di avere in casa mollette per i panni, non di 
                  plastica, bensì di legno, inceneritele, bruciatele, spargete 
                  le loro ceneri ai quattro venti. Non avete idea di cosa si nasconda 
                  dietro di loro. 
                  A voler essere seria, tutta questa trafila di piccoli, ma non 
                  poco importanti avvertimenti, servono perché la notte 
                  in cui mi hanno arrestata hanno trovato nella casa dove vivo 
                  con il mio compagno (e dove non mi trovavo) lampadine di riserva, 
                  orecchini di rame, chiodi, ferma fogli e una molletta di legno. 
                  Il tutto è stato messo insieme, fotografato e sistemato 
                  da loro stessi in modo tale da farlo sembrare un assemblaggio 
                  di oggetti per preparare ordigni esplosivi. Così, infatti, 
                  il materiale sequestrato è stato presentato dai Ros e 
                  dalla Pm durante l'udienza del riesame. 
                  Non parliamo ovviamente del fatto che, non avendo trovato alcun 
                  materiale cartaceo che descrivesse come si preparino tali bombe, 
                  sia stato da loro detto, evidentemente grandi conoscitori della 
                  mia persona, che non ce ne era bisogno, “perché 
                  era tutto nella mia mente, nella mia salda memoria!” Ogni 
                  commento è superfluo, vero? 
                  Vorrei aggiungere un ultimo punto della lista, seppur a prima 
                  vista possa sembrare poco inerente ai precedenti: 
                  5) Se questo mondo vi fa schifo; se ripudiate guerra, sfruttamento 
                  e devastazione; se non avete mai avuto il timore di dirlo; se 
                  non avete mai abbassato la testa pensando “non ci posso 
                  fare niente”; se ci avete sempre messo la faccia; se avete 
                  chiara la coscienza di chi sono i responsabili delle vite terribili 
                  che conduciamo; se siete convinte che la società in cui 
                  viviamo sia lobotomizzata; se non riuscite a guardare una gabbia 
                  con indifferenza; se il cuore vi si chiude, il sangue vi pulsa, 
                  la vista si annebbia al pensiero di una donna, di un uomo o 
                  di un animale rinchiuso, beh, prima o poi, come dice una donna 
                  rinchiusa qui con me “ti devi fare la galera”. 
                  E se questo mio essere, questa Giulia che sto scoprendo forte, 
                  dignitosa, ancora più ferma e convinta delle sue idee 
                  e sprezzante dell'annichilimento in cui chi mi ha rinchiusa 
                  vorrebbe gettarmi; se questo mio essere loro lo vogliono etichettare 
                  come pericoloso, che costruisce bombe, che partecipa ad associazioni 
                  sovversive (magari affiliate alla fai-informale, nonostante 
                  qualunque cosa io abbia mai fatto, detto o pensato, non possa 
                  in alcun modo far pensare ad una mia benché minima adesione 
                  o partecipazione) volte a terrorizzare e seminare il panico 
                  fra la gente, beh, io non glielo permetto e rimando tutto al 
                  mittente. 
                  Terrorista è chi rinchiude, chi manganella, chi devasta. 
                  E allora, parafrasando una canzone, che tremino i potenti di 
                  fronte agli animi fieri di tutte queste “terroriste”, 
                  che non hanno paura di lottare contro tutto ciò che realmente 
                  genera e rinvigorisce il terrore, la discriminazione, la diseguaglianza, 
                  la devastazione, lo sfruttamento. 
                  Che tremino, che abbiano paura! La loro vera paura è 
                  che sanno che qualsiasi gabbia mi metteranno intorno, che sia 
                  cella, che sia lavoro, che sia diffamazione, che sia isolamento, 
                  niente mi toglierà la voglia di romperla e di continuare 
                  a guardare il mondo con gli occhi lucidi, aspri, vitali e liberi. 
                  Che si arrovellino pure il cervello per trovare maglie migliori 
                  per le mie catene, io sarò più forte. Perché 
                  ho in me una coscienza, una consapevolezza di quello che sono, 
                  che non intaccheranno mai. 
                  Che si specializzino nell'arte sopraffina (vera arte dei nostri 
                  tempi) del reinventare un significato per le parole, laddove 
                  guerra diventa missione di pace; laddove le bombe sono intelligenti 
                  e non pericolose e gli orecchini di rame e le lampadine pericolosi 
                  esplosivi; laddove il terrorismo non è quello di chi 
                  rinchiude, uccide, reprime ma quello di chi critica tutto ciò; 
                  laddove la devastazione si chiama civilizzazione, progresso 
                  o ricchezza; laddove il non accettare lo status quo dell'ingiustizia 
                  è sinonimo di pericolosità sociale; laddove gli 
                  immigrati carcerati si chiamano ospiti. 
                  Le mie parole non hanno il peso della storia dei nostri tempi, 
                  della rabbia, dell'insolenza, della voglia di abbattere tutta 
                  la crudeltà, la ferocia della gabbia che rinchiude la 
                  vita di tutti noi, fuori e dentro le galere, schiavi di una 
                  vita che non vogliamo, di un mondo che cade a pezzi e che chiama 
                  i suoi residui progresso. 
                   
                  Dalla parte di chi lotta, di chi non si inchina. 
                  Le bombe e il terrore li semina lo Stato, il Potere e la nostra 
                  santa Democrazia. 
                  Per la libertà di tutte e tutti. 
                  Una donna libera. 
                 Giulia Marziale 
                  Carcere Rebibbia – femminile 
                  via Bartolo Longo, 92 
                  00156 Roma 
                  
                   
                     
                  Elezioni regionali siciliane/Voto a perdere 
                   
                  Di questi tempi, parlare male delle istituzioni sembra quasi 
                  un inutile accanimento. 
                  E se al centro della riflessione ci sono le Regioni, si rischia 
                  davvero di cadere nella banalità. 
                  Ci basterebbe parlare della Regione Lazio, di Fiorito e dei 
                  festini pagati dai contribuenti. Ci basterebbe parlare della 
                  Regione Lombardia, di Formigoni e degli intrallazzi con la 'Ndrangheta. 
                  Ci basterebbe parlare della corruzione che, da Nord a Sud, rimane 
                  la cifra costante della politica italiana. 
                  E poi, rimanendo sul piano locale, non faremmo davvero fatica 
                  a elencare alcuni degli innumerevoli esempi di inefficienze, 
                  sprechi e privilegi che caratterizzano la classe dirigente siciliana. 
                  Per non parlare poi delle compenetrazioni strutturali tra politica 
                  e mafia; dell'insopportabile arroganza di chi occupa posti di 
                  governo e sottogoverno in Sicilia ottenuti anche grazie al clientelismo; 
                  degli effetti nefasti prodotti dall'Assemblea Regionale Siciliana 
                  sulla pelle di questa terra martoriata. 
                   
                  Adesso i siciliani sono chiamati alle urne per il rinnovo dell'Assemblea 
                  Regionale Siciliana.. 
                  Tutti i candidati dicono di essere “perbene”. C'è 
                  chi promette di liberarci. Altri ancora promettono addirittura 
                  la rivoluzione. E ci sono persino quelli che fino a ieri mandavano 
                  'affanculo il sistema, e oggi chiedono il voto per il loro partito. 
                  Tutti, però, sono inquieti. C'è qualcosa che gli 
                  agita il sonno. Sembra che i politicanti di ogni colore abbiano 
                  paura di una cosa soltanto: l'astensionismo. 
                   
                  I sondaggi più recenti hanno rilevato che quasi la metà 
                  degli elettori siciliani non andranno a votare e non si presteranno 
                  così al rituale, ipocrita e farsesco, delle elezioni 
                  regionali. Per correre ai ripari, i politici fanno appello al 
                  senso di responsabilità di ciascuno, mettendo in guardia 
                  dai pericoli della cosiddetta antipolitica, ricattando moralmente 
                  ogni elettore perché colpevole, in caso di astensione, 
                  di favorire inevitabilmente gli avversari. Quello che temono, 
                  in realtà, è la delegittimazione del loro ruolo 
                  e del loro potere. 
                   
                  Da anarchici, la cosa non può che farci piacere, ma dobbiamo 
                  essere chiari. 
                  Se questo nutrito “partito dell'astensione” fosse 
                  animato da una volontà anche solo vagamente simile alla 
                  nostra, saremmo praticamente a un passo dalla rivoluzione sociale. 
                  Purtroppo, non è così. 
                  Come abbiamo avuto modo di ribadire in più occasioni, 
                  l'astensionismo al quale noi facciamo appello presuppone un 
                  radicale cambiamento nel modo di intendere l'azione politica: 
                  non più la delega alle istituzioni e ai loro “specialisti”, 
                  ma l'azione diretta da parte degli individui e delle comunità 
                  che si autogovernano. 
                  Il nostro astensionismo è coerente con una critica radicale 
                  e intransigente a tutti i meccanismi di potere, i quali sono 
                  - di per sé - impossibili da riformare o migliorare “dall'interno”. 
                  In parole povere, se si decide di giocare al tavolo delle istituzioni, 
                  bisognerà accettarne le regole, l'ingiustizia, la disumanità. 
                  Ecco perché, se davvero si vuole trasformare realmente 
                  la società in direzione dell'uguaglianza e della libertà, 
                  non bisogna più sedersi al tavolo delle istituzioni nel 
                  vano tentativo di giocare lealmente una partita già truccata. 
                   
                  Anche se l'astensionismo è un primo, importante passo, 
                  non ci si può fermare al pur comprensibile disgusto per 
                  le campagne elettorali e per i candidati che ci ossessionano 
                  con la loro invadenza e la loro retorica. 
                  Bisogna fare qualcosa di più: discutere con chi ci sta 
                  accanto, nelle scuole, nei posti di lavoro, nei quartieri; confrontarci 
                  su cosa davvero serve per gestire le nostre vite senza chiedere 
                  niente a nessuno. E poi autorganizzarsi, cominciare a costruire 
                  spazi di libertà e di autonomia, dal basso e in maniera 
                  solidale. 
                  Solo così l'astensionismo può caricarsi di un 
                  significato più profondo e duraturo, solo così 
                  non avremo più bisogno di politicanti, di burocrati, 
                  e delle loro insopportabili campagne elettorali. 
                 Gruppo Anarchico  “Andrea 
                  Salsedo” 
                  Trapani 
                  
                   
                    Il 
                  sapore dell'utopia 
                 Nella prima edizione delle memorie di Umberto Tommasini 
                  c'è una foto del corteo funebre che lo accompagna al 
                  cimitero di Vivaro, in un giorno da canicola agostana. Mi vedo 
                  nelle prime file, con la bandiera rossa e nera, dopo lo striscione 
                  iniziale. Sono passati trentadue anni. 
                  Ora mi si chiede un contributo sull'importanza della cultura 
                  materiale nei ricordi di Umberto. Quali sono le idee che ci 
                  nutrono e qual è l'importanza di quel nodo dove si aggrovigliano 
                  idee, azione, esperienza e materialità della vita? Non 
                  si può immaginare la libertà senza libertà 
                  d'immaginazione, scrivevamo sui muri qualche anno dopo, all'inizio 
                  della dittatura mediatica, ma non si può immaginare nemmeno 
                  la vera fame senza averla provata, e di conseguenza provare 
                  la gioia del cibo che ci ristora. In cento anni il mondo è 
                  cambiato evolvendosi, involvendosi, annodandosi, sperandosi 
                  e disperandosi. Ideologie, movimenti, guerre, rivoluzioni, repressioni, 
                  rivolte... 
                  Per rimanere all'Europa e al piano delle culture materiali, 
                  nei centosedici anni che separano la nascita di Umberto a oggi, 
                  si è passati dalla fame nera all'abbondanza e allo spreco, 
                  e – per le classi danarose dei ladri legali – addirittura 
                  agli eccessi da basso impero decadente e opulento, con cene 
                  da 400 euro a testa e con assurde proposte di abbinamento tra 
                  ricette fantasiose e acque minerali provenienti da tutto il 
                  mondo! Proprio nello stesso momento in cui – a causa dei 
                  disastri ambientali – nel mondo iniziano le guerre per 
                  l'acqua, per la sopravvivenza. Contraddizioni e differenze che 
                  gridano vendetta. Ora con la crisi si riaffaccia di nuovo lo 
                  spettro della fame anche nei paesi “sviluppati”. 
                  Eppure noi difficilmente riusciamo a immaginare quel che significa 
                  miseria e fame nera, quella provata dai nostri nonni o bisnonni, 
                  quella provata da Umberto. 
                  Nel libro ci sono dei passaggi commoventi con ricordi puntualissimi 
                  dei cibi consumati in particolari occasioni. L'esperienza unica 
                  e una fame singolare moltiplicano l'attenzione percettiva e 
                  la memoria. È necessario pensare alle condizioni materiali 
                  ed economiche dei periodi storici del Novecento, altrimenti 
                  leggendo le memorie di Umberto si rischia di stravolgerne il 
                  senso. 
                  Durante il confino all'isola di Ponza, degli antifascisti si 
                  organizzano in maniera spontanea e naturale in mense, secondo 
                  tradizioni gastronomiche regionali. Quando arrivano i caporioni 
                  del partito comunista, le mense vengono invece suddivise per 
                  appartenenza ideologica. È uno dei momenti in cui Umberto 
                  si scontra con l'aspetto egemonico e settario partitico nella 
                  pratica delle cose. Non rivendica alcuna comunanza identitaria 
                  e geografica ma una semplice abitudinarietà, il fatto 
                  stesso che siamo abituati a mangiare i frutti della terra dei 
                  luoghi vissuti e le ricette derivate dalla trasformazione di 
                  questi frutti, e questa trasformazione è il risultato 
                  di esperienze, gesti, affetti che ci consolano con ricordi “proustiani”. 
                  Che non sono nostalgia e rivendicazione identitaria ma sono 
                  solo il fatto che siamo un concentrato di contraddizioni e tensioni 
                  tra ciò che vogliamo essere e ciò che abbiamo 
                  vissuto. 
                  Tant'è vero che quando Umberto arriva in Spagna durante 
                  la rivoluzione, secondo quanto riportato da Paolo Gobetti in 
                  una video-intervista, a emergere è la felicità 
                  per la gratuità del cibo, lo stravolgimento dei rapporti 
                  di produzione è l'appagamento di un desiderio rivoluzionario. 
                  Altro che la cucina molecolare dell'odierno chef catalano alla 
                  moda! è l'aroma dell'utopia che si respira, è 
                  il sapore della libertà. La cognizione del gusto, i percetti 
                  e gli affetti diventano rivoluzionari. La via libertaria è 
                  dunque atto di resistenza contro la distruzione dei sapori, 
                  contro l'annichilimento dei saperi ma anche contro la deprivazione 
                  sensoriale che ci porta all'ottundimento della nostra facoltà 
                  di udire, di vedere, di tastare, di gustare e di annusare... 
                  e quindi di pensare. 
                  L'insensatezza deriva dai rapporti di produzione, ossia dalle 
                  modalità con le quali gli uomini producono e si relazionano 
                  tra di loro. È allora il caso di domandarsi: che tipo 
                  di sensorialità sviluppano o inibiscono i rapporti di 
                  produzione? In che modo e perché le relazioni sociali 
                  sono insensate – si producono nell'inibizione della sfera 
                  sensoriale o nell'indifferenza verso di essa? 
                  Noi non possiamo immaginare cosa ha provato Umberto nel gustare 
                  quei pasti gratuiti, durante quel frammento di utopia realizzata, 
                  ma oggi come allora, questa consapevolezza ci pone corpo a corpo, 
                  senza alcuna possibilità di mediazione, in una battaglia 
                  che diventerà cruciale nei prossimi decenni. Sarà 
                  cruciale per le sorti del pianeta e per la possibilità 
                  che continui a esistere una sensibilità planetaria. Occorre 
                  avere coscienza che siamo ai limiti dell'irreversibilità 
                  dell'insensatezza globale. Proprio per questo è necessario 
                  il rifiuto di produrre e di consumare l'infelicità del 
                  mondo, ma anche di ogni localismo politico e identitario. Il 
                  locale che si contrappone al globale non è nient'altro 
                  che il suo gemello stupido, rancoroso e noioso. Basta guardarsi 
                  sotto i piedi, l'uomo non ha radici e se fosse identico a ciò 
                  da cui origina avrebbe ben poco da gloriarsene. Uno dei limiti 
                  del movimento anti-globalizzazione è stata la pretesa 
                  di modificare le regole del potere politico attraverso l'uso 
                  della rappresentanza politica. Da questa ossessione per la rappresentanza 
                  deriva il suo eccessivo carico simbolico e la sua forte spettacolarizzazione. 
                  La sensibilità libertaria rifiuta questa contrapposizione 
                  speculare. La sensibilità planetaria non propugna un'altra 
                  globalizzazione, ma cerca una via di fuga sia dal localismo 
                  sia dalla globalizzazione. Il localismo è nemico della 
                  sensibilità planetaria. La globalizzazione la distrugge. 
                  Fuori tema. Materialità della vita e dell'esperienza. 
                  Pensiero e azione. Ho visto Umberto di persona solo una volta, 
                  ma dopo il funerale mi è capitato più volte, da 
                  solo o con compagni e amici, di passare a salutarlo con un fiore, 
                  attraversando il paesaggio lunare dei magredi che da Rauscedo 
                  porta a Vivaro. Ho riletto il libro di Tommasini di recente. 
                  La foto che lo vede ritratto accanto a Pannella, durante un 
                  comizio di una marcia antimilitarista nel 1973, mi ha ricordato 
                  un fatto raccontatomi da un compagno. Durante un contraddittorio 
                  Umberto disse al leader radicale pressappoco queste parole: 
                  “Diventerai un servo dei padroni e dello Stato”. 
                  Non si trattava di una profezia, ma di una motivata analisi 
                  politica che dimostrava che dalle posizioni “liberali” 
                  di Pannella, mancanti di una visione politica più complessa 
                  del potere, non si poteva che arrivare – prima o dopo 
                  – a diventare ciò che Pannella è diventato. 
                  È stato così, lo possiamo constatare. Guarda caso 
                  quelli erano gli anni in cui Pierpaolo Pasolini, intellettuale 
                  osannato ancora oggi da destra e da sinistra, manda ai Radicali 
                  un augurio, pieno di elogi e di adesione, per un Congresso. 
                  Il critico della “mutazione antropologica” degli 
                  italiani e della fobia dell'omologazione ebbe anche delle idee 
                  interessanti, inutile negarlo, ma fu anche difensore degli sbirri 
                  di Valle Giulia nel '68 e assunse altre ambigue posizioni. Non 
                  fosse stato assassinato nel 1975, forse lo avremo ritrovato 
                  nel 2011 a fianco della sua amica Oriana Fallaci nell'odio razzista. 
                  Da lì si arriva a lì. Come aveva intuito Tommasini 
                  a proposito di Pannella: da lì si arriva a lì. 
                  La lettera ai Radicali di Pasolini è tanto bella formalmente 
                  (ricordate “subito i grandi successi: e continuare imperterriti, 
                  ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi 
                  col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare”) ingenua 
                  dal punto di vista politico. Umberto era un rivoluzionario senza 
                  le nostalgie e le ingenuità politiche di Pasolini, forse 
                  la sua cultura non era quella del poeta di Casarsa, ma portava 
                  dentro di sé il seme delle idee libertarie (“portiamo 
                  un mondo nuovo nei nostri cuori”, diceva Durruti), forgiate 
                  nella materialità dell'esperienza, che gli impedirono 
                  di prendere le posizioni di Pannella e di Pasolini. Se dovessi 
                  scegliere tra i tre... ho già scelto. Grazie Umberto! 
                 Marc Tibaldi 
                  Lecce 
                  
                   
                    Per 
                  un antispecismo  libertario 
                   
                  È più probabile che riusciamo a persuadere 
                  gli altri a condividere il nostro atteggiamento se temperiamo 
                  i nostri ideali con il buon senso, che non se ci battiamo per 
                  un genere di purezza più appropriato a una legge alimentare 
                  religiosa che a un movimento etico e politico. 
                 (Peter Singer –  Liberazione 
                  Animale) 
                 Sempre più frequentemente da vegani inorriditi dall'olocausto 
                  animale, ci sentiamo a dir poco in forte imbarazzo di fronte 
                  ad atteggiamenti d'intolleranza, accuse senza possibilità 
                  d'appello addirittura verso vegetariani, ad opera di non pochi 
                  animalisti. In effetti potremmo citare decine di aneddoti: pazze 
                  che non comprendono come una vegetariana possa convivere con 
                  un onnivoro, cinquantenni, sessantenni, settantenni neo-convertiti 
                  che salgono e risalgono sul pulpito per arringare chiunque gli 
                  capiti a tiro, vegetariani insultati durante conferenze informative 
                  pro vegan rei di comprare uova biologiche al mercato del proprio 
                  paese. 
                  Lo ripetiamo, siamo coscienti della tragica situazione in cui 
                  riversano gli animali non umani nella nostra società, 
                  e facciamo del nostro meglio per non prender parte e quando 
                  possibile combattere le principali forme di sfruttamento animale; 
                  ma non siamo affatto convinti che l'intolleranza, gli atteggiamenti 
                  da integralisti, il trasformare ogni persona in un miscredente 
                  da indottrinare, servano effettivamente alla causa animalista. 
                  Fin da “Liberazione Animale” del 1975, Peter Singer, 
                  probabilmente uno dei più celebri esponenti del movimento, 
                  ci ha messo in guardia dalle degenerazioni irrazionaliste: “Io 
                  non credo che la coerenza si identifichi con, o abbia come conseguenza, 
                  una rigida insistenza su criteri di assoluta purezza in tutto 
                  ciò che si consuma o si indossa [...] Anche per quanto 
                  riguarda la dieta, è più importante ricordare 
                  gli obiettivi principali che non preoccuparsi di dettagli quali 
                  la questione se il dolce che vi viene offerto a una festa sia 
                  stato preparato con un uovo di allevamento intensivo”1 
                  L'integralismo in ambito animalista è stato più 
                  volte stigmatizzato anche da Tom Regan, altro celebre esponente 
                  del movimento. In “Gabbie Vuote” scrive di 
                  conoscere attivisti per i diritti animali tanto moraleggianti 
                  dal preferire cambiar strada piuttosto che avere a che fare 
                  con loro2. Anche noi, come abbiamo 
                  già detto, ne conosciamo. 
                  Nato come ampliamento, universalizzazione dell'etica antropocentrica 
                  oltre i confini della specie, il movimento antispecista rivela 
                  in non pochi dei suoi membri molte di quelle pratiche autoritarie 
                  e liberticide che vorrebbe radicalmente combattere. In effetti, 
                  anche se, come movimento radicale di liberazione, l'antispecismo 
                  incarna la consapevolezza che ogni processo di emancipazione 
                  sociale non può rimanere rinchiuso negli angusti ambiti 
                  dell'antropocentrismo, siamo d'accordo con Andrea Papi, che 
                  la trasformazione, in breve tempo, del movimento libertario 
                  in movimento antispecista sia auspicabile ma tutt'altro che 
                  scontata.3 Soprattutto, al di 
                  là degli attivisti e dei militanti, la trasformazione 
                  rivoluzionaria della società in direzione di un antispecismo 
                  libertario è un processo a dir poco complicato, reso 
                  ancor più difficile dal fatto che non è assolutamente 
                  vero che i principi dell'umanismo anarchico possano essere aproblematicamente 
                  ampliati in direzione antispecista. 
                  Senza dubbio, e lo dimostrano molti articoli pubblicati sulla 
                  rivista di critica antispecista “Liberazioni”, nonché 
                  il fitto dibattito sull'antispecismo in ambito anarchico, è 
                  possibile che i movimenti libertari evolvano verso l'antispecismo, 
                  ma si devono evitare semplificazioni e non nascondersi le non 
                  poche difficoltà. 
                  Ad esempio, quanti all'interno del movimento antispecista farebbero 
                  o fanno proprio lo slogan anarchico (qui parafrasato): l'antispecismo 
                  o sarà libertario o non sarà? Quanti, pur pronti 
                  ad usare tutta la violenza necessaria per distruggere ogni struttura 
                  di dominio, sarebbero poi in grado di mettere in pratica la 
                  celebre frase di Malatesta, che neppure il bene può essere 
                  legittimamente imposto con la violenza4? 
                  Il problema è che l'innesto dell' antispecismo sul tronco 
                  della tradizione anarchica (o viceversa) non è affatto 
                  un'operazione scontata. Apparentemente, come dicevamo prima, 
                  l'antispecismo potrebbe essere interpretato come un ampliamento, 
                  un'universalizzazione degli storici movimenti di liberazione 
                  umani, come l'antirazzismo o il femminismo; ma, come Peter Singer 
                  rileva, il movimento di liberazione animale ha tra i suoi principali 
                  handicap “il fatto che quasi tutti gli appartenenti al 
                  gruppo oppressore sono direttamente coinvolti nell'oppressione” 
                  . 
                  In effetti oggi la specie umana è nella sua stragrande 
                  maggioranza specista (in Italia, ad esempio, i vegani sono lo 
                  0,6 per cento della popolazione!). Questo significa che l'antispecismo 
                  oltre a implicare il superamento dall'antropocentrismo (già 
                  implicito di per sé nella tradizionale prospettiva atea 
                  dell'anarchismo) implica, secondo alcuni, anche l'abbandono 
                  dell'umanismo5. è quest'ultimo 
                  congedo in effetti, oltre a portare l'animalismo antispecista 
                  “all'isolamento dal resto dei movimenti progressisti, 
                  che spesso sfocia in posizioni politiche reazionarie”6, 
                  a rendere tutt'altro che banale l'incontro con il movimento 
                  anarchico e libertario, movimento che, come scriveva ancora 
                  Malatesta, fa della libertà il proprio metodo7. 
                  In effetti bisogna tener presente che la libertà tematizzata 
                  dagli anarchici è sempre stata libertà strettamente 
                  umana, affrontata in tutte le sue inevitabili implicazioni specifiche. 
                  Partendo da queste osservazioni, ci domandiamo tutt'altro che 
                  in maniera retorica, in che modo il movimento di liberazione 
                  animale può far propria la “libertà come 
                  metodo”, centrale nel pensiero e nella pratica anarchica? 
                  A una domanda come questa, oggi, è molto difficile offrire 
                  risposte condivisibili, evitando di ricadere in quelle pratiche 
                  autoritarie che si spera di combattere. 
                  Vi è poi da considerare che i movimenti libertari hanno 
                  sempre fatto proprio come minimo un individualismo metodologico 
                  tutt'altro che condiviso, però, in ambito antispecista8. 
                  Quindi, come può essere ripensato il concetto di individuo, 
                  di interessi individuali, di rispetto delle scelte del singolo 
                  nella sua specificità in una prospettiva che vada oltre 
                  la specie? 
                  Peter Singer evidenzia poi un ulteriore problema1. 
                  La liberazione animale non potrà certamente avvenire 
                  tramite la lotta degli oppressi. Non sarà attraverso 
                  la loro capacità di ribellione, che gli animali non umani 
                  riusciranno a liberarsi dall'oppressione, ma sarà tramite 
                  l'aiuto degli ex-oppressori. Il processo della liberazione animale 
                  non potrà avvenire in alcun modo tramite quelle pratiche 
                  di autoorganizzazione che gli anarchici considerano quasi come 
                  l'anticipazione stessa dell'anarchia. Il movimento antispecista, 
                  per questi aspetti, può rischiare di prendere strade 
                  ben lontane dalle pratiche anarchiche, o anche solo democratico 
                  popolari. E' probabilmente molto più compatibile con 
                  tutte quelle impostazioni politiche di derivazione platonica, 
                  e quindi elitarie, secondo cui i sapienti, (ovvero le avanguardie, 
                  il partito, i tecnici, gli illuminati di ogni ordine e grado) 
                  sono chiamati dalla repubblica ideale a governare il volgo e 
                  a liberarlo dall'ignoranza e dal male. Il movimento antispecista 
                  (anche se in teoria, e noi ovviamente ce lo auguriamo, potrebbe 
                  essere una sorta di movimento libertario al quadrato, che fa 
                  propria la concezione che non si dovrebbe aspirare a prendere 
                  e a esercitare il potere, quanto piuttosto a dissolverlo) rischia 
                  di non essere affatto immune, complice il suo elitarismo antiumanista, 
                  da derive antipopolari e autoritarie. 
                  Il problema quindi della possibilità dell'affermarsi 
                  di un antispecismo libertario è un problema complicato, 
                  reso ancora più complicato dal fatto che ogni articolazione 
                  del discorso in direzione “umanista” può 
                  facilmente venir ricondotta a pregiudizio “specista”, 
                  come atto di colpevole giustificazionismo nei confronti dell'ideologia 
                  del dominio, di tolleranza nei confronti degli autori e di tutti 
                  gli umani complici dell'olocausto a cui gli altri animali sono 
                  quotidianamente sottoposti. 
                  In ogni caso ( sperando di non venir additati come “collaborazionisti”, 
                  ma ce ne faremo una ragione...) rimane la nostra speranza che 
                  “vegano” non diventi sinonimo di “talebano” 
                  ovvero che l'antispecismo (è effettivamente già 
                  preoccupante doverlo sottolineare) o sarà libertario 
                  o non sarà. 
                 Luca Cartolari 
                  Sara Vittone 
                  Perosa Canavese (TO) 
                Note
 
                - Peter Singer - “Liberazione Animale” 
                  – 1975 – Il Saggiatore Tascabili - 2009
                  
 - Tom Regan – “Gabbie Vuote, la sfida 
                  dei diritti animali” – 2004 – Edizioni Sonda 
                  – 2009
                  
 - Si vedano gli interventi di Troglodita Tribe e 
                  di Andrea Papi, sui numeri 367, 368, 370, 371 di “A rivista 
                  anarchica”
                  
 - Errico Malatesta – “Un lavoro lungo 
                  e paziente...”, secondo volume delle Opere complete a 
                  cura di Davide Turcato – La Fiaccola, Zero in condotta
                  
 - Oltre la Specie - “Al di là dell'umanismo: 
                  l'orizzonte inesplorato dell ‘in-umano” - Pubblicato 
                  su “Liberazioni Rivista di critica antispecista” 
                  n.8 2012
                  
 - Massimo Filippi - “Antispecismi” - 
                  Pubblicato su “Liberazioni Rivista di critica antispecista” 
                  n.10 2012
                  
 - Davide Turcato – Leggere Malatesta – 
                  Edizioni Bruno Alpini - 2010
                  
 - Aldo Sottofattori - “Martin Balluch e la 
                  lotta per la liberazione animale” - Pubblicato su “Liberazioni 
                  Rivista di critica antispecista” n.8 2012.
  
                  
                 
                     
                
                   
                      
                        A Pino 
                            
                          Giuseppe Pinelli  
                          nato a Milano 
                          il 21 ottobre 1928 
                          ammazzato a Milano 
                          la notte del 
                          15 dicembre 1969 
                           
                          Caro Pino,  
                          Caro compagno d'ideali libertari, 
                          Oggi, 21 ottobre nella ricorrenza dei tuoi natali 
                          Ti devo un pensiero. 
                          Un pensiero lungo oltre quarant'anni 
                          Per un'epoca breve ma intensa  
                          Di lotte e di azioni per diffondere  
                          L'Idea d'Anarchia, Idea d'Amore e di Pace. 
                          Epoca chiusa dai malvagi in una fredda notte di Dicembre. 
                          Quel 15 Dicembre che ha appesantito le nostre menti 
                          E svuotato i nostri cuori: il mio e quelli dei compagni 
                          tutti 
                          Del Circolo Ponte della Ghisolfa. 
                          Per noi non era mancato un “militante” 
                          ma un Fratello; 
                          Per questo io amo ricordare i Tuoi 41 anni di allora 
                          e non oltre. 
                          Il tempo che ne segue è accompagnato  
                          Dal buio di quella notte, da quella sottile nebbia 
                           
                          Che ha ammantato una Milano ferita dall'atrocità 
                          Commessa in quella Banca di Piazza Fontana. 
                          Un lungo abbraccio dal Tuo. 
                          Ivan Guarnieri 
                          Milano   | 
                   
                 
                  
                   
                    Libertà 
                  per i gatti detenuti 
                   
                  Non è un mistero che la liberazione sia un percorso lungo 
                  e difficile, che ci sia da combattere con muri e gabbie di ogni 
                  genere, ma se c'è un fatto evidente, inossidabile, senza 
                  il quale questo percorso non è neppure iniziato, è 
                  proprio la facoltà di riuscire ad immaginare questa liberazione, 
                  la facoltà di reputarla possibile, realistica, attuabile. 
                  Chi considera la libertà una mera utopia, chi pensa all'anarchia 
                  come ad un fatto puramente teorico che non trova certo posto 
                  nella propria vita quotidiana, che non è neppure ipotizzabile 
                  in questo contesto storico, ha perso, ovviamente, ogni possibilità 
                  di liberarsi. 
                  Franco, un anarchico che conoscemmo in un paesino ligure nei 
                  pressi di Seborga, una volta ci disse: “Io all'anarchia 
                  ci credo davvero. Sono davvero convinto che la possiamo realizzare, 
                  ma non in un futuro lontano, la possiamo realizzare nel giro 
                  di poco tempo. Se non ci credessi non sarei anarchico.” 
                  Ed è vero, verissimo. Come si fa a credere in qualcosa 
                  che si ritiene irrealizzabile? Nel momento in cui lo ritieni 
                  irrealizzabile, illusorio, impossibile, hai già smesso 
                  di crederci. 
                  L'immaginario umano, però, in moltissimi casi, è 
                  talmente domato e addomesticato da non riuscire più neppure 
                  ad immaginare realizzabile non solo la propria liberazione personale 
                  (così connessa a quella collettiva), ma il concetto stesso 
                  di libertà. 
                  Leggo da un blog di “esperti” di gatti e resto allibito: 
                  la libertàdel gatto è un concetto romantico 
                  ed attraente, ma, in pratica, il sistema piùsicuro per 
                  abbreviarne l'esistenza, sempre che non sia possibile liberarlo 
                  in un luogo assolutamente sicuro, come un cortile o un giardino 
                  chiuso da ogni parte da muri sufficientemente alti, infatti, 
                  le reti sono scavalcate facilmente e basta un albero a “portata 
                  di zampa” e l'evasione è certa. 
                  Evidentemente neppure la caparbia insistenza del gatto nel ricercare 
                  la sua libertà è sufficiente per far comprendere 
                  i suoi desideri, le sue intenzioni, la sua volontà. Togliere 
                  la libertà a qualcuno “per il suo bene” significa 
                  considerarlo, a tutti gli effetti, un incapace, un essere che 
                  non è neppure in grado di vivere a suo modo. Succede 
                  nei manicomi, succede con ogni forma di proibizionismo, succede 
                  quando si pretende che i nomadi non possano spostarsi come meglio 
                  desiderano, succede in tutte le forme di “educazione” 
                  repressiva e violenta. Succede perché chi è differente, 
                  chi si scosta dalle direttive indicate dal dominio, chi agisce 
                  e dimostra la propria libertà deve essere ricondotto 
                  sulla retta via, ad ogni costo. 
                   
                  Lo sciopero selvaggio è un gatto nero  
                   
                  Il gatto nero è un simbolo utilizzato dai movimenti 
                  anarchici a causa della sua indipendenza, della sua irriducibile 
                  propensione alla libertà.  
                  Il gatto nero anarchico si chiama, genericamente, Wild Cat 
                  (gatto selvatico). È un gatto nero (molti lo intendono 
                  come una gatta nera, però) in posizione di allerta e 
                  di combattimento, con la schiena inarcata; una raffigurazione 
                  ripresa in maniera esatta dall'atteggiamento di ogni gatto che 
                  si predispone alla lotta. Tra gli anarchici è però 
                  noto come Sab Cat o Sabo Tabby: questo il nome che gli (le) 
                  diedero gli Industrial Workers of the World. “Gatto Sabotatore”, 
                  o “Sabomicio”. Non poteva essere altro che nero 
                  (nera): fin dal 1880 circa il colore nero è associato 
                  all'anarchismo, e in particolare all'anarcosindacalismo. Una 
                  caratteristica che si è mantenuta nella denominazione 
                  inglese per lo “sciopero selvaggio”, vale a dire 
                  quello intrapreso spontaneamente dai lavoratori senza nessuna 
                  “concertazione” con i sindacati ufficiali e senza 
                  preavviso: Wildcat strike. In inglese, le azioni di sciopero 
                  diretto, non mediato e a oltranza sono lo sciopero del gatto 
                  selvatico – naturalmente nero. 
                  Rinchiudere un gatto in una gabbia, però, è un 
                  ulteriore simbolo, è la negazione della libertà, 
                  è la repressone dell'indole libertaria che incarna. 
                  Un gatto ha bisogno di un territorio di diversi chilometri che 
                  esplora quotidianamente, marcando il terreno, appostandosi di 
                  vedetta in luoghi strategici, combattendo per difenderlo. La 
                  vita di un gatto si realizza esclusivamente in condizioni di 
                  libertà. In una gabbia o in un appartamento potrà 
                  sopravvivere, certo, proprio come un umano potrà sopravvivere 
                  dentro una cella, o costretto ad un lavoro stressante che odia, 
                  che lo reprime, che lo porta inevitabilmente alla nevrosi e 
                  alla malattia. 
                  Ma se non si riesce più a concepire la libertà 
                  per le specie non umane, che sono libere per antonomasia, che 
                  fondano la loro intera esistenza sulla libertà, se vogliamo 
                  rinchiudere anche loro, come possiamo sperare di liberare noi 
                  stessi? 
                  Ma del resto si tratta dell'ennesima conferma di quanto la liberazione 
                  umana sia legata indissolubilmente alla liberazione animale. 
                  Chi non è libero, chi ci ha già rinunciato e ti 
                  ride alle spalle, vuole rinchiudere tutti gli altri. Rinchiuso 
                  in gabbie mentali, rinchiuderà gli animali in gabbie 
                  di ferro. 
                  Chi non riesce neppure ad immaginare un mondo di libertà, 
                  lotterà inevitabilmente per un mondo fatto di muri e 
                  di gabbie. Un mondo a sua immagine e somiglianza. Un mondo che 
                  gli dia l'illusione di sentirsi al sicuro e al riparo dai rischi, 
                  dai pericoli, dagli incidenti, dalle malattie, dalla crisi. 
                  Un mondo dove di libertà si parla solo sui libri e sulle 
                  riviste. 
                  Tutto questo ci mostra quanto il dominio di una razza, di un 
                  genere, di un esercito o di una specie sulle altre non sia soltanto 
                  causata dal desiderio di soddisfare i propri interessi a scapito 
                  di quelli altrui, ma anche dalla paura e dalla rassegnazione. 
                  Chi viene dominato quotidianamente (al lavoro, in famiglia, 
                  all'università…) è una vittima che non 
                  potrà fare a meno di replicare e favorire la catena del 
                  dominio. 
                  I contadini, sfruttati e angariati dai proprietari terrieri, 
                  sfruttavano donne e animali. I militari di leva, sfruttati e 
                  dominati dai superiori, tendevano a sfruttare e dominare i nuovi 
                  arrivati creando nuove gerarchie. 
                  La catena del dominio tende inesorabilmente a replicarsi. Chi 
                  tenta di spezzarne una maglia, quando non viene soppresso, deve 
                  essere per forza relegato nel mito di una teoria irrealizzabile. 
                  Chi è stato domato non riesce più a sopportare 
                  la vista della libertà. La libertà vissuta, per 
                  chi è rassegnato, risulta una luce fastidiosa e abbagliante. 
                   
                  Allargare  le percezioni  
                   
                  La vista di un gatto libero infastidisce alcuni “protezionisti” 
                  proprio come tanti anni fa la vista di un giovane hippy infastidiva 
                  la benpensante borghesia. La vista di un gatto libero, senza 
                  futuro, senza alcuna sicurezza, scatena quel finto amore che 
                  spinge a rinchiuderlo per prolungargli la vita. 
                  Ma un gatto libero non è un'anima in pena alla ricerca 
                  di un padrone che lo accudisca. In realtà il gatto non 
                  è mai randagio, ma sceglie una zona che reputa adatta 
                  per la sua sopravvivenza e, nonostante i lunghi vagabondaggi, 
                  torna sempre nella sua zona. Quando il territorio è particolarmente 
                  promettente si possono formare, in maniera del tutto spontanea, 
                  delle colonie feline: vere e proprie comunità di gatti 
                  liberi. Ed è proprio in questo contesto che è 
                  possibile, casomai, aiutare e curare i gatti senza imprigionarli. 
                  Ma come si fa per i gatti che vivono da sempre in un appartamento 
                  di città? Come è possibile liberarli se si abita 
                  al settimo piano di un palazzo nel pieno centro di una metropoli? 
                  Di certo non è un'impresa semplice. 
                  Tanto per cominciare occorrerebbe realizzare che questo gatto 
                  ha comunque un gran bisogno di riacquistare la sua libertà, 
                  di assaporarla, di viverla, proprio come chi ha scelto la sua 
                  compagnia. 
                  Ed è proprio osservando il gatto che questa persona potrebbe 
                  acquisire la reale consapevolezza di quanto la libertà 
                  sia indispensabile per una vita degna di questo nome. L'attenta 
                  e paziente osservazione del gatto, in effetti, ci pone nella 
                  mirabile situazione di allargare le nostre percezioni, di entrare 
                  finalmente in sintonia con il gatto nero dell'anarchia che mai 
                  si rassegna e mai smette di lottare per la sua libertà. 
                  E allora, questa persona, potrebbe cominciare a portare se stesso 
                  e il gatto in situazioni di libertà, che siano per entrambi 
                  possibili e vivibili. Dovrebbe industriarsi per guarire e lasciare 
                  andare la paura che lo sta trattenendo, per abbandonare la sua 
                  stessa cella che rende impossibile la libertà al gatto, 
                  e trovare una sistemazione in cui un umano e un animale possano 
                  convivere senza costringersi, senza rinchiudersi, senza rinunciare 
                  a tutte le potenzialità dei loro corpi e delle loro menti. 
                  Certo, la mancanza di denaro e la mancanza di quell'illusoria 
                  sicurezza che imprigiona quotidianamente la maggior parte di 
                  noi umani, potrebbero essere degli ostacoli non indifferenti, 
                  ma superare questi subdoli condizionamenti è oramai il 
                  minimo che possiamo fare, se ancora abbiamo il coraggio e l'ardire 
                  di pronunciare la parola libertà. 
                  Entrare in sintonia con questo spirito felino e ribelle mostrerà 
                  con chiarezza un nuovo atteggiamento di apertura convincendoci 
                  definitivamente che chi condivide una gabbia con un altro essere, 
                  invece di trattenere il suo compagno, dovrebbe architettare 
                  insieme a lui un piano di fuga. 
                  Per farla breve, occorrerebbe essere così pazzi da cambiare 
                  casa e vita per il proprio gatto (che ovviamente non è 
                  di nessuno se non di se stesso). Perché il significato 
                  di voler bene a un gatto che vive rinchiuso può essere 
                  identificato solo nell'aiutarlo a ritrovare il senso della sua 
                  vita, che è la libertà. 
                  E poi, riuscendo in questa mirabile impresa, avrete dato un 
                  senso anche alla vostra di vita. Avrete aiutato davvero una 
                  persona che amate, il gatto, ritrovando insieme a lui la vostra 
                  libertà. 
                 Troglodita Tribe 
                  Serrapetrona (MC) 
                  
                   
                    Il 
                  trasferimento degli uomini-ombra 
                   
                  Nel carcere di Spoleto, nella sezione AS 1, si era formato un 
                  gruppo di uomini ombra (così ci chiamiamo fra di 
                  noi ergastolani ostativi) che  con dibattiti, articoli 
                  e inviti al mondo esterno,  lottavano pacificamente per 
                  l'abolizione della “Pena di Morte Viva” (così 
                  chiamiamo l'ergastolo ostativo, quello senza nessuna possibilità 
                  di liberazione). 
                  Avevamo assiduamente incontri con la società esterna, 
                  locale e nazionale. 
                  Commovente il colloquio collettivo con la scrittrice Benedetta 
                  Tobagi, che ha avuto il padre ammazzato dalle brigate rosse. 
                  Affettuosi gli incontri con la Comunità Papa Giovanni 
                  XXIII e con il Prof. di Filosofia Giuseppe Ferraro, dell'Università 
                  Federico II di Napoli. 
                  Costruttive le visite del Senatore Francesco Ferrante, dell'Onorevole 
                  Rita Bernardini, dell'ex Senatore Giovanni Russo Spena, degli 
                  operai di Pomigliano e di tanti altri. 
                  Bellissime le visite d'intere scolaresche delle scuole superiori 
                  e degli studenti universitari con gli uomini ombra. 
                  Molte le iniziative intraprese da parte degli uomini ombra per 
                  sensibilizzare l'opinione pubblica, la più importante 
                  è l'attuale petizione “FIRMA CONTRO L'ERGASTOLO” 
                  sul sito www.carmelomusumeci.com, 
                  che ad oggi ha superato le quindicimila firme e  che sta 
                  avendo adesioni come Stefano Rodotà, Umberto Veronesi, 
                  Luigi Ferraioli, Don Luigi Ciotti, Erri De Luca, Margherita 
                  Hack, Agnese Moro, Bianca Berlinguer, Giuliano Amato, e molti 
                  altri. 
                  Con il nostro pacifico, costruttivo attivismo non pensavamo 
                  di dare fastidio a nessuno, ma un bel giorno inspiegabilmente, 
                  senza sapere il perché, come sacchi di patate ci prendono 
                  e ci sparpagliano in molte carceri d'Italia, molte addirittura 
                  in Sardegna: percorsi rieducativi interrotti, legami tagliati, 
                  colloqui coi familiari resi ancor più difficili, percorsi 
                  scolastici bruscamente interrotti. 
                  Oggi ho potuto finalmente scoprire la verità sulla diaspora 
                  degli uomini ombra  leggendo la bellissima lettera, 
                  pubblicata su “Il Manifesto” dell'19 ottobre 2012, 
                  del coraggioso direttore aggiunto del carcere di Spoleto, Giacobbe 
                  Pantaleone: 
                   
                  (...) non è da escludere che il trasferimento di questi 
                  detenuti sia dipeso da una sorta di fraintendimento o malinteso, 
                  forse influenzato da un eccesso di interpretazione autarchica 
                  rispetto a quello che bolliva in pentola in questo stare al 
                  gioco. Per esempio, sollevare il tema dell'ergastolo ostativo 
                  può avere generato dei sospetti? Eppure esso è 
                  stato portato tante volte all'attenzione dell'opinione pubblica 
                  con intelligenza: mai che si ricordi sia stato portato dentro 
                  un progetto rivendicativo ottuso (...) 
                   
                  I funzionari  di Roma hanno paura dei prigionieri che pensano, lottano 
                  e scrivono. 
                  Lo sospettavo che eravamo partiti perché lottavamo pacificamente 
                  contro l'abolizione  dell'ergastolo, ora ne ho la certezza. 
                 Carmelo Musumeci 
                  Padova, ottobre 2012 
                  www.carmelomusumeci.com 
                  
                   
                    In 
                  memoria di Angelo Papi (mio padre) 
                   
                  Sulle pagine di questa rivista che mi è da sempre così 
                  cara vorrei ricordare mio padre, Angelo Papi, morto in modo 
                  sereno e senza troppo soffrire all'età di 93 anni il 
                  21 settembre scorso. Lui stesso leggeva, fino a che ha potuto 
                  con frequenza, A rivista e i miei articoli che vi venivano pubblicati, 
                  dandomi anche consigli sempre preziosi. 
                  Mio padre è stato partigiano, dapprima impegnato nei 
                  gap di città poi nelle montagne del pesarese. Tra le 
                  sue ultime testimonianze mi ha confessato che il periodo partigiano 
                  è stato il più bello della sua vita. Da partigiano 
                  era comunista, ma essendo sempre stato di spirito autenticamente 
                  libertario, quando subito dopo la liberazione cominciò 
                  a sapere dei crimini staliniani si staccò con grande 
                  convinzione dal PCI, fino a sentirsi in breve totalmente contrapposto 
                  al suo autoritarismo di sostanza. 
                  Conobbe anarchici e li stimò grandemente, me lo disse 
                  lui stesso. Pur non essendosi mai dichiarato anarchico, mi ha 
                  però trasmesso valori indelebili di amore per la libertà, 
                  facendomi comprendere come siano inaccettabili le chiese, e 
                  i regimi totalitari come il fascismo e il bolscevismo. Ricordo 
                  ancora con commozione quando, dopo aver appreso nel sessantotto 
                  che ero diventato anarchico, mi regalò testi anarchici 
                  che si era procurato e che aveva letto: un'edizione originale 
                  degli scritti scelti di Errico Malatesta curata dalla Giovanna 
                  Berneri e da Cesare Zaccaria e un'edizione originale di “Risposta 
                  di un internazionale a Giuseppe Mazzini” di M. Bakunin, 
                  edizione originale del Bollettino Rosa del 1876, che in seguito 
                  ho poi donato all'archivio Pinelli di Milano, avendone io il 
                  testo in una ripubblicazione attuale. Mi diede inoltre una raccolta 
                  da lui fatta di articoli di Gaston Leval, pubblicati, mi sembra, 
                  da Umanità Nova, sulle esperienze delle comunità 
                  agricole e delle collettivizzazioni delle fabbriche durante 
                  la rivoluzione spagnola del 1936/'37. Cose che mi furono poi 
                  preziosissime quando le lessi e mi confermarono l'essermi sentito 
                  anarchico. 
                  Ciò che mi ha regalato mio padre, come autentica acquisizione 
                  di valori di libertà e di senso di responsabilità 
                  per mantenere uno stato di libertà, per me è un 
                  bene prezioso che mi terrò nel cuore per tutta la vita. 
                  Grazie a mio padre dunque, che fu partigiano per spirito ideale 
                  di libertà e che rimase fino alla morte un libertario 
                  convinto, anche se non divenne mai ideologicamente anarchico. 
                 Andrea Papi 
                  Forlì 
                  
                   
                   
                   
                    
                 
                  
                     
                      |    I 
                          nostri fondi neri 
                             | 
                     
                     
                        
                           Sottoscrizioni. AGianni Forlano e Marisa 
                            Giazzi (Milano) ricordando Carlo Oliva, 100,00; Monica 
                            Giorgi (Bellinzona – Svizzera) 80,00; Patrizia 
                            De Masi (Caposele - Av) 5,00; Davide Foschi (Gambettola 
                            - Fc) 20,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Carlo 
                            Oliva, 500,00; Luca Vitone (Berlino – Germania) 
                            50,00; Francesco D'Alessandro (Sesto San Giovanni 
                            – Mi) 38,00: Claudio Paderni (Bornato – 
                            Bs) 10,00; Alberto Ciampi (San Casciano Val di Pesa 
                            - Fi) 20,00; Roberto Caelli (Parma) 20,00; Roberto 
                            Bernabucci (Cartoceto – Pu) 20,00; Giuseppe 
                            D'Agostino (Novara) 20,00; Stefano Bevione (Alba - 
                            Cn) 10,00; Vincenzo Portone (Colle Val d'Elsa – 
                            Si) 5,00; Gianfranco Cutillo (Bari) 20,00; Simona 
                            Bruzzi (Piacenza) 20,00; Simone Zanchini (San Leo 
                            – Pu) 10,00; Pasquale Messina (Milano) 10,00. 
                            Totale € 958,00. 
                          Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti 
                            specificato, trattasi di euro 100,00). Fabio 
                            Santin (Venezia); Angelo De Rosa (Tokyo – Giappone); 
                            Massimo Merlo (Lodi); Stefano Stofella (Rovereto – 
                            Tn); Giorgio Sacchetti (Arezzo). Totale € 
                            500,00 
                          | 
                     
                   
                               
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