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                  Latina. 3 teatro in Bolivia 1 
                  
                In viaggio col teatro sulle Ande 
                  
                di Federica Rigliani 
                    Pubblichiamo la prima puntata di una serie di 4 scritti su alcune significative esperienze teatrali in Bolivia, nell'ultimo mezzo secolo. 
                 
                
                 
                  La Bolivia per me è 
                  stata una scoperta molto casuale. Studiavo Storia del Teatro 
                  all'Università dell'Aquila – oggi “non luogo” 
                  distrutto e abbandonato a se stesso dopo il terribile terremoto 
                  del 6 aprile del 2009 – quando un giorno assistetti ad 
                  alcuni spettacoli del Teatro de los Andes, diretto da 
                  César Brie. Succedeva tanto, tanto tempo fa. La commozione 
                  ricevuta e le suggestioni che mi investirono furono talmente 
                  nuove per me, che decisi di fare un lavoro di tesi su questo 
                  gruppo che viveva e lavorava in Bolivia, precisamente a Yotala, 
                  un piccolissimo villaggio a quindici km da Sucre.  
                  Ho vissuto con loro ed ho riportato con me un'esperienza 
                  unica che mi ha permesso di conoscere una Bolivia internamente 
                  frammentata, attraversata da diverse etnie, lingue, religioni 
                  e culture che rappresentano la sua grande ricchezza, ma che 
                  continuano ad occupare un posto marginale e discriminato all'interno 
                  del paese ancor oggi. 
                  In questa terra il teatro è sempre stata un'espressione 
                  elitaria prettamente urbana, ha sempre parlato castellano 
                  e ha escluso dal suo pubblico gli abitanti che lì si 
                  trovavano e che parlavano le lingue autoctone: gli indigeni. 
                  Inoltre, essendosi nutrito essenzialmente di drammaturgie europee, 
                  soprattutto spagnole e nordamericane, non ha saputo proporre 
                  una drammaturgia nazionale che presentasse temi e volti della 
                  reale società boliviana e non ha saputo guardare ai numerosi 
                  riti ancestrali della tradizione precolombiana che, ancora nel 
                  presente, esprimono intensamente il loro carattere cerimoniale. 
                  Per questo motivo sono pochissimi i testi teatrali in lingua 
                  quechua e aymara – le maggiori lingue autoctone 
                  per estensione e densità di popolazione – che venivano 
                  rappresentati durante il periodo Virreinal, tra il XVII 
                  e XVIII secolo. A questo dobbiamo aggiungere le enormi difficoltà 
                  di un movimento teatrale che ha cercato di darsi un'identità, 
                  ma che ogni volta ha visto stroncati i propri tentativi: sin 
                  dal sorgere dei primi drammi ottocenteschi l'alternanza di guerre, 
                  dittature e regimi militari hanno sempre imposto censure e impossibilità 
                  di espressione. 
                  Ma ci fu qualcuno che si accorse dell'immensa ricchezza che 
                  questa terra emanava. 
                  In Bolivia, questo luogo storicamente e geograficamente isolato 
                  e accidentato, dove le Ande si estendono e si innalzano maestose 
                  e irraggiungibili, dove le strade asfaltate coprono una percentuale 
                  minima ed irrisoria di un territorio vastissimo, e dove il vento 
                  soffia a volte così freddo da sembrare ghiaccio bianco 
                  e tagliente sulla pelle, vivevano e vivono uomini, donne e bambini 
                  che percepiscono il mondo attraverso la loro particolare cosmovisione 
                  andina. Una profonda catarsi lega la popolazione boliviana 
                  alle montagne e alla natura, nel rispetto profondo della pachamama, 
                  la terra madre, e nella reiterazione quotidiana di gesti ancestrali 
                  che continuano ad avere del religioso. Ci fu qualcuno che volse 
                  lo sguardo verso questa grande miniera umana portatrice di tradizioni 
                  millenarie. Ci fu qualcuno che riuscì a raggiungere luoghi 
                  e insediamenti negli sconfinati e freddi altopiani radamente 
                  popolati da pueblos e comunidades autoctone, qualcuno 
                  che fece arrivare lì sé stesso ed il proprio lavoro, 
                  qualcuno che sentì, inequivocabilmente, la necessità 
                  di portare il teatro fuori dai teatri, nella realtà dei 
                  minatori, dei campesinos e degli indigeni. Erano artisti 
                  spinti dal bisogno di comunicare con questo pubblico storicamente 
                  escluso dalla società e dal dialogo teatrale. Questi 
                  tentativi, che restano misconosciuti in Bolivia e non entrano 
                  nei testi di storia del teatro, sono stati curiosamente intrapresi 
                  e portati avanti da stranieri arrivati in Bolivia perché 
                  catturati dalla magia del luogo e della popolazione che lì 
                  vive. Tra loro, Liber Forti, nel 1946, apre la strada e insegna. 
                  Più tardi il Teatro Kollasuyo di Gabriel e Verónica 
                  Martínez e il Teatro Runa di Edgar Darío 
                  González, avrebbero raccolto il testimone per passarlo, 
                  a loro volta, a César Brie e al Teatro de los Andes. 
                  Li ho conosciuti grazie ad alcuni articoli editi in El tonto 
                  del pueblo, la rivista del Teatro de los Andes, che 
                  offrono fonti di maggiori dettagli e approfondimenti a riguardo1, 
                  ma io li ho cercati, li ho intervistati per conoscere meglio 
                  le loro storie e i loro progetti teatrali e per raccontarle 
                  continuando a dare loro voce. Tutte le parti dei singoli paragrafi 
                  in corsivo prive di nota a piè di pagina, sono dichiarazioni 
                  degli artisti da me intervistati.2. 
                
   
                  Federica Rigliani
                
 Note 
                 
                  - Gli articoli a cui faccio riferimento sono: Lupe Cajías, 
                    De Concepción a Lunlaya, in 'El tonto del Pueblo, 
                    Revista de artes escenicas' N.0 /Agosto 1995; Lupe Cajías, 
                    Los caminos de nuevos Horizontes, in 'El tonto del 
                    Pueblo, Revista de artes escenicas' N.1 /Marzo 1996; César 
                    Brie, El Teatro Runa, in 'El Tonto del pueblo', N° 
                    3 / 4, Junio 1999. 
                  
 - Conversazione informale con Liber Forti, Cochabamba, 
                  maggio 1997; Intervista a Gabriel Martínez, Sucre, maggio 
                  1997 (alla quale, purtroppo, non potette partecipare sua moglie 
                  Verónica); Intervista a Edgar Darío González, 
                  Milano settembre 1999; Intervista a César Brie, Sucre, 
                  maggio 1997.
  
                
                 
                 
                teatro in Bolivia 1 
                  Liber Forti e il Conjunto Teatral Nuevos Horizontes 
                  di Federica Rigliani 
                    Dai ricordi del suo fondatore, l'esperienza di un gruppo teatrale (e non solo) nella cittadina mineraria di Tupiza. Dal '46 al '61, tra rinnovamento culturale e lotte sindacali, la storia di una compagnia di “artisti organici” e del loro stretto legame con un territorio aspro e magico allo stesso tempo. 
                 
                 
                  Questa è la storia di 
                  un sogno che permane nel tempo. 
                  Me l'ha raccontata, in un fiume di parole appassionate e appassionanti, 
                  Liber Forti, anarchico argentino di Tucumán che arrivò 
                  nel sud della Bolivia, si stabilì a Tupiza e segnò 
                  con la sua permanenza, la sua esperienza e la sua umanità 
                  un momento storico-culturale rivelatosi fondamentale per tutto 
                  il paese.1 Erano gli anni quaranta. 
                  Lui, amante del teatro, la più effimera forse tra le 
                  arti, diede vita ad un'esperienza teatrale senza precedenti, 
                  seminando con amore e pazienza un solco, contornato anche da 
                  delusioni, ma mosso dalla forza di grandi energie intellettuali 
                  che ancora oggi continua a raccogliere frutti. Un'epifania contenuta 
                  nel nome del Conjunto Teatral Nuevos Horizontes, il gruppo 
                  da lui fondato, il cui impegno andò talmente oltre il 
                  “fare teatro” che sarebbe riduttivo e ingrato definirlo 
                  semplicemente “un gruppo teatrale”. 
                  Descrivere il momento storico e sociale in cui quest'esperienza 
                  nacque è fondamentale per capirne l'attività, 
                  gli obiettivi ed i presupposti profondamente etici, sociali 
                  e solidali che la legarono indissolubilmente al territorio. 
                  Nel 1924, a Tupiza gli inglesi avevano inaugurato una linea 
                  ferroviaria che permise l'arrivo di novità, di persone 
                  e di idee nuove e rivoltose in questa piccolissima cittadina, 
                  soprattutto dall'Argentina, trasformandola in un crocevia di 
                  incontri e bizzarrie. Ma già all'inizio del XX secolo, 
                  Tupiza viveva una grande effervescenza culturale e una continua 
                  produzione di grande impegno sociale e politico: era un centro 
                  nevralgico in continuo fermento. Nel 1906 editava periodici 
                  anarchici e comunisti, mentre i minatori analfabeti organizzavano 
                  scioperi nazionali, fondavano radio locali, organizzavano festivales 
                  di musica e di teatro, unendo sempre alle dure rivolte nelle 
                  strade la dura lotta per la cultura. Questo sicuramente incise 
                  sulla scelta di Liber Forti di fermarsi lì, soprattutto 
                  quando vide che il Gruppo Sportivo The Strongest aveva 
                  organizzato un programma di rappresentazioni teatrali. Allora 
                  si disse: “Se in questo posto esiste un club sportivo 
                  che s'interessa di teatro, io mi fermo qui.” 
                  Lupe Cajías, storica paceña che ha realizzato 
                  un approfondito lavoro di ricerca sulla storia di Liber Forti 
                  e del suo Conjunto Teatral afferma: “Queste caratteristiche, 
                  unite ad altri elementi, contribuirono a mettere insieme le 
                  energie e le forze dei membri del Conjunto Teatral. Il 
                  primo punto di contatto, quello che rappresenta l'ingresso per 
                  Liber Forti, è questo gruppo d'influenza anarchica che 
                  cerca semplicemente, attraverso la sua attività sociale 
                  e culturale, di aiutare, fomentandola, la liberazione dell'essere 
                  umano. [...] Egli arriva in questo momento e riceve la possibilità 
                  di sviluppare un suo proprio lavoro. [...] in Bolivia stiamo 
                  vivendo il momento di maggior lotta dei sindacati. Tutta la 
                  relazione del teatro non può essere isolata dalle lotte 
                  sociali del paese e dalle sue caratteristiche culturali”.2 
                   
                    miniere, 
                  campagne e antichi splendori
                
  Situata nella regione di Potosí, la più rivoltosa 
                  e la più mineraria di tutta la nazione3, 
                  in questi anni Tupiza era sinonimo di miniera sì, ma 
                  non fu mai un accampamento minerario come Potosí o Oruro, 
                  che fecero la storia del paese e ingoiarono nelle viscere delle 
                  loro montagne decine di migliaia di uomini. Un paese di cavatori, 
                  la Bolivia, che tra il 1943 e il 1946 visse la prima esperienza 
                  di unione tra contadini e minatori, le classi sociali più 
                  importanti per numero, forza e densità di popolazione, 
                  le più disagiate e povere di un territorio rurale dal 
                  sottosuolo ricchissimo. Negli anni quaranta le miniere erano 
                  esaurite da un pezzo dell'argento depredato dagli spagnoli, 
                  con il quale nel cinquecento si “accesero le luci delle 
                  banche europee”. La ricchezza delle zone minerarie, descritte 
                  da Eduardo Galeano in Le vene aperte dell'America Latina, 
                  era una realtà lontana di cui rimanevano le vestigia 
                  del tempo che fu in centri poverissimi adagiati su resti di 
                  meravigliose architetture che ancor oggi ne testimoniano l'antico 
                  splendore. La terra era in mano ai latifondisti e l'estrazione 
                  mineraria riguardava ormai esclusivamente lo stagno. Tre famiglie, 
                  quelle di Simón Patiño, Victor Aramayo e Mauricio 
                  Hoschild costituivano da sole la famigerata Rosca, la 
                  morsa, questa la traduzione del termine. Loro detenevano il 
                  potere decisionale economico e politico, si spartirono lo stagno 
                  senza lasciare, di nuovo, nulla alla comunità confinata 
                  in una povertà assoluta e costretta a vedersi passare 
                  sotto il naso le ricchezze di un suolo generoso. 
                  Le esperienze sindacali e la nascita di movimenti sociali sono 
                  al centro di questi anni intensi di contrasti e avvenimenti 
                  politici, caratterizzati da dittature e governi nazionalisti, 
                  da sollevamenti sociali e dalla nascita dei partiti di opposizione. 
                  I minatori iniziarono ad organizzarsi in sindacati unitari, 
                  ispirati dalle correnti socialiste, anarchiche e del nazionalismo 
                  rivoluzionario, per combattere i baroni dello stagno 
                  e rivendicare la nazionalizzazione delle miniere. La loro lotta 
                  sarebbe culminata nella Gloriosa Rivoluzione Sociale del 1952, 
                  misconosciuta nonostante abbia apportato cambiamenti radicali 
                  in notevole anticipo rispetto alle rivoluzioni dell'America 
                  latina: il voto universale, la nazionalizzazione delle miniere 
                  e un importante progetto di Riforma Agraria per la ridistribuzione 
                  delle terre ancestrali ai primigeni e legittimi padroni. L'emblema 
                  di questo periodo di lotte sociali e di quest'epoca mineraria 
                  fu senza dubbio la Federacion Sindical de Trabajadores Mineros 
                  de Bolivia (FSTMB), una forza sociale nata nel 1942 per 
                  far fronte alle dure repressioni dell'esercito contro gli estrattori 
                  di stagno di Oruro e Potosí. Capeggiata dal 1944 da Juan 
                  Lechín, appartenente al POR, il Partido Obrero Revolucionario, 
                  fu il simbolo di un'epoca piena di proteste e rivendicazioni 
                  e referente permanente nella storia di Nuevos Horizontes 
                  e di molti suoi membri.
                 
                   
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                    Foto: 
                        Laboratorio Tecnico Invisibile  | 
                   
                 
                   “Le 
                  forme che ci fecero vibrare e sussultare” 
                  Questo è il clima che Liber Forti respirava a Tupiza. 
                  L'energia organizzativa della cittadina lo catturò insieme 
                  alla possibilità di vedere proiettato il proprio lavoro 
                  nel sociale e di volgere il proprio impegno a riscattare l'essere 
                  umano dalle sofferenze e dalle ingiustizie sociali che viveva. 
                  Il Conjunto Teatral fu fondato nel 1946. Più che 
                  un gruppo di teatro fu una confraternita definita da Liber Forti 
                  fondazione nello spirito. Lo stesso afferma: “Non 
                  sapremo mai se furono i contrasti del paesaggio, in quell'unità 
                  di percezione plastica, di colori e di linee che formano le 
                  colline e la valle, o le radici minerali e vegetali delle forme 
                  che a Tupiza ci fecero vibrare e sussultare; [...] se fu la 
                  nostra irrinunciabile sensibilità verso il dolore umano, 
                  animata dalle doloranti e vicine sofferenze e lotte dei fratelli 
                  minatori e contadini. Eravamo lontani allora dal prevedere ciò 
                  che la vita, i suoi dolori e le sue gioie ci avrebbe rivelato 
                  più tardi: avevamo costituito una fondazione nello spirito, 
                  personale e collettivo”.4 
                  Caratteristiche, queste, che vennero riversate con grande senso 
                  etico e sociale nell'immediata realtà circostante. Infatti, 
                  tutta l'attività svolta dal Conjunto fu frutto 
                  di un elevato livello di sensibilità umana, condizione 
                  necessaria dell'attore ed elemento basilare del fare teatrale 
                  che, da un punto di vista sociale, costringe l'attore-essere 
                  umano a guardarsi intorno e a non prescindere dalla realtà 
                  nella quale vive. Questa sensibilità guidò N.H. 
                  verso la strada di cooperazione e di solidarietà che 
                  tanto caratterizzò gli obiettivi del Conjunto 
                  nella realtà che lo ospitava. Per Forti, la sensibilità 
                  “non solo facilita la percezione e l'espressione dell'aspetto 
                  creativo e artistico dell'attività scenica, ma così 
                  coltivata apre l'essere umano anche alla percezione di quanto 
                  accade nell'immediata realtà circostante”.5 
                  E un artista responsabile non può prescindere dalla società 
                  in cui vive, perché è quella la realtà 
                  in cui lavora e quella è la gente a cui il suo messaggio 
                  è rivolto. Di fronte all'estrema povertà e alle 
                  condizioni di disagio che vivevano gli abitanti di Tupiza, la 
                  sensibilità giovanile e solidale di N.H. non aveva 
                  certo la pretesa di risolvere i problemi, ma voleva denunciarli 
                  e segnalarli alla società che avrebbe dovuto farci i 
                  conti in maniera critica. E questa è la grande lezione 
                  che N.H. dà a tutto il paese: l'arte intesa come una 
                  forma di vita e di lavoro attraverso cui interrogare la società, 
                  e ogni gesto, ogni intervento, ogni azione dovevano risultare 
                  benefici per la collettività tupiceña di 
                  cui il Conjunto si sentiva parte. A tal proposito Liber 
                  racconta di quando, con il ricavato di alcuni spettacoli, acquistarono 
                  scarpe per i bambini poveri e scalzi delle scuole serali. Scelte 
                  come questa non erano una novità per gli abitanti di 
                  Tupiza, che trovavano normali gli interventi di N.H. 
                  sugli argomenti più disparati riguardanti la comunità: 
                  da una discussione su un monumento alla Madre appena 
                  costruito alla collaborazione con il piccolo comune per ottenere 
                  il materiale necessario per l'illuminazione pubblica, dalla 
                  preoccupazione di dotare la cittadina di una radio trasmittente 
                  culturale, come Radio Chorloque, alla collaborazione 
                  con le scuole e con i movimenti popolari e sindacali dei minatori 
                  e dei campesinos. Spirito solidale e sensibilità, 
                  insieme ai sentimenti di giustizia e di libertà che si 
                  coniugano tanto bene con il movimento artistico e culturale, 
                  fecero emergere nel gruppo un senso etico di responsabilità 
                  collettiva consolidatosi nel cammino della realizzazione personale 
                  di ogni membro, ma sempre nell'azione comune verso gli altri, 
                  offrendo così una sensazione feconda di interazione sociale. 
                   
                    Una 
                  fratellanza che commuove
                  I primi dieci anni dell'attività di N.H., dal 
                  1946 al 1956, si svolsero interamente nell'area tupiceña: 
                  grande fu il rapporto di collaborazione con la cittadina, ospitale 
                  con i componenti del Conjunto e con tutti gli artisti 
                  che convogliarono, per periodi più o meno lunghi, nella 
                  grande casa comunitaria di N.H. Questo clima umano di cordialità 
                  e simpatia caratterizzò Tupiza per la presenza di molti 
                  artisti boliviani e stranieri. Attori di teatro, attori con 
                  marionette, pittori, musicisti, scrittori, professori universitari, 
                  poeti e quant'altro garantirono un permanente apporto in ognuna 
                  di queste espressioni artistiche e arricchirono l'esperienza 
                  del Conjunto e la vita culturale cittadina. 
                  Ma in un paese in cui la fame e la sopravvivenza di chi lo abita 
                  sono problemi all'ordine del giorno, è difficile pensare 
                  di ottenere finanziamenti statali per le attività culturali. 
                  Non poter usufruire di sovvenzioni e soldi pubblici, però, 
                  non fermò in nessun modo i propositi del gruppo e il 
                  Conjunto lavorò senza mai compromettere né 
                  la propria libertà espressiva, né la qualità 
                  del suo teatro. Il bisogno d'indipendenza economica, in nome 
                  di una totale autonomia del lavoro, sviluppò forme di 
                  autofinanziamento, autogestione e autoproduzione legate al laboratorio 
                  di fotografia e alla tipografia-libreria Renacimiento. 
                  Ma Forti insiste molto sull'importanza che ebbe, soprattutto 
                  per i primi tempi, “la solidarietà umana di tutti 
                  coloro che credettero nella qualità della sua proposta 
                  e che permisero effettivamente di cominciare a lavorare”. 
                  Si riferisce a una rete informativa e di sostegno economico 
                  che si costituì intorno alla loro attività, mostrando 
                  fin da subito stupore e interesse per tutte quelle energie che 
                  arrivavano da un piccolissimo centro di una provincia boliviana. 
                  Una fratellanza umana che si sviluppò intorno al Conjunto 
                  e che, ancor oggi, commuove Liber quando mi racconta che proprio 
                  un prestito permise l'acquisto della impresora muy rudimental, 
                  fondamentale per la loro esistenza e determinante per la diffusione 
                  della storia di Nuevos Horizontes. Le pubblicazioni giocarono 
                  un ruolo importantissimo contribuendo, fin dai primi numeri, 
                  ad estendere quel circuito umano e solidale che, giorno dopo 
                  giorno, si tesseva sempre più ampio con sottoscrizioni 
                  da realtà teatrali nazionali, ma anche peruviane, argentine, 
                  cilene, venezuelane. I Cuadernillos Inquietud, il Boletín 
                  Informativo e la rivista Teatro divulgarono il lavoro 
                  di N.H., dentro e fuori la Bolivia, uniche nel loro genere 
                  erano delle vere e proprie finestre aperte sul mondo: “[...] 
                  furono i primi e quasi unici mezzi di arte scenica nel paese.”6 
                  Coniugando ancora etica e cultura, informavano su temi sociali 
                  oltre che sulle esperienze di teatro europeo e internazionale. 
                  I Cuadernillos, editi fin dal 1956, trattavano diversi 
                  ambiti culturali, dalla poesia al teatro, dalla letteratura 
                  alla sociologia, ma anche temi d'importanza sociale 'necessari' 
                  come il sesso e la medicina sessuale, con lo scopo di informare 
                  i giovani su tutto quello che avrebbero dovuto conoscere. 
                  Avevano una tiratura che variava dalle 3000 alle 4000 copie 
                  e Liber Forti li considera una specie di allenamento 
                  alle pubblicazioni successive. Il Boletín, invece, 
                  era un mensile di quattro o sei pagine, venduto a prezzo simbolico, 
                  le cui sezioni comprendevano: Editoriale, Notizie di N.H., 
                  Teatro nel mondo, L'autore e la sua opera, Appuntamenti e riflessione 
                  sulla condizione umana, Nuovi libri, Vedremo un giorno o l'altro 
                  (dedicato al cinema), Notizie culturali, Recensioni di altre 
                  pubblicazioni, Lettere, Teatro in Bolivia e Commenti sul lavoro 
                  svolto. Furono pubblicati cinquanta numeri dal 1956 al 1961. 
                  La Rivista, infine, s'interessava prettamente di teatro 
                  e pubblicò, in ogni suo numero, il testo integrale di 
                  un'opera teatrale contemporanea, oltre a materiale pedagogico 
                  sulla formazione dell'attore e uno zoom sulla figura del regista, 
                  dando a conoscere saggi firmati da G. Graig, R. Boleslavski, 
                  S. Kano, Ionesco e altri, importanti per il loro carattere orientativo 
                  e didattico. Inoltre, informava sul teatro contemporaneo e di 
                  avanguardia di quegli anni, con articoli firmati da Barraúlt, 
                  V. Gassman, A. Miller, Drenard, Bryer, Genet. Un merito che, 
                  dal punto di vista drammaturgico, incise sulla realtà 
                  nazionale proponendo infinite opere di autori allora sconosciuti. 
                  Tredici numeri, dalle settanta alle ottanta pagine. L'ultimo 
                  uscì nel 1965. 
                  Da un punto di vista strettamente teatrale, invece, Nuevos 
                  Horizontes segnò così tanto la scena da rivoluzionare 
                  l'estetica del fare teatrale conosciuto in Bolivia. Propose 
                  una nuova messa in scena, sperimentò nuove tecniche e 
                  nuovi ricorsi e si trasformò ben presto in avanguardia. 
                  In questo modo ruppe lo schema del teatro costumbrista sociale 
                  dell'unico drammaturgo nazionale, Raúl Salmón, 
                  un teatro manicheo e di costume, di denuncia e non di forma, 
                  populista e semplice. César Brie, regista del gruppo 
                  boliviano Teatro de los Andes ai tempi della mia intervista 
                  a Liber, afferma:“[...] Tutte le innovazioni tecniche 
                  introdotte da Stanislavskij in poi, vennero introdotte qui da 
                  Nuevos Horizontes. Dal punto di vista estetico il loro lavoro 
                  è stato quello di rinnovare la scena alla luce dei grandi 
                  eventi degli anni cinquanta. Introducono la camera nera, la 
                  triangolazione, i princìpi appena conosciuti di Stanislavskij 
                  e la tecnica attorale, studiando come far stare l'attore in 
                  scena. Con N.H. si comincia a vedere quello che si fa fuori 
                  dalla Bolivia ed il Conjunto irrompe nel panorama teatrale nazionale 
                  suscitando anche enormi critiche: lo stesso Raúl Salmón, 
                  che in questi anni rappresentava con enorme successo le sue 
                  opere, interruppe una loro rappresentazione per chiedere spiegazioni 
                  su quell'estetica e su quello stile. Questa è la loro 
                  modernità e per la prima volta la Bolivia comincia ad 
                  avere, al suo interno, un teatro quasi all'avanguardia anche 
                  per l'America Latina.”7 
                  Un'avanguardia che viene riconosciuta a livello nazionale e 
                  che segna l'inizio di un vero e proprio movimento teatrale: 
                  “Tutto il periodo dell'attività di Liber Forti 
                  è senza dubbio di grande importanza. La sua esperienza 
                  stimolò gli anni sessanta, anni che videro il sorgere 
                  dei teatri Universitari. Con questa fase si aprì l'inizio 
                  di un movimento [...] che rappresentò il secondo momento 
                  importante del teatro boliviano.”8 
                   
                    Nos 
                  vamos  de Turpiza 
                  Negli anni che andarono dal 1956 al 1960, così motivati 
                  e lontani da ogni fine di lucro, i componenti di N.H. portarono 
                  il loro teatro ovunque – tra i più poveri, tra 
                  i contadini dimenticati nella miseria e i minatori che venivano 
                  divorati dalle miniere – contando sull'appoggio dei sindacati 
                  sia per l'ospitalità sia per la pubblicità incaricata 
                  di comunicare il loro arrivo: “Forti ed i suoi compagni 
                  percorsero in cinque anni circa diecimila chilometri, rappresentando 
                  i loro spettacoli nei teatri, nei cortili, nei campi di calcio 
                  dei villaggi, nelle piccole piazze, nei vicoli, nelle sedi sindacali, 
                  nelle scuole, nelle chiese. Difatti, tra il 1956 e il 1960 fecero 
                  otto tournée sotto il sole, la pioggia e la neve.”9 
                  Ma il 1961 si sarebbe rivelato un anno fatale. Dopo ben quindici 
                  anni di attività, il Conjunto dovette far fronte 
                  ad una vera e propria diaspora che si levò dagli abitanti 
                  della tanto ospitale Tupiza. Se è vero che “la 
                  vetta di N.H. si dette grazie alla comunione fraterna che il 
                  Conjunto ottenne con il pubblico formato da minatori, da casalinghe 
                  degli accampamenti e dai loro figli”, è vero anche 
                  che il premeditato regime di convivenza comunitaria tra i membri 
                  del Conjunto, le persone che in un modo o nell'altro partecipavano 
                  alle attività che si organizzavano e amici e simpatizzanti 
                  che lì confluivano, determinò una certa insofferenza 
                  tra gli abitanti. Lo scontento crebbe, loro divennero ostili 
                  alla casa 'promiscua' di N.H. e i membri del Conjunto 
                  decisero di abbandonare la cittadina. Lucido e commovente il 
                  saluto di Liber nell'editoriale dell'undici giugno 1961 intitolato 
                  Nos vamos de Tupiza, dove si legge: “Nostro fu 
                  l'impegno attraverso un duro lavoro, con fede e trasparenza 
                  [...] per ottenere nobiltà e amore in queste relazioni. 
                  Loro fu l'asprezza e l'indifferenza...”10 
                  Molti dei membri si dispersero, alcuni lasciarono la Bolivia, 
                  altri coltivarono sempre il sogno del teatro e, più in 
                  generale, dell'arte come mezzo di educazione, convinti che Nuevos 
                  Horizontes non fu “solo una scuola di teatro, ma una 
                  proposta di vita”. 
                  Questo aspetto è sempre stato vivo nello spirito dell'anziano 
                  Liber Forti. La sua preoccupazione per la condizione del teatro 
                  boliviano lo ha portato alla stesura di un 'Corso di formazione 
                  per direttori e registi teatrali' che, al momento del mio 
                  colloquio con lui, non aveva ancora trovato un editore. La sua 
                  casa raccoglie una vastissima biblioteca pubblicamente consultabile 
                  e nella città di Cochabamba c'è la Fundación 
                  N.H., una struttura che cerca finanziamenti per la realizzazione 
                  di opere teatrali. La presenza di questo folletto del tempo 
                  ai dibattiti che interessano il teatro è ancora molto 
                  forte, collabora attivamente a manifestazioni ed incontri culturali, 
                  viaggiando da una città all'altra senza apparentemente 
                  il peso dei suoi anni e alla luce della sua lunga esperienza. 
                  E se è vero che nel 1961 Liber scrisse con lucido dolore 
                  Nos Vamos de Tupiza, oggi, a 93 anni, torna con oneri 
                  e clamore. I teatranti boliviani, riconoscendo in lui un maestro 
                  d'arte e di vita, hanno portato quest'anno a Tupiza la Primera 
                  Edición del Festival Nacionl de Teatro Liber Forti, 
                  tenutosi dall'11 al 20 gennaio, che Liber ha personalmente inaugurato, 
                  mentre i tupiceños e l'amministrazione locale, 
                  a distanza di anni e alla luce di un'eredità indissolubile 
                  che ha scritto la storia della cittadina e del teatro in Bolivia, 
                  gli restituiscono la casa che da sempre era stata del Conjunto 
                  perché diventi la sede della Fundación Nuevos 
                  Horizontes. Così, un sogno d'inizio secolo salta 
                  lo sbarramento dello spazio e del tempo, diventa realtà 
                  attuale, cancella la parola “impossibile” dal suo 
                  percorso culturale e umano. 
                  Ulteriore risultato della tenacia e della cocciutaggine di uomini 
                  impegnati come Liber e Eduardo Kilibarda, altro membro del Conjunto, 
                  è Nuevos Horizontes de Iniciación en la Educación 
                  por el Arte, un corso di formazione per talenti giovani 
                  e adulti dei settori popolari, perché l'arte continui 
                  a insinuarsi nelle pieghe delle vita, regalando aneliti di gioia 
                  e di dolore, tenendo gli occhi bene aperti su una società 
                  a cui denunciare, ogni volta, le proprie mancanze e le proprie 
                  ingiustizie. 
                  A Liber il nostro conjunto abrazo fraternal. 
                   
                  Federica Rigliani 
                
 Note 
                 
                  - Liber Forti, per non venir meno alle sue convinzioni politiche 
                    e ideologiche, mi ha chiesto di non registrare la sua testimonianza, 
                    pertanto non possiedo un'intervista trascritta del nostro 
                    colloquio. Mi affido ad alcuni appunti scritti velocemente 
                    durante la nostra conversazione, alla mia memoria, alla mia 
                    capacità di sintetizzare il fiume di parole che Forti, 
                    con la sua grandissima energia, non riusciva a frenare, e 
                    al materiale d'archivio inedito di proprietà dell'autore 
                    che me lo ha gentilmente concesso.
                    
 - Intervista a Lupe Cajías, Yotala, Sucre, 
                    marzo 1997. L'esperienza di Liber Forti è raccontata 
                    anche in Lupe Cajías: Los caminos de nuevos horizontes. 
                    60 anos de una apuesta cultural. Editorial Gente Común, 
                    2007 - 249 pp.
                    
 - Intervista a Lupe Cajías, Cit.
                    
 - Liber Forti, Apuntes para una semblanza panoramica 
                    del acontecer vivido en las actividades realizadas por el 
                    Conjunto N.H., archivio Liber Forti, pag. 1.
                    
 - Liber Forti, Apuntes... Cit. pag. 5.
                    
                  
 - L. Cajías, Los caminos de nuevos Horizontes, 
                    'El tonto del Pueblo, Revista de artes escenicas' N.1 /Marzo 
                    1996, pag. 48. 
                  
 - Intervista a César Brie. Sucre, maggio 
                    1997.
                    
 - Intervista a Maritza Wilde, La Paz, giugno 1997. 
                    Attrice, regista e drammaturga, dirigeva la sezione di teatro 
                    del Festival Internazionale della Cultura di Sucre 
                    e ha inaugurato nel 1997, insieme a René Hojestein, 
                    la prima edizione del Festival Internacional de Teatro 
                    di Santa Cruz. Nel 1999 ha diretto il Festival Teatral 
                    di La Paz.
                    
                  
 - Luis Ramiro Beltrán S., Por más de medio 
                    Siglo Teatro por la Hermandad, in 'El Diario', La Paz, 
                    11 maggio 1997. 
                  
 - ***, Nos vamos de Tupiza... Editorial de 'Teatro', 
                    Publicación del Conjunto teatral “Nuevos Horizontes”, 
                    N° 11 giugno 1961, Taller Grafico Renascimiento, Tupiza. 
                
  
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