società 
                  
                Potere e corruzione 
                  
                interventi di Andrea Papi e 
                  di Angelo Tirrito 
                    Il legame indissolubile tra i due termini non può essere celato dalle tante chiacchiere che si fanno in proposito. In queste pagine le opinioni di due collaboratori di “A”, residenti in due località geograficamente distanti e soprattutto connotate da una diversa immagine in proposito: Angelo Tirrito dalla “controversa” Palermo, Andrea Papi dalla “esemplare” Forlì. Eppure... 
                 
                 
                I cittadini e la politica 
                  di Angelo Tirrito 
                  
                  Mentre scrivo si stanno avvicinando 
                  le elezioni siciliane di fine ottobre. 
                  A prescindere dai problemi nascenti dalla “crisi”, 
                  tutti risolti facendoli pagare ai lavoratori, (agenda Monti) 
                  vorrei puntare la mia analisi su alcuni aspetti che, nello pseudo 
                  dibattito in corso, le forze politiche indicano come quelli 
                  che meritano le maggiori attenzioni dei cittadini. 
                  Vorrei mettere al primo posto una cosa che viene contrabbandata 
                  come di assoluta necessità e cioè la maggioranza 
                  che permetta, soprattutto a Monti, la governabilità senza 
                  se e senza ma. Mi sono chiesto come fosse possibile che su una 
                  banalità democratica di questo genere si sciupasse tanta 
                  carta e tanto cervello. A che serve ad un tecnico come Monti 
                  o ad un altro suo simile, una maggioranza politica propria e 
                  determinata? I tecnici non hanno forse finora fatto tutto quello 
                  che volevano? Non hanno già stabilito, messo pure in 
                  costituzione, cosa fare in futuro (pareggio di bilancio fermo 
                  restando il pagamento del debito sovrano)? Cosa altro immaginano 
                  di dover fare senza dircelo in anticipo e per cui è indispensabile 
                  contare, al momento opportuno, su una propria cosiddetta maggioranza, 
                  e aggiungo io, una cosiddetta opposizione costituzionale? 
                  È bastato che mi ponessi la domanda per capire. E sono 
                  stato pervaso da un senso di totale disgusto. Devono essere 
                  pronti alla repressione dei moti sociali. E siccome sarà 
                  inevitabilmente una repressione violenta non potranno consentire 
                  incerte discussioni parlamentari. Tutto sarà realizzato 
                  con voti o unanimi o di fiducia. Non facciamoci illusioni. I 
                  tecnici sanno benissimo che le manifestazioni non possono che 
                  diventare violente. Perché quando i cittadini sono ridotti 
                  senza prospettive di futuro, alcuna speranza di cambiare le 
                  cose, non possono essere altro che violenti e se anche non lo 
                  fossero ci sarà sempre chi innescherà la violenza 
                  giustificante la repressione. 
                  La sinistra che a Marx, Engels ecc. ha fatto riferimento doveva 
                  almeno tenere conto del fatto che il capitalismo non poteva 
                  che portarci alla crisi attuale dalla quale non si esce se non 
                  si è preparata una società diversa. Non so se 
                  per viltà, corruzione o stupidaggine la sinistra istituzionale 
                  si sia, invece, affidata alla mistica del mercato e della concorrenza 
                  per la quale si ha il dovere sociale di essere ricco sottintendendo 
                  che ove non lo fossi sei un cretino immeritevole. 
                  Ma si diventa ricchi solo se si ruba. Quando il capitale non 
                  ha più potuto, come sembra non possa più, impunemente 
                  rubare al pianeta dando piccole mance al lavoro, esso, il capitale 
                  non può che tornare a rubare interamente al lavoro. E, 
                  bisogna stare attenti, non è che si vogliano rubare i 
                  soldi dei lavoratori. Dei soldi non sanno che farsene. Li hanno 
                  già tutti loro. Non sono i soldi ma i diritti la ricchezza 
                  dei lavoratori. Si devono rubare i diritti. Il diritto a mantenersi 
                  in vita senza un padrone, il diritto alla salute, il diritto 
                  alla famiglia, il diritto al diritto. Attenzione, non vorrei 
                  equivoci, non intendo il diritto alla legalità, alla 
                  legge – quello non è diritto ma obbligo – 
                  ; intendo il diritto al proprio diritto che è 
                  collettivo e individuale.
                 
                   Lo 
                  “spettro” dell'astensione 
                  Ma altri aspetti sono portati in ballo: l'astensione e la 
                  corruzione. 
                  La prima riguarda il valore reale – non legale – 
                  di una cosiddetta vittoria elettorale, di una parte qualunque. 
                  L'allarme sull'astensione è una finzione. Chi ha più 
                  voti vince a prescindere di quanti siano gli astenuti. Ne consegue 
                  che avere meno elettori, fermo il numero degli eletti, è 
                  per costoro, una pacchia perché più insoddisfatti 
                  della politica saranno i cittadini, meno saranno coloro che 
                  andranno a votare e più facile sarà condizionarli, 
                  corromperli, impossessarsene attraverso le caste, i giornali, 
                  i media ecc. 
                  Attenzione, non sto affatto perorando l'andare a votare. Sostengo 
                  che nessuno può affermare “di avere vinto” 
                  se non tiene conto di coloro che non votano, non solo perché 
                  malati o impediti, ma perché, con motivazione ideologica 
                  o solo politica, non sentono di avere alcuna fiducia né 
                  nei programmi dei partiti né negli uomini che questi 
                  partiti esprimono. 
                  Con questo non voglio dire che chi prende la maggioranza dei 
                  voti espressi non debba governare. Purtroppo, in una società 
                  come è stata la nostra, è insito nell'astensione 
                  l'accettazione, fino ad un certo punto, di un governo di coloro 
                  che hanno avuto più voti nonché la disponibilità 
                  di subire, sempre fino ad un certo punto, tasse, leggi, regolamenti 
                  alla formulazione dei quali non si è voluto partecipare. 
                  Vorrei chiarire che questa “disponibilità” 
                  di chi rifiuta il meccanismo elettorale non è affatto 
                  dovuta ad una soggezione mistica nei confronti dell'organizzazione 
                  statale ma, credo, nasca dal rispetto verso coloro che, in buona 
                  fede, ritengono possibile che il loro voto porti ad un presente 
                  e ad un futuro degno di essere vissuto e condiviso. E in questa 
                  situazione è assurdo, secondo me, che non si tenga conto 
                  dell'astensione almeno riducendo gli eletti proporzionalmente 
                  agli elettori. Se per 50 milioni di elettori sono previsti necessari 
                  1.000 deputati, quando a votare siano 20 milioni gli eletti 
                  dovrebbero ridursi proporzionalmente a 400. Su questo il corpo 
                  elettorale dovrebbe pretendere voce in capitolo. Invece niente. 
                  Si parla di riduzione degli eletti solo per risparmiare. 
                  Personalmente sono inorridito dalla logica del risparmio attraverso 
                  una riduzione, per esempio del 30 per cento dei parlamentari, 
                  dei deputati regionali, dei consiglieri comunali ecc. Lo considero 
                  un subdolo precedente per legittimare ogni licenziamento come, 
                  d'altronde, si è già fatto. Ma da quando per l'efficienza 
                  di una qualunque istituzione, lavoro, progetto la regola razionale 
                  è quella che afferma, a priori, che basta ridurre la 
                  quantità degli uomini da impiegare, ridurre il loro salario 
                  o aumentarne le ore di lavoro? 
                   
                    “Vietato 
                  calpestare le aiuole”
                  La seconda osservazione, a mio parere, ha conseguenze politiche 
                  e sociali ancora peggiori. Mi riferisco alla tanto desiderata 
                  o combattuta legge anticorruzione. Che bisogno può mai 
                  esserci di una tale legge? Chi ha veramente bisogno di questa 
                  legge? Si dice che senza di essa non si possa ridare fiducia 
                  alla politica. Ma siamo pazzi? I cittadini non hanno fiducia 
                  nella politica ed è la politica che decide perché 
                  non c'è questa fiducia e decide di fare una legge per 
                  riottenerla? 
                  Cosa sia la corruzione, dove si annidi, come si sviluppi, tutti 
                  lo sanno benissimo. I cittadini sanno perfettamente che se non 
                  trovano la possibilità di farsi una TAC ciò è 
                  dovuto alla corruzione. Se ogni cosa costa dieci volte quanto 
                  dovrebbe costare ciò è dovuto alla corruzione, 
                  trovare o meno un posto di lavoro ha alla base la corruzione 
                  ecc. 
                  Rendere uguali e possibili per tutti le più semplici 
                  cose di ogni giorno come lavorare, unirsi con un altro essere 
                  umano di pari o diverso sesso di fronte alla chiesa, al municipio 
                  o a se stessi, fare figli, vederli crescere, decidere se e come 
                  vivere e morire, è questo che dà fiducia verso 
                  chi ha affidate responsabilità politiche, non fare l'ennesima 
                  legge. 
                  “Vietato calpestare le aiuole” è testimonianza, 
                  probabilmente giustificata dai fatti, della scarsissima educazione 
                  civile di coloro che passano da quelle parti, ma scrivere su 
                  ogni luogo istituzionale “è vietato rubare” 
                  di cosa è testimonianza? 
                  È possibile che restino solo gli anarchici a ricordare 
                  a tutte le eminenti personalità di questo paese che numerose 
                  leggi che hanno fatto non sono servite a niente? La legge anticorruzione 
                  serve ai corruttori, ai corrotti e ai corruttibili non per punirli 
                  o prevenirli, ma per consentire loro di potere dire: non sono 
                  corrotto o corruttore sino al terzo grado di giudizio! A chi 
                  serve che la corruzione sia solo quella prevista dalla legge? 
                  Io e quelli come me, che addirittura considerano un fatto altamente 
                  corruttivo, soprattutto verso i bambini e i vecchi, la minaccia 
                  o la promessa di un paradiso o di un inferno da qualunque religione 
                  gestiti, in che posizione possono essere nei confronti di questa 
                  tanto invocata legge? 
                  Dove c'è potere c'è corruzione. Non bisogna permettere, 
                  supinamente, che si confonda la causa con l' effetto.
                    
                  Angelo Tirrito
                  
                   
                   
                   
                  Oltre ogni sconcerto 
                  di Andrea Papi
                  
                
  
                  “Non siamo tutti uguali!” Di questi tempi va di 
                  moda rimarcarlo da parte dei professionisti politicanti del 
                  fu “bel paese”, per sottolineare, con un'inflessione 
                  che facilmente tradisce ansia, che non tutti i politici rubano. 
                  È perfettamente comprensibile che chi non è ancora 
                  stato beccato con le mani nel sacco tenti di prendere le distanze. 
                  Da mesi ormai è cronaca quotidiana l'emergere di scandali, 
                  più o meno grandi, che mettono a nudo i vizi del potere 
                  politico che, ahimé, per legge ha in mano le sorti dei 
                  cittadini. Ciò che si evince dall'uso che molti di questi 
                  signori fanno del denaro pubblico, tra furti, ruberie, corruzioni, 
                  infiltrazioni di mafie, camorre e 'ndrangheta, intercalati da 
                  coloriti scialacquamenti molto “allegri e spensierati”, 
                  è ormai oltre ogni sconcerto, per sguazzare, senza più 
                  alcun freno etico, nel fango metaforico di liquami stramefitici. 
                  È perfettamente giustificabile che la propaganda di potere 
                  metta in evidenza che esistono ancora tanti amministratori onesti 
                  e affidabili, come pure che implori di non scadere nel “qualunquismo”, 
                  come essi lo chiamano, facendo di tutta l'erba un fascio. Su 
                  un piano meramente teorico non si può non concordare. 
                  Sarebbe un insulto all'intelligenza, infatti, anche solo supporre 
                  che ogni amministratore invischiato nella politica ufficiale 
                  in quanto tale debba necessariamente essere ladro e truffatore. 
                  Del resto pensarlo è deviante. Oltre a non corrispondere 
                  al vero, non cambia nulla dello schifo cui stiamo assistendo 
                  e non aiuta a comprendere né il senso né l'entità 
                  del fenomeno. 
                  Se è verissimo infatti che non sono tutti uguali, è 
                  però altrettanto vero che è uguale il contesto 
                  d'azione degli uni e degli altri, dove avviene con sistematica 
                  tempestività un così abbondante e criminale uso 
                  del denaro pubblico. Il fatto che vi partecipi solo una parte 
                  e che non tutti ne siano direttamente invischiati e responsabili, 
                  non incide minimamente su quell'orribile accadere, antiumanista 
                  e antisociale. Si rivelano ogni giorno di più come 
                  l'avanguardia di schiere infinite, gli emuli a ogni livello 
                  di chi si è scritto leggi ad personam e ha volutamente 
                  coltivato conflitti d'interessi... Si è costruita una 
                  “legalità parallela” per legittimare il malaffare. 
                  (Stefano Rodotà, La Repubblica, martedì 
                  16 ottobre) 
                  Il problema vero è che la “casa della politica 
                  ufficiale e istituzionale” è corrotta e corruttrice. 
                  Proprio per come è fatta e concepita si offre, con una 
                  dovizia travalicante, alle possibilità degli squallidi 
                  e torbidi maneggi dei più furbi, più spregiudicati, 
                  più avidi e più egoisti. 
                   
                    “Lo 
                  stato siamo noi”
                
  Per la filosofia di cui è impregnato è lo stesso 
                  sistema di potere imperante a favorire, per certi versi a promuovere, 
                  l'avvilente spettacolo, degradante e degradato, cui assistiamo 
                  quotidianamente. Là nel mezzo chi accetta di rimanere 
                  onesto e non ne viene intaccato personalmente resta ai margini, 
                  mentre il magma putrescente, divenuto ormai sostanza istituzionale, 
                  continua a fluire incontrastato, tranquillo e indifferente di 
                  fronte a chi non vuol partecipare al laido banchetto. 
                  In definitiva tutto ciò è avvenuto e può 
                  avvenire perché non è mai stato vero che “lo 
                  stato siamo noi”, come invece recita una dozzinale diffusa 
                  retorica populisteggiante. Se fossimo noi lo stato, inteso come 
                  insieme di tutte le istituzioni, come conseguenza in qualche 
                  modo ne avremmo un minimo di controllo. Il fatto che i suoi 
                  funzionari e i suoi gestori possano agire tranquillamente e 
                  in buona parte in modo occulto, evidenzia che al contrario è 
                  un corpo staccato, del tutto autonomo rispetto all'insieme della 
                  società che dovrebbe rappresentare, affermando in modo 
                  ipocrita che deve agire per tutelarne gli interessi e per proteggerla. 
                  Lo spettacolo degradante della corruzione e dell'inganno istituzionali 
                  non può che essere ovvio e conseguente, dal momento che 
                  è più che abissale la distanza tra i “cittadini 
                  comuni”, come veniamo definiti, e le istituzioni dello 
                  stato, compresi i partiti che secondo la loro teoria autoreferenziale 
                  dovrebbero rappresentarci. Non può che essere conseguente 
                  già solo per la semplice constatazione che le leggi in 
                  vigore, fatte ovviamente da lor signori, prevedono che qualsiasi 
                  decisione e qualsiasi intervento debba essere espletato, necessariamente 
                  e perentoriamente, da corpi addetti separati, che nell'esercizio 
                  delle loro funzioni hanno un potere completamente discrezionale 
                  e impenetrabile. Dove sono la tanto decantata partecipazione 
                  dei cittadini e il continuamente sbandierato controllo dal basso 
                  che dovrebbe distinguere la democrazia? 
                  Chiediamoci perché è così facile, così 
                  smaccatamente sistematico, il diffondersi della corruzione e 
                  delle infiltrazioni malavitose nei gangli del potere e delle 
                  istituzioni statali. La risposta è semplice. Solo i politicanti 
                  incaricati possono muoversi con agilità e competenza 
                  in quell'ambito, mentre è praticamente inaccessibile 
                  per i “normali” cittadini, cui è impedito 
                  di accedervi e di poterne usufruire per le loro bisogna. Eppure 
                  questo accesso e questa fruizione, negate di fatto a chi non 
                  fa parte della criminale eletta schiera, sono la ragione ufficiale 
                  per cui le istituzioni esistono e sono così abbondantemente 
                  sovvenzionate. 
                  È importante sottolineare che non è una caratteristica 
                  peculiare nostrana, anche se invero in Italia raggiunge livelli 
                  parossistici. Ovunque ci siano grosse circolazioni di denaro 
                  e poteri forti esiste anche un giro sistematico e incontrollabile 
                  di superpoteri occulti che, in modo non ufficiale ovviamente, 
                  converge e collima coi poteri ufficiali. Praticamente in ogni 
                  parte del mondo, dalla Cina all'Uganda fino agli stessi Usa, 
                  imperano stati e finanziamenti statali. 
                  Una situazione strettamente collegata al prelievo delle tasse, 
                  vero e proprio sistema di gabelle balzelli e tributi, che altro 
                  non è che un'autentica estorsione fiscale. I poteri centrali 
                  decidono, secondo i loro calcoli, quanto ogni cittadino deve 
                  depositare nelle casse dello stato. Ai lavoratori dipendenti 
                  vengono prelevati direttamente alla fonte, sottraendoli alla 
                  busta paga. Un prelievo giustificato per legge dalla motivazione 
                  che ogni componente della società deve contribuire, in 
                  base alle sue possibilità, alle spese e agli investimenti 
                  che riguardano tutti. Ma una volta incamerati questi soldi, 
                  ognuno è poi totalmente escluso dalla decisione di come 
                  verrà spesa la somma accumulata. Il cittadino è 
                  solo obbligato a devolvere la cifra che i detrattori stabiliscono 
                  per lui, per poi esser totalmente escluso dall'impiego che ne 
                  verrà fatto, formalmente in suo nome, indipendentemente 
                  che venga dilapidata, scialacquata oppure usata per qualcosa 
                  di utile. Noi dobbiamo solo pagare, il resto non ci riguarda, 
                  se non nel senso che i suoi effetti deleteri ci ritornano, in 
                  genere indebitandoci. Non riesco a non definire estorsione un 
                  tale meccanismo e moralmente non vedo grosse differenze con 
                  le pratiche mafiose, se non il fatto che le mafie agiscono illegalmente, 
                  mentre lo stato è protetto dalle leggi che lui stesso 
                  si fa. 
                   
                    La schiavitù 
                  e le tasse
                  Interessante il punto di vista di Barnard, per cui in realtà 
                  le tasse non servono per spendere. Se uno stato è sovrano 
                  è lui stesso ad emettere moneta, per cui teoricamente 
                  non ne ha bisogno. L'erogazione di tasse serve al potere costituito 
                  per imporre la propria presenza, per far sapere che esiste. 
                  Così lo stato s'indebita per poi far pagare le tasse 
                  e costringere in una morsa imprigionante i cittadini. Che lo 
                  si voglia o no è la forma contemporanea della schiavizzazione, 
                  mentre il debito, che come ha ben dimostrato Graeber è 
                  sorto strettamente connesso col sorgere della schiavitù, 
                  è oggi il metodo globale per tenere assoggettati i popoli, 
                  praticamente l'attuale arma di distruzione di massa, la cui 
                  estetica non è più quella delle genti con le carni 
                  dilaniate dalle bombe, ma delle popolazioni disintegrate dalla 
                  fame e dalla miseria. 
                  Così ci troviamo sottomessi a un'oligarchia dai contorni 
                  sfuggenti e poco definibili, che si muove con gran disinvoltura 
                  e grande spregiudicatezza, spaziando tra pratiche politiche, 
                  interventi amministrativi, alta finanza e malavita organizzata. 
                  La corruzione, la compravendita sia legale che illegale, la 
                  mercificazione di qualsiasi cosa e la speculazione al di sopra 
                  di ogni etica sono i mezzi correnti per il suo instancabile 
                  terreno d'azione, che macina cose, persone, popolazioni intere. 
                  Non è difficile intuire che la corruzione, le ruberie 
                  e l'uso a fini privatistici del denaro pubblico sono endemici 
                  al modo stesso di essere delle istituzioni, alle modalità 
                  organizzative e applicative con cui sono strutturate. Il fatto 
                  che si ripropongano, in modi sempre più sofisticati e 
                  occultati, là dove le logiche e le pratiche gerarchiche 
                  e d'élite sono egemoni, sono sia un sintomo sia un segnale 
                  inequivocabili della loro costanza ineliminabile in ogni autoritaria 
                  presenza statale. 
                  Del resto è la stessa concezione vigente dell'agire istituzionale 
                  ad essere foriera di interventi al di là della legalità 
                  che favoriscono degenerazioni e infiltrazioni in stile mafioso. 
                  Lo si vede con chiarezza quando vengono elargiti “aiuti”, 
                  si fa per dire, ai più deboli. Una condizione diffusa 
                  che si rende evidente fin nelle minuzie, come pensioni d'invalidità 
                  o elargizioni e vitalizi di sostentamento per chi soffre di 
                  problemi insuperabili e menomazioni che non permettono di essere 
                  autosufficienti. In questi casi l'avarizia degli elargitori 
                  di stato è proverbiale: non fornisce mai nemmeno il minimo 
                  necessario per l'indispensabile sopravvivenza. Al contrario 
                  di come invece tratta i propri funzionari e dirigenti, cioè 
                  la schiera (o casta com'è in voga chiamarla di questi 
                  tempi) di coloro che sono al servizio del mantenimento di questo 
                  sistema di cose. Guardate come hanno potuto trattarsi con imperiale 
                  opulenza i vari Fiorito, Belsito, i manager d'alto grado, i 
                  partiti, sia quelli vigenti sia quelli estinti, ecc. Come può 
                  tutto ciò non esser visto come questione di malaffare 
                  endemica e diffusa? 
                  La stessa logica, ampliata a livello esponenziale, la ritroviamo 
                  nelle questioni che spaziano oltre i ristretti meandri degli 
                  squallori di casa nostra. Ci vuole un certo coraggio a chiamarli 
                  aiuti. I fondi elargiti a paesi europei in difficoltà 
                  come Irlanda, Grecia e Portogallo, un domani Spagna e poi, forse, 
                  Italia, sono infatti supergravati da interessi tutt'altro che 
                  simbolici, concessi in cambio di giri di torchio sulle rispettive 
                  popolazioni. Più che aiuti, nel senso che siamo abituati 
                  ad attribuire a questo concetto, ricordano la mannaia dei boia 
                  addetti agli spettacoli del supplizio contro coloro che avevano 
                  trasgredito o offeso le leggi dell'aristocrazia. 
                  Ovunque la scusa del risanamento dei conti pubblici, spesso 
                  dissestati a causa dei soldi spesi per salvare le banche, è 
                  stata utilizzata dai poteri cosiddetti forti per dare avvio 
                  a un'azione sistematica di smantellamento dello stato sociale, 
                  mortificando in primis i redditi da lavoro dipendente. Un approccio 
                  che, oltre a non aver sinora sortito nessun risultato positivo 
                  per l'economia, appare ancora più ingiustificato se confrontato 
                  con il trattamento riservato alle banche, alle quali la Banca 
                  centrale europea e l'Unione europea hanno elargito prestiti 
                  a costi irrisori e senza nessun vincolo di utilizzo. Per loro 
                  solo qualche blanda raccomandazione 'pro forma', giusto per 
                  dire “glielo abbiamo detto”. Finanziamenti che arrivano 
                  dopo che i singoli stati del vecchio continente hanno messo 
                  in campo la bellezza di 2Ë300 miliardi di euro per riparare 
                  le falle dei loro sistemi bancari. Questa la situazione attuale 
                  per i paesi che, strozzati dagli investimenti troppo allegri 
                  delle loro banche, hanno bisogno di chiedere aiuto ed ottengono 
                  fondi di sostegno. 
                  Un quadro generale per niente edificante, che nella sua boria 
                  di sistema mostra tutta la protervia e la tracotanza a danno 
                  dei più deboli che lo contraddistinguono. Al contempo, 
                  neanche tanto nascosto tra le pieghe dei suoi numerosi anfratti 
                  di conduzione, mostra come il percorso del suo farsi sia costellato 
                  di occasioni e di spazi strutturali per dare ospitalità 
                  ai tantissimi ricatti, ruberie e corruzioni che martirizzano 
                  la nostra vita sociale. È un sistema irriformabile, praticamente 
                  impossibile da bloccare dall'interno, per la sua duttilissima 
                  capacità di adattarsi e rinnovarsi. Si può solo 
                  sperare di trovare, prima o poi, la forza di stravolgerlo dalle 
                  fondamenta, per ricostruire un modo di vivere socialmente dove 
                  tutto ciò che distingue l'oggi sia per sempre bandito. 
                   
                  Andrea Papi
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