Il G8 svoltosi nella 
                    prima settimana di luglio a Gleneagles, vicino a Edimburgo 
                    capitale della Scozia, in tutto e per tutto è stato 
                    il compendio di una realistica rappresentazione dello stato 
                    del mondo nella fase attuale. Una perfetta realizzazione teatrale 
                    della tragedia globale perpetrata e coccolata dagli esseri 
                    umani, che si espande e incombe sull’intera manifestazione 
                    del pianeta con totale prepotenza, mettendo a rischio la sopravvivenza 
                    di ogni specie vivente e del pianeta stesso. 
                    Per come è stato strutturato, per i contenuti di cui 
                    era portatore e per i fatti che sono accaduti attorno ad esso, 
                    l’evento si è caricato di un’alta pregnanza 
                    simbolica. Era stato concepito in origine come una delle rituali 
                    riunioni degli autoproclamatisi grandi della terra i quali, 
                    secondo copione ormai consolidatosi, avrebbero fatto finta 
                    di affrontare i problemi del globo per risolverli. Seguendo 
                    l’agenda concordata si dovevano occupare e si sono occupati 
                    della povertà endemica che attanaglia interi continenti, 
                    in particolare l’Africa, come del problema dell’inquinamento 
                    che incombe sull’intera superficie terrestre. Se tutto 
                    si fosse svolto secondo le usuali scadenze burocratiche, i 
                    “grandi” si sarebbero visti, avrebbero mangiato 
                    raffinati manicaretti, si sarebbero strette le mani davanti 
                    ai fotografi dei media, avrebbero scambiato tra loro qualche 
                    parola da potenti ed avrebbero prodotto un documento finale 
                    che ne giustificasse la presenza. Come se non si fossero mai 
                    riuniti veramente, per poi finir catalogati nel dimenticatoio 
                    dei momenti inconsistenti della storia. 
                    Invece, se da una parte sono stati coerenti avendo rispettato 
                    la tradizione di dimostrarsi incapaci di risolvere i problemi 
                    che affrontano, dall’altra sono stati costretti ad uscire 
                    allo scoperto della loro programmata inconsistenza per la 
                    serie di eventi che sono piombati addosso al vertice ed a 
                    tutti noi. 
                  
 
 
                  
  Bomba mediatica e bombe 
                    reali
 
                    Bomba mediatica e bombe 
                    reali 
                  Già si era focalizzata una grande attenzione 
                    dell’opinione pubblica mondiale sul G8 di Gleneagles 
                    prima che iniziasse, a causa del Live 8, il concerto 
                    che Bono e Geldof sono riusciti ad organizzare sabato 2 luglio 
                    in contemporanea in otto delle principali città del 
                    mondo. Lo scopo del concerto, vera e propria bomba mediatica, 
                    passerella irripetibile delle più famose rock-star, 
                    che ha convogliato tre milioni di persone nelle piazze e due 
                    miliardi davanti ai teleschermi, è stato dichiaratamente 
                    quello di premere sui potenti della terra, affinché 
                    risolvessero il problema della fame nel mondo cominciando 
                    ad azzerare il debito che i paesi più poveri hanno 
                    contratto da decenni col FMI, gestito dall’atto della 
                    sua nascita dalle banche dei paesi più ricchi e causa 
                    prima del loro costante ed inarrestabile declino economico. 
                    Con un po’ di retorica d’immagine e di un ben 
                    calcolato buonismo infarcito di perbenismo, in qualche modo 
                    il concerto è riuscito a creare nell’opinione 
                    pubblica l’aspettativa che questa volta i “grandi” 
                    dovessero seriamente impegnarsi. 
                    Ma già alla vigilia, seguendo le cronache incalzanti 
                    dei media, ombre cupe di contestazione si erano assemblate 
                    fosche sul vertice, dando l’impressione che quasi quasi 
                    fosse a rischio. Lo spettro dei fatti di Genova del luglio 
                    di quattro anni fa sembrava riproporsi minaccioso, attanagliando 
                    gli umori e le coscienze di tutti i fruitori mediatici. Naturalmente 
                    si trattava soltanto del solito copione, capace di convogliare 
                    verso lo spettacolo i sentimenti e gli umori dei telespettatori. 
                    Erano ricomparsi i protagonisti per eccellenza di questi vertici, 
                    i famigerati black-bloc, neri e aggressivi al punto giusto, 
                    capaci di ridare verve e importanza a una riunione di capi 
                    di stato che altrimenti rischiava di nullificarsi nella sua 
                    inconsistenza endemica. Quando lo spettacolo offre la vigoria 
                    di un nemico al contempo giovane e battagliero, seppur perfettamente 
                    controllato, in qualche modo diventa sempre interessante perché 
                    regala emozioni tipiche delle immagini ad effetti speciali. 
                    
                    Non erano però stati fatti i conti con l’imprevedibile, 
                    sempre in agguato quando le telecamere sono puntate. Il vertice 
                    era appena stato inaugurato la sera del sei. Con sorprendente 
                    tempismo, rubando la scena a qualsiasi altro, la mattina dopo 
                    inaspettatamente ha fatto irruzione il fantasma di Bin Laden, 
                    star della mattanza e dei massacri ad alto livello di spettacolarizzazione. 
                    
                    Quattro ottimi ragazzi molto religiosi, inglesi di buona famiglia 
                    benestante e allevati nel londonistan, la vasta comunità 
                    musulmana londinese, hanno scelto d’immolarsi per la 
                    causa di dio ed hanno regalato la morte diffusa in sei punti 
                    della città. Perfettamente in linea con le tensioni 
                    terroristiche e teocratiche che stanno scuotendo il mondo 
                    dall’11 settembre 2001. Al Qaeda ha dimostrato di mantenere 
                    le sue promesse ed ha subito annunciato che in un futuro prossimo 
                    colpirà anche Italia e Danimarca quando come e dove 
                    deciderà, fottendosene ed allo stesso tempo rispettando 
                    le scadenze e i rituali di gestione dei gestori del mondo 
                    perché funzionali alla sua propaganda mediatica. Intanto 
                    si è subito rifatta viva giovedì 21 luglio, 
                    sempre a Londra ma questa volta senza vittime, e sabato 23 
                    a Sharm el Sheik in Egitto, devastando alberghi ed ammazzando 
                    circa 70 persone. 
                    Anche il terrorismo non legittimato del fondamentalismo islamico 
                    fa parte dello spettacolo. Il gioco delle parti in atto permette 
                    di ottenere risultati importanti. Prima di tutto l’identificazione 
                    del nemico: da una parte il dominio ufficiale cui sono designate 
                    le sorti del sistema vigente e imperante, dall’altra 
                    il potere contrapposto che vuole scalzarlo e sostituirvisi; 
                    l’uno si fonda sulla promessa (in realtà mai 
                    voluta né mantenuta) della diffusione del benessere 
                    materiale, l’altro sull’imposizione teocratica 
                    e totalitaria del potere di dio, moralizzatore dei corrotti 
                    costumi umani. In secondo luogo tende a convogliare le energie 
                    delle genti su fronti contrapposti, entrambi vogliosi di imporre 
                    la propria volontà, e induce gli individui che assistono 
                    a schierarsi, perché impone un senso d’impotenza 
                    che porta a desiderare di essere protetti dai forti che stanno 
                    conducendo la guerra. 
                    Naturalmente è uno spettacolo che regala emozioni forti, 
                    perché è un reality scaturente dalla spontaneità 
                    degli stessi avvenimenti, non una fiction televisiva, la quale 
                    ha il compito di esorcizzare angosce, paure e desideri non 
                    realizzati. Qui i morti sono veri, come gli scontri dei black-bloc, 
                    come le folle di persone che manifestano il dissenso, come 
                    i “grandi” in assise che se ne fottono, o vorrebbero 
                    farlo, dei bisogni e dei pensieri di tutti noi. Tutto ciò 
                    cui assistiamo accade realmente e lo sappiamo. 
                    Ma non siamo là dove il tutto si svolge, mentre attraverso 
                    l’organizzazione mediatica delle immagini in diretta 
                    viviamo un transfert di appartenenza psicologica e, pur essendo 
                    qua, ci esaltiamo e soffriamo e partecipiamo come se fossimo 
                    là. Siamo stati trasformati in consumatori degli avvenimenti, 
                    fruitori del teatro vivente che si svolge in nostro nome senza 
                    che siamo protagonisti. Questo ci porta, almeno nei calcoli 
                    dei registi che ne traggono profitto sia come business sia 
                    come direttori dei nostri destini, ad affidarci a chi sa condurre 
                    ed essere dentro il gioco, di cui ci fanno essere partecipi 
                    senza partecipare veramente. Senza rendercene conto ci affidiamo 
                    così ai veri interpreti degli avvenimenti e deleghiamo 
                    loro la conduzione di ciò che avviene. Forte di questa 
                    delega, il potere di comando che ci sovrasta non può 
                    che uscirne rafforzato. 
                  
                    Eroismo caricaturale
 
                    Eroismo caricaturale 
                  Dapprima minacciato dagli assalti all’arma bianca dei 
                    black-bloc, che sono riusciti a tener la scena per due giorni, 
                    messo poi seriamente in crisi dagli attentati di Londra del 
                    7 luglio, il G8 di Gleneagles ha così tentato di proporsi 
                    con l’eroismo caricaturale del “continuiamo ugualmente, 
                    non facciamoci intimidire”, che fa sempre bella figura. 
                    Ciò che forse può apparire sconcertante, anche 
                    se nessun media ha mostrato di notarlo, è che i black-bloc, 
                    ma anche la protesta delle diverse decine di migliaia di persone 
                    che ha occupato per giorni le prime pagine dei quotidiani, 
                    sono d’incanto spariti non appena ci sono state le deflagrazioni 
                    londinesi. Come se non fossero mai esistiti. Sconcertante 
                    perché nessuno ne ha più parlato, nonostante 
                    i lavori del vertice siano continuati, come se i potenti della 
                    terra per discutere non fossero stati costretti ad asserragliarsi 
                    nel palazzo per le proteste che li circondavano. La contestazione, 
                    che da Seattle in poi accompagna i vertici mondiali muovendo 
                    ministri e politici da ogni parte del globo, d’incanto 
                    era svanita, non aveva più voce, mentre tutta la scena 
                    era stata mediaticamente occupata dal nemico: Bin Laden e 
                    i suoi accoliti. Il blitz mediatico è riuscito a convogliare 
                    l’attenzione dell’opinione pubblica sulla guerra 
                    in atto, quale unica imposta necessità cui devolvere 
                    sforzi ed energie, tralasciando i problemi del mondo. 
                    Sommersi dalla spettacolarità bellica orchestrata mediaticamente, 
                    accantonata la contestazione che mette in discussione l’operato 
                    degli apparati che dirigono le nostre sorti, i “grandi” 
                    della terra, potendosi finalmente occupare delle faccende 
                    che preferiscono, in quattro e quattr’otto sono così 
                    riusciti a liquidare i veri problemi per cui si erano ritrovati, 
                    lasciandoli irrisolti e rimandandoli ad “occasioni migliori”. 
                    Cos’hanno deciso? In pratica nulla di sostanziale. Mentre 
                    si sono confermati nell’arte di cui sono maestri: hanno 
                    sancito di prendere soltanto impegni generici. 
                    Per l’Africa sono stati stanziati 50 miliardi di dollari 
                    entro il 2010, del tutto insufficienti a promuovere un’autentica 
                    politica di sviluppo. In realtà infatti sono veramente 
                    pochini per l’enorme fabbisogno che necessiterebbe realmente, 
                    mentre non è stato affatto chiarito il modo e la qualità 
                    della loro distribuzione, soprattutto se si pensa a come sono 
                    sempre stati distribuiti finora, dal momento che hanno sempre 
                    rimpinguato le pochissime tasche di voraci affamatori e in 
                    più di un’occasione sono serviti ad impinguare 
                    gli apparati militari, arricchendo al contempo i trafficanti 
                    d’armi. 
                    Collegato sempre all’Africa e al problema della povertà, 
                    è stato confermato l’azzeramento del debito per 
                    i 18 paesi più poveri (14 africani e 4 latino-americani). 
                    A parte il fatto che i paesi che ne dovrebbero usufruire sono 
                    di più, se l’azzeramento non viene accompagnato 
                    da un serio programma di avvio dello sviluppo capace di rispettare, 
                    incentivare e valorizzare culture e capacità locali, 
                    senza diventare occasione di nuovi mercati e nuovi sfruttamenti 
                    per le multinazionali che già impestano il mondo, in 
                    poco tempo perde efficacia e si trasforma in boomerang. 
                    Per quanto riguarda l’inquinamento climatico, a Gleneagles 
                    è stata offerta una rappresentazione da classico della 
                    commedia dell’arte. È stato infatti considerato 
                    un vero successo che il presidente americano Bush abbia finalmente 
                    ammesso che, forse, è in atto una degenerazione del 
                    clima dovuta ad agenti dell’opera umana. Però 
                    ha subito chiarito che gli USA, maggiori produttori mondiali 
                    di gas serra, continueranno a non aderire neanche all’insufficiente 
                    protocollo di Kyoto perché non se lo possono permettere 
                    economicamente. Così, invece di diminuire le emissioni, 
                    il problema è stato spostato genericamente, molto genericamente, 
                    sui finanziamenti alla ricerca, sul modo in cui si deve usare 
                    l’energia, sull’intento di rendere il futuro più 
                    pulito con energie come nucleare e bio-energie. 
                    In altre parole, tutto continua nel disastro attuale, con 
                    l’unica differenza che da parte di chi conta ci dovrebbe 
                    essere un maggiore impegno a cercare nuove soluzioni economicamente 
                    praticabili. A tutti gli effetti si è sancito di confermare 
                    lo status quo, che ormai tutti riconoscono devastante. 
                    Non c’è affatto da stupirsi! In fondo tutto procede 
                    seguendo le scadenze e il senso dello stato del mondo per 
                    come si è costituito storicamente e consolidato nel 
                    tempo. Il problema principale è la guerra, questa volta 
                    non tra nazioni o stati, ma tra il governo del sistema globale 
                    e le cellule di una spietata teocrazia clandestina, autoreferenziale 
                    e autoproclamatasi voce di dio, che persegue l’intento 
                    di fiaccare gli avversari e piegare alla propria volontà 
                    i regimi islamici moderati, agendo con la sanguinaria efferatezza 
                    del terrore ed usufruendo della pubblicità mass-mediatica. 
                    
                    Rispetto al vecchio colonialismo ottocentesco e alla barbarie 
                    delle guerre mondiali del novecento i protagonisti contendenti 
                    sono cambiati, come pure le ideologie giustificative, ma il 
                    fine rimane quello di assicurarsi il dominio su tutto e su 
                    tutti. Al di là della guerra tutto il resto viene ridotto 
                    a gestione ordinaria dell’esistente, correggibile e 
                    teoricamente riformabile per renderlo più efficiente, 
                    all’occorrenza più funzionale alla conservazione 
                    dello status quo, irrimediabilmente e testardamente considerato 
                    non modificabile nella sostanza e nelle strutture portanti. 
                  
                   
 
                  
                    Moloch imperioso e terrificante
 
                    Moloch imperioso e terrificante 
                    
                  A tutti gli effetti si tratta di uno sguardo ed un atteggiamento 
                    antropocentrici fondati sulla logica e la volontà di 
                    predominio. Ciò che conta, che continua imperterrito 
                    a contare, sono il bisogno e la volontà di esercitare 
                    il dominio sugli altri e su tutto. Così le scelte che 
                    lor signori fanno sono dettate dallo scopo primario di conservare 
                    il potere impositivo, l’esercizio del comando e la gestione 
                    a tutti i costi dell’ordinario, preoccupati soprattutto 
                    di non stravolgere e non mettere in crisi le strutture portanti 
                    del sistema vigente. Una specie di Moloch imperioso e terrificante 
                    ci avvolge con le sue spire. La causa della situazione che 
                    viviamo, che per riconoscimento unanime ha sempre più 
                    necessità di dover essere mutata, secondo il volere 
                    di chi ha il potere di decidere non può essere rimossa 
                    perché è indispensabile alla conservazione del 
                    suo potere, considerato il bene più prezioso al quale 
                    sacrificare qualsiasi altra cosa. 
                    Alla base di tutto c’è il potere/denaro, che 
                    assicura a chiunque lo possieda proprietà e possesso 
                    di qualsiasi cosa e qualsiasi possibilità, al di fuori 
                    e contro ogni regola ed ogni etica più o meno condivise. 
                    Assecondato e garantito da questa base, principe per importanza, 
                    c’è il potere/decisione, che permette all’élite 
                    che lo possiede, sia essa un’oligarchia economica o 
                    militare o religiosa o politica, di definire in modo incontrastato 
                    che cosa si deve o non si deve fare. Infine, importante alla 
                    pari degli altri due, c’è il potere/imposizione, 
                    che attraverso l’esercizio del comando garantisce l’esecuzione, 
                    imposta con la forza o condivisa, delle decisioni prese dall’oligarchia 
                    che comanda. 
                    Questi tre poteri sono strettamente interconnessi e interdipendenti 
                    tra loro, in modo da formare una catena compatta che permette 
                    ad un’esigua minoranza d’imporsi su tutto il resto 
                    del genere umano. Purtroppo nelle società attuali sono 
                    queste e non altre le fondamenta irrinunciabili del funzionamento 
                    della conduzione che riguarda tutti, determinando uno stato 
                    di cose altamente ingiusto, secondo cui lo scopo di vivere 
                    è arricchirsi e comandare fottendosene di tutto e di 
                    tutti. 
                    Il capitalismo liberista, impostosi e consolidatosi storicamente 
                    a livello planetario, è il sistema di potere vigente 
                    che condiziona pesantemente le vite di ogni essere umano in 
                    ogni parte del globo, costringendoci ad accettare e subire 
                    le logiche, la cultura, le ingiustizie e le imposizioni di 
                    cui è creatore e portatore. Sfruttando opprimendo e 
                    impoverendo, uomini donne esseri viventi e risorse naturali, 
                    ha raggiunto l’apice nella soddisfazione del potere/denaro 
                    per un’esigua minoranza di privilegiati a discapito 
                    di tutti gli altri, usando con grande avidità e al 
                    di là e contro ogni principio etico sia il potere/decisione 
                    che il potere/imposizione. 
                    Con le sue capacità onnivore ed efficienti è 
                    riuscito a convogliare ai suoi scopi le strutture di potere 
                    dei regimi politici di ogni paese e di ogni stato sulla faccia 
                    della terra, siano esse democratiche o dittatoriali o assolutiste. 
                    Sotto gli occhi di tutti, impotenti, si sta consumando l’enorme 
                    tragedia della dilapidazione delle ricchezze culturali e di 
                    quelle naturali, dell’inquinamento climatico delle acque 
                    e della terra, dell’estinzione di intere specie viventi 
                    e della scomparsa progressiva della biodiversità. Gli 
                    allarmi di associazioni e di scienziati si moltiplicano, ma 
                    la folle corsa dei potentati economici politici e militari 
                    non si arresta e non accenna ad arretrare. Chi ha in mano 
                    le nostre sorti conosce soltanto un dettato: continuare ad 
                    arricchirsi e comandare, costi quel che costi. 
                    Avendo una natura onnicomprensiva ed esclusivista, non è 
                    possibile riformare dall’interno un sistema siffatto. 
                    Lo dimostrano i mille tentativi del principio riformista socialdemocratico 
                    applicato che, partito con tutte le buone intenzioni di modificarne 
                    la natura agendo sulle sue presunte contraddizioni per trasformarlo 
                    in senso socialistico, è stato sempre riassorbito e 
                    inglobato, fino a divenire elemento della sua conservazione 
                    là dove è riuscito a gestirne i governi, sia 
                    centrali che locali. Se esiste una possibilità di cambiare 
                    la sostanza delle cose non può che essere agendo esternamente 
                    al sistema, seguendo una logica di sovvertimento dell’ordine 
                    e degli ordinamenti esistenti. 
                  
                   Ma per essere efficace ed acquistare possibilità 
                    di riuscita la sovversione non può limitarsi ad essere 
                    contrappositiva, a finalizzare cioè scelte d’azione 
                    e impegno nel suscitare innanzitutto lo scontro col sistema 
                    nella speranza di vincerlo. 
                    Un ordine costituito si riesce a sovvertire quando si è 
                    in grado di mettere in piedi e costruire qualcos’altro 
                    di radicalmente differente che lo sostituisce. Altrimenti, 
                    anche nel caso, sempre più raro, che si riesca momentaneamente 
                    a metterlo in ginocchio, se non vi si sostituisce in breve 
                    tempo un assetto alternativo che sia in grado di funzionare, 
                    il vecchio che ci si era illusi di aver abbattuto si ricostituisce 
                    istituzionalizzandosi di nuovo, magari in forma riformata, 
                    ma riproponente modi e strutture capaci di attivare cultura 
                    senso e procedure che instaurano di nuovo oppressione e sfruttamento 
                    che si volevano eliminare. 
                    Se veramente si vuole prendere la strada dell’alternativa 
                    radicale al sistema di potere vigente, fin da ora deve diventare 
                    strategica e programmatica la costruzione della società 
                    altra che si vuole proporre. 
                    Una costruzione che si concepisce come momento di sperimentazione 
                    e di lotta insieme, che riesca ad esprimere la tendenza e 
                    la volontà di espandersi nel sociale per sovvertirlo, 
                    che allo stesso tempo manifesti la capacità di saper 
                    costruire collettivamente il nuovo che si vorrebbe e si desidera. 
                    Per gli anarchici non può che avere le caratteristiche 
                    della libertà della solidarietà e della reciprocità 
                    all’interno di relazioni intercolletive ed interindividuali 
                    egualitarie, in tutti gli ambiti che definiscono la qualità 
                    dell’identità societaria, da quello economico, 
                    a quello politico, a quello culturale, per scalzare cultura 
                    e metodi autoritari e gerarchici e di appropriazione finanziaria.