| riflessioni 
                
  Sfogliando 
                gli annuari ovvero cercare di capire il mondo dei numeri I dati seguenti sono tratti da l’annuario “Il mondo 
                  in cifre 2005” elaborato da The Economist tradotto 
                  e pubblicato in Italia dalla rivista “Internazionale” 
                  ad un prezzo contenuto. Sono quindi dati aggregati, semplici, 
                  che danno un quadro sintetico ma contemporaneamente definiscono 
                  a grandi linee i problemi e sono molto accessibili e comprensibili. 
                  Le considerazioni sono le nostre. Ma, come si vede, non c’è 
                  bisogno di una grande scienza per capire come stanno le cose. 
                 Economia 
                  Considerando il PIL dei singoli paesi: i primi dieci hanno un 
                  PIL di 24.475 miliardi di $; dall’undicesimo al ventesimo 
                  3.643 $; dal ventunesimo al trentesimo di 1.722 $; dal trentunesimo 
                  al quarantesimo 1.062 $; dal quarantunesimo al cinquantesimo 
                  698 $.
 I primi cinquanta paesi hanno un PIL complessivo di 31.600 miliardi 
                  di dollari, gli altri 132 paesi considerati hanno un PIL di 
                  700 miliardi di $ corrispondente al 2% del totale.
 Gli stati Uniti da soli hanno un PIL pari a 10.383 miliardi 
                  di $ ovvero superiore tre volte a quello del Giappone, secondo 
                  paese in graduatoria, e costituente il 32,2% del totale dei 
                  primi cinquanta paesi.
 I paesi del G7 fanno il 65% del PIL mondiale con 11,5% della 
                  popolazione; gli Stati Uniti il 32% con il 3,5 % della popolazione
 I paesi del G7 esportano il 45,4% della loro produzione (l’Asia 
                  il 9,9%, l’America latina il 4,5%, l’Africa il 1,9%).
 50 paesi hanno un onere sul debito estero pari a più 
                  dell’80% del loro PIL; 50 paesi hanno debiti esteri superiori 
                  a 10 miliardi di dollari (10 superiori a 100 miliardi di dollari); 
                  50 paesi hanno un debito estero superiore al 250% delle loro 
                  esportazioni annuali di beni e servizi (i paesi dei tre elenchi 
                  citati per gran parte non sono gli stessi).
 
 Distribuzione 
                  del PIL mondiale tra i 182 paesi censiti(i numeri 
                  riportati nel grafico: 1-10, 11-20, 21-30 ecc., sono relativi 
                  alla posizione dei paesi come Prodotto Interno Lordo, PIL)
 Agricoltura 
                  Tra i paesi meno dipendenti economicamente dall’agricoltura 
                  gli Stati Uniti sono al dodicesimo posto. In quel paese l’agricoltura 
                  contribuisce al PIL nazionale solo per il 1,9%. Questa condizione 
                  è simile a quella del Regno Unito (che si posizione al 
                  sesto posto solo con il 1,0%) e dell’Italia (al ventitreesimo 
                  posto con la Francia con una incidenza sul PIL del 2,7%).
 
  Il dato indica solo la marginalità del settore rispetto 
                  all’economia del paese ma non la capacità dei produttori 
                  di quel paese di incidere sul mercato agricolo del pianeta. 
                  Se infatti si analizzano le produzioni mondiali dei cereali 
                  gli Stati Uniti sono al 2° posto e la Francia al 5°; 
                  per la carne gli Stati Uniti al 2° posto e la Francia al 
                  4°, per la frutta gli Stati Uniti al 4° e l’Italia 
                  al 5°; per gli ortaggi gli Stati Uniti al 3° e l’Italia 
                  al 5°. Gli Stati Uniti, inoltre, sono nella condizione per quanto riguarda 
                  il grano e le granaglie, prodotti di base per l’alimentazione 
                  e la politica ad essa connessa, di avere consumi inferiori alla 
                  produzione e quindi ad essere esportatori.
  
                  
                     
                      |  |   
                      | Consistenza 
                          PIL Stati Uniti |  
                    
                      |  |  
                      | Consistenza 
                          popolazione Stati Uniti |  Industria 
                  La produzione industriale dei primi cinquanta paesi produttori 
                  è del valore di 8.017 miliardi di dollari. Il 57% di 
                  questo totale è costituito della produzione dei G7 (4.619 
                  miliardi di $), il 26% dagli Stati Uniti e 12,9% dal Giappone 
                  (insieme circa il 40% della produzione mondiale. Il cinquantesimo 
                  paese produce lo 0,05% del totale.
 Combustibili 
                  I paesi maggiormente industrializzati non controllano le fonti 
                  di energia ma sono costretti ad importare combustibili da altri 
                  paesi. In tale maniera chi controlla il mercato di fatto incide 
                  sulle politiche dei paesi industrializzati.
 Tra i paesi produttori di petrolio gli Stati Uniti sono al secondo 
                  posto e tra i primi quindici c’è solo un altro 
                  paese afferente al G7 (Gran Bretagna). Per quanto attiene i 
                  dieci paesi maggiori produttori di gas naturali vi sono Stati 
                  Uniti (2°) e Gran Bretagna (4°) per il carbone solo 
                  Stati Uniti (2°).
 Per il petrolio e il gas naturale gli Stati Uniti consumano 
                  molto di più di quanto producano (petrolio 19.708 di 
                  consumo contro i 7.698 migliaia di barili al giorno di produzione). 
                  È questo l’unico caso in cui il paese non produce 
                  direttamente risorse primarie di cui necessita.
 Situazione particolare hanno Russia, che possiede risorse di 
                  petrolio, gas, e carbone molto superiori ai suoi attuali consumi 
                  (da qui l’interesse all’acquisizione da parte di 
                  compagnie internazionali delle società di petrolio ex 
                  nazionali), e Cina, che nonostante sia il maggiore produttore 
                  mondiale di carbone (di cui non consuma tutta la produzione) 
                  attualmente per permettere la crescita in corso importa petrolio 
                  (e non è un caso l’aumento del prezzo del petrolio 
                  a barile finalizzato anche ad affaticare l’economia cinese).
  
                  
                     
                      |  |   
                      | Consistenza 
                          PIL G7 |  
                     
                      |  |   
                      | Consistenza 
                          popolazione G7 |  Energia 
                  I maggiori produttori di energia nel pianeta sono gli Stati 
                  Uniti e la Cina con rispettivamente 1.711 e 1.138 milioni di 
                  tonnellate di petrolio equivalente. Ma mentre la Cina consuma 
                  1.139 milioni di tonnellate di petrolio equivalente gli Stati 
                  Uniti ne consumano 2.281 con un saldo negativo di quasi trecento 
                  milioni di tonnellate. Tranne la Gran Bretagna nessun altro 
                  paese G7 è tra i primi sedici produttori mentre tutti 
                  sono tra i primi sedici consumatori. Il consumo più altro 
                  pro-capite di un paese industrializzato è quello degli 
                  Stati Uniti con 7.990 kg di petrolio equivalente più 
                  del doppio del consumo riscontrabile in Italia.
 
 Aziende 
                  Il fatturato complessivo delle maggiori 44 aziende nel mondo 
                  è pari a 4.078,8 miliardi di dollari (2.269 sono degli 
                  Stati Uniti)
 615.8 miliardi di dollari annui è la somma delle tre 
                  maggiori aziende mondiali. Per comprendere meglio il peso di 
                  questi soggetti all’interno dell’economia mondiale 
                  sottolineiamo che esse, in 44, hanno un fatturato pari al 13% 
                  del PIL di 182 paesi del pianeta (il PIL è composto da 
                  tutta la produzione e gli scambi in un anno effettuati da tutti 
                  i 6 miliardi e oltre di abitanti del mondo). Solo 19 paesi al 
                  mondo hanno un PIL superiore al fatturato delle più grande 
                  azienda mondiale (246,5 mld di dollari)
 Le aziende tra le 44 che si interessano di petrolio sono 5 (al 
                  3° USA, 4° GB, 5°GB, 14° FR, 15° USA), per 
                  un fatturato complessivo di 729,5 miliardi di dollari. Le aziende 
                  che producono auto sono 8 per un fatturato complessivo di 936.9 
                  miliardi di dollari (petrolio e auto sono il 40% del fatturato 
                  delle prime 44 aziende)
 Delle prime 44 aziende nel mondo, 18 sono degli Stati Uniti 
                  (petrolio, auto, apparecchiature elettriche e informatica, aerei), 
                  2 Regno Unito (petrolio), 13 Giappone (auto, apparecchiature 
                  elettriche e informatica, assicurazione), 3 Germania (auto, 
                  apparecchiature elettriche e informatica, assicurazione), 4 
                  Francia (petrolio, assicurazione), 2 Paesi Bassi, 1 Svizzera 
                  (alimentazione), 1 Italia (assicurazione).
 Banche 
                  e mercato azionario 2.500 circa sono i miliardi di dollari che costituiscono il 
                  patrimonio (capitale proprio e riserve) delle maggiori 44 banche 
                  del pianeta (8 Stati Uniti, 6 Regno Unito, 6 Francia, 5 Giappone, 
                  5 Cina, 2 Germania, 2 Svizzera, 3 Paesi Bassi, 2 Spagna, 2 Italia 
                  (33° e 43° posto).
 La capitalizzazione del mercato azionario è di 11.052 
                  miliardi di dollari negli Stati uniti, 2.126 miliardi di dollari 
                  in Giappone, 1.846 mld di dollari in Gran Bretagna, seguono 
                  gli altri paesi in rapida riduzione di importi a partire dalla 
                  Francia (996 al 4° posto fino a Singapore con 101 mld di 
                  dollari al 26° posto)
 Consumi 
                  32 sono i paesi (non tutti industrializzati) che hanno un numero 
                  di apparecchi televisivi a colori superiore a 90 per ogni 100 
                  famiglie (il Belgio 99,6 apparecchi su 100 famiglie); 18 sono 
                  i paesi (quasi tutti industrializzati e ricchi) che posseggono 
                  più di 50 lettori cd per 100 famiglie (Danimarca 89,3);18 
                  sono i paesi (quasi tutti ricchi ma non necessariamente industrializzati) 
                  che posseggono più di 40 computer ogni 100 persone (Svizzera 
                  70,9); 30 sono i paesi (non tutti industrializzati non tutti 
                  ricchi) in cui vi sono più di 65 telefoni cellulari per 
                  ogni 100 persone (Taiwan 106,2).
 Brevetti 
                  123.978 sono stati i brevetti concessi agli abitanti del Giappone 
                  nel 2000, 83.090 agli abitanti degli Stati Uniti (insieme costituiscono 
                  più del doppio di quelli concessi ai successivi 18 stati 
                  nell’elenco), 9.983 agli abitanti dell’Italia (che 
                  si colloca al 9° posto). Il ventesimo posto è di 
                  Israele con 433 brevetti. Nessuna traccia di paesi non industrializzati, 
                  non ricchi, non occidentali. I casi sono due: o l’intelligenza 
                  non è uniformemente distribuita o il controllo della 
                  produzione è affidato a pochi soggetti.
  
 Malattie 
                  I primi dodici paesi nella graduatoria delle morti per cancro 
                  al seno sono europei (da 26,5 a 20,1 decessi per 100.000 abitanti); 
                  così come i primi sette nella graduatoria delle morti 
                  per cancro ai polmoni (da 79,o a 56,9 decessi per 100.000 abitanti), 
                  poi ci sono Stati Uniti e Canada e poi si continua con altri 
                  paesi europei.
 Le morti da cancro ai polmoni è molto difficile connetterle 
                  alla pratica del fumo; il consumo medio pro capite di sigarette 
                  propone una classifica di paesi molto diversa. Appare invece 
                  molto stretta la relazione tra paesi industrializzati ed urbanizzati 
                  e morti di cancro, cosa che risulta palese anche dal 12° 
                  posto per morti di cancro al polmone di Hong Kong.
 Di malaria, tubercolosi, Aids si muore, per la stragrande maggioranza, 
                  nei paesi poveri africani ed asiatici.
 Nobel 
                  Gli Stati uniti sono il paese che ha vinto il maggior numero 
                  di premi nobel per la fisica 45 (35%) sui 128 assegnati (uniti 
                  a quelli della Gran Bretagna, secondi, il 50%), 39 nella chimica 
                  (35,5%) sui 110 assegnati (uniti a quelli della Gran Bretagna, 
                  secondi, il 55%), 48 (40%) nella medicina sui 118 assegnati 
                  (uniti a quelli della Gran Bretagna, secondi, il 58%) e questo 
                  può essere riferito alla struttura di ricerca di quei 
                  paesi sostenuta dalle grandi aziende.
 Gli Stati uniti sono il paese che ha vinto il maggior numero 
                  di premi nobel per l’economia 27 (63%) sui 43 assegnati 
                  (uniti a quelli della Gran Bretagna, secondi, il 81%) e questo 
                  può essere riferito all’attenzione nei confronti 
                  degli interessi privati che gli economisti dei due paesi hanno 
                  posto nel corso degli anni e da cui sono stati premiati.
 Gli stati uniti sono il paese che ha vinto il maggior numero 
                  di premi nobel per la pace 17 (26%) sui 66 assegnati (uniti 
                  a quelli della Gran Bretagna, secondi, il 44%) e questo potrebbe 
                  essere capito, essendo questi i paesi che maggiormente hanno 
                  ideato, partecipato, sostenuto guerre, colpi di stato, guerre 
                  civili nel pianeta nel corso degli ultimi trecento anni, solo 
                  se i nobel fossero andati a dei grandi oppositori di tali politiche; 
                  ma essendo Kissinger, noto golpista e guerrafondaio, uno dei 
                  vincitori l’assegnazione di tanti nobel non può 
                  che essere inteso come un atto di inutile sottomissione della 
                  cultura premiante al potere.
 Conclusioni 
                  Che cosa si evince. Il controllo del mercato, della produzione 
                  e dell’economia da parte di pochi soggetti collegati ad 
                  un numero molto ridotto di paesi. Per le risorse e l’energia 
                  esclusivamente gli stati Uniti, la Cina e la Russia sono in 
                  questo momento autonomi. I primi, a differenza degli altri, 
                  sono anche grandi esportatori e controllano alcune risorse al 
                  di fuori dei loro confini, e ciò rende molto forte il 
                  loro peso. Alcuni paesi, sebbene del tutto in disequilibrio 
                  energetico, controllano i mercati delle merci e finanziari (ad 
                  esempio Giappone, Gran Bretagna, Paesi Bassi). All’interno 
                  dei paesi industrializzati la differenza in termini di produzione, 
                  consumo, disponibilità di risorse tra Stati Uniti e gli 
                  altri sette è enorme. Gli Stati Uniti, con un numero 
                  ridottissimo di altri stati (Giappone, Gran Bretagna e pochi 
                  altri), controllano tutta l’economia, la produzione, la 
                  finanza, la ricerca, e promuovono il modello che è fatto 
                  su misura per accrescere queste disparità sulle quali 
                  si costruiscono i loro profitti.
 Anche i settori non direttamente produttivi (vedere Nobel) sono 
                  utilizzati strumentalmente al fine di accrescere attraverso 
                  di essi sia il commercio dei prodotti sia la stima verso se 
                  stessi.
 Un mondo di Stati profondamente impari al cui interno, come 
                  a tutti noto, corrisponde una ancor più profonda disuguaglianza 
                  sociale.
   testimonianze
                
  Civilizzazione  In gran parte dei luoghi dove le comunità 
                  avevano un rapporto di rispetto dell’ambiente la proprietà 
                  privata aveva una peso marginale nella organizzazione sociale. 
                  Nella cosmogonia della Melanesia ad inizio del secolo XX l’uomo 
                  non ha un posto predominante, è all’interno dell’ambiente 
                  e si sforza di rispettare l’armonia e l’equilibrio 
                  naturale. “La civilizzazione canàca – sosteneva 
                  negli anni settanta del secolo scorso un melanesiano – 
                  trae la sua essenza dal rapporto intimo e biologico dell’uomo 
                  con la terra”. Le modalità di coltivare la terra, 
                  di distribuire le risorse sono configurate per la conservazione 
                  dei beni ambientali, beni indivisi, e gran parte dei beni della 
                  società erano anche per questo indivisi.
 A metà dell’ottocento R.P. Poumpinel, della missione 
                  marista, scriveva “qui bisogna dividersi tutto… 
                  questa piaga sociale, con le sue orrende e desolanti conseguenze, 
                  tiranneggia le tribù delle nostre isole…” 
                  ed ancora all’inizio del secolo successivo Leenhardt, 
                  giovane missionario a cui si deve poi la raccolta di una consistente 
                  documentazione sulle quelle popolazioni, osservava: “tutto 
                  quello che uno guarda gli è dato in dono, è l’uso 
                  del paese. Che bel comunismo! Ed è per questo che bisogna 
                  proibire a questa gente di regalare quel che si dà loro 
                  e che la maggiore difficoltà per educarli è l’insegnar 
                  loro di possedere” (le due citazioni sono leggibili in 
                  R.Dousser – Leenhardt La grande capanna. Miti e leggende 
                  della Nuova Caledonia, Jaca Book Milano 1974)
 Che grande civiltà quella occidentale.
 Che con cura ed impegno prima ha destrutturato le società 
                  e poi ha ad esse imposto la distruzione dell’ambiente.
 
  Storie di case: la casa delle 
                  zanzare
 Circa cento anni fa un gran numero di coloni francesi in Vietnam 
                  si spostarono dalle pianure sulle montagne di quel paese. Gran 
                  parte di questi morirono di malaria, malattia che non aveva 
                  mai presentato un problema per le popolazioni delle montagne. 
                  La ragione di questa situazione può essere gran parte 
                  attribuita alla configurazione delle abitazioni.
 Gli abitanti della montagna avevano abitazioni con al piano 
                  terra le stalle ed al piano superiore la residenza il cui interno 
                  aveva una area preminente e centrale, la cucina, con i suoi 
                  fornelli e senza cappa.
 Le zanzare volano in prossimità del terreno e pungono 
                  preferibilmente gli animali, per questo la configurazione della 
                  casa poneva già in condizione di sicurezza gli abitanti 
                  che dormivano e mangiavano al piano superiore; inoltre i fumi 
                  della cucina, nonostante fossero fastidiosi, allontanavano ulteriormente 
                  gli insetti dalla parte alta dell’abitazione.
 Quando arrivarono i coloni videro i limiti dell’abitazione 
                  (puzza degli animali e fumi in casa, scomodità dell’accesso 
                  al piano superiore) e non comprendendone le ragioni costruirono 
                  case ad un piano come erano abituati in pianura, dove stalle 
                  e fornelli erano posti fuori dall’abitazione.
 Ciò fu centrale per il decoro e la comodità e 
                  letale per la loro salute.
  L’inettitudine dei selvaggi e la furbizia dei 
                  colori
 Le Grandi pianure del Nord America erano utilizzate dai nativi 
                  per la loro sopravvivenza. Il terreno era ricco e profondo ed era coperto da fitte ed alte 
                  erbe perenni che garantivano il mangiare alle mandrie di bisonti. 
                  Le specie vegetali presenti, molto varie, erano in condizione 
                  di mantenere sempre una copertura dei terreni in tutte le stagioni 
                  evitando che i venti e le piogge provocassero erosione ed impoverimento 
                  dei suoli.
 L’alimentazione dei nativi era garantita dal bisonte che 
                  veniva cacciato nella quantità necessaria all’approvvigionamento 
                  e solo in alcune stagioni dell’anno, e poi conservato 
                  ed utilizzato tutto, anche le parti non commestibili, per attrezzi, 
                  coperte, tende, contenitori, simboli, etc.
 Quando arrivarono i coloni capirono che il sistema poteva essere 
                  molto più produttivo di quanto non lo fosse per i nativi 
                  e, dopo averli massacrati e ridotto la popolazione dei bisonti 
                  da sessanta milioni di capi a poche migliaia, si dedicarono 
                  alla coltivazione delle pianure.
 
  Le culture stagionali approfittarono per anni dei terreni 
                  vegetali che si erano costituiti nel tempo grazie alle modalità 
                  di uso dei nativi: si ridusse il ciclo da quello lungo (erbe 
                  – bisonti – uomo) ad uno più breve (coltivazioni 
                  – uomo) e ciò portò ad una grande produzione 
                  di biomassa; e contemporaneamente si cambiò il sistema 
                  produzione della carne (dalla caccia all’allevamento). 
                  Ma le colture stagionali di mais, foraggi, grano ed altro lasciavano 
                  scoperto il terreno per gran parte dell’anno e gli agenti 
                  meteorologici, che in quei luoghi sono di grande entità, 
                  incominciarono una erosione dei suoli tale che dopo solo 120 
                  anni la produttività di quelle aree si era fortemente 
                  ridotta. Per consentire il mantenimento dei livelli raggiunti 
                  in passato i terreni sono divenuti in parte irrigui (con tutte 
                  le conseguenze per le falde ed i corsi d’acqua) ed hanno 
                  avuto bisogno di una elevata e crescente concimazione chimica.
 Nonostante questo le quantità di prodotto per ettaro 
                  sono in calo e lo spessore dei suoli continua a diminuire.
 Non è un caso che la ricerca di OGM si sia sviluppata 
                  negli stati uniti e ciò non solo in ragione delle grandi 
                  compagnie chimiche e degli interessi globali di ampliamento 
                  dei mercati ma anche per rispondere ad un problema molto diffuso 
                  quale la desertificazione di suoli che dipende dal costante 
                  impoverimento prodotto da una cattiva utilizzazione.
 Ma questi erano e sono coloni e gli altri erano e sono selvaggi.
    osservazioni 
                  sulla contemporaneità 
  La distruzione dei beni comuni
 L’immagine è un grafico elaborato da G.G.Marten 
                  in “Ecologia umana. Sviluppo sociale e sistemi naturali”, 
                  Edizioni Ambiente, Milano 2002 (pag.156). In esso viene mostrata 
                  la relazione tra l’intensità della pesca e la quantità 
                  del pesce pescato.  Il problema che si nasconde dietro questo modello è 
                  che ciascun individuo ritiene di poter essere A2 ed in alcuni 
                  casi per alcuni periodi realmente qualcuno può trovarsi 
                  nella condizione di essere avvantaggiato rispetto agli altri. 
                  Ma questo implica, nella maggior parte dei casi, una continua 
                  ricerca a tecniche e modalità produttive e di prelievo 
                  che possano portare ad una situazione di vantaggio rispetto 
                  agli altri.  Il rischio che il desiderio di poter essere A2 divenga un elemento 
                  di alterazione/distruzione dei sistemi naturali è esponenzialmente 
                  maggiore quanto più la società locale è 
                  aperta ai mercati internazionali ed alle “opportunità” 
                  e consuetudini che li regolano. Sempre per rimanere nell’ambito della pesca, ma questo 
                  ragionamento può essere esteso a tutti i settori di prelievo 
                  e produttivi, la crescita della domanda di pescato è 
                  determinata da mercati che raramente sono locali. Ciò 
                  vuol dire che il pescatore non svolge una attività finalizzata 
                  alle sue necessità dirette o a quelle della comunità 
                  di appartenenza, e che contemporaneamente la comunità 
                  non ha più uno stretto legame con quelle risorse che 
                  non gestisce direttamente e non usa esclusivamente.
 È il mercato globale, quello che permette di mangiare 
                  il pesce fresco giapponese in Italia o il pesce dell’adriatico 
                  in Finlandia, che impone quantità e prezzi e quindi sottopone 
                  ad un continuo stress gli operatori all’inseguimento di 
                  tecniche che gli consentano di aumentare le quantità 
                  e di ridurre i costi.
 E questo avviene anche quando il 70% del pesce azzurro pescato 
                  in Italia diviene farina di pesce, anche quando il prelievo 
                  supera di gran lunga la capacità di rigenerarsi del sistema 
                  (si vedano le dimensioni sempre minori dei pesci e la riduzione 
                  delle specie).
  
                  
                    
                      | 
 La 
                          distruzione dei beni comuni: l'esempio della pesca
  
                          A. Tutti i pescatori usano un numero 
                          minore di reti per raggiungere la sostenibilità 
                          della pescaB. Tutti i pescatori usano un numero 
                          maggiore di reti: il pescato procapite è inferiore 
                          perché il sovrasfruttamento riduce il popolamento 
                          ittico
 A2. Un pescatore raddoppia le sue reti 
                          mentre tutti gli altri ne usano poche per una pesca 
                          sostenibile
 B1. Un pescatore usa poche reti mentre 
                          tutti gli altri ne usano molte, esercitando un sovrasfruttamento
 B2. Un pescatore usa il doppio delle 
                          reti rispetto agli altri pescatori che già stanno 
                          esercitando sovrasfruttamento
 |     Recessione
  In questi ultimi periodi più volte è stata nominata 
                  questa parola come richiamasse uno spettro impronunciabile. 
                  Recessione, ovvero riduzione o stallo continuo nel PIL. Ovvero 
                  non crescita del prodotto interno lordo, il valore complessivo 
                  della produzione di un paese escludendo il dato dei valori ambientali 
                  (ed umani) alterati, compromessi, distrutti per produrre.
 L’incubo di un modello economico che per stare bene (esso 
                  e non la popolazione che lo pratica) non può che crescere 
                  continuativamente.
 Un modello che già solo a descriverlo appare del tutto 
                  impraticabile in tempi lunghi. Come si può crescere sempre 
                  in un sistema (il pianeta) che è limitato nello spazio 
                  e nella quantità di risorse disponibili?
 Alla riduzione del PIL è connessa la riduzione della 
                  produzione. Ma come è possibile prevedere che si possa 
                  continuare a crescere nella produzione senza limiti, ed in particolare 
                  in un sistema economico come quello globale?
 In sintesi, il sistema economico globale è stato fondato 
                  sul fatto che i paesi ricchi (industrializzati e possessori 
                  di finanze) potessero liberamente vendere le proprie merci o 
                  acquisire attività in qualunque parte del mondo. In questi 
                  ultimi venti anni il modello si è articolato su tre importanti 
                  capisaldi: l’aver posto come valore universale di scambio 
                  non più l’oro ma il dollaro, il che, come è 
                  chiaro, pone alcuni paesi in grande vantaggio rispetto ad altri 
                  (l’oro lo possono avere in parecchi ma la fabbrica dei 
                  dollari ce l’ha uno solo); aver posto in essere delle 
                  regolamentazioni nazionali che hanno ridotto il peso delle comunità 
                  e hanno aumentato la capacità di movimento dei capitali 
                  e delle merci dei ricchi (e questo è avvenuto attraverso 
                  il sostegno a governi, movimenti, partiti amici del modello 
                  a livello locale); aver emarginato e poi destrutturato ogni 
                  tipo di economia locale che non fosse simile al modello.
 Questo modello è pensato in una sola direzione di scambio: 
                  dai ricchi verso i poveri, ed in tutti i paesi tranne uno tutte 
                  le regole che tendevano alla difesa del lavoro, dei prodotti 
                  locali sono state eliminate. Tranne uno, appunto, gli Stati 
                  uniti che conservano una legislazione a tutela delle proprie 
                  produzioni.
 Questo modello ha prodotto degli utili spaventosi per decine 
                  di anni ai paesi ricchi ma oggi il flusso delle merci si sta 
                  invertendo anche e proprio perché i produttori dei paesi 
                  ricchi vanno a produrre nei paesi poveri dove costa di meno. 
                  Costa di meno il lavoro, vi sono più risorse da sfruttare, 
                  più comunità da schiavizzare, meno normative da 
                  infrangere.
 Qual è allora il sistema per difendersi da questa degradazione 
                  del modello. I paesi ricchi tra i ricchi l’hanno già 
                  capito ed hanno attuato la nuova strategia: occupare militarmente 
                  i luoghi con le risorse, tenere sotto controllo i paesi politicamente 
                  in modo tale che entrino nel mercato globale danneggiando tutti 
                  tranne coloro i quali li sostengono militarmente ed economicamente.
 Così questo sistema non ha recessione: è colonialismo 
                  democratico (ovvero modelli democratici di sudditanza alla speculazione).
 E l’Italia? L’Italia è l’esempio tra 
                  i più tragicomici di questa vicenda. È, per quanto 
                  riguarda il PIL, tra i sette maggiori paesi del mondo e ha uno 
                  tra gli uomini più ricchi del mondo, che si è 
                  arricchito non producendo nulla ma facendo soldi sulla pubblicità 
                  e la “comunicazione”; tra i maggiori gruppi vi sono 
                  banche, aziende di telefonia (Telecom), di produzione energetica 
                  (Enel, Eni). La più grande azienda del paese è 
                  una banca (Banca intesa). Aziende dunque che fanno soldi sulle 
                  necessità degli altri, non producono benessere anzi taglieggiano 
                  il benessere degli altri.
 Le altre grandi aziende sono poche ed in crisi. Questo è 
                  grave ma potrebbe essere irrilevante se queste aziende non avessero 
                  eliminato ogni concorrenza acquisendo al loro interno ogni soggetto 
                  che produceva le stesse merci e costituendo enormi monopoli 
                  (tipico il caso della Fiat che ha acquisito nel tempo: Autobianchi, 
                  OM, Alfa romeo, Lancia, Ferrari, Maserati, Abarth, etc per le 
                  macchine, e per un certo periodo anche Piaggio, Gilera etc per 
                  le moto).
 Il settore alimentare (uno dei settori di primaria importanza 
                  e di maggiore fatturato: si mangia, seppur poco, anche quando 
                  si è in bolletta) è stato prima oggetto delle 
                  maggiori azioni di aggregazione e cessione da parte dello stato 
                  e poi, e non è un caso, quello dei maggiori fallimenti 
                  (Cirio, Parmalat), lasciando così spazio a ingressi di 
                  merci e di capitale di altre multinazionali.
 Il paese non produce quello che gli necessita con l’agricoltura, 
                  con la trasformazione agroalimentare, con l’industria 
                  e consuma molto di più di quanto le sue risorse ambientali 
                  consentano.
 Un paese che non solo ha un debito economico tra i primi nel 
                  mondo ma ha un debito verso l’ambiente e verso la sua 
                  società spaventoso.
 Ed allora, perché non pensare ad un modello diverso in 
                  cui alle grandi aziende (o alle piccole che fanno componenti 
                  per le grandi o selvaggiamente producono sull’onda di 
                  situazioni di favore come il ridotto costo di lavoro, gli immigrati, 
                  il non pagare le tasse, la mobilità e il disinteresse 
                  verso l’ambiente) si favorisce chi produce per reali necessità 
                  e non per il mercato, chi produce collegato al suo territorio, 
                  alle esigenze vere e per il benessere delle persone, chi produce 
                  in maniera corretta verso l’ambiente e la società, 
                  chi ricerca profitti equi (ovvero ridotti), chi ha attività 
                  stabili continuative nel tempo e non alteranti?
 E, in sintesi, perché non pensare ad un modello che non 
                  cresce in quanto è collegato ad esigenze effettive e 
                  non del mercato, che non cresce in quanto risponde alla domanda 
                  di benessere e non di profitto?
 
 
  Privatizzazione dei beni comuni tecnica e sviluppo
 La corsa alla privatizzazione dei beni comuni è stata 
                  interpretata come la colonizzazione di terre “selvagge”, 
                  fisicamente esterne al modello occidentale. Al termine di questo 
                  inglobamento la società occidentale ha iniziato ad operare 
                  al proprio interno anche in quelle piccole sacche di autonomia 
                  e di indivisibilità dei beni che nel passato avevano 
                  supportato la vita delle piccole comunità locali. In questo ha attuato una concentrazione di beni nelle mani di 
                  pochi di tali dimensioni che in passato non era mai stata riscontrata, 
                  una concentrazione che ha al suo fondamento la divisione e commercializzazione 
                  dei beni comuni che è stato il principale strumento di 
                  sviluppo economico degli ultimi decenni. Una razzia completa 
                  nei confronti di società diverse e degli ecosistemi.
 La nascita della privatizzazione delle risorse è attribuibile 
                  alla modificazione dei rapporti con l’ambiente naturale, 
                  e le tecnologie si modificano proprio in ragione di questo cambiamento. 
                  Sono tecniche che tendono ad aumentare la produttività 
                  delle risorse o a utilizzare al massimo le risorse stesse.
 Le tecniche divengono strumenti di disequilibrio finalizzate 
                  all’aumento del prodotti indipendentemente dalla produttività.
 Questo non accade ovunque e sempre alla stessa maniera: vi sono 
                  società che hanno mantenuto negli anni dei rapporti congrui 
                  con le risorse, o per un profondo senso di appartenenza alla 
                  natura o in ragione di una grande consapevolezza della produttività 
                  naturale dell’ecosistema nel quale erano insediate (e 
                  quindi piegavano le tecniche ai caratteri del sistema naturale 
                  tentando di utilizzare le risorse senza alterarle).
 Solo prescindendo dalla relazione delle tecniche con i sistemi 
                  naturali si può individuare un progressivo “sviluppo” 
                  della tecnica (uno sviluppo interno alla disciplina) che, non 
                  ponendosi limiti né obiettivi, continua ad evolversi 
                  ed innovarsi.
 Altro sono quelle società che misurano la tecnica con 
                  l’ambiente e che tendenzialmente non si “sviluppano” 
                  oltre un equilibrio con i sistemi naturali in cui vivono.
 “I popoli “primitivi” non vivono dunque (come 
                  è stato teorizzato da molti antropologi) in uno stato 
                  di sviluppo simile a quello dei popoli primordiali….Il. 
                  modello evolutivo basato su stadi di sviluppo che ci è 
                  sembrato tanto semplice applicare – età della pietra, 
                  del ferro, del bronzo è così via – è 
                  basato soltanto sulle tecnologie, e nella maggior parte dei 
                  casi è talmente rozzo da risultare errato” (Magli 
                  I., Saggio introduttivo in Onorate il grande spirito, 
                  Bompiani, Milano 1999.
 Il rapporto con la natura in molte popolazioni è strettissimo 
                  e diretto. Molti, tra i popoli nativi del Nord America o dell’Oceania, 
                  vivevano in totale simbiosi con la natura e ad essa riferivano 
                  la loro esistenza ed il giudizio delle loro azioni.
 I Cherokee ad esempio “immaginano che la maggior parte 
                  del male esistente sia il risultato di una disarmonia umana 
                  con la natura” (Witt S.H., Steiner S. (1992) Scritti 
                  e racconti degli indiani americani, Jaca Book, Milano) 
                  e rimandando ad una naturalità dei comportamenti si preoccupavano 
                  delle possibili aberrazioni dei singoli tanto che “nutrire 
                  sentimenti malvagi è indicato nella religione-stregoneria 
                  cherokee con il termine perifrastico di “pensare”” 
                  (ibidem).
 Ma al di là di queste sottomissioni sociali alla religione 
                  “la mente degli indiani si rivolgeva continuamente all’ambiente 
                  naturale con uno strettissimo senso di identificazione nella 
                  natura (Washburn W.G. (2000) Gli indiani d’America, 
                  Editori Riuniti, Roma).
 I caratteri propri della cultura delle popolazioni native del 
                  Pacifico si trovano nella Melanesia: “essa si basa su 
                  una cosmogonia dove l’uomo occupa un posto ma non preponderante. 
                  L’uomo ha il suo ruolo nel cosmo, si sforza di rispettarne 
                  l’armonia e l’equilibrio ma non lo domina. La competizione, 
                  nella società di una volta, non ha un carattere individualista 
                  perché non c’è opposizione tra me e gli 
                  altri” Il pensiero melanesiano non si basa sulla nozione 
                  di opposizione (bello-brutto, ricco-povero etc) ma su nozioni 
                  di complementarietà (uomo e natura, maschile e femminile, 
                  etc) e “questa complementarità si ritrova nell’habitat, 
                  nelle colture, nella società intera” R. Dousset-Leenhardt 
                  (1974) I canachi della Melanesia in R. Dousset-Leenhardt, 
                  La grande capanna, Jaca Book, Milano.
 Nelle coltivazioni si manifesta questa comunione tra uomo e 
                  natura: non si tratta di un asservimento ma di una rispettosa 
                  collaborazione.
 È evidente che le tecniche utilizzate non possono ignorare 
                  tale relazione e che esse non potessero non ispirarsi a tali 
                  sentimenti/ragionamenti.
  Adriano Paolella antiglo@mclink.it
 La prima puntata di questa rubrica, dedicata 
                  a “Energia e comunità”, 
                  è stata pubblicata sul n. 295 di “A” (dicembre 
                  2003-04). La seconda, dedicata a “Governi, 
                  comunità, mutamenti climatici”, è stata 
                  pubblicata nel n. 296 (febbraio 2004). La terza, “Deindustrializzarsi”, 
                  è stata pubblicata nel n. 298 (aprile 2004). La quarta 
                  puntata, “Fuori”, è 
                  stata pubblicata sul n. 301 (estate 2004). La quinta, Acqua 
                  e potere, si trova nel n. 303 (novembre 2004).  |