I primi a chiamarli 
                    “bulgari” furono i vecchi compagni di Imola, Spartaco 
                    e Cesare. Erano i primi anni ottanta e in un animato confronto 
                    su come comportarsi nell’ennesimo referendum, gli ortodossi 
                    imolesi dovettero riconoscere le ragioni dell’ortodossia 
                    reggiana. E da allora i compagni di Reggio Emilia sono, per 
                    antonomasia, i “bulgari” del movimento anarchico, 
                    i fedeli alla linea dell’anarchia. 
                    Mezza Reggio è passata per la loro sede. L’altra 
                    metà invece, transitando per via Don Minzoni, si è 
                    fatta il segno della croce. Perché, se considerati 
                    “fondamentalisti e bulgari” dai compagni, la loro 
                    presenza nella città del Crostolo è sempre stata 
                    tanto un felice momento di aggregazione delle spinte migliori 
                    provenienti dalla società locale, quanto un cuneo sovversivo 
                    e libertario conficcato nelle carni vive del soffocante cattocomunismo 
                    in salsa emiliana. 
                    Quattro gruppi federati tra loro e aderenti alla Federazione 
                    Anarchica Italiana, il Berneri e l’Archivio Libreria 
                    di Reggio, il Fabbri di Correggio, lo Zambonini della Montagna, 
                    tre sedi fra città e provincia, una quarantina di aderenti 
                    (o militanti, come si diceva una volta e come ancora si usa 
                    a Reggio), un centinaio dell’area libertaria, ma “sfederati” 
                    e quindi malvestiti, come annota con divertita ironia un noto 
                    libraio anarchico già operaio alle Reggiane. E poi 
                    le “individualità sparse”, tantissime, 
                    ma che avendo scelto di non fare parte di gruppi organizzati 
                    e federati, sono ridotte a rimanere entità meno “significative”, 
                    come vuole, del resto, la migliore tradizione bulgara. 
                    Un’attività ininterrotta negli anni, nelle scuole 
                    e nelle fabbriche, dove sempre sono stati numerosi gli anarchici 
                    e i libertari reggiani. Attivi nel sindacalismo di base e 
                    fra i promotori della rinascita dell’USI, presenti nella 
                    CUB come nelle strutture orizzontali del mondo del lavoro, 
                    legati ai valori dell’antifascismo, promotori di iniziative 
                    culturali (oggi soprattutto tramite l’Archivio Libreria) 
                    e di rivalutazione delle migliori esperienze del proletariato 
                    reggiano. E anche solidali, come testimonia la Cassa di Solidarietà, 
                    un organo federale in grado di portare aiuti economici in 
                    Bolivia, in Senegal, nella ex Yugoslavia e nel Chiapas e la 
                    squadra di calcio Spartaco 1905, partecipante ai campionati 
                    mondiali antirazzisti. E soprattutto appassionati difensori 
                    di quella libertà di pensiero e di espressione che 
                    nella loro città, a volte veramente “bulgara”, 
                    spesso ha faticato per trovare la propria strada. 
                    Ma loro, quella strada, l’hanno trovata e nessuno a 
                    Reggio può mettere in discussione o disconoscere l’arricchimento 
                    che gli anarchici organizzati nella FAI reggiana portano alla 
                    vita sociale e culturale di Reggio e provincia. 
                    Ortodossi, certamente, ma non settari né ottusi. 
                    Fermamente organizzati, fortemente federati, l’unico 
                    vero “dogma” a cui non intendono rinunciare resta 
                    quello della responsabilità individuale. E allora si 
                    motiva il loro sentirsi bulgaramente “custodi dell’ortodossia”. 
                    
                    Comunque sia, capaci di fare nascere eventi “straordinari”, 
                    quale è stato il convegno, conviviale e militante, 
                    di cui si parla in questo numero della Rivista. 
                    Capacità di ragionare, di stare insieme fraternamente, 
                    di socializzare il proprio sentire libertario, di dare “lezioni” 
                    di organizzazione. Come mi ha confidato un compagno a Massenzatico 
                    gli stessi DS, sconcertati, non la smettevano più di 
                    prendere appunti.