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                  Che passo dopo 
                  passo si schiarava 
                    
                  La storia e il presente di Mastro Gualtiero Bertelli 
                 
                Dopo troppi, veramente troppi, anni dassenza il piacere 
                  di una voce fraterna e indimenticabile, di una voce vera, di 
                  una voce che non è in vendita, ma che spesso regala il 
                  cuore che le sta dietro, è tornato a farci compagnia. 
                   
                  Puntata singolare della nostra rubrica questa: interrompiamo 
                  un attimo le consuete panoramiche sui grandi autori della canzone 
                  straniera e ci concentriamo su un autore straordinariamente 
                  interessante, uno dei pilastri di quella che, per pura pigrizia 
                  mentale, viene classificata come canzone politica italiana, 
                  ma che è grande canzone tout court.  
                  Questo musicista, dicevamo, non è né francese, 
                  né spagnolo, è, per sua stessa definizione, un 
                  mascalzone giudecchino, di umili origini che, per 
                  vivere, ha sempre contato su un lavoro vero e non 
                  sul canto (è stato per ventanni maestro elementare 
                  e oggi è formatore) forse per bisogno, forsanche 
                  per mantenersi libero di cantare ciò che vuole dove vuole. 
                  Non è nemmeno un compagno anarchico... suppongo che messo 
                  alle strette finirebbe per definirsi un comunista, con tutti 
                  i se e i ma che oggi bisogna anteporre 
                  e far seguire a questa definizione, anche se in altri anni fu 
                  in posizioni polemiche anche con la sua area di appartenenza, 
                  e tiene a ribadire, tuttoggi con forza, la sua indipendenza 
                  dai partiti politici... ma al di là di ogni definizione 
                  questuomo è un grande poeta popolare e umanissimo, 
                  ribelle e gentile.  
                  Gualtiero Bertelli, il cantore di Venezia proletaria e in lotta. 
                  Il cantore che ci raccontò che Venezia, cartolina 
                  dellamore per il mondo, sfondo di tanti film e canzoni 
                  melense, era anche un luogo in cui persino lamore era 
                  un lusso troppo caro per la maggior parte dei suoi stessi cittadini. 
                  Venezia delle acque alte, delle case minime, dei morti sul lavoro. 
                  Venezia che stava partorendo lorrore indicibile di Porto 
                  Marghera, oggi simbolo della grande onta di unItalia che 
                  si vorrebbe fondata sul lavoro e che ai suoi lavoratori invece 
                  toglie salute in vita e dignità in morte.  
                  Venezia stuprata dai mercanti e abbandonata dai suoi abitanti, 
                  oggi dispersi per i dedali di unimmensa periferia.  
                  Gualtiero Bertelli è anche il cantore che cambiò 
                  in qualche modo faccia alla canzone politica italiana proprio 
                  con quella sua canzone simbolo Nina ti te ricordi, 
                  canzone cantata da centinaia di gruppi e interpreti del canzoniere 
                  sociale e di lotta (io ricordo con affetto particolare gli Yu 
                  Kung, la superba Grazia De Marchi, Giovanna Marini, dalla cui 
                  immensa voce la sentii per la prima volta... fino ad arrivare 
                  al De Gregori di oggi, neo-interprete dei canti popolari), portò 
                  in maniera stupenda in primo piano il personale nel politico. 
                   
                  Nina era (ed è) una canzone di lotta proprio 
                  perché è una canzone damore: proprio perché 
                  lamore è impossibile in questa società, 
                  la lotta si rivela necessaria come il pane e il vino. Questo 
                  è la leva motrice della lirica di Gualtiero Bertelli, 
                  e per questo lui è forse il più sinceramente popolare 
                  degli autori politicizzati italiani: come lurlo lanciato 
                  da tante canzoni popolari dautore anonimo, lurlo 
                  contro la guerra di Gorizia o del Povero Luisin, 
                  o ancora la rabbia dei canti delle mondine e delle filandere, 
                  nasce da un bisogno fisico, da unimpossibilità 
                  di essere lasciati vivere la propria esistenza, che, solo in 
                  un secondo momento, si trasforma in esigenza etica e ideologica, 
                  così nelle canzoni di Bertelli è la vita stessa 
                  che spinge alla resistenza contro il potere.  
                  Quando diciamo che Bertelli introduce il tema emotivo/esistenziale 
                  nel canzoniere di lotta degli anni 60 e 70, e ne 
                  resta il massimo rappresentante, non intendiamo fare un torto 
                  al Fausto Amodei delle stupende Qualcosa da aspettare 
                  e Una cosa già detta, né al Della 
                  Mea di Mio dio Teresa tu sei bella o ancora allaltro 
                  grande veneziano Alberto DAmico, intendiamo solo dire 
                  che, a torto o a ragione, Nina ha bucato 
                  per prima, nel sentire comune, il plumbeo di certi noiosi canti 
                  dogmaticamente protestatari e ha aperto la porta principale 
                  che lega lespressione di una visione politica, anche radicale, 
                  non a un atto di risentimento, ma a un atto damore.  
                  Tutto il canzoniere di mastro Gualtiero Bertelli è 
                  un atto damore. Lamore espresso con lenorme 
                  facilità comunicativa che lo rende immediatamente familiare 
                  a ogni spettatore quandè sul palco, la carica umana 
                  straordinaria che gli consente di abbordare senza retorica passaggi 
                  totalmente intimistici (presenti in misura maggiore nei suoi 
                  ultimi due dischi, ma non del tutto assenti nemmeno nelle opere 
                  degli anni caldi) affianco a epiche celebrazioni 
                  della corsa per affermare la dignità umana.  
                  Uno dei vertici assoluti dellopera di Bertelli è, 
                  in questo senso, Stucky: la storia delloccupazione, 
                  della lotta e della capitolazione, nella difesa dallo smantellamento, 
                  del grande mulino di Venezia (per lappunto il mulino Stucky) 
                  e dei suoi posti di lavoro. Dramma personale e collettivo, dignità 
                  e forza, tenerezza e disperazione emergono da ogni verso di 
                  questo grande racconto, di questepopea umanissima, una 
                  delle più intense testimonianze della lirica impegnata 
                  di tutti i tempi.  
                  Latto damore che fa da motore, oltre che nei temi, 
                  trova espressione sovrana anche e soprattutto nella lingua di 
                  Bertelli: Bertelli scrive in Italiano e in dialetto veneziano, 
                  ma, seppur piacevoli, le canzoni in italiano non giungono mai 
                  alla semplice bellezza, alle invenzioni, alla plasticità, 
                  allintima commozione delle opere in veneziano.  
                  È una lingua bellissima quella di mastro Gualtiero, 
                  lontana anni luce dai leziosi settecentismi di maniera delle 
                  riduzioni goldoniane che i mezzi di comunicazione ci propinano 
                  senza scrupoli: è una lingua forte e aspra, dolce e radiosa 
                  quella di queste canzoni. È la lingua dellamore 
                  che ama e lotta. È la lingua di un popolo che, spodestato 
                  di ogni passata gloria di bellezza, ormai da troppo tempo allasta 
                  dei turisti e dei magnaccia che dei turisti gestiscono 
                  il flusso, si può riconoscere solo nella propria parlata, 
                  nelle tracce che la storia vi ha lasciato, nei detriti semantici 
                  di cui nessun libro di Storia sè occupato, ma che, 
                  incastonati nellopera di un grande e consapevole poeta 
                  popolare, diventano le gemme di un passato che si getta nel 
                  futuro.  
                  E dal passato al futuro, veniamo dunque al presente. Un nuovo 
                  disco, dicevamo, bellissimo, dopo ben quindici anni dassenza, 
                  testimonia alla grande un lavoro di scavo mai sospeso, scavo 
                  in se stesso e nei rapporti umani, che mastro Gualtiero, 
                  come un grande ebanista, come un artigiano fedele al proprio 
                  lavoro, in maniera indipendente dal volgere delle mode che vorrebbero 
                  certa canzone irrimediabilmente fuori tempo, prosegue, troppo 
                  spesso  ahinoi , in silenzio e solo per se stesso, 
                  anche in questi anni difficili e privi di certezze.  
                  Qualcosa però, per fortuna oggi è filtrato, ed 
                  è questo disco inciso dal vivo in sobrietà di 
                  mezzi (pianoforte, chitarra, qualche volta il tocco della fisarmonica), 
                  ma che brilla per lintensità parallela dei contenuti 
                  e della voce che li canta. Già, la voce: questa voce 
                  rauca, graffiata, aspra e dolce... un alveare che attraverso 
                  un tenero ronzio distilla il miele, questa voce profondamente 
                  vera, che sembra continuamente schiarirsi e ci rischiara, questa 
                  voce un po sorda allorecchio ma così musicale 
                  al cuore, rende questi versi, queste melodie, di per se così 
                  belle, assolutamente indispensabili a questi anni vigliacchi. 
                  È proprio la convinzione che cè in fondo 
                  a questa voce uno degli ingredienti di tutta questa bellezza. 
                   
                  Il disco è tutto molto significativo, con la consueta 
                  superiorità delle canzoni in dialetto rispetto a quelle 
                  in lingua, e i pezzi memorabili sono molti, ma io trovo particolarmente 
                  di mio gusto Spetar e Nina no te vedevo; 
                  la prima è una stupenda poesia che narra il sentimento 
                  delluomo che si sofferma un istante a riflettere sullo 
                  scorrere del tempo senza rimpiangerlo e senza smettere di esserne 
                  trasportati, con versi bellissimi, soprattutto quando si descrive 
                  in pochi tratti unallegoria delle età delluomo 
                  che sembra uscita direttamente dalla penna di un poeta del rinascimento 
                  francese quale Ronsard o Luise Labbé.  
                  Nina no te vedevo è invece un immaginario 
                  sequel di Nina ti te ricordi, e rappresenta 
                  la straziante difficoltà di mantenersi puri attraverso 
                  i colpi bassi che ci riserva il destino, che, spesso celato 
                  nelle fattezze di una normalità senza scampo, ci avvelena 
                  in silenzio e con pazienza, minando nel corso degli anni passioni 
                  e slanci, ribellioni e desideri, per farci giungere già 
                  sostanzialmente morti alla nostra ultima ora.  
                  Così non può e non deve essere, soprattutto quando 
                  questa voce fraterna ci ribadisce la necessità di cieli 
                  più chiari, di trovare nei vecchi suoni ragioni di una 
                  luce che continui a rinnovarsi dentro di noi.  
                  
                  Alessio Lega 
                  amoreanarchia@tiscalinet.it 
                  
                Gualtiero 
                  Bertelli 
                
                  
                     Spetar 
                      
Ti 
                        va, e nel to ndar lassime solo  
                        In compagnia de acordi che sorprende  
                        Un ragionar stranìo e anca più raro  
                        Che caro ogni cantar ancuo me rende.  
                      Ti 
                        va e nel to ndar no sta spetarme  
                        La vita ne disegna strade nove  
                        e su ste strade se pol rampegarse  
                        nei zorni chel sol brusa o quando piove.  
                      Lasarse, 
                        ritrovarse e po spetarse  
                        o incontrarse sensa che se speta  
                        opur sercarse par no incontrarse  
                        e rivederse co lamor se chieta.  
                      Da 
                        fioi se impara presto a ritrovarse  
                        Xe un caminar de corsa, donà al caso.  
                        Da zovani se sogna de incontrarse  
                        e tuto sto sognar diventa un baso.  
                      Da 
                        omeni se vive par lasarse  
                        Par vogia, par forsa o par afano.  
                        Da veci se spera de spetarse  
                        e rivederse tuti entro lano.  
                      Lasarse, 
                        ritrovarse e po spetarse  
                        o incontrarse sensa che se speta  
                        opur sercarse par no incontrarse  
                        e rivederse co lamor se chieta.  
                        Ti va, che nel to ndar no resto solo  
                        Me porto dentro acordi novi e cari  
                        e toni che no sona soni rari  
                        e soni che me sona dentro ciari.  
                         
                      28/9/93 
                         
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                       Aspettare 
                         
                         
                      Vai, 
                        e nel tuo andare lasciami solo  
                        in compagnia di accordi che sorprendono  
                        un ragionare stranito e anche più raro  
                        che caro ogni cantare oggi mi rende.  
                      Vai 
                        e nel tuo andare non aspettarmi  
                        la vita ci disegna strade nuove  
                        e su queste strade ci si può arrampicare  
                        nei giorni in cui il sole brucia o quando piove.  
                      Lasciarsi, 
                        ritrovarsi e poi aspettarsi  
                        o incontrarsi senza che si attenda  
                        oppure cercarsi per non incontrarsi  
                        e rivedersi quando lamore si acquieta.  
                      Da 
                        bambini si impara presto a ritrovarsi  
                        è un camminare di corsa, donato al caso.  
                        Da giovani si sogna di incontrarsi  
                        e tutto questo sognare diventa un bacio.  
                      Da 
                        adulti si vive per lasciarsi  
                        per voglia, per forza o per affanno.  
                        Da vecchi si spera di aspettarsi  
                        e rivedersi tutti entro lanno.  
                      Lasciarsi, 
                        ritrovarsi e poi aspettarsi  
                        o incontrarsi senza che si attenda  
                        oppure cercarsi per non incontrarsi  
                        e rivedersi quando lamore si acquieta.  
                      Vai, 
                        che nel tuo andare non resto solo  
                        mi porto dentro accordi nuovi e cari  
                        e toni che non suonano suoni rari  
                        e suoni che mi suonano dentro chiari. 
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                Gualtiero 
                  Bertelli 
                
                  
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                       Stucky 
                         
                      Stucky 
                        xe un palazon  
                        in fondo a la Giudeca  
                        co i muri a picolon  
                        che par che nol resista  
                        vardandolo cussì  
                        te fa da maravegia  
                        chel possa esser sta  
                        el pan de na famegia  
                      El 
                        ga dà da lavorar  
                        a tanta e tanta zente  
                        che se ga consumà  
                        e no xe restà niente:  
                        na rabia che te sèra  
                        la gola co ti ricordi  
                        speranse e paure  
                        in sti bruti momenti.  
                      Quando 
                        che i lo ga fato  
                        un sogno na speransa  
                        barconi che rivava  
                        co l gran de labondansa  
                        lavoro, tanto lavoro  
                        la paga xe al sicuro  
                        te màsena sto mulin  
                        na farina che xe oro.  
                      Un 
                        oro mal goduo  
                        dentro a sti casarmoni  
                        col gran spacà ne laria  
                        che entra nei polmoni  
                        bianchi semo restai  
                        più bianchi de la farina  
                        quando che i te ga dito  
                        la fine xe vissina.  
                      no 
                        ti volevi creder  
                        né ti, né tutii staltri  
                        dentro ve se serai  
                        sperando in tuti i santi  
                        più de sinquanta giorni  
                        vegno matina e sera  
                        te porto da cambiar  
                        e laria de la to famegia.  
                      Po 
                        un giorno quei barconi  
                        fermi e intristii  
                        sà impegnio da novo  
                        in aqua i xe tornai  
                        ma sora no ghe gera  
                        i sachi de farina  
                        ma tuti i operai  
                        ognun co la so famegia.  
                      E 
                        tanta tanta zente  
                        da la riva ne sigava  
                        Coragio fioi ste duri  
                        xe vostra la vitoria  
                        Speranse ancora e dopo  
                        a uno, a uno tuti  
                        se ga trovà un lavoro  
                        e i ga serà sto Stucky.  
                      Adesso 
                        tuti i giorni  
                        ti va fin a Marghera  
                        ti te ga abituà  
                        ma la xe stada dura  
                        e duro anca par mi  
                        vederte sempre manco  
                        averte qua vissin  
                        sempre più stanco.  
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                       Stucky 
                      Stucky 
                        è un palazzone  
                        in fondo alla Giudecca  
                        coi muri a brandelli  
                        che paiono venir giù  
                        vedendolo così conciato  
                        ti può far meraviglia  
                        che abbia dato pane  
                        a una famiglia.  
                      Ha 
                        dato lavoro  
                        a tanta e tanta gente  
                        che ci si è consumata  
                        e non ne resta niente:  
                        una rabbia che ti stringe  
                        la gola coi ricordi  
                        speranze e paure  
                        in sti brutti momenti.  
                      Quando 
                        avevo fatto  
                        un sogno una speranza  
                        barconi che arrivavano  
                        col grano dellabbondanza  
                        lavoro, tanto lavoro  
                        la paga è al sicuro  
                        col mulino che macina  
                        una farina che è oro.  
                      Un 
                        oro mal goduto  
                        dentro queste baracche  
                        col grano spezzato in aria  
                        che entra nei polmoni.  
                        Rimanemmo bianchi  
                        più bianchi della farina  
                        quando ci hanno detto  
                        la fine è vicina  
                      non 
                        ci potevi credere  
                        ne tu, ne tutti gli altri  
                        vi barricaste dentro  
                        sperando in tutti i santi  
                        per più di cinquanta giorni  
                        venivo mattina e sera  
                        per portarti un ricambio  
                        con laria della tua famiglia.  
                      Poi 
                        un giorno quei barconi  
                        fermi e tristi  
                        si riempirono di nuovo  
                        e tornarono in acqua  
                        ma sopra non cerano  
                        i sacchi di farina  
                        ma tutti gli operai  
                        ciascuno con la famiglia.  
                      E 
                        tanta, tanta gente  
                        dalla riva che urlava  
                        Coraggio ragazzi, tenete duro  
                        la vittoria sarà vostra  
                        Ancora speranze e dopo  
                        a uno a uno tutti  
                        trovarono un lavoro  
                        così chiusero Stucky.  
                      Ora 
                        tutti i giorni  
                        te ne vai a Marghera  
                        ti ci sei abituato  
                        però è stata dura  
                        e duro anche per me  
                        vederti sempre meno  
                        e averti qui affianco  
                        sempre più stanco.  
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