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                insuscettibili 
                  di ravvedimento  
                 
                Lopposizione degli anarchici al fascismo è 
                  stata istintiva e immediata fin dal primo manifestarsi dei fasci 
                  di combattimento. La controversa esperienza degli Arditi del 
                  Popolo. Il confino, le carceri, lesilio, la partecipazione 
                  alla rivoluzione spagnola del 36, la Resistenza armata 
                  contro i nazifascisti: queste le tappe principali dellimpegno 
                  antifascista libertario. I rapporti con le altre componenti 
                  dellantifascismo organizzato.  
                Nel 20 gli anarchici in Italia erano una forza rivoluzionaria 
                  con cui si dovevano fare i conti, una forza con cui dovevano 
                  fare i conti padroni, governo e fascisti. Essi avevano un quotidiano, 
                  Umanità Nova, che tirava cinquantamila copie 
                  e numerosi periodici. LUSI, il sindacato rivoluzionario 
                  influenzato dagli anarchici (segretario ne era lanarchico 
                  Armando Borghi), contava centinaia di migliaia di iscritti. 
                   
                  Dopo il fallimento delloccupazione delle fabbriche, gli 
                  anarchici, riconoscendo nel fascismo la controrivoluzione 
                  preventiva (come la definì bene Luigi Fabbri) con 
                  cui i padroni avrebbero cercato di impedire il ripetersi di 
                  una situazione prerivoluzionaria, gettarono tutte le loro energie 
                  nella mischia contro il giovane ma già robusto figlio 
                  del capitalismo. La volontà ed il coraggio degli anarchici 
                  non poteva però bastare di fronte allo squadrismo, potentemente 
                  dotato di mezzi e di armi e spalleggiato dagli organi repressivi 
                  dello stato. Tanto più che anarchici ed anarcosindacalisti 
                  erano presenti in modo determinante solo in alcune località 
                  ed in alcuni settori produttivi.  
                politica disfattista  
                 
                Purtroppo la politica disfattista del Partito Socialista e 
                  della CGL che già aveva ostacolato lo sviluppo rivoluzionario 
                  e dunque contribuito al fallimento delloccupazione delle 
                  fabbriche, seminò confusione ed incertezza nel movimento 
                  operaio in un momento che già era per molti aspetti di 
                  riflusso delle lotte. E questo proprio di fronte al moltiplicarsi 
                  ed aggravarsi delle violenze fasciste, soprattutto dopo il 21. 
                   
                  Ovunque in Italia le squadracce di Mussolini assaltavano le 
                  sedi politiche, le redazioni, i militanti più attivi, 
                  tutto quanto puzzasse di sovversivo. 
                  Lo stato liberale fu diretto complice sia delle attività 
                  criminali sia dellintera strategia politica del fascismo 
                  nella comune lotta contro la combattività dei lavoratori. 
                   
                  Pur essendo essi stessi vittime delle violenze squadriste, i 
                  socialisti si limitarono a denunciare le illegalità 
                  fasciste, senza dedicare tutte le loro energie alla lotta popolare 
                  rivoluzionaria contro il terrorismo padronale. Non solo, ma 
                  il PSI giunse al punto di stipulare con i fascisti un Patto 
                  di Pacificazione (agosto 1921) che contribuì a disarmare 
                  il movimento operaio sia psicologicamente sia materialmente, 
                  nel momento stesso in cui si intensificavano le violenze squadriste 
                  (che continuarono a crescere... in barba al patto!).  
                  Quello che ci interessa sottolineare è che, mentre i 
                  vertici politici e sindacali invitavano alla calma 
                  e alla non violenza, furono gli stessi lavoratori, organizzatisi 
                  autonomamente, a dare alcune storiche lezioni ai fascisti. Le 
                  insurrezioni di Sarzana (luglio 21) e di Parma (agosto 
                  22) sono due esempi della validità della linea 
                  politica sostenuta dagli anarchici, allora, sulla stampa e nelle 
                  lotte: contro il disfattismo delle burocrazie politico-sindacali, 
                  gli anarchici sostenevano infatti lurgente necessità 
                  di battere con la lotta il movimento fascista, stimolando la 
                  combattività dei lavoratori. Coerentemente con questo 
                  programma gli anarchici si batterono sino in fondo senza quei 
                  tentennamenti e quella ricerca di compromessi che caratterizzarono 
                  lattività dei socialisti. Significativa al riguardo 
                  la differente posizione assunta da socialisti e comunisti da 
                  una parte ed anarchici dallaltra, di fronte al movimento 
                  degli Arditi del Popolo.  
                  
                gli arditi del popolo  
                 
                Questo movimento, sorto nel 1920 per iniziativa di elementi 
                  eterogenei, si sviluppò rapidamente assumendo caratteristiche 
                  marcatamente antifasciste ed antiborghesi, e fu caratterizzato 
                  da un marcato decentramento autonomo delle organizzazioni locali. 
                  Gli Arditi del Popolo assunsero quindi colorazioni politiche 
                  talvolta differenti da un posto allaltro, ma sempre li 
                  accomunò la coscienza della necessità di organizzare 
                  il popolo per resistere violentemente alla violenza delle camicie 
                  nere. Gli anarchici aderirono entusiasticamente alle formazioni 
                  degli Arditi e spesso ne furono i promotori individualmente 
                  o collettivamente; per restare ai due episodi già accennati 
                  basti pensare che in maggioranza anarchici furono i difensori 
                  di Sarzana e che a Parma, fra le famose barricate erette per 
                  resistere agli assalti delle squadracce di Balbo e Farinacci, 
                  ve nera una tenuta dagli anarchici.  
                  Completamente diverso fu latteggiamento sia dei socialisti 
                  sia dei comunisti (questi ultimi costituitisi in partito nel 
                  gennaio 1921). Nonostante la vasta e spontanea adesione di molti 
                  loro militanti agli Arditi del Popolo, entrambe le burocrazie 
                  partitiche presero le distanze e cercarono di sabotare lo sviluppo 
                  di quel movimento. Gli organi centrali del neonato PCdI 
                  giunsero al punto di imporre ai propri iscritti di evitare qualsiasi 
                  contatto con gli Arditi, contro i quali fu imbastita anche una 
                  campagna di stampa a base di falsità e di calunnie. Intervistato 
                  negli anni settanta alla televisione il comunista Umberto Terracini 
                  cercava ancora di giustificare quella scelta politica. E ancora 
                  oggi noi, come già ottantanni fa i nostri compagni, 
                  vediamo proprio in quella scelta un esempio tipico della volontà 
                  comunista di subordinare la lotta antifascista alla coincidenza 
                  con le proprie mire di egemonia sul movimento operaio. È 
                  evidente che questa dura critica alla politica dei vertici dei 
                  partiti di sinistra di fronte alle violenze fasciste non coinvolge 
                  i militanti di base, che  anche se su posizioni da noi 
                  molto differenti  dettero il loro contributo di lotta 
                  e di sangue alla lotta contro il fascismo.  
                  Il disfattismo socialista ed il settarismo comunista resero 
                  impossibile una opposizione armata generalizzata e perciò 
                  efficace al fascismo ed i singoli episodi di resistenza popolare 
                  non poterono unificarsi in una strategia vincente.  
                il confino e lesilio  
                 
                Gli anarchici che, in prima fila nella resistenza al fascismo, 
                  si erano esposti generosamente senza calcoli personali o di 
                  partito, subirono più duramente degli altri antifascisti 
                  (in proporzione alle forze) le violenze squadriste prima e quelle 
                  legali poi. Allincendio delle sedi anarchiche e delle 
                  sezioni USI, alle devastazioni di tipografie e redazioni, agli 
                  ammazzamenti, seguirono i sequestri, gli arresti, il confino... 
                  Ai superstiti, perseguitati, disoccupati, provocati, spiati, 
                  non restava che la via dellesilio. Si può dire 
                  che nel ventennio fascista ben pochi militanti anarchici (esclusi 
                  gli incarcerati ed i confinati) rimasero in Italia e quei pochi 
                  guardati a vista ed impossibilitati per lo più anche 
                  a svolgere attività clandestina.  
                  Continuano singoli episodi di ribellione a testimoniare, nonostante 
                  tutto, lindomabilità dello spirito libertario. 
                  Bastano alcuni esempi.  
                  Il 21 ottobre 1928, lanarchico Pasquale Bulzamini, a Viareggio, 
                  mentre rincasa, viene aggredito da un gruppo di fascisti e ferocemente 
                  bastonato. In un caffè, aveva poco prima, deplorato la 
                  fucilazione dellantifascista Della Maggiora. Muore tre 
                  giorni dopo, allospedale.  
                  Il 7 ottobre 1930, il compagno Giovanni Covolcoli spara contro 
                  il Podestà e il segretario del suo paese  Villasanta 
                  (Milano)  che lo hanno a lungo perseguitato fino a farlo 
                  internare nel manicomio. Riconosciuto sano di mente e rilasciato 
                  in libertà, ha voluto vendicarsi contro i suoi tenaci 
                  persecutori.  
                  Nellaprile del 1931, a La Spezia, il giovane anarchico 
                  Doro Raspolini spara alcuni colpi di rivoltella contro lindustriale 
                  fascista De Biasi per vendicarsi contro uno dei maggiori responsabili 
                  dellassassinio di suo padre, Dante, attivo anarchico, 
                  massacrato nel 1921 a Sarzana colpito da innumerevoli revolverate 
                  e da 12 colpi di pugnale e quindi  legato ancor prima 
                  che morisse ad unautomobile  così trascinato 
                  per diversi chilometri). Doro Raspolini muore nelle carceri 
                  di Sarzana in conseguenza delle sofferenze e torture inflittegli 
                  dai fascisti.  
                  Il 16 aprile 1931, i compagni Schicchi, Renda e Gramignano vengono 
                  condannati dal Tribunale Speciale, a Roma, rispettivamente ad 
                  anni 10, 8 e 6 di reclusione. Erano imputati di essere rientrati 
                  dallestero per svolgere attività contro il fascismo. 
                 
                  
                 
                la Resistenza  
                 
                Il 43 vede dunque gli anarchici della generazione 
                  prefascista sparsi tra esilio, confino e galere. Poche tracce 
                  sono rimaste dellinfluenza anarchica ed anarcosindacalista. 
                  I pochi militanti liberi dapprima e gli ex confinati poi riprendono 
                  con immutato vigore i loro posti di combattimento, chi nella 
                  lotta armata, chi nellorganizzazione della resistenza 
                  operaia, chi nella propaganda clandestina al nord e semiclandestina 
                  al sud nelle zone liberate (si fa per dire), dove 
                  gli alleati non concedono la libertà di stampa agli anarchici, 
                  preoccupati (giustamente dal loro punto di vista) che la lotta 
                  antitedesca ed antifascista potesse diventare rivoluzione sociale. 
                   
                  Per quanto riguarda la partecipazione degli anarchici alla lotta 
                  armata partigiana, essa avvenne per lo più allinterno 
                  di formazioni politicamente miste. Solo in quelle poche località 
                  in cui la presenza di anarchici e simpatizzanti era nonostante 
                  tutto sufficientemente numerosa, i compagni organizzarono formazioni 
                  proprie, inquadrate però anchesse, spesso a seconda 
                  della situazione locale, nelle divisioni Garibaldi (controllate 
                  dai comunisti) Matteotti (socialiste) e Giustizia e Libertà 
                  (espressione dei liberalsocialisti del Partito dAzione). 
                   
                  La mancata autonomia (che quasi sempre, dati i rapporti di forza, 
                  significò dipendenza) dalle formazioni partigiane partitiche 
                  fu dovuta non solo alla quasi generale esiguità numerica 
                  del superstite movimento anarchico, ma anche al fatto che gli 
                  alleati si rifiutavano (sempre giustamente, dal loro punto di 
                  vista) di rifornire di armi e munizioni le formazioni anarchiche. 
                   
                  In questo contesto il valore e spesso lestremo sacrificio 
                  di tanti anarchici furono sfruttati da altre forze politiche 
                  e poterono così servire ben poco alla radicalizzazione 
                  rivoluzionaria del movimento partigiano. Scarsa risultò 
                  in definitiva linfluenza politica anarchica nella Resistenza, 
                  che venne incanalata dai partiti antifascisti (dai liberali 
                  ai comunisti) verso quella restaurazione democratica borghese 
                  che è ancora oggi sotto i nostri occhi.  
                 
                Paolo Finzi  
                
                
                
                  
                i cavalieri erranti 
                   
                 
                Abituati allesilio, gli anarchici di lingua 
                  italiana vissero numerosissimi una vera e propria diaspora, 
                  durante il nero ventennio. I più si rifugiarono in Francia, 
                  ma anche in USA, Svizzera, Belgio, Inghilterra, ecc.  
                  La tragica sorte di quanti cercarono rifugio nella Russia dei 
                  soviet e si ritrovarono perseguitati dal regime comunista. 
                   
                 
                Primissimo pensiero degli anarchici nellesilio fu la 
                  stampa per continuare anche dallestero gli attacchi al 
                  regime fascista.  
                  Il 1° maggio del 23 esce a Parigi La voce del 
                  profugo, ed il 3 giugno il quindicinale Il profugo. 
                   
                  Cominciarono intanto le provocazioni criminali dei fascisti: 
                  il 3 settembre sempre a Parigi il giovane anarchico Mario Castagna 
                  viene aggredito da una banda di fascisti e nella colluttazione 
                  contro i suoi aggressori ne uccide uno.  
                  Pochi mesi dopo, il 20 febbraio 1924, il giovane anarchico Ernesto 
                  Bonomini uccide, in un ristorante di Parigi, con alcuni colpi 
                  di rivoltella, il gerarca fascista Nicola Bonservizi, segretario 
                  dei fasci allestero, corrispondente del Popolo dItalia 
                  e redattore del giornale fascista di Parigi LItalie 
                  Nouvelle. Il nostro compagno dichiarerà di aver 
                  voluto protestare contro i delitti impuniti dei fascisti e dei 
                  loro complici. Verrà condannato ad otto anni di galera. 
                  Un altro giornale vedrà la luce il primo maggio, sempre 
                  a Parigi, a cura di compagni italiani: LIconoclasta; 
                  inoltre sempre in quellanno alcuni anarchici danno vita 
                  ad un giornale clandestino intitolato Compagno, ascolta! 
                  dove vengono date indicazioni per una lotta energica e spietata, 
                  nelleventualità di una insurrezione in Italia. 
                   
                  Dopo pochi giorni dal delitto Matteotti si costituisce a Parigi 
                  un comitato animato dagli anarchici e che darà vita in 
                  seguito ad un altro giornale dal titolo Campane a stormo, 
                  la cui redazione verrà affidata al compagno Alberto Meschi. 
                  Per il delitto Matteotti gli anarchici italiani in Francia danno 
                  inizio anche ad una campagna nazionale generale che culmina 
                  nella distribuzione di migliaia e migliaia di volantini in cui 
                  venivano denunciati i crimini dei fasci (luglio 1924).  
                  Durante lanno 1925 gli anarchici italiani continuano la 
                  loro attività antifascista, mentre prosegue la pubblicazione 
                  di giornali e riviste; basterà qui ricordare La 
                  tempra e Il monito.  
                  In questi anni le persecuzioni, le privazioni di ogni genere, 
                  le più vili angherie nei confronti degli anarchici continuano 
                  da parte di agenti fascisti in Francia.  
                  Comunque essi non piegarono. Proprio in quei giorni (11 ottobre 
                  1927) Luigi Fabbri, insegnante, dopo essersi rifiutato di prestare 
                  giuramento al fascismo ed essere riuscito a rifugiarsi in Francia, 
                  pubblica a Parigi, con Berneri e Gobbi, il giornale Lotta 
                  umana.  
                  
                via individuale  
                 
                Continuano intanto le persecuzioni e gli arresti e le espulsioni. 
                  Nel marzo del 1928 a Parigi viene arrestato il compagno Pietro 
                  Bruzzi; altri due compagni, Carlotti e Centrone (che morirà 
                  valorosamente in Spagna) vengono prima arrestati e dopo espulsi. 
                   
                  La risposta il più delle volte è opera di coraggiosi 
                  militanti che agiscono sempre in via individuale. Il 22 agosto 
                  a Saint Raphael (Francia) il console, noto fascista, marchese 
                  Di Mauro viene fatto segno di un attentato. Pochi mesi dopo 
                  novembre, il giovane anarchico Angelo Bartolomei, con un colpo 
                  di rivoltella, uccide il prete fascista don Cesare Cavaradossi. 
                  Questi, vice console, gli aveva proposto, per evitare lespulsione 
                  dalla Francia, di tradire i compagni e di diventare suo confidente. 
                  Il Bartolomei riesce a fuggire da Nancy e a rifugiarsi in Belgio, 
                  dove però verrà arrestato nel gennaio del 1929. 
                   
                  Anche in altri paesi gli anarchici italiani continuano a subire 
                  persecuzioni ed arresti per la loro attività antifascista. 
                  Nel luglio del 1928 in Belgio lanarchico Gasperini ricorre 
                  allo sciopero della fame per ribellarsi allestradizione 
                  chiesta dal governo italiano (aveva ferito, assieme ad altri 
                  compagni, alcuni fascisti nel 1921). Il governo belga concederà 
                  invece lestradizione del compagno Carlo Locati.  
                  Lespulsione è una sorte che colpirà moltissimi 
                  compagni. Infatti pochi mesi dopo, il 13 agosto, a Liegi, il 
                  compagno Gigi Damiani viene prima arrestato e poi espulso (Tunisia). 
                  A questa ondata di persecuzioni che vede gli anarchici italiani 
                  colpiti sempre in prima fila, il movimento cerca di rispondere 
                  come può.  
                  Ormai, però, diventa difficile anche la pura sopravvivenza, 
                  per le continue espulsioni che colpiscono chiunque faccia una 
                  energica attività antifascista: nel gennaio del 29 
                  i compagni Gobbi, Berneri, Fabbri e Fedeli, in seguito alle 
                  forti pressioni del governo italiano, vengono arrestati a Parigi 
                  e condotti alla frontiera con il Belgio. È questo linizio 
                  della odissea di Berneri e di tanti altri compagni. Arrestati 
                  in una parte ed espulsi, non resta che cambiar nome e attività, 
                  attraverso la Francia, il Belgio, il Lussemburgo, la Svizzera, 
                  sempre braccati e senza posa.  
                  Nel settembre del 1929 a Saarbrucken (Germania) il giovane anarchico 
                  Enrico Manzoli (Morano), aggredito da un gruppo di fascisti 
                  appartenenti ai caschi di acciaio, si difende e 
                  ne uccide uno. Altri anarchici, però, cadranno sotto 
                  i colpi dei fascisti: nel gennaio del 1930, a Nizza, è 
                  ucciso da un ex carabiniere il compagno Vittorio Diana, a causa 
                  del suo intransigente atteggiamento in occasione delle manifestazioni 
                  fasciste per linaugurazione di un gagliardetto. Pochi 
                  mesi prima era morto in seguito ai patimenti e privazioni, presso 
                  Parigi, il giovane anarchico Malaspina, braccato senza posa 
                  dalle polizie di vari paesi. Era stato imputato di aver lanciato 
                  una bomba contro la Casa del fascio di Juan-les-pins. Assolto 
                  per insufficienza di prove, era stato in prigione e più 
                  volte torturato.  
                  Il 1929 vede gli anarchici ancora in prima fila nella lotta 
                  al fascismo, anche se tale lotta è affidata, data la 
                  scarsità pressoché totale di mezzi, alla sola 
                  volontà e al solo coraggio. Nel giugno del 1929 i compagni 
                  raccolti attorno alla redazione della rivista Lotta Anarchica, 
                  fanno arrivare in Italia, clandestinamente, un giornale di piccolo 
                  formato e stampato su carta velina.  
                  Si tenta anche di passare allazione: nellagosto 
                  dello stesso anno lanarchico Paolo Schicchi (compie in 
                  quellanno 65 anni!) si imbarca dalla Francia e poi in 
                  Tunisia per la Sicilia, dove vuole suscitare con il proprio 
                  esempio un movimento di ribellione contro il fascismo; ma al 
                  suo arrivo a Palermo viene immediatamente arrestato assieme 
                  al compagno Gramignano. Vennero condannati rispettivamente a 
                  10 e a 6 anni di galera. Il compagno Renda, anchegli partecipante 
                  allimpresa, venne condannato a 8 anni.  
                  Nel gennaio del 1931 a Parigi si tiene un convegno di anarchici 
                  per intensificare la lotta clandestina in Italia, lotta che 
                  porterà molti compagni ad essere arrestati e deportati 
                  al confino. Questo non impedì di continuare a spedire 
                  materiale in Italia portato da vari compagni. Gli anarchici 
                  comunque in quegli anni collaborarono anche con altre formazioni 
                  antifasciste, soprattutto con Giustizia e Libertà, senza 
                  interrompere la serie di continue azioni individuali.  
                  Anche in America gli anarchici svilupparono una forte attività 
                  antifascista. Già il 16 giugno del 23 il governo 
                  fascista premeva su quello americano per far chiudere il foglio 
                  anarchico lAdunata dei Refrattari. La risposta 
                  degli anarchici non si fece attendere: il 24 novembre scoppia 
                  una bomba al consolato italiano mandandolo completamente in 
                  rovina. Tutto lanno 1924 segna una serie continua di manifestazioni 
                  antifasciste organizzate ed animate dagli anarchici. A Cuba, 
                  per esempio, gli anarchici organizzarono uno sciopero generale 
                  in occasione dellarrivo di una nave italiana (27 settembre 
                  1924).  
                  Non si contano le provocazioni fasciste di quegli anni, sebbene 
                  il più delle volte i fascisti ricevano delle lezioni 
                  durissime, come nel caso di una provocazione fascista ad un 
                  comizio anarchico (16 agosto 1925) a New York. Certo gli anarchici, 
                  sebbene pochi e sempre perseguitati e soprattutto senza nessun 
                  appoggio esterno, furono in quegli anni una spina non indifferente 
                  per il governo americano. Non passava giorno che alle provocazioni 
                  fasciste, appoggiate e protette, certe volte dalle autorità 
                  americane, gli anarchici non rispondessero per le rime. Il 26 
                  e il 27 sono due anni infuocati per il movimento anarchico 
                  negli Stati Uniti. Infatti, in quegli anni, alla protesta contro 
                  i fascismo, si assomma la protesta contro la criminale condanna 
                  a morte di Sacco e Vanzetti.  
                  È praticamente impossibile enumerare qui tutte le manifestazioni, 
                  gli attentati, e gli scontri sia contro le autorità americane 
                  che contro i fascisti. Son gli anni in cui gli anarchici venivano 
                  presi molte volte a pistolettate sulla pubblica via, sia da 
                  poliziotti americani che da agenti fascisti.  
                  Anche negli anni seguenti, fino al 36, continuarono da 
                  parte degli anarchici manifestazioni e attività antifasciste 
                  che culminarono in arresti e deportazioni in Italia. Molti compagni, 
                  come Armando Borghi, vissero lunghi anni clandestinamente, a 
                  causa di tali persecuzioni. Altri, sfuggiti miracolosamente 
                  a tante peripezie, morirono valorosamente in Spagna, o fatti 
                  prigionieri, vennero poi deportati in Italia.  
                  
                
                  
                 
                  coatti e baldi  
                 
                Nelle varie isole di confino gli anarchici costituirono 
                  una vivace comunità, secondi per numero solo ai comunisti. 
                   
                 
                L8 novembre 1926 fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 
                  il decreto che istituiva il Tribunale Speciale per la 
                  difesa dello Stato e le Commssioni provinciali per 
                  lassegnazione al Confino di Polizia. Ma fin da prima 
                  di quel decreto molti anarchici furono relegati su quelle isole 
                  sperdute nel Mediterraneo che già erano state utilizzate 
                  alla fine dell800 per tenervi raccolti (ed isolati dal 
                  mondo esterno) i sovversivi.  
                  Al confino, gli anarchici costituirono sempre un gruppo compatto 
                  e battagliero, e seppero combattere la dittatura fascista anche 
                  in quelle dure condizioni. Basti pensare alle condanne al carcere 
                  subite da 152 confinati politici che nel 1933 organizzarono 
                  a Ponza le proteste contro i continui soprusi della direzione 
                  della Colonia; numerosi, fra questi condannati, gli anarchici 
                  (Failla, Grossuti, Bidoli, Dettori, ecc.). Lanno successivo 
                  lanarchico Messinese, confinato ad Ustica, prese a schiaffi 
                  il direttore della Colonia che voleva obbligarlo a fare il saluto 
                  romano. La ribellione contro simili soprusi si estese progressivamente 
                  ad altre isole, in particolare a Ventotene ed a Tremiti, portando 
                  a nuove condanne contro compagni nostri.  
                  Uniti da stretti vincoli di solidarietà, gli anarchici 
                  riuscirono a far giungere e circolare clandestinamente fra i 
                  compagni alcuni testi anarchici e sostennero nel contempo vivaci 
                  polemiche con gli altri confinati. Particolarmente tesi furono 
                  sempre i rapporti fra confinati comunisti ed anarchici poiché 
                  i primi, ligi alle direttive politiche provenienti dal Partito 
                  e da Mosca, fecero sempre di tutto per ostacolare lattività 
                  politica dei libertari. Ad acutizzare questa polemica giunsero, 
                  a partire dal 1936, le notizie dal fronte spagnolo, che, seppur 
                  senza precisione, riferivano di scontri armati fra anarchici 
                  e stalinisti.  
                  Ribelli ad ogni autorità, gli anarchici tennero costantemente 
                  un comportamento fiero e deciso, e furono sempre ritenuti i 
                  più pericolosi e sediziosi dalle autorità del 
                  confino; questa pessima (e meritata) fama presso le alte gerarchie 
                  fasciste fu causa di nuove persecuzioni e condanne e spesso 
                  dellallungamento della pena di confino senza neppure una 
                  parvenza di processo. Accadde così che alcuni compagni, 
                  pur condannati inizialmente a pochi anni, dovettero restare 
                  sulle isole fino al 1943, quando, con la caduta del fascismo 
                  in luglio, esse furono smobilitate.  
                  Significativa al riguardo la liquidazione del confino di Ventotene, 
                  dove era stato concentrato un numero elevato di anarchici. Quando 
                  giunse la notizia della caduta del fascismo i primi ad esser 
                  liberati furono i militanti di Giustizia e Libertà, cattolici, 
                  repubblicani e testimoni di Geova; per cui in un primo tempo 
                  rimasero a Ventotene solo comunisti, socialisti e anarchici. 
                  Quando però il maresciallo Badoglio chiamò al 
                  governo Roveda per i comunisti e Buozzi per i socialisti, questi 
                  pretesero ed ottennero la liberazione dei carcerati comunisti 
                  e socialisti, trascurando gli anarchici ed i nazionalisti sloveni. 
                  Si ruppe così quel vincolo di solidarietà che, 
                  al di là delle accese polemiche, aveva pur sempre legato 
                  le varie comunità politiche di confinati di fronte al 
                  comune nemico fascista. Nonostante alcuni militanti dei partiti 
                  di sinistra cercassero di rifiutarsi di partire per non lasciar 
                  soli gli anarchici, il grosso dei confinati se ne andò 
                  libero, noncurante di quelli che erano costretti a restare sullisola. 
                  Gli anarchici, dopo una decina di giorni dalla partenza degli 
                  altri, furono trasportati, per nave e poi in treno, fino al 
                  campo di concentramento di Renicci dAnghiari (Arezzo). 
                  Durante questo lungo viaggio di trasferimento molti compagni 
                  cercarono di fuggire, eludendo la stretta vigilanza di poliziotti 
                  e carabinieri, ma solo uno riuscì nel suo intento. Appena 
                  giunti nel campo gli anarchici ebbero a scontrarsi con le autorità 
                  e due compagni nostri furono immediatamente segregati in cella; 
                  questo diede lavvio alle proteste ed alla continua agitazione 
                  degli anarchici (fra i quali ricordiamo Alfonso Failla, la cui 
                  testimonianza riportiamo qui di seguito) che giunsero a scontrarsi 
                  violentemente con le forze dellordine del campo. Successivamente, 
                  comunque, alcuni riuscirono a fuggire ed andarono a costituire 
                  le prime bande partigiane delle zone circostanti. Solo nel settembre 
                  le guardie se la squagliarono ed i compagni lasciarono il campo, 
                  appena prima che arrivassero tedeschi.  
                 
                Camillo Levi  
                
                  
                
                  Taranto, 
                    1947. Arturo Messinese e Alfonso Failla, due dei protagonisti 
                    anarchici delle lotte dei confinati contro limposizione 
                    del saluto romano 
                 
                  
                nel campo di Renicci 
                   
                 
                Nella testimonianza (tratta da LAgitazione del 
                  Sud, settembre 1966) di uno dei protagonisti delle lotte 
                  nelle isole di confino e nelle carceri fasciste, la storia del 
                  campo di concentramento di Renicci dAnghiari, nel 1943. 
                   
                 
                Dopo il 25 luglio 1943  data della caduta del fascismo 
                   la liberazione dei confinati politici che si trovavano 
                  in quella data nellisola di Ventotene ebbe inizio soltanto 
                  oltre due settimane dopo che il governo Badoglio, rifacendosi 
                  alle tradizioni dellItalia borghese e monarchica, iniziò 
                  la liberazione degli antifascisti incominciando, nellordine 
                  di precedenza, dai moderati fino ai giellisti, repubblicani, 
                  socialisti e comunisti.  
                  Coerentemente ai contatti avuti e con gli impegni presi con 
                  i vari partiti dello schieramento parlamentare tradizionale, 
                  noi anarchici, esclusi dalla liberazione di fronte al progressivo 
                  avanzare nel Sud degli eserciti angloamericani  fummo 
                  invece trasferiti al campo di concentramento di Renicci di Anghiari 
                  in provincia di Arezzo.  
                  Con noi furono pure esclusi dalla liberazione comunisti e nazionalisti 
                  jugoslavi e albanesi ed alcuni antifascisti italiani. Cimbarcarono 
                  intorno al 20 dagosto su una corvetta della regia marina 
                  non attrezzata al salvataggio di centinaia di persone nel caso 
                  di un probabile attacco di sottomarini. Quando la nave uscì 
                  dal porticciolo di Ventotene, prima di virare per Gaeta, gridammo 
                  ripetutamente il nostro saluto al compagno Gino Lucetti prigioniero 
                  nellergastolo dellisola di Santo Stefano.  
                  Dopo alcune ore di sosta a Gaeta, dove avemmo i primi saluti 
                  dal compagno Salvatore Vellucci, dai suoi figli e da sua moglie, 
                  incominciò il nostro viaggio verso il campo di concentramento. 
                  Eravamo scortati da carabinieri ed agenti della PS.  
                  Non eravamo ammanettati tanto che fu facile a parecchi compagni 
                  tra i quali i fratelli Girolimetti, Giorlando, ecc. di evadere. 
                  In tutte le stazioni improvvisammo comizi, affacciati dai finestrini, 
                  incitando alla lotta radicale contro il fascismo ed il nazismo. 
                  A Roma il nostro treno fu sballottato da una stazione allaltra, 
                  si disse per proteggerci dai bombardamenti aerei ma in realtà 
                  per impedire i nostri contatti con i compagni romani e le nostre 
                  proteste per la nostra mancata liberazione.  
                  Ricordo con dispiacere un tentativo di evasione del mio compagno 
                  Arturo Messinese fallito per un casuale incontro con un gruppo 
                  di nostri guardiani che rientravano in stazione dopo essersi 
                  allontanati temporaneamente. Lungo tutto il viaggio, nelle soste 
                  delle varie stazioni i nostri inviti alla lotta contro il fascismo 
                  incontrarono lo stupore e lindecisione popolare. Fu ad 
                  Arezzo che notammo una diffusa e simpatica comprensione solidale 
                  da parte di centinaia di persone che si trovavano in quella 
                  stazione. Fu qui che vedemmo per lultima volta il compagno 
                  Zambonini. Era stato un forte e deciso militante, ferito nella 
                  guerra di Spagna ed ospite, con noi, nellisola di Ventotene 
                  durante la seconda guerra mondiale. 
                  
                 
                Sparate vigliacchi! 
                   
                 
                Alla partenza da Ventotene, di fronte alle nostre proteste 
                  per la mancata liberazione cera stato promesso che saremmo 
                  stati liberati nei giorni seguenti, in terra ferma. Il compagno 
                  Zambonini alla stazione di Arezzo si rifiutò di proseguire 
                  per il campo di concentramento, perciò venne condotto 
                  in carcere. Dopo, durante la resistenza, sarà fucilato 
                  dai nazifasciti nel poligono di Reggio Emilia.  
                  Arrivati, sullimbrunire, alla stazione di Anghiari fummo 
                  ricevuti da alcune centinaia di carabinieri e soldati ai quali 
                  sentimmo distintamente rivolgere dai loro ufficiali lordine 
                  di caricare le armi. Protestammo energicamente.  
                  In un alterco con gli ufficiali che ci insolentivano minacciando 
                  fucilazioni, i compagni Marcello Bianconi e Arturo Messinese 
                  gridarono: Sparate vigliacchi!. Perciò furono 
                  immediatamente condotti in cella di sicurezza. Così ebbe 
                  inizio la nostra agitazione contro il regime interno del campo 
                  di concentramento.  
                  Questo era stato fino ad allora uno dei peggiori del genere. 
                  I prigionieri erano in massima parte partigiani jugoslavi e 
                  con essi erano centinaia di minorenni e ragazzi di pochi anni. 
                  Il regime alimentare era stato sempre più scarso e pessimo; 
                  centinaia di internati, specialmente bambini e ragazzi erano 
                  morti a causa del pessimo trattamento. In cambio la sorveglianza 
                  era feroce e bestiale. Guardavano i prigionieri centinaia di 
                  soldati e carabinieri, richiamati, questultimi, dalle 
                  regioni Toscana e limitrofe. Il comandante in seconda, maggiore 
                  Fiorenzuoli, ed il tenente Panzacchi si distinguevano per i 
                  loro arbitrii. Era perfino proibito che gli internati delle 
                  varie sezioni in cui era diviso il campo si avvicinassero alle 
                  reti metalliche divisorie per conversare reciprocamente. Il 
                  mattino seguente il nostro arrivo i nostri aguzzini fecero una 
                  dimostrazione di forza. Le minacce degli ufficiali rivolte a 
                  noi con lo spiegamento dei picchetti armati seguendo larresto 
                  dei compagni Bianconi e Messinese volevano conseguire lo scopo 
                  di intimidirci e renderci alla loro mercé. Costituivamo, 
                  insieme ai compagni reduci dalle lotte combattute nellesilio 
                  in Spagna, laggrupamento più provato dalle lotte 
                  che in carcere e al confino ci erano costate ulteriori condanne 
                  ad anni di carcere e di confino supplementari, oltre che la 
                  vita di parecchi compagni, per difendere la nostra dignità 
                  umana dagli arbitrii della milizia e della polizia fasciste. 
                  E lodore di polvere era per noi un maggiore incentivo 
                  a non desistere dalla lotta iniziata contro gli aguzzini del 
                  campo di concentramento di Renicci di Anghiari. Reclamammo libertà 
                  di comunicazione tra i prigionieri dei vari settori, la cessazione 
                  degli arbitrii perpetrati specialmente dal tenente Panzacchi 
                  coadiuvato da alcuni soldati come lui dichiaratamente fascisti. 
                  E il ritorno tra noi dei compagni Bianconi e Messinese. Dopo 
                  alcuni giorni di dure schermaglie il comandante del campo, il 
                  colonnello Pistone, decise di togliere il divieto di intercomunicazione 
                  tra i prigionieri dei vari raggi ed ai ragazzi fu raddoppiata 
                  la razione alimentare che era costituita da qualche centinaio 
                  di grammi di pane e di poca minestra, alternativamente di carota 
                  o di patate non sbucciate e di acqua pompata direttamente dal 
                  sottostante fiume Tevere, che provocava epidemie di coliti e 
                  dissenteria.  
                  I nostri rapporti con i custodi rischiarono di arrivare ad una 
                  rottura tragica. Si pretendeva che allappello mattutino 
                  noi si fosse allineati militarmente e che uno di noi stessi, 
                  in funzione di caporeparto, ci avesse contati e presentati allufficiale 
                  di ispezione.  
                  
                solidarietà 
                  internazionale  
                 
                Continuammo per parecchi giorni a rifiutarci. Il nervosismo, 
                  tra gli ufficiali specialmente, era al parossismo. Il compagno 
                  Emilio Canzi, quando stavamo arrivando allurto, intervenne. 
                  Ci pregò di non formalizzarci e si assunse egli lingrato 
                  compito. Così ci allineavamo alla meglio e gli ufficiali 
                  dal canto loro accettarono il compromesso. Però gli occhi 
                  di Emilio Canzi, nel presentarci senza formalità allufficiale 
                  lo superavano in altezza morale molto più di quanto glielo 
                  consentiva la sua già alta statura fisica.  
                  Qualcuno, tra noi, masticava amaro sulla incoerenza 
                  di Emilio Canzi che allora aveva già nella mente la costituzione 
                  dei primi nuclei partigiani che nella sua nativa zona di Piacenza, 
                  sul finire della guerra, costituivano un insieme di circa diecimila 
                  uomini. Le migliaia di partigiani jugoslavi che popolavano il 
                  campo, comunisti o nazionalisti, avevano fino allora conosciuto 
                  gli italiani come aguzzini e fascisti e perciò erano 
                  animati da profondo odio sciovinista antiitaliano nonostante 
                  che fossero formalmente osservanti della disciplina al punto 
                  che nel presentarsi ogni mattina sembravano un reparto delle 
                  stesse truppe che ci tenevano prigionieri.  
                  La nostra manifestazione di solidarietà internazionale, 
                  da essi non richiesta, impresse uno spirito nuovo nel loro comportamento 
                  e lItalia da quel momento per essi non fu più soltanto 
                  la patria del fascismo che li opprimeva ma anche di uomini militanti 
                  nella lotta internazionalista per la libertà dei popoli. 
                  Questo spirito internazionalista risorto dallazione nei 
                  cuori e nei canti si confuse anche nel sangue di due prigionieri, 
                  uno slavo e un anarchico italiano, la sera del 9 settembre 1943. 
                  Quel giorno avevamo appreso che il fascismo con laiuto 
                  di Hitler aveva ricostruito un governo Mussolini nellItalia 
                  centrosettentrionale. Noi ce ne accorgemmo per i preparativi 
                  dei baldanzosi ufficiali e soldati fascisti che ripresero il 
                  sopravvento sulla parte moderata del comando. In tutte le sezioni 
                  del campo i prigionieri jugoslavi che noi vedevamo ogni mattina 
                  allinearsi disciplinatamente si rivelarono formazioni militari 
                  già preparate. Nei comizi che si tennero in tutte le 
                  sezioni chiesero al comando militare le armi per marciare contro 
                  i nazisti. Nella nostra sezione aveva la parola vibrante Ganu 
                  Kriezju uno dei tre fratelli notabili albanesi che dividevano 
                  con noi linternamento a Ventotene. In quel momento udii 
                  la cornetta del posto di guardia che chiamava il picchetto armato, 
                  di corsa. Non dubitai che esso si sarebbe diretto prima che 
                  altrove alla nostra sezione per lodio che i fascisti risentivano 
                  contro noi anarchici, ultimi arrivati. Mi diressi perciò 
                  allentrata per osservare ciò che stava per accadere, 
                  in tempo per udire chiaramente lordine dato dal maggiore 
                  Fiorenzuoli agli uomini del picchetto di caricare a salve e 
                  di sparare subito dopo avere intimato seccamente agli internati 
                  lordine di sciogliere il comizio e di ritirarsi nei cameroni. 
                  Non tutti gli internati ebbero il tempo di rendersi conto di 
                  ciò che accadeva. Subito dopo i primi spari di fucileria 
                  del picchetto armato agli ordini di Fiorenzuoli seguirono quelli 
                  incrociati delle mitragliatrici poste circolarmente sulle torrette 
                  di guardia che cingevano il campo.  
                silenzio apparentemente disarmato  
                 
                Prima di chiudere questo modesto ricordo dei numerosi compagni 
                  che poi lasciarono la vita nella lotta contro il nazifascismo 
                  o negli stenti derivati dai mali contratti nelle galere e nelle 
                  isole di confino del regime fascista, voglio rievocare la grandezza 
                  umana di un ufficiale di comando di Renicci di Anghiari. Aveva 
                  in consegna una quarantina di noi per condurci alla prefettura 
                  di Arezzo da dove avremmo dovuto essere liberati.  
                  In viaggio gli facemmo osservare che Arezzo era già nuovamente 
                  in mano ai fascisti ed ai tedeschi e condurci là equivaleva 
                  a portarci alla morte.  
                  Quellufficiale, nelle quotidiane discussioni che facevamo 
                  dimostrava idealità fasciste però era alieno da 
                  atti arbitrari come quelli che erano cari al tenente Panzacchi, 
                  suo collega. Alle nostre insistenze, arrivati in località 
                  S. Firenze pochi chilometri prima di Arezzo ci fece scendere 
                  dal camion e, chiamati in disparte chi scrive e Mario Perelli, 
                  ci consegnò lelenco del nostro gruppo dicendomi: 
                  Voi siete responsabili di questi uomini! Quindi 
                  fece girare il camion e ritornò con i soldati della scorta 
                  al campo. Era il tenente Rouep, fiorentino, veniva dagli alpini. 
                   
                  Io e Perelli bruciammo il foglio. Quel gruppo di compagni si 
                  sciolse e ciascuno si avviò in direzioni diverse verso 
                  tutte le strade che ricordano vivi e morti, la loro presenza 
                  nella storia vera della lotta per la libertà. Storia 
                  che deve sempre essere fatta prima che gli altri, 
                  quelli che di solito scrivono e sistemano arbitrariamente i 
                  fatti della storia, possano scrivere la storia che 
                  non hanno fatta.  
                  E questo è un discorso che può anche essere valido 
                  in relazione agli episodi che ho ricordato. Ed ai molti altri 
                  che restano da ricordare.  
                 
                Alfonso Failla  
                  
                 
                  Spagna 1936 
                   
                 
                Tra i primi ad accorrere in Catalogna allindomani 
                  del golpe del generale Franco, gli anarchici italiani costituirono 
                  uno dei gruppi più impegnati al fronte.  
                  E soprattutto furono tra i più decisi oppositori della 
                  politica staliniana sostenuta dai vari Togliatti, Vidali, ecc. 
                  La tragica e simbolica vicenda di Camillo Berneri.  
                 
                La notizia che in Spagna era scoppiata la rivolta popolare 
                  contro il golpe di Franco fu come lo scoppio di 
                  una bomba, negli ambienti dellemigrazione antifascista 
                  italiana a Parigi. Gli esuli, da anni costretti a lottare sulla 
                  difensiva, videro subito che in terra di Spagna si osava finalmente 
                  dire chiaramente no al fascismo, e si impugnavano le armi per 
                  impedirne il trionfo.  
                  Mentre alcuni compagni partirono immediatamente per andare a 
                  combattere a Barcellona, molti altri si preparavano a partire 
                  e si riunivano frequentemente per decidere il da farsi. Ad un 
                  convegno appositamente indetto, di tutte le forze politiche 
                  antifasciste italiane a Parigi, sia Longo per i comunisti sia 
                  Buozzi per i socialisti dichiararono che i loro partiti erano 
                  disposti ad inviare aiuti sanitari e a dare un appoggio morale 
                  al popolo spagnolo, ma non erano daccordo per un intervento 
                  armato. Il rappresentante dei repubblicani restò sulle 
                  generali, evitando qualsiasi impegno, per cui gli anarchici 
                  ed i giellisti (militanti del movimento Giustizia 
                  e Libertà) furono gli unici a sostenere la necessità 
                  di unimmediata partenza per la Spagna. E così fecero. 
                   
                  Il 18 agosto 1936, infatti, meno di un mese dopo linsurrezione 
                  popolare (19 luglio), partì per il fronte dAragona 
                  un primo scaglione di antifascisti italiani, arruolatisi volontariamente 
                  nella sezione italiana della colonna Ascaso, organizzata e formata 
                  da militanti anarchici della FAI e anarcosindacalisti della 
                  CNT. La maggior parte di questi primi volontari italiani erano 
                  anarchici (un centinaio).  
                  Altri anarchici italiani, giunti in Spagna successivamente, 
                  si aggregarono alla colonna Durruti (CNT-FAI), alla colonna 
                  Tierra y Libertad (CNTFAI), alla colonna Ortiz (CNT-FAI) e ad 
                  altre formazioni. Secondo una stima documentata dai registri 
                  di arruolamento della sezione italiana, depositati presso la 
                  CNT-FAI, gli anarchici italiani combattenti in Spagna furono 
                  seicentocinquantatre.  
                  Nei primissimi mesi dellinizio della rivoluzione moltissimi 
                  compagni italiani furono trascinati da un entusiasmo rivoluzionario 
                  che li portò sempre in prima fila: è in questo 
                  periodo che morirono e rimasero feriti la maggior parte di essi. 
                  Molti compagni feriti ritornarono al fronte a combattere nuovamente. 
                  Questo, per esempio, è il caso del compagno Pio Turroni, 
                  che ferito una prima volta in ottobre ritornò dopo pochi 
                  mesi al fronte, dove rimase nuovamente ferito; rientrò 
                  quindi a Barcellona, dove fu commissario politico per gli italiani, 
                  nella caserma Spartacus.  
                  Gli anarchici italiani mantennero sempre una posizione coerente, 
                  soprattutto di fronte alla controrivoluzione comunista, come 
                  nelle giornate del maggio 37 a Barcellona. Non è 
                  un caso che gli stalinisti in quei giorni assassinarono gli 
                  anarchici italiani Camillo Berneri (che redigeva a Barcellona 
                  il periodico in lingua italiana Guerra di classe) 
                  e Francesco Barbieri.  
                  Anche di fronte al processo di militarizzazione la loro posizione 
                  intransigentemente rivoluzionaria fu espressa in modo pressoché 
                  unanime. Già il 10 ottobre prima, e il 13 novembre poi, 
                  stilarono rispettivamente due documenti in cui denunciavano 
                  il pericolo di involuzione controrivoluzionaria, se fosse passato, 
                  come poi passò, il processo di militarizzazione (documenti 
                  firmati, per la sezione italiana della colonna Ascaso, da Rabitti, 
                  Mioli, Buleghin, Petacchi, Puntoni, Serra, Segata). Anche se 
                  durante le tragiche giornate della controrivoluzione comunista 
                  essi si trovarono in disaccordo con la dirigenza 
                  della FAI e della CNT e nonostante avessero ormai compreso che 
                  le sorti della rivoluzione volgevano al peggio, essi continuarono 
                  a combattere e a morire.  
                  Sono circa sessanta gli anarchici italiani morti in Spagna e 
                  centocinquanta i feriti, di cui molti morirono più tardi 
                  a causa delle privazioni sopportate nei campi di concentramento 
                  in Francia.  
                  
                  
                il senso di una presenza 
                   
                 
                Il contributo anarchico alla Resistenza non si limitò 
                  solo alle azioni militari. Ove possibile, i militanti anarchici 
                  si impegnarono nellorganizzare e difendere la vita delle 
                  popolazioni duramente colpite dalla brutalità della guerra 
                  istituendo spacci e cooperative di produzione e consumo, embrioni 
                  di quella società più libera e giusta alla cui 
                  costruzione avevano dedicato la loro vita.  
                 
                Nel corso degli ultimi anni numerosi storici hanno intrapreso 
                  una revisione critica rispetto alle forze ed agli ideali che 
                  hanno agitato la prima metà del secolo scorso. Ciò 
                  che accomuna tutti questi lavori è la costante rimozione 
                  dellantifascismo, della sua tensione rivoluzionaria e 
                  delle sue componenti ideologiche. Al contrario il fascismo, 
                  quello storico, è stato oggetto di una rivalutazione 
                  storiografica, che trova lesempio più fine, sistematico 
                  ed acuto nellopera di Renzo De Felice, e in quella dei 
                  suoi collaboratori raccolti attorno alla sua collana I 
                  fatti della storia edita da Bonacci. Questa interpretazione 
                  elude e manipola le responsabilità storiche e politiche 
                  del fascismo, ne minimizza la natura reazionaria, antiproletaria 
                  ed antidemocratica e accomuna un regime distruttivo, liberticida 
                  e totalitario ai governi autoritari ai quali era abituato il 
                  nostro gracile sistema liberale. La Resistenza, di cui volutamente 
                  si ignora la dimensione europea, viene vista solamente nellottica 
                  italiana, come crudele guerra civile dove gli uni e gli altri 
                  vengono posti sullo stesso piano.  
                  Questa revisione storica  un fenomeno che coinvolge tutta 
                  lEuropa, si pensi al revisionismo storico dei Nolte, dei 
                  Rassinier, degli Irving che negano la realtà dellOlocausto 
                  o ne riducono la portata fino ad annullare le responsabilità 
                  del regime nazista  si esprime anche attraverso la rimozione 
                  dagli studi e dalle analisi della consistenza e del ruolo che 
                  svolsero in quegli avvenimenti le minoranze, quelle minoranze 
                  agenti, come furono gli anarchici o i militanti di Giustizia 
                  e Libertà, o quelle minoranze guida, come cercarono di 
                  essere i comunisti e i socialisti.  
                  Una colpa, questa, imputabile anche alla storiografia ufficiale 
                  della Resistenza, che più preoccupata di istituzionalizzare 
                  e di sacralizzare la lotta antifascista, ha sistematicamente 
                  censurato o mistificato quelle esperienze difficilmente riconducibili 
                  entro le scelte politiche dettate dalla ricostruzione o dalla 
                  guerra fredda, liquidando sbrigativamente la scomoda opposizione 
                  di quei movimenti e gruppi rivoluzionari che lottarono contro 
                  il Fascismo per compiere quella rivoluzione sociale che avevano 
                  da sempre preconizzato.  
                inferiorità psicologica  
                 
                Non è un caso dunque che, se si escludono pochi accenni 
                  in alcune pagine di Ferruccio Parri, nelle lezioni di Carlo 
                  Francovich e negli scritti di pochi altri, non vi sia traccia 
                  nella storiografia della Resistenza della presenza anarchica 
                  nella lotta partigiana. Eppure la Resistenza, senza citare coloro 
                  che caddero in Spagna donando la propria vita per la libertà 
                  di tutti, prende anche i nomi delle brigate Malatesta e Bruzzi 
                  che operarono in Lombardia, della formazione Amilcare Cipriani 
                  a Como, delle pistoiesi, Squadre Franche Libertarie, delle formazioni 
                  libertarie liguri, del Battaglione Lucetti e della Elio di Carrara. 
                   
                  Gli anarchici parteciparono alla Resistenza in maniera massiccia 
                  e pagarono un alto tributo di uomini e di sangue, ma subirono 
                  legemonia delle altre forze della sinistra, in particolare 
                  per lassenza di unorganizzazione specifica e di 
                  un comando militare unico che inquadrasse tutto il movimento 
                  nella lotta di liberazione. Naturalmente si organizzarono in 
                  proprie formazioni partigiane, ma di regola si trovarono inquadrati 
                  nelle Garibaldi, nelle Matteotti, nelle formazioni di Giustizia 
                  e Libertà. Le loro formazioni di combattimento 
                   scrive Gino Cerrito in merito alla partecipazione anarchica 
                  alla Resistenza  rimangono legate al Partito comunista, 
                  al Partito socialista, al Partito dazione. Nei CLN ai 
                  quali partecipano con delegati qualificati non riescono mai 
                  ad imporre una linea politica rivoluzionaria, un atteggiamento 
                  in qualche modo orientato in senso libertario. Anche se essi 
                  non sono secondi a nessuno nella lotta armata contro il nazifascismo 
                  non riescono a superare il gradino di inferiorità psicologica 
                  in cui li pone la loro carenza organizzativa e la mancanza di 
                  un programma politico uniforme. Una situazione questa 
                  che trova una spiegazione nella storia stessa dellanarchismo 
                  nellavversione verso il militarismo e la gerarchia nella 
                  convinzione che qualsiasi forma di governo è negazione 
                  della libertà umana.  
                dispersione e ritardi  
                 
                Eppure gli anarchici dettero un contributo cospicuo alla lotta 
                  contro il fascismo. Fin dal 1921 quando la violenza fascista 
                  iniziò a colpire la stampa e i militanti, la risposta 
                  fu la resistenza ad oltranza attraverso lorganizzazione 
                  di manifestazioni, la partecipazione agli scioperi generali 
                  e ladesione agli Arditi del popolo, movimento politicamente 
                  eterogeneo che cercherà di reagire colpo su colpo alle 
                  prepotenze squadristiche. Lascesa al potere di Mussolini 
                  e del suo governo segna una svolta nella storia degli anarchici 
                  italiani in quanto ne determina la dispersione. Il movimento 
                  subisce più duramente degli altri partiti antifascisti 
                  (in proporzione naturalmente alle forze) le violenze squadriste 
                  prima e quelle legali poi. Allincendio delle sedi e delle 
                  sezioni dellUSI, il sindacato di tendenza anarcosindacalista 
                  alle devastazioni di tipografie e redazioni, alle uccisioni 
                  seguono i sequestri, gli arresti, il confino. Lanarchismo 
                  italiano entra in una fase di clandestinità, ma le sue 
                  forze si vanno sempre più assottigliando. Ai superstiti, 
                  perseguitati, disoccupati, spiati non resta che la via dellesilio. 
                  Coloro che in Italia erano scampati alla galera e alla morte 
                  trovano rifugio soprattutto in Francia.  
                  Anche allestero la vita degli anarchici come del resto 
                  quella di tutti i fuoriusciti, non fu facile. La repressione 
                  era dura anche nei paesi ospitanti. La guerra di Spagna poi 
                  si prese coloro che erano sfuggiti al carcere o al confino. 
                   
                  La sconfitta del movimento anarchico in Spagna fu dura e si 
                  ripercosse anche sui fuoriusciti italiani. Questultimi 
                  non fecero nemmeno in tempo a riorganizzarsi che lo scoppio 
                  della guerra mondiale e la caduta della Francia li disperse 
                  ancora una volta. Fu quello il momento più grave. Quelli 
                  che non riuscirono a darsi alla macchia o a fuggire furono rastrellati 
                  dalle autorità tedesche e francesi e spediti nei campi 
                  di concentramento o consegnati alle autorità italiane. 
                  Non cè dunque da meravigliarsi se la caduta del 
                  fascismo trovò il movimento anarchico disperso, mantenuto 
                  vivo più che altro nella memoria di molti lavoratori 
                  e nellatteggiamento individuale dei militanti rimasti. 
                  Il movimento anarchico giunge così in ritardo e fortemente 
                  limitato nelle sue possibilità di azione partigiana. 
                  Queste carenze si aggravarono dopo il 25 luglio del 43, 
                  quando di fronte al succedersi degli avvenimenti ci sarebbe 
                  stato un bisogno ancora maggiore dellapporto dei vecchi 
                  e più prestigiosi militanti che affollavano le isole 
                  di confino. Ma mentre alla caduta di Mussolini i militanti di 
                  tutti gli altri partiti venivano liberati dal governo Badoglio 
                  gli anarchici vengono trattenuti in un primo tempo a Ventotene 
                  e successivamente trasferiti al campo di concentramento di Renicci 
                  di Anghiari vicino ad Arezzo da dove riescono a fuggire solo 
                  dopo 18 settembre.  
                  Carente di quadri politici, dispersi nellesilio nelle 
                  persecuzioni, morti in Spagna, privo di aiuti da parte degli 
                  alleati, stretto nella logica della politica dei due blocchi, 
                  il movimento anarchico può confidare solo nelle proprie 
                  forze e in ciò che i militanti riescono a conquistarsi 
                  in battaglia, sia per quanto riguarda le armi che i rifornimenti. 
                 
                non solo lotta armata  
                 
                Per tutte queste ragioni gli anarchici preferirono nella maggioranza 
                  dei casi aggregarsi a formazioni controllate dai partiti comunista, 
                  azionista e socialista, anche in quelle località dove 
                  la presenza anarchica era sufficientemente numerosa da consentire 
                  formazioni di soli anarchici. Il contributo anarchico alla Resistenza 
                  non si limitò alle azioni militari, ovunque i militanti 
                  anarchici si impegnarono nellorganizzare e difendere la 
                  vita delle popolazioni duramente colpite dalla brutalità 
                  della guerra istituendo spacci e cooperative di produzione e 
                  consumo, embrioni di quella società più libera 
                  e più giusta alla cui costruzione avevano dedicato la 
                  loro vita.  
                Furio Biagini 
                  
                 
                  anarchici a Carrara  
                 
                In nessunaltra località come a Carrara, lantifascismo 
                  anarchico ha avuto simili radici popolari e tanta influenza 
                  sociale.  
                 
                Fin dal suo sorgere, il movimento operaio locale era stato 
                  fortemente influenzato dal socialismo libertario, a tal punto 
                  che Carrara divenne fin dai primi anni del secolo un importante 
                  centro di propaganda anarchica.  
                  Furono soprattutto le lotte anarcosindacaliste dei lavoratori 
                  delle cave  che organizzati dallanarchico Alberto 
                  Meschi ottennero per primi in Italia le sei ore e mezza di lavoro 
                   ad indicare ai lavoratori la validità dellattività 
                  politica degli anarchici: e così Carrara fu sempre in 
                  prima linea nelle lotte di popolo contro il militarismo, contro 
                  la tracotanza padronale, contro la repressione di stato e quindi 
                  oppose fin dallinizio decisa resistenza al fascismo. Lintera 
                  provincia del carrarino con quelle vicine di La Spezia, Pisa 
                  e Livorno, fu uno degli epicentri del terrorismo squadrista. 
                  Basti ricordare la sparatoria contro un gruppo di anarchici 
                  da parte di una squadraccia fascista appoggiata dai carabinieri, 
                  a Carrara (giugno 1921). E poi lo sciopero generale nella stessa 
                  città in risposta allaggressione fascista contro 
                  il compagno Alberto Meschi, allora segretario della Camera del 
                  Lavoro (18 ottobre 1921), ed il ferimento sempre da parte delle 
                  camice nere dellanarchico Bonnelli a Bedizzano (Carrara). 
                  Tanti simili episodi costellano lopposizione antifascista 
                  dei lavoratori della zona, che sempre portarono il loro aiuto 
                  anche agli altri centri vicini assaliti dai fascisti, come durante 
                  i fatti di Sarzana, in seguito ai quali una cinquantina di anarchici 
                  furono processati sotto limputazione di associazione 
                  a delinquere (19 gennaio 1922).  
                  Durante il ventennio della dittatura fascista lopposizione 
                  popolare al fascismo si mantenne viva, anche se non vi furono 
                  episodi clamorosi a testimoniarla (a parte il fallito attentato 
                  al duce degli anarchici carraresi Lucetti e Vatteroni.  
                la formazione Lucetti  
                 
                Quando, allindomani dell8 settembre 1943 seppero 
                  che i tedeschi stavano disarmando i soldati italiani nella caserma 
                  Dogali di Carrara, molti anarchici (fra cui Del Papa, Galeotti, 
                  Pelliccia, ecc.) si recarono sul posto e riuscirono ad impossessarsi 
                  di molte armi, formando squadre di partigiani.  
                  La partecipazione degli anarchici alla Resistenza propriamente 
                  detta assunse proporzioni determinanti nel carrarino, più 
                  che in qualsiasi altra zona dItalia. Non si tratto infatti 
                  né della presenza d singole individualità né 
                  fu caratterizzata dalladesione degli anarchici a formazioni 
                  partigiane non anarchiche, in maniera disorganica. Fu veramente 
                  un fenomeno di massa, che coinvolse la grande maggioranza della 
                  popolazione e che vide in prima fila sempre formazioni anarchiche. 
                   
                  Dal settembre 1943 i compagni stesero una valida rete di contatti 
                  che comprendeva anche Sarzana ed altri centri, ed il primo rastrellamento 
                  operato dai carabinieri e dalla milizia fu appunto attuato contro 
                  i primi tentativi organizzati di resistenza anarchica. Ma lazione 
                  repressiva non sortì leffetto sperato, poiché 
                  il movimento di resistenza era saldamente radicato; furono compiuti 
                  alcuni arresti fra gli anarchici. Dopo meno di due mesi comunque 
                  fu rapito il figlio del direttore delle carceri di Massa, ed 
                  in cambio della sua liberazione fu ottenuta la scarcerazione 
                  dei compagni arrestati.  
                  Ricostituita la sua piena organicità, il movimento anarchico 
                  si sviluppo ulteriormente sia in città sia nei piccoli 
                  centri, prendendo contatti con gli altri raggruppamenti antifascisti. 
                  La formazione anarchica Gino Lucetti si trovò ad operare 
                  nella stessa zona di altre formazioni; si stabilì di 
                  costituire un comando unificato della Brigata Apuana pur lasciando 
                  autonomia alle singole componenti politiche (anarchici, comunisti, 
                  ecc.). Questa decisione fu conseguente alla necessità, 
                  fortemente sentita, di coordinare tecnicamente le operazioni 
                  belliche contro i nazifascisti, che  con il progressivo 
                  stabilizzarsi della Linea Gotica  si erano fatti ancora 
                  più numerosi e più spietati nel reprimere il movimento 
                  partigiano. In generale i rapporti fra la Lucetti e le altre 
                  formazioni erano buoni, anche se la recente traumatizzante esperienza 
                  della guerra di Spagna spingeva ad una grande diffidenza nei 
                  confronti dei comunisti, ed in particolare della loro formazione 
                  Giacomo Ulivi.  
                lepisodio di Casette  
                 
                Quanto questa diffidenza non fosse infondata lo dimostra lepisodio 
                  di Casette, finora assolutamente inedito, e sconosciuto al di 
                  fuori della cerchia di coloro che vi parteciparono. Si avvicinava 
                  linverno del 44, e la situazione era veramente difficile 
                  sia a causa della crescente repressione nazifascista sia per 
                  il mancato arrivo degli aiuti alleati. In compenso Radio Londra 
                  continuava a trasmettere inviti ai partigiani a tornarsene a 
                  casa, per trascorrervi linverno. Ma le vendette nazifasciste 
                  attendevano chi fosse tornato a casa dai monti e dalle valli, 
                  per cui i partigiani preferirono restare alla macchia, preparandosi 
                  alla prossima primavera. Fu stabilito di cercare di superare 
                  la linea Gotica attraverso i monti, e di cercare di riparare 
                  a Lucca, città tenuta dagli alleati.  
                  In ununica colonna si trovarono a marciare partigiani 
                  della Lucetti e quelli comunisti della formazione Giacomo Ulivi, 
                  con i rispettivi comandanti Ugo Mazzucchelli (che ci ha narrato 
                  questo episodio di Casette) e Guglielmo Brucellaria. Quando 
                  giunsero nei pressi di un ponte che, vicino al paesino di Casette, 
                  congiunge due vallate, i comandanti comunisti chiesero con insistenza 
                  agli anarchici di prendere la testa della colonna, e di passare 
                  per primi sul ponte. Era notte fonda, e quando Ugo Mazzucchelli 
                  per primo si accinse ad attraversare il ponte, il cupo silenzio 
                  delloscurità fu rotto dal crepitare infernale di 
                  una mitraglia, che, posta in una casamatta antistante il ponte, 
                  poteva fortunatamente colpire solo una parte del ponte.  
                  Così il nostro compagno, e altri anarchici, poterono 
                  mettersi in salvo, contrariamente a quelle che certamente erano 
                  le speranze dei comunisti. La loro precedente insistenza fece 
                  subito sorgere gravissimi interrogativi fra gli anarchici, che 
                  stesero un duro rapporto al comando unificato della Brigata 
                  Apuana: questi interrogativi ebbero una precisa risposta quando 
                  si venne a sapere con certezza che i dirigenti comunisti sapevano 
                  con anticipo della presenza di una mitraglia in quella casamatta, 
                  ma sul tutto venne subito steso il silenzio più assoluto, 
                  con la solita giustificazione della necessità dellunità 
                  (sic!) antifascista.  
                  
                Partigiani 
                  anarchici nel carrarese 
                la difesa di Carrara  
                 
                Oltre alla Lucetti, operarono nel carrarino la formazione anarchica 
                  Michele Schirru, parallela alla Lucetti, la divisione Garibaldi 
                  Lunense, formata soprattutto da anarchici e la formazione Elio 
                  Wockievic, il cui vicecomandante, lanarchico Giovanni 
                  Mariga, fu talmente valoroso da vedersi concessa la medaglia 
                  doro al valor militare, che naturalmente rifiutò 
                  per restare coerente alle idee anarchiche.  
                  Sia sulle Apuane sia nella pianura costiera operarono costantemente 
                  numerosi raggruppamenti anarchici, che ovunque si trovarono 
                  ad affrontare la criminale repressione nazifascista. Il carrarino 
                  fu infatti teatro di alcune delle stragi più efferate 
                  commesse dai tedeschi e dai loro servi repubblichini: basti 
                  pensare ai massacri delle popolazioni del paesino di SantAnna 
                  di Stazzena (560 morti, 12 agosto 1944), di Vinca (173 morti, 
                  24 agosto 1944) e di San Terenzo Monti (163 morti, 19 agosto 
                  1944). E lelenco non finisce certo qui. In questa tragica 
                  realtà di guerra, distruzioni e rappresaglie, gli anarchici 
                  del carrarino ebbero il grande merito di organizzare e di difendere 
                  la vita della popolazione nella città di Carrara. Soprattutto 
                  i compagni si incaricarono di assicurare il regolare flusso 
                  degli approvvigionamenti, e di far funzionare lOspedale, 
                  continuando nel contempo la lotta armata contro il nemico.  
                  Indispensabili erano i fondi, ed il loro reperimento resta una 
                  delle pagine più belle scritte dagli anarchici carraresi. 
                  Il metodo adottato fu quello d convocare i ricchi possidenti, 
                  e di obbligarli a versare ingenti somme ai partigiani, sotto 
                  la minacci delle armi e dietro regolare... ricevuta di versamento! 
                  Di questa anzi venivano stilate tre copie una per il versatore, 
                  una per il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) ed una per 
                  il compagno Ugo Mazzucchelli, comandante della Lucetti, presso 
                  la cui sede avvenivano queste convocazioni.  
                  Così fu possibile aiutare le famiglie più bisogno 
                  se, finanziarie le formazioni partigiane e lOspedale, 
                  rinsaldando quella forte unita fra popolo e partigiani anarchici, 
                  che resta la lezione più importante della resistenza 
                  anarchica nel carrarino.  
                  
                
                 
                 
                anarchici ad Imola 
                   
                 
                Gli anarchici imolesi dal primo sorgere del movimento fascista 
                  fino e durante la Resistenza.  
                 
                Il 1920 segna la riorganizzazione definitiva degli anarchici 
                  imolesi che danno vita a due folti gruppi: il gruppo giovanile 
                  anarchico e lUSI. In tutto i giovani che si impegnavano 
                  attivamente erano una ottantina: organizzavano dibattiti, conferenze, 
                  comizi e cercavano di realizzare una stretta unità con 
                  i giovani socialisti.  
                  Lattività sindacale era diretta soprattutto verso 
                  quelle categorie come i muratori, gli infermieri, gli imbianchini, 
                  i barbieri, i metallurgici ed i camerieri che non erano seguiti 
                  dalla Camera del Lavoro (aderente alla CGL) impegnata comera 
                  nellagitazione agraria e quindi nellorganizzazione 
                  delle categorie agricole.  
                  La preparazione rivoluzionaria degli anarchici cresceva ogni 
                  giorno, per cui non si trovarono sprovvisti di fronte al fascismo. 
                   
                  Infatti il 28 ottobre 1920 Dino Grandi, allora giovane avvocato 
                  di Mordano (comune vicino ad Imola), poi uno dei più 
                  grandi gerarchi fascisti, subisce un attentato: gli vengono 
                  sparati contro quattro colpi di rivoltella che, (purtroppo) 
                  non lo colpiscono. Si attribuisce il fatto agli anarchici e 
                  i socialisti declinano ogni responsabilità. In effetti 
                  gli autori dellattentato risultano essere veramente anarchici 
                  che, nel momento in cui il fascismo nascente si appoggia a giovani 
                  studenti infiammati di patriottismo e di spirito reazionario 
                  e di odio verso il socialismo, hanno intuito in Grandi un possibile 
                  futuro nemico.  
                  Il 1920 si conclude con il tentativo, da parte dei fascisti 
                  di crearsi le premesse per poter penetrare in Imola, ma fino 
                  al giugno del 1921 i fascisti ad Imola non hanno voce in capitolo. 
                   
                  Gli anarchici partecipano, con i giovani socialisti, che poi 
                  passeranno in massa al PCdI, alla formazione delle guardie 
                  rosse a cui è affidato il compito di difendere 
                  Imola dalle squadracce provenienti da Bologna. I fascisti infatti 
                  avevano già assoggettato Castel S. Pietro 
                  e si servivano di questo comune come base per le incursioni 
                  nei paesi vicini e soprattutto per distruggere il mito di Imola 
                  rossa e della combattività degli imolesi, dovuta 
                  alla cinquantennale propaganda anarchica e socialista e al grande 
                  prestigio che aveva avuto Andrea Costa. I fascisti bolognesi 
                  fanno vari tentativi fin dal novembre, sempre sconsigliati però 
                  dalla autorità locale e dagli stessi capi socialisti 
                  perché leccezionale livello di mobilitazione del 
                  popolo avrebbe provocato una carneficina. Ma il 
                  14 dicembre una colonna di fascisti in camion tenta di venire 
                  ad Imola. Il servizio di informazione scatta immediatamente 
                  e tutta la popolazione armata, chiamata dal campanone comunale 
                  che suona a stormo, scende in piazza. Le cinque squadre di guardie 
                  rosse si dispongono nei punti strategici della città 
                  e gli anarchici collocano due mitragliatrici allingresso 
                  di Imola, sulla Via Emilia, in modo da prendere i fascisti in 
                  un fuoco incrociato. Anche questa volta i fascisti non vengono, 
                  pare che Romeo Galli, socialista, telefonasse al Sindaco di 
                  Ozzano per pregarlo di dissuaderli. Ma i fascisti avevano intuito 
                  quale era il mezzo più efficace per entrare a Imola: 
                  lasciare che una snervante attesa fiaccasse la difesa degli 
                  imolesi.  
                 
                Figure squallide  
                 
                Così, con lappoggio dei popolari, fanno le loro 
                  prime apparizioni fino a lanciare un attacco in grande stile. 
                  Il 10 aprile, durante una processione organizzata dal Partito 
                  Popolare, arrivano i fascisti provenienti da Castel S. Pietro: 
                  lesercito e i carabinieri occupano il centro per difendere 
                  dal popolo gli squadristi. Il 28 maggio i fascisti danno lassalto 
                  al Circolo ritrovo socialista, naturalmente di sera. Un gruppo 
                  di essi, nascosto nellombra dei giardini pubblici, si 
                  prepara ad attaccare con pugnali, bombe a mano e rivoltelle. 
                  Mentre parte di essi entrano nel circolo, altri, fuori, sparano 
                  allimpazzata per impedire alla gente di accorrere.  
                  Il bilancio dellassalto e di sette feriti e la distruzione 
                  di parte delle suppellettili, registri, ecc., poste nei locali 
                  in cui aveva sede anche la redazione del settimanale socialista 
                  La lotta e la sezione socialista.  
                  La reazione comincia a prendere piede apertamente anche ad Imola, 
                  i capi socialisti fuggono a S. Marino e torneranno solo a settembre, 
                  a bufera momentaneamente passata.  
                  Così la reazione armata fascista colpisce le avanguardie 
                  mentre la massa è disorientata e impaurita.  
                  Il 26 giugno i fascisti con Dino Grandi, Gino Baroncini, ecc. 
                  inaugurano il gagliardetto di combattimento sotto gli occhi 
                  soddisfatti della gretta borghesia locale.  
                  I fascisti locali, figure squallide, in alcuni casi addirittura 
                  malati di mente, trovano appoggio negli agrari che li esaltano, 
                  li ubriacano con soldi e vino, e lo stretto collegamento col 
                  gruppo già forte del fascismo bolognese li fa sentire 
                  improvvisamente padroni della piazza quando in 100 contro uno 
                  protetti dalla polizia, si scagliano contro le avanguardie rivoluzionarie. 
                  I primi ad essere colpiti sono gli anarchici, poi i socialisti 
                  ed infine la reazione si abbatte su tutto il proletariato.  
                  Il 10 luglio vi sono i fatti della Birreria Passetti in cui, 
                  fallito il tentativo di alcuni fascisti di uccidere lanarchico 
                  Primo Bassi (1892-1972), si costruisce una montatura per accusarlo 
                  della morte del rag. Gardi, estraneo ai fatti e rimasto ucciso 
                  nella sparatoria.  
                  Racconta Primo Bassi: Il 10 luglio 1921 una squadra di 
                  fascisti imolesi iniziava le prime azioni di violenza indiscriminata. 
                  Alle ore 10 di sera, incontrato un muratore  tal Campomori 
                   lo colpirono con randellate al capo sino a che, sanguinante, 
                  poté rifugiarsi nella birreria Passetti, in quel momento 
                  affollata di clienti. Fu allora che notai un giovincello che, 
                  battendomi un giunco sulla spalla, mi invitava ad uscire. Accondiscesi, 
                  ma dopo pochi passi nellampio cortile fui circondato dalla 
                  squadra che pretese perquisirmi e quando, palpate le tasche, 
                  furono persuasi fossi inerme, iniziarono la bastonatura. Con 
                  una spinta mi aprii il passo verso luscita e, guadagnando 
                  luscita sotto le percosse, fui raggiunto da una randellata 
                  allo zigomo sinistro che per poco non mi abbatté al suolo. 
                  Voltandomi di scatto fu allora  solo allora  che 
                  listinto di conservazione prevalse in me. Il fascista 
                  Casella mi era quasi addosso con larma in pugno ed io 
                   già estratta la pistola dalla cintura dei pantaloni 
                   gli sparai contro colpendolo ad una gamba. Sparai ancora 
                  in aria un colpo e mentre attorno era tutta una sparatoria fuggii 
                  per via Aldovrandi per consegnarmi ai carabinieri sopraggiunti, 
                  ferito da una pallottola di rimbalzo. Accompagnato in caserma 
                  prima ed allospedale poi, fui tempestato di pugni sino 
                  a che un infermiere, il socialista Maiolani, non intervenne 
                  a redarguirli. Intanto allinterno della birreria un cittadino 
                   voluto poi fascista  era stato colpito dal basso 
                  allalto da un colpo di rivoltella, decedendo. I fascisti 
                  si impadronirono di quel morto ed iniziarono una violenta reazione 
                  contro uomini e cose..  
                  La stessa sera numerose squadre di fascisti percorrono le vie 
                  della città, sparando allimpazzata con lo scopo 
                  di impaurire.  
                Caccia al sovversivo  
                 
                Poi assalgono la sede dellUnione Sindacale, distruggendo 
                  sistematicamente tutto ciò che trovano: devastano gli 
                  uffici delle leghe, la redazione del giornale anarchico Sorgiamo, 
                  il circolo ritrovo, la ricca biblioteca. Tutto ciò che 
                  non si può dare alle fiamme nel piazzale sottostante 
                  è reso completamente inservibile. Il lunedì continua 
                  per le vie di Imola la caccia al sovversivo.  
                  Viene arrestato il maestro anarchico Ciro Beltrandi per aver 
                  sparato allex repubblicano Mansueto Cantoni, diventato 
                  segretario del fascio locale. Viene picchiato selvaggiamente 
                  coi calci di moschetto alla schiena, tanto da morire nel 1941 
                  a Bruxelles in seguito alla tubercolosi, provocata dalle botte 
                  fasciste.  
                  Anche il responsabile de Il Momento, giornale della 
                  Federazione Provinciale Comunista Bolognese e organo della Camera 
                  del Lavoro di Imola, Romeo Romei viene aggredito e, ferito gravemente 
                  al petto con un colpo di rivoltella lasciato per terra moribondo; 
                  Ugo Masrati, bracciante agricolo anarchico, mentre è 
                  tranquillamente addetto in unaia come paglierino ai lavori 
                  di trebbiatura, viene assassinato dai fascisti.  
                  Alla tipografia Galeati, pena lincendio, si impedisce 
                  di stampare il periodico anarchico Sorgiamo. Si 
                  vieta alle edicole di vendere giornali sovversivi, 
                  come Umanità Nova e Ordine Nuovo. 
                  Ma il movimento anarchico non è ancora definitivamente 
                  abbattuto, bisogna quindi ancora colpirlo, ancora assassinare. 
                   
                  La sera del 21 luglio 21 cinque fascisti si recano in 
                  unosteria alle Case Gallettino con lo scopo ben preciso 
                  di colpire un altro anarchico che si era sempre distinto per 
                  il suo coraggio, Vincenzo Zanelli, detto Banega, muratore, anarchico. 
                  Arrestato per i moti del carovita del luglio 1919, era stato 
                  di nuovo arrestato nel 1921 senza unimputazione precisa 
                  e rilasciato dopo 20 giorni. Da allora non era più stato 
                  lasciato in pace dai fascisti. Raggiunto con altri due anarchici 
                   Farina e Tarozzi  dai fascisti, viene colpito ma, 
                  mentre gli altri due anarchici disarmati fuggono, egli a terra 
                  si difende e uccide il suo aggressore, il fascista Nanni, di 
                  professione ladro. Ormai quasi tutti gli anarchici imolesi più 
                  in vista sono eliminati.  
                  Luccisione del giovane fascista Andrea Tabanelli serve 
                  da pretesto per manovre contro gli anarchici: caduta la prima 
                  accusa contro lanarchico Diego Guadagnini, viene accusato 
                  il cugino Enrico Guadagnini e i fascisti fanno altre rappresaglie: 
                  compiono un altro assalto alla sede dellUSI e ammazzano 
                  a randellate in testa Raffaele Virgulti, mutilato di guerra 
                  anarchico.  
                uccisi, carcerati o confinati  
                 
                Messi in condizione di non nuocere i compagni migliori come 
                  Diego Guadagnini e Primo Bassi (condannato a 20 anni nonostante 
                  che la perizia balistica avesse dimostrato che il proiettile 
                  che uccise Gardi non apparteneva allarma di Bassi), uccisi 
                  tanti dei migliori come Leo Bianconcini, Vincenzo Zanelli, Raffaele 
                  Virgulti, carcerati o confinati tantissimi altri come Tarozzi, 
                  Baroncini, Farina, Errani, i fratelli Tinti, Tonini, ecc., il 
                  movimento anarchico imolese darà il suo contributo alla 
                  lotta di Liberazione in Italia nel 44-45 e, precedentemente, 
                  in Spagna nel 1936.  
                Gruppi Anarchici Imolesi  
                
                  
                 
                  anarchici a Piombino  
                 
                Lattivo impegno degli anarchici piombinesi contro 
                  il fascismo, prima e durante la Resistenza.  
                 
                Nei primi mesi del 1921, quando già in tutta la Toscana 
                  si è scatenata loffensiva fascista, Piombino non 
                  conosce ancora la violenza squadrista e ancora per più 
                  di un anno resisterà al cerchio nero che la stringe. 
                   
                  A differenza di altri luoghi, a Piombino il fascismo nasce allombra 
                  delle ciminiere con il denaro dei dirigenti dellILVA 
                  e della Magona, le due fabbriche siderurgiche più importanti 
                  della città, occupate nel 20 dagli operai armati. 
                  Questi due colossi industriali non forniscono solo i finanziamenti, 
                  ma anche i gregari per le azioni teppistiche trasformando in 
                  squadracce nere le guardie dei due stabilimenti, gente abituata 
                  da sempre allodio antioperaio. Tuttavia questi primi fenomeni 
                  del londata fascista non trovano lo spazio per ingrandirsi 
                  e attecchire perché circoscritti da una classe lavoratrice 
                  estremamente combattiva e rivoluzionaria, fortemente influenzata 
                  sia dagli anarchici, sia dagli anarcosindacalisti della locale 
                  Camera del Lavoro federata allUSI.  
                  Per avere unidea di questa influenza basta guardare i 
                  risultati delle elezioni politiche del 19, con 3.483 schede 
                  bianche contro 1.487 voti socialisti, su un totale di 6.098 
                  votanti ed alla composizione delle Commissioni Interne dellILVA 
                  e della Magona con 15 delegati anarcosindacalisti dellUSI 
                  contro i 5 delegati socialisti e comunisti della FIOM.  
                  È così che alla fatidica marcia su Roma 
                  nellottobre del 22, il fascismo piombinese non arriva 
                  nemmeno a cento teppisti. Prima del 22 i fascisti locali 
                  non osano tenere i loro raduni nella città; anzi ogni 
                  volta che lo squadrismo pisano, senese o fiorentino compiva 
                  qualche impresa doveva subire lira degli anarchici 
                  e degli Arditi del Popolo.  
                  Il lento affermarsi del fascismo a Piombino in certa misura 
                  è da attribuirsi anche allazione sprovveduta della 
                  CGL e del Partito Socialista che, assieme agli esponenti dei 
                  vari partiti, degli industriali e dei fasci di combattimento, 
                  forma un Comitato Cittadino per pacificare la città e 
                  risolvere la crisi dellindustria siderurgica che minacciava 
                  di chiudere, licenziando tutte le maestranze.  
                  Questo riconoscimento ufficiale delle forze socialiste verso 
                  il nascente fascismo è lequivalente locale della 
                  stessa politica che a livello nazionale porterà al Patto 
                  di Pacificazione fra fascisti e socialisti. Sarà proprio 
                  il Comitato Cittadino che, purgato dagli elementi socialisti, 
                  prenderà in mano lamministrazione di Piombino dopo 
                  la conquista della città.  
                  Ovviamente a questo Comitato Cittadino sia gli anarchici che 
                  la Camera del Lavoro federata allUSI rifiutano di partecipare, 
                  ribadendo che non è possibile nessuna pacificazione sia 
                  con gli industriali sia con i fasci di combattimento, ma che 
                  anzi è dovere rivoluzionario scendere nelle piazze e 
                  combattere per soffocare la violenza fascista.  
                  Furono infatti proprio gli anarchici e gli anarco-sindacalisti 
                  i maggiori sostenitori e attivisti degli Arditi del Popolo. 
                  Per iniziativa del deputato socialista Giuseppe Mingrino si 
                  era costituito a Piombino il 144° battaglione degli Arditi 
                  del Popolo, cui aderivano gli anarchici e lala comunista 
                  del Partito Socialista, che dopo poco esce dal partito per formare 
                  il Partito Comunista. Presto però i comunisti usciranno 
                  da queste formazioni operaie di difesa ed anzi una circolare 
                  dellesecutivo del PCdI diffida tutti i militanti 
                  dallentrare negli Arditi o anche solo di avere contatti 
                  con loro. Dopo questa defezione, gli Arditi del Popolo a Piombino 
                  saranno costituiti quasi esclusivamente da elementi anarchici 
                  e anarcosindacalisti e saranno loro a sostenere le lotte dure 
                  e spesso sanguinose che impediranno, nella metà del 22, 
                  ai fascisti di entrare a Piombino.  
                  Lattentato al socialista Mingrino, il 19 luglio 1921, 
                  fa scattare per la prima volta gli Arditi. Essi attaccano il 
                  covo dei fascisti piombinesi ma lo trovano deserto, 
                  quindi casa per casa e nei luoghi di lavoro catturano i fascisti 
                  e costringono un loro capo, il direttore del Cantiere navale, 
                  a firmare un atto di sottomissione.  
                  Le Guardie Regie corse in aiuto dei fascisti vengono sopraffatte 
                  e disarmate.  
                  Solo dopo alcuni giorni la reazione degli Arditi termina e le 
                  forze dellordine riescono a riprendere il controllo della 
                  città.  
                  Intanto il 2 agosto socialisti e fascisti firmano a Roma il 
                  Patto di Pacificazione. Gli Arditi affiggono a Piombino un manifesto: 
                  Non vi può essere nessuna possibilità di 
                  pace, in questo momento, tra il proletariato piombinese e i 
                  suoi sfruttatori... gli arditi del popolo resteranno vigili 
                  ed armati contro gli sgherri neri.  
                  Il 3 settembre lanarchico Giuseppe Morelli sorpreso ad 
                  affiggere manifesti contro il Patto di Pacificazione reagisce 
                  con la pistola alle guardie regie ed ai fascisti, rimanendo 
                  ucciso nel conflitto.  
                  Durante la notte, prevedendo la reazione degli anarchici, la 
                  Polizia irrompe nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro (durante 
                  i turni notturni) arrestando oltre 200 compagni. Privati gli 
                  arditi e gli anarchici dei loro militanti politici e sindacali 
                  più attivi, i fascisti capirono che quello era il momento 
                  per sferrare il loro attacco. Prima incendiarono la sezione 
                  socialista, poi la Camera Confederale e la tipografia la Fiamma, 
                  e quindi si diressero verso la Camera del Lavoro sindacale, 
                  ma si scontrarono con una pattuglia di giovani anarchici, fra 
                  cui: Landi, Lunghi, Venturini, Marchionneschi, Panzavolta, Franci, 
                  Messena Lucarelli. Giungevano nel frattempo gruppi di operai 
                  e la polizia fu costretta ad arrestare i fascisti per salvarli 
                  dalla sana ira popolare.  
                  Racconta Armando Borghi: Una conferenza la tenni a Piombino, 
                  presente il deputato comunista Misiano. I fascisti lo avevano 
                  scacciato dal Parlamento, minacciandolo di morte, e lui si era 
                  rifugiato sotto la protezione degli anarchici, nella cittadina 
                  toscana, tenuta ancora dai nostri alla fine del 1921. 
                   
                  I fascisti tentarono la conquista di Piombino il 25 aprile del 
                  22, ma giunti alla periferia della città, trovarono 
                  gli anarchici e gli Arditi che rapidamente misero in fuga le 
                  camice nere.  
                  Frattanto, dopo la riapertura degli stabilimenti siderurgici, 
                  manovrando abilmente con le assunzioni discriminate per rendere 
                  più debole la compattezza operaia (Piombino anche allora 
                  era una città-fabbrica) le direzioni aziendali preparavano 
                  il colpo definitivo, essendosi anche assicurata la totale collaborazione 
                  del Comitato Cittadino.  
                  Unaltra vittima fu il giovane anarchico Landi Landino 
                  (21 maggio 1922), che i fascisti tenevano presente come il principale 
                  artefice delle loro ritirate.  
                  Il 12 giugno (dopo un incidente appositamente creato dove rimaneva 
                  ucciso uno studente fascista e per i funerali del quale giunsero 
                  in città i fascisti di tutta la zona) gli squadristi 
                  e le guardie regie inviate da Pisa a ristabilire lordine 
                  si impadronivano della città.  
                  Dapprima occupano il Comune e la Pretura, poi i fascisti assaltano 
                  e distruggono le sedi del Partito Socialista e della CGL. Per 
                  tutta la notte e tutto il giorno dopo, con centinaia di assalti, 
                  le squadracce tentano la conquista della Camera Sindacale dellUSI 
                  e della tipografia del giornale anarchico Il martello, 
                  sempre respinti. Solo dopo un giorno e mezzo di combattimento, 
                  fascisti e guardie regie riescono a piegare anche gli anarchici. 
                   
                  Il fascismo era passato anche a Piombino ed i compagni più 
                  in vista trovarono scampo nellespatrio; altri dovettero 
                  subire persecuzioni e angherie durante tutto il regime fascista. 
                   
                  Prendiamo ad esempio le vicende di due compagni: Egidio Fossi 
                  e Adriano Vanni.  
                  Egidio Fossi, condannato nel 20 dalle Assise di Pisa a 
                  12 anni e 6 mesi, 2 anni dei quali trascorsi in segregazione 
                  a Portolongone, gli altri in varie galere. Venne liberato per 
                  amnistia nel mese di ottobre 1925, fu poi perseguitato ripetutamente, 
                  ammonito e minacciato dai fascisti, finché espatriò 
                  clandestinamente in Francia. Anche allestero non sfuggì 
                  alla persecuzione e comincio così la vita randagia del 
                  fuoriuscito, braccato anche dalla polizia francese.  
                  Alla notizia che in Spagna il popolo era insorto contro il tentativo 
                  di golpe franchista, non mise tempo in mezzo e raggiunse 
                  nellagosto 1936 la colonna italiana Francisco Ascaso; 
                  partecipando a tutte le azioni sul fronte aragonese di Huesca, 
                  rimanendo a combattere in Spagna fino al marzo del 1939; fu 
                  poi internato nel campo di concentramento di Gurs e mandato 
                  nelle compagnie di lavoro. Nel 1940 fu fatto prigioniero dai 
                  tedeschi, venne quindi tradotto in Italia e assegnato al confino 
                  di Ventotene per 5 anni. Fu liberato nel settembre 1943; poté 
                  rientrare a Piombino nel 1945, dove riprese il suo posto nelle 
                  file anarchiche e come operaio allItalsider.  
                  Adriano Vanni, condannato insieme a Egidio Fossi e scarcerato 
                  nello stesso periodo fu subito bastonato a sangue dai fascisti; 
                  dovette riparare allestero, ma anche qui ebbe vita difficile. 
                  Rientrato in Italia dopo qualche anno, cominciarono di nuovo 
                  le persecuzioni del regime e le bastonature dei delinquenti 
                  in camicia nera. Partecipò attivamente alla sommossa 
                  della popolazione contro i nazifascisti del 10 settembre 1943. 
                  La lotta partigiana lo vide fra i più validi animatori 
                  della resistenza e assieme ad altri libertari operò in 
                  formazioni che agivano nelle zone allinterno della Maremma; 
                  fece parte anche del nucleo periferico del CLN. A liberazione 
                  avvenuta, nonostante si ritrovasse faccia a faccia con molti 
                  dei suoi aguzzini del ventennio, ebbe la forza morale di non 
                  vendicarsi.  
                  Altri compagni dovettero prendere la via del fuoriuscitismo 
                  da Piombino, come Franci Dario, Bacconi, (dirigente dellUSI), 
                  Agnarelli Smeraldo, e altri ancora. A Torino si trasferirono 
                  compagni come Guerrieri Settimo, Baroni Ilio (caduto nelle formazioni 
                  GAP), Bellini e Cafiero. I compagni che riuscirono a rimanere 
                  a Piombino non rimasero immuni da ammonizioni e minacce e, quando 
                  venivano personalità del regime, erano prelevati dalle 
                  loro abitazioni e tenuti in carcere per 3 o 4 giorni.  
                Federazione Anarchica Piombinese 
                
                  
                La 
                  sede della Camera Sindacale dell'USI di Piombino all'inizio 
                  degli anni 20 dello scorso secolo 
                  
                lanalisi di 
                  Malatesta sul fascismo  
                 
                Lanarchico campano fu uno dei pochi, sia in campo 
                  rivoluzionario che in campo riformista, a comprendere la vera 
                  essenza del fenomeno autoritario in atto. Ecco due suoi scritti, 
                  rispettivamente del 1922 e del 1923.  
                 
                Mussolini al potere 
                   
                 
                A coronamento di una lunga serie di delitti, il 
                  fascismo si è infine insediato al governo.  
                  E Mussolini, il duce, tanto per distinguersi, ha cominciato 
                  col trattare i deputati al parlamento come un padrone insolente 
                  tratterebbe dei servi stupidi e pigri.  
                  Il parlamento, quello che doveva essere il palladio della 
                  libertà, ha dato la sua misura.  
                  Questo ci lascia perfettamente indifferenti. Tra un gradasso 
                  che vitupera e minaccia, perché si sente al sicuro, ed 
                  una accolita di vili che pare si delizi nella sua abiezione, 
                  noi non abbiamo da scegliere. Constatiamo soltanto  e 
                  non senza vergogna  quale specie di gente è quella 
                  che ci domina ed al cui giogo non riusciamo a sottrarci.  
                  Ma qual è il significato, quale la portata, quale il 
                  risultato probabile di questo nuovo modo di arrivare al potere 
                  in nome ed in servizio del re, violando la costituzione che 
                  il re aveva giurato di rispettare e di difendere?  
                  A parte le pose che vorrebbero parere napoleoniche e non sono 
                  invece che pose da operetta, quando non sono atti da capobrigante, 
                  noi crediamo che in fondo non vi sarà nulla di cambiato, 
                  salvo per un certo tempo una maggiore pressione poliziesca contro 
                  i sovversivi e contro i lavoratori. Una nuova edizione di Crispi 
                  e di Pelloux è sempre la vecchia storia del brigante 
                  che diventa gendarme!  
                  La borghesia, minacciata dalla marea proletaria che montava, 
                  incapace a risolvere i problemi fatti urgenti dalla guerra, 
                  impotente a difendersi coi metodi tradizionali della repressione 
                  legale, si vedeva perduta ed avrebbe salutato con gioia un qualche 
                  militare che si fosse dichiarato dittatore ed avesse affogato 
                  nel sangue ogni tentativo di riscossa. Ma in quei momenti, nellimmediato 
                  dopoguerra, la cosa era troppo pericolosa, e poteva precipitare 
                  la rivoluzione anziché abbatterla. In ogni modo, il generale 
                  salvatore non venne fuori, o non ne venne fuori che la parodia. 
                  Invece vennero fuori degli avventurieri che, non avendo trovato 
                  nei partiti sovversivi campo sufficiente alle loro ambizioni 
                  ed ai loro appetiti, pensarono di speculare sulla paura della 
                  borghesia offrendole, dietro adeguato compenso, il soccorso 
                  di forze irregolari che, se sicure dellimpunità, 
                  potevano abbandonarsi a tutti gli eccessi contro i lavoratori 
                  senza compromettere direttamente la responsabilità dei 
                  presunti beneficiari delle violenze commesse. E la borghesia 
                  accetta, sollecita, paga il loro concorso: il governo ufficiale, 
                  o almeno una parte degli agenti del governo, pensa a fornir 
                  loro le armi, ad aiutarli quando in un attacco stavano per avere 
                  la peggio, ad assicurar loro limpunità ed a disarmare 
                  preventivamente coloro che dovevano essere attaccati.  
                  I lavoratori non seppero opporre la violenza alla violenza perché 
                  erano stati educati a credere nella legalità, e perché, 
                  anche quando ogni illusione era diventata impossibile e gli 
                  incendi e gli assassinii si moltiplicavano sotto lo sguardo 
                  benevolo delle autorità, gli uomini in cui avevano fiducia 
                  predicarono loro la pazienza, la calma, la bellezza e la saggezza 
                  di farsi battere eroicamente senza resistere  
                  e perciò furono vinti ed offesi negli averi, nelle persone, 
                  nella dignità, negli affetti più sacri.  
                  Forse, quando tutte le istituzioni operaie erano state distrutte, 
                  le organizzazioni sbandate, gli uomini più invisi e considerati 
                  più pericolosi uccisi o imprigionati o comunque ridotti 
                  allimpotenza, la borghesia ed il governo avrebbero voluto 
                  mettere un freno ai nuovi pretoriani che oramai aspiravano a 
                  diventare i padroni di quelli che avevano serviti. Ma era troppo 
                  tardi. I fascisti oramai sono i più forti ed intendono 
                  farsi pagare ad usura i servizi resi. E la borghesia pagherà, 
                  cercando naturalmente di ripagarsi sulle spalle del proletariato. 
                   
                  In conclusione, aumentata miseria, aumentata oppressione.  
                  In quanto a noi, non abbiamo che da continuare la nostra battaglia, 
                  sempre pieni di fede, pieni di entusiasmo.  
                  Noi sappiamo che la nostra via è seminata di triboli, 
                  ma la scegliemmo coscientemente e volontariamente, e non abbiamo 
                  ragione per abbandonarla. Così sappiano tutti coloro 
                  i quali hanno senso di dignità e pietà umana e 
                  vogliono consacrarsi alla lotta per il bene di tutti, che essi 
                  debbono essere preparati a tutti i disinganni, a tutti i dolori, 
                  a tutti i sacrifici.  
                  Poiché non mancano mai di quelli che si lasciano abbagliare 
                  dalle apparenze della forza ed hanno sempre una specie di ammirazione 
                  segreta per chi vince, vi sono anche dei sovversivi i quali 
                  dicono che i fascisti ci hanno insegnato come si fa la 
                  rivoluzione.  
                  No, i fascisti non ci hanno insegnato proprio nulla.  
                  Essi hanno fatto la rivoluzione, se rivoluzione si vuol chiamare, 
                  col permesso dei superiori ed in servizio dei superiori.  
                  Tradire i propri amici, rinnegare ogni giorno le idee professate 
                  ieri, se così conviene al proprio vantaggio, mettersi 
                  al servizio dei padroni, assicurarsi lacquiescenza delle 
                  autorità politiche e giudiziarie, far disarmare dai carabinieri 
                  i propri avversari per poi attaccarli in dieci contro uno, prepararsi 
                  militarmente senza bisogno di nascondersi, anzi ricevendo dal 
                  governo armi, mezzi di trasporto ed oggetti di casermaggio, 
                  e poi esser chiamato dal re e mettersi sotto la protezione di 
                  dio... è tutta roba che noi non potremmo e non vorremmo 
                  fare. Ed è tutta roba che noi avevamo preveduto che avverrebbe 
                  il giorno in cui la borghesia si sentisse seriamente minacciata. 
                   
                  Piuttosto lavvento del fascismo deve servire di lezione 
                  ai socialisti legalitari, i quali credevano, e ahimè! 
                  credono ancora, che si possa abbattere la borghesia mediante 
                  i voti della metà più uno degli elettori, e non 
                  vollero crederci quando dicemmo loro che se mai raggiungessero 
                  la maggioranza in parlamento e volessero  tanto per fare 
                  delle ipotesi assurde  attuare il socialismo dal parlamento, 
                  ne sarebbero cacciati a calci nel sedere!  
                 
                Errico Malatesta 
                  (Umanità Nova, 25 novembre 1922) 
                  
                Perché il fascismo 
                  vinse 
                 
                La forza materiale può prevalere sulla forza morale, 
                  può anche distruggere la più raffinata civiltà 
                  se questa non sa difendersi con mezzi adatti contro i ritorni 
                  offensivi della barbarie.  
                  Ogni bestia feroce può sbranare un galantuomo, fosse 
                  anche un genio, un Galileo o un Leonardo, se questi è 
                  tanto ingenuo da credere che può frenare la bestia mostrandole 
                  unopera darte o annunziandole una scoperta scientifica. 
                   
                  Però la brutalità difficilmente trionfa, ed in 
                  tutti i casi i suoi successi non sono stati mai generali e duraturi, 
                  se non riesce ad ottenere un certo consenso morale, se gli uomini 
                  civili la riconoscono per quella che è, e se anche impotenti 
                  a debellarla ne rifuggono come da cosa immonda e ripugnante. 
                   
                  Il fascismo che compendia in sé tutta la reazione e richiama 
                  in vita tutta laddormentata ferocia atavica, ha vinto 
                  perché ha avuto lappoggio finanziario della borghesia 
                  grassa e laiuto materiale dei vari governi che se ne vollero 
                  servire contro lincalzante minaccia proletaria; ha vinto 
                  perché ha trovato contro di sé una massa stanca, 
                  disillusa e fatta imbelle da una cinquantenaria propaganda parlamentaristica; 
                  ma soprattutto ha vinto perché le sue violenze e i suoi 
                  delitti hanno bensì provocato lodio e lo spirito 
                  di vendetta degli offesi ma non hanno suscitato quella generale 
                  riprovazione, quella indignazione, quellorrore morale 
                  che ci sembrava dovesse nascere spontaneamente in ogni animo 
                  gentile.  
                  E purtroppo non vi potrà essere riscossa materiale se 
                  prima non vè rivolta morale.  
                  Diciamolo francamente, per quanto sia doloroso il constatarlo. 
                  Fascisti ve ne sono anche fuori del partito fascista, ve ne 
                  sono in tutte le classi ed in tutti i partiti: vi sono cioè 
                  dappertutto delle persone che pur non essendo fascisti, pur 
                  essendo antifascisti, hanno però lanima fascista, 
                  lo stesso desiderio di sopraffazione che distingue i fascisti. 
                   
                  Ci accade, per esempio, dincontrare degli uomini che si 
                  dicono e si credono rivoluzionari e magari anarchici i quali 
                  per risolvere una qualsiasi questione affermano con fiero cipiglio 
                  che agiranno fascisticamente, senza sapere, o sapendo 
                  troppo, che ciò significa attaccare, senza preoccupazione 
                  di giustizia, quando si è sicuri di non correr pericolo, 
                  o perché si è di molto il più forte, o 
                  perché si è armato contro un inerme, o perché 
                  si è in più contro uno solo, o perché si 
                  ha la protezione della forza pubblica, o perché si sa 
                  che il violentato ripugna alla denunzia  significa insomma 
                  agire da camorrista e da poliziotto. Purtroppo è vero, 
                  si può agire, spesso si agisce fascisticamente 
                  senza aver bisogno discriversi tra i fascisti: e non sono 
                  certamente coloro che così agiscono, o si propongono 
                  di agire fascisticamente, quelli che potranno provocare 
                  la rivolta morale, il senso di schifo che ucciderà il 
                  fascismo.  
                  E non vediamo gli uomini della Confederazione, i DAragona, 
                  i Baldesi, i Colombino, ecc., leccare i piedi dei governanti 
                  fascisti, e poi continuare ad essere considerati, anche dagli 
                  avversari politici, quali galantuomini e quali gentiluomini? 
                   
                  Queste considerazioni, che del resto abbiamo fatte tante volte, 
                  ci sono rivenute alla mente leggendo un articolo di LEtruria 
                  Nuova di Grosseto, che ci siamo meravigliati di vedere 
                  compiacentemente riprodotto da La Voce Repubblicana 
                  del 22 agosto. È un articolo del suo valoroso direttore, 
                  il bravo Giuseppe Benci, il decano dei repubblicani della forte 
                  Maremma (tanto per servirci delle parole della Voce) 
                  il quale a noi è sembrato un documento di bassezza morale, 
                  che spiega perché i fascisti hanno potuto fare in Maremma 
                  quello che hanno fatto.  
                  Sono note le gesta brigantesche dei fascisti nella sventurata 
                  Maremma. Là, più che altrove, essi hanno sfogato 
                  le loro passioni malvagie. Dallassassinio brutale alle 
                  bastonature a sangue, dagli incendi e dalle devastazioni fino 
                  alle tirannie minute, alle piccole vessazioni che umiliano, 
                  agli insulti che offendono il senso di dignità umana, 
                  tutto essi hanno commesso senza conoscere limite, senza rispettare 
                  nessuno di quei sentimenti che, nonché essere condizione 
                  di ogni vivere civile, sono la base stessa dellumanità 
                  in quanto è distinta dalla più infima bestialità. 
                   
                  E quel fiero repubblicano di Maremma parla loro in tono dimesso 
                  e li tratta da gente di fede e mendica per i repubblicani 
                  la loro sopportazione e quasi la loro amicizia, adducendo i 
                  meriti patriottici dei repubblicani stessi.  
                  Egli ammette che il governo (il governo fascista) ha il 
                  diritto di garantirsi il libero svolgimento della sua azione 
                  e lascia intendere che quando i repubblicani andranno al potere 
                  faranno su per giù la stessa cosa. E protesta che nessuno 
                  potrà ammettere che da noi (a Grosseto) il partito repubblicano 
                  abbia con qualsiasi atto tentato di ostacolare lesperienza 
                  della parte dominante e si vanta di non aver per 
                  nulla intralciata lazione del governo ritraendosi perfino 
                  dalle lotte elettorali per attendere che lesperimento 
                  si compia. Cioè attendere che si compia lesperimento 
                  di dominazione su tutta Italia da parte di quella gente che 
                  ha straziato la sua Maremma.  
                  Se lo stato danimo di quel signor Benci corrispondesse 
                  allo stato danimo dei repubblicani e la sorte del governo 
                  fascista dovesse dipendere da loro, avrebbe ragione Mussolini 
                  quando dice che resterà al potere trentanni. Vi 
                  potrebbe restare anche trecento.  
                 
                Errico Malatesta 
                  (Libero Accordo, 28 agosto 1923) 
                    
                Anarchismo, antifascismo e Resistenza 
                   
                  (alcuni volumi consigliati, tutti in commercio. A cura di Massimo 
                  Ortalli)  
                AA.VV., La resistenza sconosciuta, Milano, Zero in Condotta, 
                  1995  
                  AA.VV., Lantifascismo rivoluzionario tra passato e 
                  presente, Pisa, Bibl. F. Serantini, 1993  
                  Tobias ABSE, Sovversivi e fascisti a Livorno (1918-1922), 
                  Livorno, Labronica, 1990  
                  Luigi BALSAMINI, Gli arditi del popolo, Casalvelino, 
                  Galzerano editore, 2002  
                  Nanni BALESTRINI, Parma 1922. Una resistenza antifascista, 
                  Roma, Derive approdi, 2002  
                  Luigi DI LEMBO, Guerra di classe e lotta umana, Pisa, 
                  Bibl. F. Serantini, 2001  
                  Ugo FEDELI, La nascita del fascismo, Pescara, Samizdat, 
                  2000  
                  Eros FRANCESCANGELI, Arditi del Popolo. Argo Secondari (1917-1922), 
                  Roma, Odradek, 2000  
                  Riccardo LUCETTI, Gino Lucetti, lattentato contro il 
                  duce, Carrara, Tipolito, 2000  
                  Pier Carlo MASINI, Mussolini la maschera del dittatore, 
                  Pisa, Bibl. F. Serantini, 1999  
                  M. ROSSI, I fantasmi di Weimar, Milano, Zero in Condotta, 
                  2001  
                  Marco ROSSI, Sovversivi contro fascisti a Livorno (1919-1943), 
                  Livorno, Gruppo Malatesta, 2002  
                  Giorgio SACCHETTI, Camicie nere in Valdarno, Pisa, Bibl. 
                  F. Serantini, 1996  
                  Giorgio SACCHETTI, Gli anarchici contro il fascismo, 
                  Livorno, Sempre Avanti, 1995  
                  Giorgio SACCHETTI, Limboscata, Foiano, ANPI di 
                  Foiano, 2000.  
                
                   
                    |  
                         
                        Alfonso Failla (Siracusa 1906-Carrara 1986) è 
                        stato una delle figure più prestigiose del movimento 
                        anarchico di lingua italiana di questo secolo. Avvicinatosi 
                        giovanissimo allanarchismo si impegna nella lotta 
                        contro il montante regime fascista. Più volte arrestato 
                        e sottoposto a provvedimenti restrittivi, nel 1930 viene 
                        spedito al confino ove rimane  salvo una breve parentesi 
                        di libertà vigilata a Siracusa nel 39  
                        fino allestate del 43.  
                        Dopo levasione in massa dal campo di Renicci dAnghiari 
                        partecipa alla Resistenza principalmente in Toscana, Liguria 
                        e Lombardia. Nel dopoguerra è tra gli organizzatori 
                        della Federazione Anarchica Italiana redattore e direttore 
                        responsabile del settimanale Umanità Nova attivo 
                        nellUnione Sindacale Italiana. Tiene centinaia di 
                        conferenze, dibattiti e comizi, lultimo dei quali 
                        a Pisa dopo lassassinio di Franco Serantini.  
                        Dal giugno del 72, per ragioni di salute è 
                        costretto ad interrompere lattività pubblica. 
                         
                       
                        Questo volume (pagg. 366 + XXIV, euro 12,90) è 
                        suddiviso in tre sezioni. Nella prima sono raccolte carte 
                        di polizia e documenti relativi al periodo 22/43 
                        tratti dal dossier Failla al Casellario Politico Centrale. 
                        Nella seconda sono raccolti gran parte degli articoli 
                        da lui scritti nel secondo dopoguerra. Nella terza sezione 
                        sono raccolte testimonianze della sua attività. 
                         
                      Per 
                        informazioni e richieste:  
                        La Fiaccola c/o Elisabetta Medda, via Nicotera, 9  
                        96017 Noto (SR).  
                      Distribuzione 
                        nelle librerie: Di.Est, via G. Cavalcanti 11, 10132 Torino 
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                Supplemento 
                  al n. 289 (aprile 2003)  
                  della rivista anarchica mensile A, 
                   
                  copertina di Marco Formaioni  
                  direttrice responsabile Fausta Bizzozzero,  
                  registrazione al tribunale di Milano n. 72 in data 24.2.1971, 
                   
                  stampa e legatoria Officina Grafica  Milano  
                  Editrice 
                   A, cas. post. 17120, I 
                  - 20170 Milano  
                  tel. (+ 39) 02 28 96 627,  
                  fax (+ 39) 02 28 00 12 71  
                  conto corrente postale 12 55 22 04  
                  conto corrente bancario n. 107397 presso Banca Etica 
                  filiale di Milano (abi 05018, cab 01600)  
                  e-mail: arivista@tin.it 
                   
                  sito web: www.anarca-bolo.ch/a-rivista 
                   
                Se vuoi 
                  una copia/saggio di A, 
                  chiedicela.  
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