|  
                
                 La scrittura proletaria di Leda 
                  Rafanelli  
                Attiva militante nel vivacissimo ambiente dellanarchismo 
                  milanese dinizio novecento, personaggio estroverso e anomalo 
                  perfino nel variegato milieu libertario che incarnava 
                  lanima sovversiva e trasgressiva della capitale lombarda, 
                  provocatoriamente ma sinceramente musulmana, zingara nei costumi 
                  e brava chiromante, attiva militante nelle lotte sociali e sindacali 
                  delle fabbriche milanesi, propagandista indefessa dellantimilitarismo, 
                  capace di comunicare con identica e spontanea immediatezza con 
                  i proletari di fabbrica e con gli intellettuali cultori di Stirner 
                  e Nietzsche, teorica e praticante del libero amore, audace femminista 
                  ante litteram, intellettuale autodidatta e spirito individualista, 
                  Leda Rafanelli (Pistoia 1880 - Genova 1971) fu, come ben si 
                  comprende, una delle figure più singolari e rappresentative 
                  della cultura proletaria del primo novecento.  
                  Scrittrice feconda, propagandista instancabile, abile polemista, 
                  narratrice di deliziose storie per linfanzia e di esotici 
                  racconti per intelligenze curiose, tutta la sua produzione letteraria 
                  fu animata dalla volontà di diffondere quelle forti idee, 
                  quei robusti ideali di liberazione materiale e spirituale che 
                  le teorie socialiste e anarchiche andavano affermando, sempre 
                  più estesamente, nei campi e nelle officine di una Italia 
                  in completa trasformazione. Ostinatamente tollerante, laica 
                  affermatrice dellunità dei diversi socialismi che 
                  si confrontavano sulla scena politica, disponibile alla collaborazione 
                  con tutti i partiti della libertà, attribuì 
                  sempre ai suoi romanzi una forte funzione pedagogica, individuando 
                  nei ceti popolari, prede della copiosa letteratura feuelleittonistica 
                  borghese, i naturali referenti di un messaggio portatore di 
                  contenuti esemplari.  
                  Ed è di un romanzo esemplare che diamo saggio questo 
                  mese. Esemplare nel senso più pieno, perché tale 
                  fu e volle essere Leroe della folla (Milano, Libreria 
                  Editrice Sociale, 1910. Prima ed.), che lautrice dette 
                  una prima volta alle stampe nel 1910. Un romanzo anarchico, 
                  compiuto e maturo, nel quale lo spirito libertario e le idee 
                  di emancipazione sociale accompagnano, passo dopo passo, le 
                  vicende del protagonista Lorenzo.  
                  Leda Rafanelli, consapevole della funzione educativa e formativa 
                  dei suoi scritti, si fa particolarmente attenta, nella forma 
                  e nella struttura narrativa per nulla estetizzanti del suo romanzo, 
                  alle esigenze di un pubblico poco colto, ma non 
                  per questo meno esigente. Di un pubblico che è espressione 
                  del mondo del lavoro, concretamente e prosaicamente impegnato 
                  nella lotta quotidiana contro lo sfruttamento anche culturale, 
                  e che vede nella lettura un prezioso strumento di ascesa sociale. 
                  La trama, che qui deve essere riassunta per grandi linee, ne 
                  è la più evidente dimostrazione.  
                  Lorenzo, figlio di ignoti, viene adottato da unanziana 
                  coppia di contadini, che lo avviano al lavoro dei campi. Quasi 
                  simbolo della trasformazione in atto da economia rurale a economia 
                  industriale, anche lui abbandona il mestiere di contadino per 
                  andare garzone, assieme ad altri due giovani, presso il fabbro 
                  Matteo, lunico spirito libero e anticlericale nella retriva 
                  e perbenista cittadina in cui vive. Alla improvvisa morte del 
                  fabbro, i tre giovani, rispettandone le ultime volontà, 
                  lo seppelliscono in forma civile, fra il disprezzo e lostracismo 
                  di benpensanti, preti e beghine e la soddisfazione degli avidi 
                  parenti, sollevati nel vedere che i tre giovani nulla rivendicano 
                  se non gli strumenti di lavoro.  
                  Dopo una cocente delusione amorosa, Lorenzo viene richiamato 
                  alle armi, ma rimane sconcertato nel vedere come gli altri coscritti 
                  siano fieri di far parte del reggimento. Ben presto la sua irrequieta 
                  insofferenza lo destina a una compagnia di disciplina, dove 
                  finalmente incontra altri giovani ribelli come lui. Scontato 
                  un anno di carcere militare, rientra in paese e alla morte del 
                  padre adottivo parte per raggiungere Milano. E qui diventa particolarmente 
                  interessante vedere come la Rafanelli intuisca la modernità 
                  della nascente metropoli, colta non solo nella sua stimolante 
                  animazione, ma anche nel disumanizzante affaccendarsi per produrre, 
                  lavorare e arricchirsi. Durante il percorso, Lorenzo soccorre 
                  il vecchio girovago Marco, antico internazionalista e padre 
                  dellanarchico Comunardo, ora rinchiuso in prigione. Coi 
                  pochi risparmi offre il biglietto del treno al vecchio Marco, 
                  al quale si ricongiungerà una volta raggiunta a piedi 
                  Milano. Qui conosce Comunardo che, appena uscito dal carcere, 
                  torna a dedicare tutto se stesso allimpegno rivoluzionario 
                  e alla propaganda anarchica. In una intensa stagione di scioperi 
                  anche Lorenzo, il cui istintivo anarchismo è maturato 
                  in coscienza sociale, si butta nella lotta, entrando a far parte 
                  a pieno titolo di quel proletariato di fabbrica che sempre più 
                  diviene cosciente protagonista di un percorso di emancipazione 
                  collettiva.  
                  Due eroi della folla, dunque, due ritratti in piedi. Il proletario 
                  Lorenzo che in un sofferto percorso di proletaria educazione 
                  sentimentale acquisisce la consapevolezza della propria figura 
                  sociale, e il rivoluzionario Comunardo, leroe del titolo, 
                  che sa trasfondere la sua funzione individuale di avanguardia 
                  nella classe che rappresenta e per la quale lotta.  
                  Accanto alle vicende individuali, diventano protagoniste del 
                  romanzo, quasi si trattasse di un saggio sociologico, anche 
                  le trasformazioni sociali e culturali che percorrono lItalia 
                  allinizio del novecento. Infatti, nella progressiva maturazione 
                  di Lorenzo, condotto per mano dai maestri incontrati nel cammino, 
                  compare la metafora dello sviluppo del proletariato industriale 
                  che, muovendo dalle campagne arretrate, diventa classe organizzata 
                  e autonoma. Il notevole successo del romanzo, forse il più 
                  bello e militante della Rafanelli, (in quindici 
                  anni, fra il 1910 e il 1925 ne escono tre edizioni) è 
                  probabilmente dovuto al fatto che il giovane e proletario lettore 
                  cui lautrice si rivolge opera una sorta di identificazione 
                  con la propria personale esperienza che, nel passaggio da individuale 
                  a collettiva, riproduce il fenomeno di massa che mutò 
                  il panorama sociale del secolo. Non va dimenticato, però, 
                  che Leda è anarchica, e che quindi non può non 
                  attribuire alla volontà del singolo, pur nel corso di 
                  queste trasformazioni ineluttabili, il fattore determinante 
                  di ogni processo evolutivo. La presa di coscienza è anche 
                  e soprattutto un atto di forte volontà, un atto sofferto 
                  e difficile, che in quanto tale assume maggiore valore e dignità. 
                   
                  In molti articoli, nei nostri giornali o in riviste specializzate, 
                  si è parlato di Leda Rafanelli, e questo non sorprende, 
                  perché tuttora il suo fascino riesce ad ammaliare compagni 
                  e studiosi. Di particolare interesse lintroduzione di 
                  Pier Carlo Masini al famoso Una donna e Mussolini nella 
                  edizione Rizzoli del 1975, lopera autobiografica nella 
                  quale Leda Rafanelli descrive gli anni della giovinezza e la 
                  conoscenza con lex direttore del LAvanti!; 
                  larticolo a più mani apparso su Donna Woman 
                  Femme, (1986, n. 3), Leda Rafanelli: unanarchica 
                  femminista e rivoluzionaria eccezionale; la bibliografia 
                  curata da Franco Schirone pubblicata nel 1992 dallArchivio 
                  Proletario Internazionale di Milano. Voglio qui segnalare, però, 
                  in modo particolare, un singolare, stimolante libro appena pubblicato 
                  (Mattia Granata, Lettere damore e damicizia. 
                  La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria 
                  Rossi. Per una lettura dellanarchismo milanese 1913-1919, 
                  Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2003), nel quale lautore, 
                  allievo di Maurizio Antonioli (al quale, con Franco Schirone, 
                  va il merito di aver ridato attualità alla figura di 
                  Leda Rafanelli) riporta la fitta corrispondenza fra tre dei 
                  principali protagonisti dellanarchismo milanese dei primi 
                  decenni del novecento. Si tratta, come dice il titolo, di lettere 
                  damore e damicizia, che ci consentono, forse meglio 
                  di quanto potrebbe fare una biografia, di comprendere le personalità, 
                  gli umori, le idee e gli ideali di quello straordinario periodo 
                  di fervore culturale del movimento libertario milanese. Dallintroduzione 
                  di Granata e da questa corrispondenza riprendo alcuni brani. 
                  Per la biografia più completa rimando alla scheda compilata 
                  da Enzo Santarelli, nel quarto volume di F. Andreucci  
                  T. Detti, Il Movimento Operaio Italiano. Dizionario Biografico, 
                  Roma, Editori Riuniti, 1978.  
                  Termino citando il saluto che nel 1971, una settimana prima 
                  di morire, Leda mandò, dalle colonne de LInternazionale 
                  al nostro movimento: Leda Rafanelli, partendo per sempre, 
                  saluta tutti i compagni. Viva lanarchia.  
                  
                  Massimo Ortalli 
                  
                  
                Scannarsi 
                  senza 
                  saperne il perché 
                   di Leda Rafanelli 
                 
                (
). Lo avevano incorporato in un reggimento di genio, 
                  e si sarebbe anche adattato a quel lavoro se avesse potuto dimenticare 
                  lo scopo segreto pel quale quel lavoro veniva fatto. Ché 
                  se scavavano sotterranei o alzavano muraglie, se costruivano 
                  ponti o trincee  lo scopo segreto era sempre uno, opprimente 
                  e tremendo, se pur non si sarebbe affermato presto: la guerra. 
                   
                  Durante le grosse manovre la sua nervosità si 
                  accentuò in quelle ridicole guerriglie contro un nemico 
                  inesistente. Lorenzo che si sentiva entusiasticamente internazionalista 
                   che riconosceva come la bellezza e la grandezza rappresentata 
                  da eletti individui dogni popolo racchiuda una forza di 
                  fratellanza umana che nessuna guerra potrà mai soffocare, 
                   si sentiva disgustato da tutta quella commedia e non 
                  dissimulava la sua derisione per le vittorie dei bianchi 
                  o degli azzurri.  
                  Ed era tutto lì lo scopo del militarismo! Due squadre 
                  dello stesso popolo fingevano ora di battersi, ma che 
                  forse, in guerra non ci sarebbe suppergiù lo stesso? 
                  Sarebbero sempre stati i figli del popolo a battersi, a uccidersi, 
                  a scannarsi senza saperne il perché, senza conoscere 
                  il movente degli odi, dando il frutto del lavoro, dando la tranquillità 
                  delle loro famiglie, la fecondità della terra, la gioventù 
                  dei figli, la libertà del pensiero e dellazione, 
                  e infine la vita, solo perché a due capi di governo, 
                  (che non si sarebbero mossi dalle loro regge!) veniva in mente 
                  di litigare o di rubarsi lun con laltro una città, 
                  una regione; o pur di andare a razziare in libere terre, sottomettendo 
                  ad un giogo odioso, popoli sani, incivili, felici, come quando 
                  era ragazzo era avvenuto per la Somalia e lAbissinia. 
                   
                  (
). Ma ora il tempo è passato e io vado a Milano 
                  per rivedere il mio figliuolo!  
                   Dove è?  
                   È in carcere... sono tre anni tra venti giorni 
                  che è là chiuso e isolato !... E io ho sofferto 
                  per me e per lui, e non so come ho potuto vivere tanto senza 
                  di lui... Non ho che lui... È stata la speranza di rivederlo 
                  che mi ha sorretto...  
                   In prigione!  ripeté Lorenzo pensando che 
                  pure lui ci aveva passato un anno.  E, scusate... per 
                  quale motivo...  
                   Oh! non pensate male di lui nemmeno per un istante, Lorenzo 
                  ! Cornunardo mio è il più buono, il più 
                  onesto dei giovani che vivono sulla terra! Ma egli professa 
                  unidea che ai potenti incute terrore, è il figlio 
                  della folla che dalla folla, in un periodo di rivolta, può 
                  emergere come un eroe. Perché egli si è dato tutto 
                  a unidea, egli vive solo per la sua idea. E poi che scriveva, 
                  parlava, propagava fra la folla dei miseri la sua idealità 
                  superiore, poi che aveva preso la responsabilità di un 
                  giornale che quelle sue idee diffondeva, me lo hanno arrestato 
                  tre anni addietro, e condannato al massimo della pena... E io, 
                  in questi anni ho potuto rivederlo, a traverso le sbarre per 
                  sole tre volte...  
                   Dunque, vostro figlio...  interrogò ancora 
                  Lorenzo vibrante di aspettazione...  
                   Sì, giovanotto mio, non vi spaventate... Il mio 
                  Comunardo è anarchico...  
                   Ma sono anarchico anchio !  esclamò 
                  Lorenzo mentre il cuore gli batteva forte e le guance gli si 
                  colorivano di gioia...  sono un compagno del vostro figliuolo... 
                   
                  Egli si diceva anarchico per la prima volta; non conosceva a 
                  fondo le teorie, né il loro metodo di azione. Ma il chiamarsi 
                  anarchico, in quel momento gli dava una tale ebbrezza 
                  che se avesse dovuto provare ai nuovi compagni la sua fede avrebbe 
                  offerto la vita per qualsiasi prova.  
                  (
). Così pensando Lorenzo sentiva nascere in sé 
                  la speranza e la forza. Non più dagli uomini avrebbe 
                  atteso la libertà e la gioia, ma lui, lui stesso, la 
                  libertà e la gioia avrebbe bandito alzando una bandiera 
                  di consapevole ribellione contro il male, contro la schiavitù, 
                  contro ogni viltà. E tutto questo senza speranza di guadagno 
                  o di premio, senza soddisfazioni ambiziose, senza scopi segreti. 
                  Così, perché era anarchico, perché dopo 
                  tante incertezze, tante prove, tante debolezze, aveva trovato 
                  la sua via.  
                  Via libera e vasta, ché lanarchico ha per patria 
                  il mondo, e non ammette limiti alla su attività, non 
                  si crea leggi da osservare, non si traccia rotaie da seguire. 
                  È libero di terrorizzare il mondo con la dinamite o di 
                  passare la sua giovinezza leggendo opere di filosofia negatrice. 
                  Può, cercare il suo posto tra la folla, incitarla, elevarla, 
                  spronarla verso la sua meta lontana, o andare a vivere da primitivo 
                  in un vuoto eremo. Perché in ognuna di queste manifestazioni 
                  lanarchico resta lui stesso servo e padrone di sé 
                  stesso, cercando rubare alla vita più gioia o più 
                  dolore che gli è possibile. A seconda di quale emozione 
                  la sua anima chiede. Lo schianto o il silenzio. La luce della 
                  cultura che dà, quanto più si studia, nuovo desiderio 
                  di sapere, o la volontaria ignoranza che sdegna lo studio; la 
                  spensierata oziosa vita del nomade o la severa disciplina dello 
                  scienziato. Tutto per vivere la nostra vita  perché 
                  lanarchico,  della vita  è un poco 
                  il corsaro, e come il corsaro batte bandiera nera.  
                Brani tratti da: Leda Rafanelli, Leroe della folla, 
                  Milano, Casa Editrice Sociale, 1925.  
                
                
                  
                Giovani proletari 
                  formatisi da autodidatti 
                  di Mattia Granata 
                 
                Furono proprio questi tre nomi a rappresentare la punta più 
                  avanzata di quella particolare corrente del movimento anarchico 
                  italiano che è stata definita anarcoindividualista 
                  e che si sviluppò, dopo una prima fase, a Milano.  
                  Conviene innanzi tutto specificare che non si può affermare 
                  che:  
                 
                Lanarchismo milanese non avesse profondi addentellati 
                  con il mondo operaio e fosse riconducibile, come volevano gli 
                  avversari, ad un fenomeno piccoloborghese [poiché] al 
                  contrario, era proprio lelemento operaio a costituire 
                  la parte sommersa del piccolo iceberg anarchico (metallurgici, 
                  edili, lavoranti panettieri, calzolai, tipografi) [...] erano 
                  quegli strati proletari estranei alla logica del riformismo 
                  socialista e molto più radicali degli stessi rivoluzionari 
                  del PSI, spesso non organizzati e di fatto inorganizzabili dalle 
                  leghe di resistenza, molto più aperti alle sollecitazioni 
                  di una azione diretta praticata di quanto non lo 
                  fossero i primi teorici del sindacalismo rivoluzionario nostrano. 
                    
                La proclamata estraneità degli elementi di questa parte 
                  ad una condizione definibile come borghese, o piccolo 
                  borghese, del resto, e come si vedrà in seguito 
                  per i personaggi di cui qui si tratta, è scritta e riscontrabile 
                  nelle loro biografie di giovani proletari avviati fin dallinfanzia 
                  al lavoro e formatisi intellettualmente da autodidatti.  
                  La nascita della corrente definibile come anarcoindividualista 
                  va fatta coincidere con la nascita della rivista Vir, 
                  pubblicata a Firenze tra il luglio del 1907 e il marzo del 1908 
                  ad opera di Giuseppe Monanni, il quale si fece portatore e interprete 
                  delle teorie nietzchiane e stirneriane rielaborate a uso del 
                  movimento anarchico italiano. Il trasferimento a Milano di Monanni 
                  e di Leda Rafanelli, sua compagna di allora, e la loro partecipazione 
                  alla rivista La Protesta umana (1906  1909), 
                  edita da Ettore Molinari e da Nella Giacomelli, diede il via 
                  in questa città a una successiva evoluzione di questa 
                  corrente, frutto dellincontro fra diverse tendenze culturali, 
                  artistiche, letterarie. Furono, infatti, questi due personaggi, 
                  esaurita lesperienza de La Protesta umana, 
                  a impegnarsi nella pubblicazioni di riviste quali Sciarpa 
                  nera (apr. 1909  ago. 1910), naturale continuazione 
                  dellesperienza del Vir, La Questione 
                  sociale (set.  ott. 1909), La Rivolta 
                  (gen.  ago. 1910) e La Libertà (1913 
                   1915).  
                  Dal 1909, poi, parallelamente allopera pubblicistica, 
                  essi fondarono prima la Società editrice milanese, con 
                  sede a Sesto S. Giovanni, poi la Libreria editrice sociale, 
                  in Via S. Vito, al Carrobbio conducendo, per lungo tempo, unimportante 
                  attività editoriale e producendo, tra le altre, le opere 
                  del Nietzsche, LUnico, di Max Stirner e gli scritti e 
                  i numerosi opuscoli propagandistici di successo  antimilitaristi, 
                  contro la scuola, in difesa dei lavoratori , che proprio 
                  Leda Rafanelli componeva in questo periodo.  
                  Fu in questa feconda temperie culturale che si formarono e agirono 
                  i militanti più attivi nellambito dellindividualismo 
                  milanese e, soprattutto, a partire dallesperienza de La 
                  Libertà attorno a cui si coagulò questo 
                  nuovo nucleo che cominciò ad operare attivamente soprattutto 
                  nella fase immediatamente antecedente alla guerra.  
                  Lanarcoindividualismo che dal Vir prese le 
                  mosse, che si rifaceva ai nomi di Stirner e di Nietzsche, che 
                  andava focalizzando la sua attenzione sulluomo  
                  più che sulle masse , sulla sua libertà 
                  e sulla sua aspirazione al meglio, veniva così conosciuto 
                  da questi giovani andando a costituire il loro bagaglio culturale. 
                  Il tramite di questo passaggio, oltre e più che il Monanni, 
                  fu Leda Rafanelli. Ciò fu possibile, in particolare, 
                  grazie allamicizia che nacque tra lei e Carlo Molaschi, 
                  punto di riferimento per alcuni dei più giovani militanti. 
                 
                  
                  
                Lettera 
                  a Carlo Molaschi 
                  di Leda Rafanelli 
                5 settembre 1915 (1)  
                  Ho avuto stamani, come già sai, la tua lettera e la tua 
                  cartolina. Alla lettera però non risponderò in 
                  questa preziosa pagina, dove ti rivelo  purtroppo con 
                  caratteri latini e non egizi come vorrei  qualche cosa, 
                  ancora più preziosa, della mia anima.  
                  Della lettera parleremo. Solo ti ripeto che della tua infedeltà 
                  di amico mi offesi solo per me stessa.  
                  Mi hai dato il diritto di volerti bene, e mi prendo anche quello 
                  di essere ragionevolmente gelosa di questo bene. 
                  Lo sai: tu mi conosci. Sono gelosa come un beduino arabo 
                  di tutto ciò che è o credo che sia mio. Dei miei 
                  profumi e della mia sapienza; dei miei monili e dei miei pochi 
                  e scelti amici. Gli amici miei sono 4  il numero perfetto 
                  : 4 come le stagioni, come i poli del vento, come le facce 
                  della Piramide. Potranno diventare 5; 5 come le dita della mano, 
                  5 come i sensi (non sono Buddista e non riconosco il sesto senso 
                  e seguenti). Ma non più di 5. E sono di tutte le razze 
                  e tu eri al primo posto (poiché si può prendere 
                  il primo o lultimo a seconda delle buone o cattive azioni). 
                  Ora vieni addirittura per ultimo; ed è una vergogna per 
                  te farti passare avanti uomini che valgono meno di te! Come 
                  nelle scuole il giovanetto più intelligente (penso a 
                  come sarà delizioso Aini giovinetto) per una mancanza 
                  cede il posto di capoclasse ad uno più grande ma meno 
                  bravo di lui! Proprio così.  
                  Dunque  per non scriverti un volume per quella lettera 
                  alla quale non volevo neanche rispondere  affermo che 
                  la tua lealtà mi appartiene, poi che forse con me sola 
                  tu puoi dimostrarti quale sei. Ora, il nascondere a me una cosa 
                  che mi doveva interessare per le ragioni che ti ho già 
                  detto, è unoffesa, e io me ne dolgo. Non perdono 
                   né io so né posso perdonare  ma mi 
                  rassegno ad aver la tua amicizia incompleta, perché tu 
                  intiera non la puoi dare. Sei della razza infedele (e ringrazio 
                  Allah che mi ha offerto anche due amici della mia razza) e tu, 
                  pur senza volerlo, mentirai sempre, tradirai sempre chi  
                  come me , vive nellassoluto, e ama, odia, respinge, 
                  desidera, solo per passione e senza complicazioni cerebrali. 
                 
                Ed ora al tuo pensiero. No ti sbagli. Anzi mi sbagli con qualche 
                  altra. Hai anche te, come il sentimentale compagno di Pisa, 
                  unamica monaca (2)?  
                  Credi che voglia prendere il velo, o pronunziare i voti di castità? 
                  Credi che io rinunzi al mio amore (povero amore lontano e perduto!) 
                  per amor di Dio? È qui il tuo errore. Il velo mussulmano 
                   quando lo metterò  sarà una sapiente 
                  astuzia per... fingermi più giovane. Allah  o Dio, 
                  che è lo stesso essendo Unico , vuole che si ami, 
                  poi che ce ne ha data la facoltà. E la mia religione 
                  è di conquista della gioia, non di rinunzia [...] (3) 
                  se Dio mi darà la forza di respingere [...] amore (ammesso 
                  che ancora lui lo senta!) o di non invocarlo, sarà solo 
                  per rinunziare alla più atroce sofferenza. Perché 
                  Lui, ormai, è troppo lontano da me; è un mio nemico, 
                  superiore a tutti gli altri nemici, come lo sei tu; ma nemico, 
                  nemico, 33 volte nemico, perché con lui non è 
                  possibile nemmeno lamicizia che è stata possibile 
                  tra me e te, che non ci siamo mai amati, perché tra noi 
                  due non è nato il desiderio che è stato invece, 
                  per me e lui, la febbre e il tormento. È lui che fuggirò, 
                  non lamore, se Dio me lo concederà per la mia gioia; 
                  lui, che non lo posso credere, come posso credere te, un uomo 
                  superiore, perché con me è stato uomo soltanto, 
                  con tutte le debolezze, le brutalità, le viltà 
                  anche (4). Hai compreso, Sahib (5)! E finisco dicendoti che 
                  nel tuo pensiero mi ha meravigliato quel tuo inno allamore, 
                  che è, dici, una realtà più forte di Dio! 
                  Ma se tu stesso lo neghi! È vero che neghi anche Dio! 
                  Ecco perché nemmeno tu sai amare!  
                 
                Leda  
                 
                note:  
                  1. La lettera è intestata, come molte altre, anche con 
                  la datazione araba ed è arricchita da numerosi disegni. 
                  Anche qui le sottolineature delloriginale sono rese con 
                  il corsivo.  
                  2. Lironico riferimento della Rafanelli è a Gino 
                  Del Guasta (1875-1940), medico anarchico pisano; egli, inizialmente 
                  mazziniano, si avvicinò al movimento anarchico attraverso 
                  Pietro Gori collaborando con diversi periodici (ad es. Il 
                  Libertario, Il Grido della folla, e più 
                  tardi LAvvenire anarchico). Autore di numerosi 
                  opuscoli, dopo unattiva militanza, con laffermarsi 
                  del fascismo e il manifestarsi in lui di un acceso fervore religioso, 
                  si allontanò dal movimento rivedendo le sue posizioni 
                  giovanili. Il richiamo nella lettera è dovuto al fatto 
                  che nel corso della sua esperienza redazionale nel periodico 
                  anticlericale Satana, uscito a Pisa tra il 1907 
                  e il 1911, egli pubblicò un intenso carteggio amoroso 
                  con una suora di nome Paola.  
                  3. La lettera è strappata.  
                  4. Il riferimento è, molto probabilmente, a Mussolini. 
                   
                  5. Letteralmente Padrone.  
                Brani tratti da: Mattia Granata, Lettere damore e 
                  damicizia, Pisa, BFS, 2003.  
                 |