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                  Gli 
                  anarchici e la violenza 
                L'anarchismo, quando è autentico, si basa sul principio altruistico 
                  di Kropotkin : "Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto 
                  a te." Quindi è assurdo immaginare un anarchico che sia portato 
                  ad uccidere un essere umano a meno che non si tratti di una 
                  guerra che coinvolga tutti i cittadini di un paese. Dobbiamo 
                  però riconoscere che da parte di molti anarchici, che non fanno 
                  mai male a nessuno, c'è una tendenza a solidarizzare con individui 
                  che si qualificano anarchici per dare una giustificazione morale 
                  alle loro malefatte. Pur troppo nel movimento (come in tutti 
                  i movimenti) vi sono persone per bene sulle quali è scattata 
                  la trappola del prestigio di cui godono i violenti in questo 
                  basso mondo, così come sui comunisti é scattata la trappola 
                  dello stalinismo. Ve li immaginate dei Kropotkin, dei Bakunin, 
                  dei Malatesta che si mettono a seminare dei cestini pieni di 
                  esplosivo nei supermercati o perdono tempo e dignità nell'esaltare 
                  gl'individui che costituiscono spesso la manovalanza di politici 
                  corrotti o psichicamente anormali? Ed anche é bene guardarsi 
                  da persone, comunque si qualifichino, che sono morbosamente 
                  attratte da politici che esprimono qualche nostalgia per i responsabili 
                  della atrocità commesse nel secolo scorso ma che, per fortuna, 
                  non hanno la capacità organizzativa di saper trascinare torme 
                  di esseri ridotti all'incoscienza. Nel suo Amleto, Shakespeare, 
                  fa dire al non del tutto equilibrato protagonista della famosa 
                  tragedia che rimanere onesto, per il mondo come è fatto, è dato 
                  ad un uomo sopra diecimila." Per certo non è tanto strano che 
                  esistano tanti uomini di cultura che pubblicano libri e scrivono 
                  sui giornali trovando il mondo di giustificare certi terroristi 
                  e certi malfattori politici italiani e stranieri ricorrendo 
                  agli argomenti usati dai retori e dagli psichiatri. Se anche 
                  loro non difettassero di qualità positive farebbero in modo 
                  che il terrorista politico o religioso non penserebbe più di 
                  essere ammirato come un eroe; ma sarebbe vincolato dal pensiero 
                  di poter essere considerato un infermo di mente. Tra l'altro, 
                  da noi, il criminale sa di poter contare sulla benevolenza di 
                  un popolo che non ritiene giusto che la legge sia eguale per 
                  tutti. Molti che si occupano di giustizia dedicano la parte 
                  migliore del loro tempo, anziché alla ricerca di misure atte 
                  a prevenire i reati, al benessere dei criminali. Ricorrono a 
                  qualunque argomento. Ad esempio, non molto tempo fa nell'irrogare 
                  una condanna ridicola, praticamente annullata delle attenuanti, 
                  per un grave reato commesso da un politico, i giudici spiegarono 
                  la loro particolare generosità con "l'irreprensibile condotta 
                  processuale" dell'imputato. (Chissà? Forse non aveva preso i 
                  giudici a pernacchie). Qualcuno si chiederà per quale motivo 
                  ci si deve preoccupare delle azioni dei falsi anarchici e non 
                  degli atti di violenza commessi da uomini che professano, o 
                  fingono di professare, principi di altro genere; la ragione 
                  è stata enunciata al principio di questo scritto. Inoltre chi 
                  è anarchico, proprio perché è tale, non obbedisce alla volontà 
                  di conventicole, di segretari e funzionari di partito e simili. 
                  Dato che ha una vigile coscienza individuale non ha bisogno 
                  che gli venga insegnato come debba comportarsi nei riguardi 
                  dei propri simili. Il principio che lo guida non ammette deviazioni, 
                  come avviene per i cristiani che beneficiano di note voli deviazioni 
                  come accade in Irlanda, come accade negli USA dove parecchi 
                  medici abortisti sono stati assassinati dai cattolici ai quali 
                  la casta malefica che ne condiziona il comportamento non contorcesse 
                  il suo principio secondo il quale non si deve fare ad altri 
                  ciò che non vorrebbe fosse fatto a se stesso. Senza condizionamenti 
                  esterni non solo certi religiosi sarebbero incapaci di uccidere, 
                  ma neppure di odiare. Non solo, ma la coscienza impedirebbe 
                  loro di usare le proprie idee come mezzo per ottenere privilegi 
                  e migliorare il proprio benessere a spese altrui. Gli uomini 
                  che non appartengono alla maggioranza indicata dal principe 
                  Amleto, ma alla minoranza alla quale appartiene il principe 
                  Kropotkin, si rendono conto che, dato che ogni uomo ha la sua 
                  visione del mondo, può esternare le proprie per presentare se 
                  stesso, mai per propagarle e comunque per usarle allo scopo 
                  di affermare i propri interessi particolari o di gruppo.  
                Alessandro Brenda 
                  (Genova)  
                  
                 Il 
                  Carcere RIMOSSO 
                È come tornare da capo! I discorsi paiono sempre gli stessi, 
                  da anni si ripetono e, forse, analizzando bene le cose, si potrebbe 
                  scoprire che i periodi di discussione corrispondono, in tempi 
                  diversi, alle stesse stagioni! La società non ha ancora assunto 
                  appieno una responsabilità fondamentale per la sua crescita, 
                  per la sua stessa valorizzazione: non ha rivendicato il carcere! 
                  Lo costruisce, prima ancora ne crea le condizioni di necessità, 
                  lo modella in modo grezzo, perché grezza, violenta, è la considerazione 
                  che ha degli uomini e delle donne che vi sono rinchiusi. Dovrebbe 
                  impegnarsi in una appassionata ricerca con il massimo sforzo, 
                  senza cercare applausi, ed invece rincorre le voci urlate delle 
                  varie emergenze, delle varie corporazioni di addetti ai lavori 
                  che, immancabilmente, hanno qualcosa da dire lasciando vivi 
                  i dubbi sulla reale consistenza delle novità. Non accusateci 
                  di voler essere i primi della classe se parliamo: desideriamo 
                  solo esserci! Vogliamo agire nell'assenza, vogliamo tenerci 
                  stretti i nostri legami, non pesare su di loro, dimostrare che 
                  siamo ancora in grado di rilanciare la speranza, anche in azzardo. 
                  È un peccato provarci? O più laicamente: è sbagliato? Per riuscire 
                  a far ciò dobbiamo continuare a credere che non esiste un destino 
                  inesorabile, dobbiamo porre sul tappeto i temi che per noi sono 
                  belli, fondamentali, necessari. Sentiamo parlare di nuovo regolamento 
                  penitenziario, di aumento delle ore di colloquio mensile e aumento 
                  dei minuti delle telefonate, di legge 419, di trasferimento 
                  della competenza sanitaria nelle carceri dal MINISTERO Dl GRAZIA 
                  E GIUSTIZIA a quello della SANITA. Sentiamo parlare della necessità 
                  di aumentare notevolmente il numero del personale civile, degli 
                  educatori degli assistenti. Siamo in attesa di vedere, di verificare. 
                  Per adesso guardiamo ciò che c'è... Un giorno - 24 ore, una 
                  settimana - 168 ore: in 7 giorni- una sola ora di colloquio! 
                  Crediamo che nessuno possa negare l'impressione che crea il 
                  confronto tra questi numeri. Racchiudiamo tutto in quei 6a minuti: 
                  entri in quelle sale ed è già tempo di salutare con un "A presto". 
                  Torni e ti senti esausto, felice e stanco, insomma un misto 
                  di emozioni. Le mogli, i genitori, ti mandano il loro amore 
                  in un pacco, il cui per massimo è di 5 kg e ci chiediamo spesso 
                  con quale logica vengono limitati a 4 i pacchi, anche quando 
                  il mese è composto da 5 settimane. È un problema di sicurezza 
                  o è un infierire su! desiderio dei familiari di regalare una 
                  sensazione di intimità con un semplice piatto cucinato a Gasa 
                  o una camicia stirata? Una telefonata avviene solo ogni 15 giorni 
                  e solo se nella settimana precedente non hai avuto colloqui; 
                  dura 6 minuti, 6 miseri minuti (pagati da noi, non si tema), 
                  in cui la voce delle figlie, delle mogli, dei genitori crea 
                  felicità, ma toglie il fiato per la tensione. "Stai bene, papà?" 
                  è la frase che apre nel cervello tante caselle che si intrecciano, 
                  si scontrano, si confondono. È già una voce estranea ti avvisa 
                  che devi salutare. I parenti tendono a nascondere eventuali 
                  malanni, hanno paura di creare preoccupazioni, ansie, tensioni. 
                  Quando ci si incontra ci si guarda cercando di capire se chi 
                  si ha di fronte è dimagrito, se gli occhi sono stanchi. Loro 
                  ti chiedono come si mangia, se puoi farlo con qualcuno, come 
                  è l'assistenza medica, se ci sono gli specialisti. La sanità 
                  in carcere è un optional: tanti medicinali spesso mancano, ma 
                  in compenso se ne prescrivono molti, con conseguente uso. Le 
                  visite avvengono di fronte al personale militare, senza alcuna 
                  discrezione, e gli specialisti si vedono dopo giorni e giorni. 
                  Una volta trasferiti, la cartella personale vi segue priva di 
                  radiografie e degli esiti delle analisi. È naturalmente nulla 
                  si fa per proporre o accettare terapie con medicine alternative, 
                  omeopatiche. Vi riempiono di antinfiammatori, antistaminici, 
                  sedativi, tranquillanti. Molti medici ancora si chiedono se 
                  sia giusto trasferire le competenze alle ASL: spaventa così 
                  tanto "provare"? Far conoscere il carcere, trattarlo finalmente 
                  come luogo interno alla società, aprirlo, renderlo trasparente 
                  anche attraverso la medicina, l'analisi delle patologie caratteristiche 
                  di questi luoghi, rendere uguali le garanzie, i diritti alla 
                  salute e alla cura, riconoscendo la nostra cittadinanza. Tutto 
                  ciò deve avvenire contemporaneamente all'aumento della presenza 
                  e dell'operato del personale civile, a cui non si dovrebbe solo 
                  chiedere di dare un voto, di giudicare le personalità degli 
                  individui, ma anche di comprenderle tenendo conto che esse si 
                  sviluppano, si migliorano, se hanno la possibilità di mantenere 
                  vivi e costanti i legami con la famiglia, con la terra, se hanno 
                  la possibilità di far vivere la speranza con lo studio, il lavoro, 
                  una vita, interna al carcere, rispettosa della dignità. Attenzione 
                  quindi alla divisione in circuiti differenziati! Attenzione 
                  alla riproposta del cosiddetto "carcere duro", alla formazione 
                  di nuove sezioni EIV (Elevato Indice di Vigilanza). Forse sarebbe 
                  il caso di spiegare alla gente che cosa vogliono dire queste 
                  cose. Il carcere duro, o regime governato dall'art.41 bis, nega 
                  la possibilità di cucinare, limita gli acquisti alimentari, 
                  limita drasticamente il numero di capi di abbigliamento, nega 
                  ogni possibilità di lavoro, il diritto alla difesa ridotto a 
                  causa dell'uso delle video-conferenze durante i processi concede 
                  una sola ora di colloquio, con i vetri, al mese niente telefonate... 
                  E se si telefona, la conversazione deve avvenire tra carcere 
                  e carcere, vale a dire che i familiari sono costretti a recarsi 
                  all'interno di un Istituto penitenziario vicino a casa ed utilizzare 
                  il telefono lì presente. Molti si rifiutano di sottoporre i 
                  propri cari a una simile vessazione e ci si spieghi come si 
                  può non capirli. Si chiarisca perché continuano i trasferimenti 
                  dei detenuti, imputati o definitivi, anche a più di 1200 Km 
                  di distanza dalla famiglia, contrariamente a quanto stabilito 
                  dall'art. 28 e dall'art.42 dell'ordinamento penitenziario. Così 
                  è offeso il diritto al mantenimento delle relazioni familiari, 
                  il diritto di amare e di essere amati, è attaccato il lavoro 
                  degli avvocati difensori. Ho cercato Palmi sulla cartina, ho 
                  trovato il puntino, in fondo, ho osservato la distanza da Bergamo. 
                  La città dei Mille! Mi sono guardato intorno, ho contato decine 
                  di casi simili, durati ANNI. Non sempre le scuole sono presenti 
                  nelle carceri, non vi sono corsi di formazione professionale, 
                  l'uso dei computer ha avuto nuove limitazioni e l'impegno di 
                  tanti professori è ridimensionato. Il lavoro, diritto e valore 
                  sociale, non è certo offerto diffusamente ed è capitato che 
                  un mese di attività come portavitto fosse pagato L 57.000 nette, 
                  e che non si ottenesse nessun chiarimento alla richiesta di 
                  verifica del contratto di lavoro. Il detenuto che chiede di 
                  sospendere la sua opera per stanchezza, per una corretta rotazione 
                  del posto di lavoro (tutti ne hanno bisogno) o perché valuta 
                  ingiusta la mercede, può essere punito dalla Direzione: per 
                  due mesi niente colloqui e telefonate supplementari ! Le informazioni 
                  non escono dalle galere, il "pianeta" resta sconosciuto e per 
                  continuare su questa strada dissestata si chiedono nuovi carceri, 
                  sempre più esclusi, lontani dalla città, privati del senso di 
                  appartenenza alla società civile. La civiltà degli uomini non 
                  deve negare la conoscenza, la comunicazione tra individui, non 
                  deve intervenire solo quando le organizzazioni per i diritti 
                  umani denunciano gravi e frequenti irregolarità, abusi. Io ritengo 
                  che non debba spaventare, offendere, ne illudere, l'affermare 
                  che è opportuno e legittimo sognare, agire per un tempo in cui 
                  la caduta dei limiti sia reale, continuamente messa all'ordine 
                  del giorno: PER UNA VERA E SINCERA CULTURA DELLE LIBERTA'. 
                   Palmi, 19/6/2000 
                Fabio Canavesi  
                  (carcere di Palermo) 
                Andrea Perrone  
                  (carcere di Voghera) 
                Carmelo Musumeci  
                  (carcere di Novara) 
                 Sono 
                  un militare di carriera  
                Ho letto l'articolo di Franco Pasello sulla vostra 
                  rivista on-line "A" 259, dicembre 1999/gennaio 2000) dal titolo 
                  "Una vittoria? Direi di si". Concordo pienamente su quanto riportato 
                  nel testo e devo ringraziarvi per avermi fatto conoscere cose 
                  di cui non ero a conoscenza. La politica, le varie ipocrisie 
                  governative e partitiche, la lobby della chiesa e di tutte le 
                  religioni di stato, la lobby economica, la lobby militare e 
                  chi più ne ha ne metta. Fin qui niente di strano, anzi devo 
                  dire che sogno spesso anch'io e i miei sogni sono più utopici 
                  dei vostri. Io sono un militare di carriera, una scelta operata 
                  in un momento della mia vita dove non mi ponevo tanti perché 
                  e tanti per come, l'ho fatta e forse perché vivendoci non mi 
                  pongo il problema politico della cosa. I miei problemi sono 
                  diversi rispetto al problema. Io mi chiedo da un po' di tempo 
                  a questa parte dove andranno a finire le forze armate quando 
                  la componente di leva non ci sarà più. Dove andrà a finire l'impegno 
                  di tanti di questi lunghi anni per la sua abolizione quando 
                  il risultato sarà raggiunto. Un problema si presenta sempre 
                  sotto vari aspetti e risolverne una parte non è risolvere il 
                  problema. Senza controllo democratico le forze armate sono un 
                  pericolo per la democrazia. Un assenza di bilanciamento dei 
                  poteri, metterà le forze armate nelle mani di pochi elementi, 
                  voi cosa pensate di fare? Il vostro impegno finisce qui o continua? 
                 
                Giuseppe Pescaioli 
                  doipe@tin.it 
                  
                  
                  
                 I 
                  comunisti mangiano i bambini... e le su' mamme 
                La scioccante lettura di Dal totalitarismo al cannibalismo 
                  di Jean-Jaques Gandini (A, n. 265 estate 2000) ha suscitato 
                  in me notevoli perplessità, inducendomi a una serie di considerazioni 
                  che vorrei sottoporre all'attenzione dei lettori. Premetto che 
                  utilizzo il termine "perplessità" per rispetto dell'estensore 
                  dell'articolo e soprattutto della redazione di "A", ma sinceramente, 
                  se dovessi esprimermi con maggiore rudezza, qualificherei le 
                  conclusioni contenute nell'articolo con termini sicuramente 
                  meno neutri. Indubbiamente l'argomento e le informazioni dell'articolo 
                  in questione paiono sconvolgenti per una qualsiasi coscienza 
                  occidentale, e la perentorietà con la quale si danno per scontati 
                  avvenimenti altrimenti incredibili, non sembra lasciare adito 
                  ad alcun dubbio. Va inoltre riconosciuta al compagno Gandini, 
                  noto ed esperto sinologo, quella serietà documentaria ed espositiva 
                  senza la quale il brano in questione non andrebbe neanche preso 
                  in considerazione ma liquidato come il vaneggiamento delirante 
                  di un anacronistico "anticomunista viscerale". Eppure quanto 
                  ci racconta Gandini, nonostante la sua sconvolgente drammaticità, 
                  non riesce ad assumere quel grado di credibilità, o meglio ancora, 
                  di plausibilità, che è indispensabile quando si lancia un attacco 
                  frontale a un avvenimento così importante quale fu la rivoluzione 
                  culturale cinese degli anni sessanta. Innanzitutto penso si 
                  debba entrare nel merito del tono complessivo dell'articolo, 
                  perché mi pare evidente che quando il furore ideologico prevale 
                  sulla volontà di offrire una obiettiva ricostruzione dei fatti, 
                  tale furore purtroppo non aggiunge nulla al valore della denuncia 
                  ma addirittura le toglie consistenza. Per un qualsiasi libertario 
                  la critica dell'autoritarismo marxista e di tutte le forme con 
                  le quali questo si è storicamente espresso, è quasi un dovere 
                  morale, a patto che le categorie del ragionamento non vengano 
                  sopraffatte da quelle della visceralità. In secondo luogo, e 
                  questa considerazione mi sembra più importante, nel pezzo in 
                  questione si è volutamente inteso usare una dose eccessiva di 
                  understatement nell'illustrare la pratica del cannibalismo 
                  in alcune zone rurali della Cina. Appare evidente, e ce lo dice 
                  lo stesso Gandini, che questa forma di cannibalismo non è assiomaticamente 
                  ascrivibile a finalità di potere o agli strumenti canonici della 
                  "lotta di classe". Del resto basta leggere il bellissimo romanzo 
                  Sorgo Rosso sulla lotta civile e la rivoluzione comunista che 
                  interessarono la Cina negli anni trenta per accorgersi come 
                  il cannibalismo, reale e metaforico, era una costante nell'esperienza 
                  quotidiana di un paese divorato dalla fame e dalle carestie. 
                  Pertanto non sottolineare gli aspetti sociali, culturali e antropologici 
                  di un fenomeno così distante e avulso dalla mentalità del lettore 
                  occidentale, pone tale lettore nella sostanziale impossibilità 
                  di usare un filtro critico rispetto a quanto sta leggendo. Di 
                  più, lo si costringe a subire un atto decisamente autoritario 
                  di cui è responsabile non solo l'estensore del pezzo ma, in 
                  ultima analisi, anche la redazione. Voglio infine sottoporre 
                  all'attenzione dei lettori un'ultima considerazione. Non ho 
                  gli elementi per giudicare se il dissidente Zheng Yi sia una 
                  persona attendibile e se davvero, come ci dice, ha percorso 
                  in lungo e in largo la Cina interrogando i testimoni dei fatti 
                  narrati. Comunque, così me lo descrive Gandini, e non ho nessun 
                  motivo per non credere al compagno francese. Non posso fare 
                  a meno però di interrogarmi sui motivi che avrebbero spinto 
                  le attuali autorità comuniste cinesi a fornire a un dissidente 
                  residente negli Stati Uniti tanti elementi sui misfatti agghiaccianti 
                  compiuti dal loro partito in anni non troppo lontani. Dato che 
                  non credo che gli attuali dirigenti cinesi siano diventati "buoni", 
                  trovo solo due possibili risposte: o Zheng Yi ha consapevolmente 
                  costruito una bufala su notizie inventate, oppure non è altro 
                  che un inconsapevole strumento di una delle fazioni che da anni 
                  si stanno contendendo l'egemonia del PCC e l'eredità di quello 
                  che resta del mito di Mao.  
                Massimo Ortalli 
                  (Imola)  
                 Caro 
                  Francesco Berti, sbagli... 
                 Si intravede nel futuro per quanto si conosce 
                  del passato. La tesi risale al salvatore della democrazia attica, 
                  il veggente mistico cretese Epimenide.  
                  Pur abbandonato il percorso della mistica, posta la riflessione 
                  politicasotto il primato della ragione, l'intuizione di Epimenide 
                  resta non menovera e valida per lo sviluppo della riflessione 
                  sulla scienza politica. Ecco perché è importante capire come 
                  mai Malatesta vedesse nel governo Mussolini una riedizione dei 
                  governi autoritari di Crispi e di Pelloux; sbagliando, secondo 
                  Francesco Berti ( "A" 265, estate 2000), e conseguentemente 
                  sbagliato il giudizio di Malatesta sulla democrazia borghese, 
                  ritenuta non migliore del totalitarismo fascista. Ma sbagliava 
                  veramente Malatesta, o non piuttosto, per un processo involutivo, 
                  i nostri modelli culturali agiscono come fattori di accecamento? 
                  Quanta informazione contiene, per esempio, un concetto sul quale 
                  F. Berti, fa molto affidamento esplicativo: stato totalitario? 
                  Espressione in virtù della quale nazifascismi e bo scevismi 
                  si agguagliano. Di più: i secondi diventano, nella favola di 
                  una certa pubblicistica accademica eccessivamente accreditata, 
                  gli antecedenti, le cause.  
                  Per capirlo vediamo di partire dai due nomi pronunciati da Malatesta 
                  a indicare i padri storici di Mussolini: Crispi e Pelloux. Due 
                  nomi, ma che presi a sé contengono una quantità di informazione 
                  in te mini di conoscenza delle dinamiche della lotta politica 
                  decisamente parenti. I due nomi diventano significativi soltanto 
                  se si comprende perché furono i capi di un tentativo di reazione 
                  antiliberale che abortì. Cioè perché mancarono l'obbie tivo 
                  che invece riuscì a Mussolin. E la cui riuscita invalida il 
                  giudizio di un certo Malatesta in una certa congiuntura sor 
                  ca, per il quale il disegno politico del nvo tiranno sarà sconfitto 
                  come lo furono quelli di Pelloux e di Crispi.  
                  Attraverso il passato egli deduce un futuro che non si realizzerà. 
                  Dov'è l'errore rispetto alla conoscenza del passato che impedisce 
                  a Malatesta di vedere nel futuro? Per capirlo, veniamo al nostro 
                  presente politico. Alla personalità che più lo sta plasma do: 
                  il cavaliere di Arcore.  
                  Silvio Berlusconi per raggiungere il potere alla svolta degli 
                  anni 90, dopo la liquidazione del socialismo craxiano, ha creato 
                  una geniale e impossibile coalizione, a partire dalla complessa 
                  e faticata coalizione polit co-economica che aveva costruito 
                  intorno alle sue reti televisive, sì megafono del craxismo, 
                  ma a un tempo spazio per l'affermazione di una imprenditoria 
                  minore fin là tagliata fuori dai grandi media. Alla sconfitta 
                  del craxismo, questo ceto di medio piccoli imprenditori diventa 
                  la rete dalla quale sorge Forza Italia: un vero scattoà di immaginazione 
                  politica, ma che non porterebbe Berlusconi molto lontano, se 
                  non catturasse l'ex Movimento Sociale.  
                  Un grosso pesce, ma che rischia di isolare Berlusconi, escluderlo 
                  da ogni possibile strategia vincente. E qui l'uomo di Arcore, 
                  con uno scatto di immaginazione politica straordinario, e misura 
                  anche dell'insipienza dei suoi antagonisti, cattura la Lega 
                  di Bossi, costruendo una coalizione che è maggioritaria nel 
                  paese. Infatti arriva a sorpresa al potere, ma non ha il placet 
                  e del grande capitale e del Vaticano. Di più: i suoi luogotenenti 
                  sono affamati e non lo nascondono. Previti proclama: "Non faremo 
                  prigionieri." La vittoria ha mandato fuori di testa i vincitori, 
                  che bloccano i contributi patteggiati dallo stato con la FIAT, 
                  comprano i deputati bossiani, non tengono conto del Vaticano. 
                  La coalizione si frantuma e Berlusconi perde il potere, ma l'uomo 
                  è tosto. Impara la lezione: che non conta niente vincere le 
                  elezioni, se non si è riconosciuti come legittimati alla vittoria 
                  da quelli che la politologia definisce: poteri forti, luogo 
                  per nulla astratto, ragionando del quale il defunto banchiere 
                  Cuccia affermava: i voti si pesano e non si contano.  
                  E la cosa è non meno vera per i voti politici che per quelli 
                  economici (azioni). E infatti, nella mecca della democrazia 
                  liberale: gli USA, pur avendo il consenso della maggioranza, 
                  l'antagonista repubblicano di Busch nella corsa alle presidenziali, 
                  pur potendo vincere contro il concorre te democratico Gore a 
                  mani basse, non è riuscito a passare, perché l'oligarchia repubblicana 
                  non lo ha avallato.  
                  I voti si pesano. Incominciamo a vedere che la democrazia ha 
                  delle regole, ma non sono quelle che predicano i suoi corifei. 
                  Fu in base a quelle regole altre che Mussolini vinse: quelle 
                  regole altre dei voti pesati (truccati), ragionando sui quali 
                  Malatesta la veceva un po' diversa da come oggi la si racconta 
                  sul sistema elettorale. Che è cosa ottima, conquista da difendere, 
                  ma mai ad occhi chiusi. Tornando al nostro cavaliere di Arcore, 
                  anche lui come Francesco Beri un po' conf so circa il gioco 
                  elettorale, quando ha scoperto come veramente funziona, uomo 
                  non da poco, tenace nel suo disegno, ha ripreso a costruire 
                  la sua coalizione vincente, ma questa volta mettendo la mordacchia 
                  sui riti neopagani al socio Bossi: che ha incominciato a rilasciare 
                  dichiarazioni adoranti il papa polacco: anch'egli vero nazionalista 
                  e grande anticomunista.  
                  Parallelamente ha mandato Fini a piangere nei lager e ha cercato 
                  di legittimarlo spedendolo in Israele. Un lavorio complesso, 
                  mirato al papa, alla forte minoranza ebraica, e a un tempo grandi 
                  riverenze al capitalismo storico.  
                  Berlusconi ha imparato dalla lezione che gli impartì il coriaceo 
                  bolognese: che i diessini avrebbero dovuto tenere come una reliquia, 
                  e invece hanno spedito fuori gioco a Bruxellese, facendo come 
                  quel marito che per fare dispetto alla moglie che lo cornificava 
                  si evirò. Berlusconi ha insomma ricostruito la sua coalizione 
                  anche sugli errori degli avversari.  
                  La conquista del potere politico passa sempre per la costruzione 
                  di coalizioni che dervono spesso accorpare elementi di natura 
                  eterog nei, come appunto Bossi e Fini. In politica la contraddizione 
                  deve consentire. E infatti abbiamo visto in Italia l'impossibile 
                  affermazione del cattocomunismo, la più grande operazione di 
                  trasformismo, che ha stritolato Craxi, salvo poi crollare, ma 
                  per fattori esterni: la fine del bolscevismo, che infatti ha 
                  poi travolto anche Craxi, di fatto già impantanato, e che poi 
                  è stato liquidato dalla coalizione cattocomunista, i cui relitti 
                  tengono oggi lo stato, sul quale avanza Berlusconi.  
                  Veniamo ora alla vittoria mussoliniana. Anch'essa fu il risultato 
                  di una coalizio, e costruita con molta più abilità tattica, 
                  intellige za politica, passione del potere di quelli dispeigati 
                  da Berlusconi: che non sono stati poca cosa.  
                  La colalizione che in due anni (1920-22) Mussolini costruì ha 
                  del prodizioso, perché accorpò, assimilò sotto la sua egemonia 
                  elementi fin là ritenuti inassimilabili: il Vaticano e la Massoneria, 
                  il capitalismo e le organizzazioni cattoliche. La sua coalizione 
                  conteneva elementi ben più contradditori di quella costruita 
                  da Berlusconi e a differenza di Berlusconi non aveva capitali 
                  propri, grandi mezzi di informazione e un nucleo di pesone fidate. 
                  Infatti fu sempre battuto e messo in minoranza nei pochi conclavi 
                  fascisti (si veda in proposito la ricostruzione dell'ascesa 
                  del fascismo fatta da Angelo Tasca: un grande scritto storico). 
                   
                  A Malatesta la debolezza abissale di Mussolini era manifestamente 
                  evidente. Come lo era a Giolitti, lo era al re, lo era a D'Annunzio, 
                  lo era a Nitti. Tutti suoi antagonisti con un vantaggio apparentemente 
                  in colmabile su lui. Ebbene, egli seppe usare magistralmente 
                  la propria debolezza per giocare i suoi antagonisti, e soprattutto 
                  accreditarsi presso il Vaticano, che accettò il fascismo, ne 
                  determinò in modo decisivo l'ascesa, proprio perché la coalizione 
                  politica che portò Mussolini al potere, attraverso la caricatura 
                  della Marcia su Roma, era disperatamente subalterna alla decisioni 
                  dell'elettorato cattolico.  
                  E infatti il primo governo Mussolini: quello che va fino all'assassioni 
                  Matteotti (termisus ad quem della nascita dell'antifascismo) 
                  diede alla chiesa il salvataggio delle banche cattomliche: tutte 
                  indebitate e prissime al colasso, e introdusse l'educazione 
                  religiosa nelle scuole eleme tari. Passi che avrebbero portato 
                  allo scontro nella sua coalizione, se Mussolini, con grande 
                  senso tattico, non avesse premuto su due registri: la paura 
                  del comunismo (che Berlusconi continua a gestire) e un clima 
                  di violenza diffuso.(...)  
                  Ma con il delitto Matteotti Mussolini si autocondannava inesorabilmente, 
                  perché altro è ucciderte agitatori sindalacali (era fare un 
                  favore ai capitalisti), preti evangelici (era fare un doppio 
                  favore al Vaticano: lo liberava da presenze imbarazzanti e preparava 
                  materiale per future santificazioni ), altro uccuidere un deputato. 
                  Uccidendo Matteotti Mussolini violava il tabù che fonda tutta 
                  la dottrina liberale: l'inviolabilità del parlamento: e come 
                  luogo e come persone. E infatti i Croce i Giolitti passano all'antifascismo 
                  aperto e dichiarato.  
                  La parte liberale gli è contro, ma Mussolini non cade perché 
                  i suoi oppositori di sinistra: i popolari di don Sturzo e i 
                  socialisti, con la parte radicale del liberalismo si inventa 
                  la farsa inutile e grottesca dell'Aventino.  
                  Invece di sfiduciarlo e dare al Re l'intimazione di rinnovare 
                  il governo, l'opposizione si fraziona, agita la piazza; cade 
                  cioè in un gioco demagogico sterile, come da sùbito vide Giolitti. 
                  Ma nella sua estrema debolezza Mussolini diventa il prigioniero 
                  di quell'Italia tenacemente antiliberale e antiparlamentare 
                  che non aveva mai accettato la fine del papare.  
                  Il concordato del 29 è la conseguenza del sostegno decisivo 
                  della passività clericale, che di fratto diventa il sostegno 
                  decisivo senza il quale Mussolini non potrebbe pronunciare nel 
                  gennaio del 25 la sua tetra arringa su Montercitorio un bivacco 
                  di camice nere.(...)  
                  La separazione dei poteri e la decisione di metterli in conflitto 
                  tra di loro discende da questa visione pessimistica. Dividere 
                  lo stato, ridurne l'ampiezza, renderlo inefficiente, perché 
                  dallo stato è in agguato qualcosa che minaccia in permamenza 
                  la società. Ecco che cosa sapeva anche Malatesta e l'anarchia, 
                  che appunto per questo si propose la liquidazione definitiva 
                  dello stato, passando dalla democrazia rappresentativa alla 
                  democrazia diretta. Ma la città-stato greca era retta a democrazia 
                  diretta e degenerò. Il problema stato non ha soluzioni assolute: 
                  almeno, fino a oggi, non siamo riusciti a scorgerne, ma dire 
                  che la soluzione di Malatesta sia ingenua, proprio non me la 
                  sento.  
                  Il passaggio rivoluzionario non ha dato esiti positivi, ma la 
                  reazione era già in agguato: con Pelloux, con Crispi. Forze 
                  criminali, bande di saccheggiatori: quelli che Mani Pulite ci 
                  ha fatto intravvedere negli affari Rovelli-Sir e Gardini Enimont, 
                  sono sempre in agguato. E spesso sono ex onesti, persone partite 
                  in buona fede, a volte prede di loro fantasmi mentali, come 
                  appunto i Crispi e i Pelloux,ma che aprono a saccheggiatori 
                  e banditi.  
                  Ma intanto la necessità di far dimenticare il lavoro immondo 
                  del Vaticano nell'ascesa del fascismo e la sua estrema difesa: 
                  fino alla fine il cardinale di Milano Schuster cercò di salvare 
                  Mussolini, perché il potere, la persona che lo incarna, va tutelata. 
                  Dio lo ha segnato. Questo c'è nella dottrina della Chiesa, come 
                  nell'Islam. Il potere è uno strumento divino. Da questa convinzione 
                  è disceso il livello estremamente basso dedl pensiero antagonista. 
                  Il sostanziale blocco conoscitivo che la cultura della seconda 
                  metà del XX secolo ha realizzato ad oscurare la natura intruinsecamente 
                  criminale dell'esercizio del potere.  
                  La stessa determinazione contro la pena di morte da parte della 
                  chiesa cattolica fa parte di questo processo di oscuramento, 
                  attraverso la dottrina del perdono.  
                  Inevitabilmente il sapere politico è decaduta a mera conoscenza 
                  accademica, riflessione su simboli vuoti, come appunto il miraggio 
                  di Francesco Berti su ideali democratiche magnifiche sorti progressive, 
                  che il più grande poeta dell'Italia Unita, Giacomo Leopardi 
                  irride in più di un suo luogo.  
                  E infatti Leopardi si studia poco: ha ancòra troppo da dirci. 
                  Come troppo ha da dirci sul potere Gaetano Mosca, ma molto anche 
                  ci ha detto quello che è di certo il solo grande pensatore anarchico 
                  di questo secolo: Pierre Clastres, tutto il resto è robetta 
                  per rassicurare in una realtà che di rassicurante ha niente; 
                  come ben vedeva Malatesta: in lingua italiana la più alta espressione 
                  della grande stagione anarchica ottocentesca. Egli per un lungo 
                  tratto della sua vita felicemente si situò nella concreta speranza 
                  che la stagione liberlaborghese degli stati potesse essere travolta, 
                  poi vide il fascismo, che venne non per responsabilità sue. 
                   
                  Un po' di responsabilità al più le possiamo spalmare sui socialisti 
                  e sui liberali, ma senza il nucleo forte del cattolicesimo clericale, 
                  le squadracce fasciste e la zavorra nazionalista sarebbe durata 
                  appunto secondo la profezia di Malatesta: ma che vissuto in 
                  un mondo laico non poteva arrivare a scorgere il profondo cuore 
                  di tenebra in paziente attesa dall'altra sponda del Tevere. 
                  Ecco che cosa egli non vide, ergo sbagliò per eccesso di ottimismo. 
                  A maggior gloria dell'anno Giubilare, scrissi. 
                Piero Flecchia  
                  (Torino) 
                  
                  Imola 
                  CLERICALE?  
                LETTERA APERTA ALL'AMMINISTRAZIONE COMUNALE 
                 Fuori discussione che la Chiesa possa far beato 
                  chi meglio ritenga. Non sta a noi giudicare se un reazionario 
                  e antisemita quale fu Mastai Ferretti meriti o meno l innalzamento 
                  agli altari.  
                  Ci preme invece rimarcare quanto sia indecoroso che le autorit 
                  laiche della nostra citt si rendano partecipi, inviando una 
                  delegazione ufficiale, di un atto profondamente offensivo nei 
                  confronti di chi ha dovuto subire, nel passato e non solo, le 
                  intimidazioni e le repressioni del peggiore clericalismo.  
                  La beatificazione di Pio IX ripropone l anacronistica condanna, 
                  gi espressa nel Sillabo, della separazione fra societ civile 
                  e potere ecclesiastico. La presenza a Roma di autorevoli rappresentanti 
                  del Comune viene ad appoggiare un progetto inaccetta=bile di 
                  riscrittura della storia.  
                  Chi fu nemico di ogni forma di libert di pensiero non merita 
                  l omggio dei rappresentanti della cittadinanza imolese. 
                 Gruppi Anarchici Imolesi_  
                  Imola, 31.8.2000 
                  
                
                  
                     
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                          I 
                          nostri fondi neri 
                            
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                           Sottoscrizioni.  
                            N. Fava (Rovereto), 4.000; Santino (Milano), 10.000; 
                            Alfredo Villani (Chieti), 20.000; Carmelo Fais (Ardauli), 
                            30.000; Giancarlo Chinnici (Nova Milanese) per il 
                            centenario di Gaetano Bresci, 10.000; Aurora e Paolo 
                            (Milano) ricordando Goliardo Fiaschi e Luce Fabbri, 
                            2.000.000; Paolo Sabatini (Firenze), 15.000; Marianna 
                            Montaruli e Beniamino Vizzini, del Circolo d'Arte 
                            "Félix Féneon" (Ruvo di Puglia), 30.000; Patrizio 
                            Biagi (Milano), 100.000; Bruno Vannini (Surrey Hills 
                            - Australia), 135.036; Isidro Da Rocha Pinto (Cereglio), 
                            10.000; Vittoria Farinelli (Ancona) in memoria del 
                            fratello Luciano, 50.000; Fernanda Bonivento (Ancona) 
                            in memoria del suo compagno Luciano Farinelli, 50.000; 
                            Italo Quattrocchi (Firenze), 50.000; Antonio Ciano 
                            (Gaeta), 20.000; Gabriella Zigon (Sesto San Giovanni), 
                            62.000; Lorenzo Cervetti (Genova), 20.000; Mariano 
                            Brustio (Pernate), 50.000; Alessandro Becchis (La 
                            Loggia), 50.000; a/m Mauro Decortes, Pasquale Messina 
                            (Milano), 50.000; Giuseppe Lusciano (Castellammare 
                            di Stabia), 29.000; Massimiliano Anzellotti (Chieti), 
                            20.000; Stefano Quinto (Maserada sul Piave), 50.000; 
                            Valentina Ronchi (Milano), 10.000; Piero Bertero (Cavallermaggiore), 
                            50.000; Fantasio Piscopo (Milano), 20.000; Gianoberto 
                            Gallieri (Ferrara), 50.000; a mezzo Mirko Rizzi (Lodi) 
                            ricavato cena del 29 Luglio 2000 organizzata dal Club 
                            dei figli di Mammone, 295.000; a/m Gino Agnese (Genova), 
                            ricavato cena fra compagni in sede il 10 giugno, 200.000; 
                            a/m Flavio Paltenghi, Milena e Paolo Soldati (Clermont 
                            Ferrand - Francia), 120.000; a/m Flavio Paltenghi, 
                            Lele Regusci (Pregassona - Svizzera), 120.000; Carolina 
                            Tobia (Rensslaer - USA) ricordando il suo Galileo 
                            nel 7° anniversario della sua scomparsa, 400.800; 
                            a/m Dario Salvadori, Fabio (La Spezia) ricordando 
                            Fabrizio De André, 15.000; a/m Dario Salvadori, Roberta 
                            (La Spezia), 5.000; a/m Dario Salvadori, Miranda (La 
                            Spezia), 5.000; Agostino Perrini (Brescia), 40.000; 
                            Ugo Fortini (Signa) ricordando la mia compagna Milena 
                            Maré, 100.000; M. Masina (Castelmaggiore) "sostenitore 
                            orgoglioso", 40.000; Ein Walther (Muenster - Germania), 
                            50.000; G. Balducc (Imola), 10.000; G.L. Santini (Sant'Angelo 
                            Lodigiano) "Un pensiero per Gaetano Bresci", 50.000; 
                            Gruppi Anarchici Imolesi ricordando Luce Fabbri, 100.000; 
                            Massimo e Cristina (Imola) ricordando Luce Fabbri, 
                            100.000. 
                             Totale lire 4.645.836. 
                          Abbonamenti sostenitori.  
                            Alessandro Marutti (Cologno Monzese), 150.000; Alessandro 
                            Milazzo (Linguaglossa), 150.000; Loriano Zorzella 
                            (Verona), 150.000; Roberto Pietrella (Roma), 200.000. 
                            Totale lire 650.000.  
                           
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