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                 Un festival in Italia dedicato a un 
                  cantante anarchico? No, non è possibile. L'Opus Dei non lo permetterebbe 
                  e poi quest'anno è anche il Giubileo, cosa vuoi fare il Giubi-Léo 
                  Ferré? Di che nazionalità è? Francese? Figurati, un leader carismatico 
                  non può essere che americano e fare il rock! Come dici? La canzone 
                  di Saint Germain del dopoguerra? Ma è preistoria, amico mio! 
                  Georges Brassens, Jacques Brel, Boris Vian, Jean Roger Caussimon, 
                  che fanno questi, la techno, il rap, la disco? Chi, Ferré? Ah, 
                  si, lo stilista!  
                  Si, ma lo stilista dell'utopia, il grafico della rivolta, l'impressionista 
                  della rivendicazione, il rimarginatore del sogno lacerato, l'accordatore 
                  delle armonie impossibili.  
                  Proprio nel nostro paese, tra premi di poesia retti dalla mafietta 
                  cattolica e festival baudeschi di canzonette misogine nazional-popolari, 
                  un piccolo grande uomo che si chiama Giuseppe Gennari, è riuscito 
                  a creare dal nulla l'unico festival di altissimo valore qualitativo 
                  intitolandolo al grande poeta, interprete, compositore, romanziere 
                  libertario, scomparso il 14 luglio del 1993. Dopo dieci anni 
                  di devota amicizia, gli scrissi una poesia di cui un passaggio 
                  dice: Chi sotterra un anarchico/dissotterra un'ascia di guerra/miserere 
                  Bakunin/il canto del gufo/addensa le nuvole nere/in un cielo 
                  bandiera/che promette tempesta/e così sia/.  
                  Quel prof. di letteratura francese,  
                   
                  Giuseppe Gennari, già amico di Ferré, lo portò a San Benedetto 
                  del Tronto per due recital datati '87 e '90.  
                  Nel primo cantò i poeti da lui musicati: Baudelaire, Villon, 
                  Rimbaud, Verlaine, Apollinaire, Pavese, Aragon, Rutebeuf, Angiolieri. 
                  Nel socondo presentò il suo repertorio libertario: "Franco la 
                  Muerte", "Madame la Misère", "Allende", "Ni Dieu ni Maitre", 
                  "Y en a marre", "Les Anarchistes", "Thank you, Satan". Nel 1994, 
                  a circa un anno della sua morte, Gennari ideò una serata protofestival 
                  denominata "Mémorial Léo Ferré" dove Enrico Medail ed io, tra 
                  canzoni poetiche, tenemmo il primo omaggio italiano all'artista. 
                  Nella stessa sera venne presentato il romanzo di Léo "Benoît 
                  Misère" edito da Maroni e mirabilmente tradotto da Gennari, 
                  e la mia piccola antologia di testi voluti dalla casa editrice 
                  Elèuthera "Léo Ferré, il cantore dell'immaginario". Il recital 
                  fu tenuto alla Sala Consiliare, ricca di presenza studentesca, 
                  mentre i versi di Léo incendiavano di rabbia e di nostalgia 
                  gli animi orfani del maestro e del compagno.  
                   
                  "Quando del Capitale che si prende per Marx  
                  Non si parlerà più se non per onore di firma  
                  Quando il Papa prenderà i vescovi per la mitra  
                  E gli dirà: "Latino? Porno o no, io tasso!  
                 
                   
                     
                       
                         
                           ( da "Allende" )  
                         
                       
                     
                   
                 
                 "Hanno votato... e dopo?  
                  È un paese che mi fa vomitare  
                  Ma nemmeno ci si può fare inglese  
                  O svizzero o coglione oppure insetto  
                  Ovunque sono confederati  
                  Bisogna vederli a tele-urna  
                  Questi vespasiani elettorali  
                  Con i loro bolletini in saccoccia  
                  E il disprezzo su un manifestino" 
                 
                   
                     
                       
                         (da "Hanno votato") 
                       
                     
                   
                 
                 "So di assassini che sono in stato d'arresto  
                  E che sono belli come gli stronzi che vanno a votare  
                  Degli assassini assassinati e la loro maniera  
                  Di non voler mai crepare come sono crepati i miei fratelli Comunardi 
                   
                  e lo dico ad alta voce:  
                  BISOGNA DECOSTITUZIONALIZZARE  
                  il fottere  
                  E portare la scomodità cucita sotto la pelle  
                  A quei borghesi che, oltretutto, si permettono di godere!  
                 
                   
                     
                       
                         
                           
                             (da "La violenza e la noia") 
                           
                         
                       
                     
                   
                 
                 Laddove istituzioni pubbliche, ricche e potenti, che hanno 
                  le loro sedi nelle città più "ascoltate" del paese, non hanno 
                  avallato iniziative culturali atte a salvare il patrimonio umanistico 
                  di un novecento "contro" a causa di accademici bolsi e reazionari, 
                  ci è riuscito Giuseppe Gennari, un uomo senza potere se non 
                  quello della passione, del sogno e della poesia, dimostrando 
                  come l'utopia -qualunque utopia- possa sposarsi con la realtà 
                  del gesto stirneriano.  
                  Così il 18 e 19 maggio dell'anno successivo, grazie all'amministrazione 
                  comunale e altri enti, nasce ufficialmente il Festival Ferré 
                  e non solo ma anche il Centro Léo Ferré per la ricerca e la 
                  documentazione sulla poesia e sulla canzone francese.  
                  In scena, due cantanti, due donne, dal talento straordinario: 
                  la belga Ann Gaytan e la francesina Catherine Boulanger. Due 
                  personalità contrapposte: la Gaytan è tellurica e snoda il pentagramma 
                  come una valanga che tutto travolge ripercorrendo gli stessi 
                  tumulti tempestosi dell'autore con interpretazioni aggressive 
                  e colleriche, la Boulanger è l'altra anima di Léo, il versante 
                  più delicato, più intimista, più interiore. Il versante della 
                  tenerezza infinita ben espresso con la sua stupenda canzone 
                  "Pour Léo".  
                  Anche la Gaytan, autrice, propone un "Thank you Ferré" particolarmente 
                  coinvolgente ed emozionante. Terminerà con l'ultima creazione 
                  di Léo: "Vous savez qui je suis maintenant?".  
                  Nel '96 il II° festival Ferré, propone una cantante del Canada 
                  francese, Renée Claude, nel suo recital "On a marché sur l'amour", 
                  al pianoforte Philippe Noireaut. L'interprete ripercorre l'opera 
                  centrale di Ferré con accenti misteriosi, notturni, talvolta 
                  un po' glaciali, ma tecnicamente alti e impeccabili.  
                 "Inanzitutto le lavanderie automatiche, agli angoli delle 
                  strade sono imperturbabili così come il rosso o il verde dei 
                  semafori.  
                  I poliziotti del detersivo vi indicheranno dove vi sarà possibile 
                  lavare ciò che voi credete sia la vostra coscienza e che non 
                  è altro che una succursale di quel fascio di nervi che vi serve 
                  da cervello. E pertanto... la solitudine... 
                 (da "La solitudine") 
                 "La sigaretta di prammatica  
                  Accesa all'alba democratica  
                  Con il rimorso del custode  
                  Mentre il terrore vi corrode  
                  Di questo prete il ministero  
                  E la pietà che sta al balcone  
                  E il cliente che non ha  
                  Né Dio né padrone"  
                 
                   
                    (da "Né Dio Né Padrone") 
                   
                 
                 "Insieme ai nostri dolori  
                  Potete preparare le vostre lacrime  
                  Un giorno faremo il nostro pane  
                  Con le nostre armi nelle madie  
                  Ora basta!  
                 
                   
                     
                       (da "Ora basta!") 
                     
                   
                 
                  
                   
                  Giuseppe 
                  Gennari e Léo Ferré 
                  
                   
                   Carne e sangue 
                 "L'originalità della scrittura poetica e musicale di Léo Ferré 
                  è esaltata da un tipo di interpretazione vocale che la arricchisce 
                  di un'altra originalità miracolosa: la sua è la sola voce al 
                  mondo che al momento del canto partecipi ancora così intensamente 
                  all'istante della scrittura, tanto da dare l'impressione che 
                  egli non canti qualcosa che ha scritto, ma qualcosa che scrive 
                  ogni volta che canta. E il miracolo è questo: Léo scrive - non 
                  riscrive - anche ciò che ha scrito".  
                  Con queste parole Gennari apre il programa del Festival '97, 
                  il terzo. Diviso in due serate, la prima è denominata "FerréRock", 
                  la seconda "FerréJazz". A Mama Bea Tekielski tocca rivisitare 
                  Ferré in chiave rock che non è la dimensione del maestro, ai 
                  Têtes De Bois invece la responsabilità di jazzare con rispetto 
                  e riconoscibilità le musiche originali.  
                  Ma neanche il jazz è la dimensione del maestro. La vera sorpresa 
                  che restituisce profonda verità e commozione all'identità dell'estetica 
                  ferreiana è Lucio Matricardi, quasi un ragazzino, che a tutt'oggi 
                  è il più grande interprete di Ferré in Europa, come la Gaytan, 
                  tra le donne pùo essere annoverata la più vicina all'interiorità 
                  dell'autore.  
                  "Le canzoni di Léo Ferré sono di carne e di sangue: nel passaggio 
                  dalla vita all'arte non si è perso il fremito dell'esistenza, 
                  non c'è stato quel processo di disidratazione della vita che 
                  dà ai comuni prodotti artistici il sapore smorto di un liofilizzato". 
                  È ancora Gennari che in questo modo apre il IV festival Ferré 
                  e gli fa da controcanto Guido Armellini, già traduttore de "La 
                  musica mi prende come l'amore" secondo album di Léo in italiano 
                  (in questi giorni è uscito il terzo). Fin dagli inizi, anarchia 
                  e poesia sono per Ferré un'unica cosa. Nelle sue canzoni il 
                  ricordo dell'89, dei fratelli "comunardi" degli anarchici spagnoli, 
                  l'evocazione della "rivoluzione" del maggio '68, vanno di pari 
                  passo con un amore, viscerale fino all'autoidentificazione per 
                  i poeti "maledetti", da Rutebeuf a Verlaine a Rimbaud, che gli 
                  tramandano una concezione fatale, mitica, della contrapposizione 
                  tra artista e società, qualcosa che ha a che vedere con l'orecchio 
                  mozzato di Van Gogh, con la sordità di Beethoven, col tumore 
                  di Ravel..."  
                  Ed è ancora il Marche Jazz Orchestra di Bruno Tommaso a incantare 
                  per il livello raffinato e l'esecuzione straordinaria dei suoi 
                  componenti, ma Ferré è il mondo degli archi e delle armonie 
                  e nel jazz viene dissolto come negli acidi.  
                  Il gruppo giovanile "Statale 16" eseguone "Né Dio né padrone", 
                  "Col Tempo", "Thank you Satan", "I pop". 
                 "Col tempo sai  
                  Col tempo tutto se ne va  
                  Ogni cosa appassisce  
                  Io mi scopro a frugare  
                  In vetrine di morte  
                  Quando il sabato sera  
                  La tenerezza  
                  Rimane senza  
                  Compagnia" 
                 
                   
                     (da "Col tempo") 
                   
                 
                 "Per il curato che l'agnello  
                  Perduto attende a braccia tese  
                  Per il vinello da due soldi  
                  Che prende per champagne francese  
                  E per l'anarchico a cui dai  
                  Del tuo blasone i due colori  
                  Rosso per nascere in Spagna  
                  E nero per morire fuori  
                  Thank you Satan" 
                 
                   
                     (da "Thank you Satan") 
                   
                 
                  
                 Torna nella seconda serata il fantastico Lucio Matricardi 
                  che apre il concerto di Moustaki, leggendario cantautore di 
                  cui si legge nel programma: "L'inizio del successo coincide 
                  con il maggio '68 ed alcune sue canzoni diventano il simbolo 
                  della contestazione giovanile: "Ma liberté," "Le temps de vivre", 
                  e soprattutto "Le métèque" che rimane tuttora il suo biglietto 
                  da visita. Joan Baez ed Ennio Morricone gli chiedono la traduzione 
                  in francese della "Ballata di Sacco e Vanzetti".  
                  Incomincia a girare il mondo ed interessanti incontri ne ispirano 
                  la creatività: Piazzolla in Argentina, Theodorakis in Grecia, 
                  Jobim e Vinicius de Moraes in Brasile, Paco Ibañez in Spagna 
                  . Per l'omaggio a Ferré sceglierà tra: "Paris Canaille", "La 
                  chambre", "Pauvre Rutebeuf", "Le parvenu", "Monsieur William", 
                  "Les amoreux du Havre", "Graine d'ananar". 
                  
                   
                   Juliette, Paco e ... 
                L'edizione del '99 è allargata a Brassens e Brel e porta sulle 
                  scene di San Benedetto del Tronto, al teatro Calabresi, due 
                  giganti della canzone francese e spagnola: Juliette Gréco e 
                  Paco Ibañez.  
                  Così Gennari si rivolge a lei: "Non eri ancora ventenne in quegli 
                  anni del dopoguerra quando Parigi la bella, morsa dai lupi, 
                  curava a baci le recenti ferite. L'hai aiutata a rialzare la 
                  testa con la tua carica di libertà insolente. Al tuo fianco, 
                  una brigata di cervelli acuti e strambi ti aveva incoronata 
                  Musa dei loro estusiasmi "outrés". Da allora, di male in fiore, 
                  di fiore in male, la tua magia vocale di tramutare le parole 
                  in pietre preziose è diventata patrimonio artistico "off limits" 
                  alla volgarità."  
                  E di Paco Ibañez così dice: "Paco Ibañez è venuto a S. Benedetto 
                  per amicizia spontanea, per onorare Ferré, per cantare Brassens 
                  e la grande poesia, per sventolare come sempre la bandiera della 
                  libertà contro ogni forma di schiavitù appariscente o arcana, 
                  contro la stupidità della violenza armata che nega la ragione 
                  e rivela le pericolose velleità della debolezza irata. Tutto 
                  in lui dice la stessa verità in una duplice faccia: la violenza 
                  è il contrario della forza, chi è forte non è violento mai. 
                  Riflettere sulla sua Arte di cantare i poeti è anche riflettere 
                  su questo messaggio d'amore di cui Ibañez è portabandiera." 
                   
                  Si giunge così al Festival Ferré 2000, 1-2 giugno di quest'anno. 
                  Ho avuto il privilegio di presentarlo e di recitare brani del 
                  maestro accompagnato al pianoforte da Lucio Matricardi. Molti 
                  artisti sono sfilati sul palcoscenico del teatro Calabresi, 
                  italiani, francesi, e giapponesi.  
                  Ricorderò Alessio Lega, giovane e impetuoso cantautore anarchico, 
                  gia autore di una bellissima ballata dedicata a Fabrizio de 
                  André "Il funerale del pirata" eseguita per la prima volta a 
                  Genova alla Sala chiamata del porto in occasione di un omaggio 
                  al grande poeta ligure. Ricorderò i "Chantango", gruppo veneto 
                  che abbina alla canzone francese l'atmosfera dei tanghi argentini 
                  con un risultato suggestivo di grande originalità veicolati 
                  dalla stupenda voce di Gianluigi Cavaliere. Ricorderò il nipote 
                  del grande Serge Reggiani, Nicolas, che ha interpretato Ferré, 
                  Aragon, Prevert.  
                  Sorpresa d'eccezione: Celine Caussimon, figlia di Jean Roger, 
                  amico e collaboratore di Ferré per una vita intera e che ha 
                  creato insieme a lui pezzi incantevoli e indimenticabili come 
                  "Monsieur William", "Les loubards", "Comme a Ostende", "Le temps 
                  du tango". Perla della serata, la poetessa e cantante giapponese 
                  Keico Wakabayashi che ha tradotto nella sua lingua Baudelaire, 
                  Verlaine e Rimbaud sempre con la musica di Ferré. Operazione 
                  translitterale che ha confermato l'universalità di Ferré anche 
                  in quelle culture e quelle forme liguistiche apparentemente 
                  lontane e impossibili per noi europei. Joan Pau Verdier ha cantato 
                  in occitano, l'antica lingua provenzale, testi e musiche di 
                  Ferré, creando strane suggestioni dal sapore medioevale. Enzo 
                  Nardi, cantautore maceratese, ha riproposto brani di Ferré, 
                  Ferrat, Brassens, con assciutto intimismo e fedeltà alla causa 
                  della cultura musicale francese. Francesco Tranquilli, attore, 
                  regista e traduttore, ha cantato Brel e Ferré con grande intensità, 
                  sopratutto "L'opera du ciel" un testo di Léo che non veniva 
                  eseguito dal 1941! Infine, il buon Matricardi ha toccato ancora 
                  una volta il diapason più viscerale della poesia di Ferré con 
                  vibranti interpretazioni che lo confermano la vera scoperta 
                  di tutti i festival Ferré.  
                  All'apertura della prima serata mi sono concesso alcune parole 
                  d'ingresso: "La chiglia alata del Festival Ferré solca le acque 
                  temibili e torbide del terzo millennio, mi piace pensare a questo 
                  teatro come una grande arca non istituzionale, non di biblica 
                  propaganda, ma simile al "bateau ivre" di Rimbaud dove Léo Ferré 
                  Noé imbarca il suo equipaggio speciale di speciali sognatori: 
                  poeti, musicisti, ribelli, anarchici, oppressi, per traghettarli 
                  non solo nel 2000 - data opinabile- ma verso il 10.000 sua data 
                  emblematica e simbolica quando "riavremo tutto" per diritto 
                  di rappresaglia. Quest'anno, su questo "bateau ivre" sale anche 
                  un grande poeta libertario italiano, Fabrizio De André che avremmo 
                  lasciato volentieri sulla riva insieme a noi. Fabrizio verrà 
                  ricordato con alcune sue canzoni interpretate da una bravissima 
                  cantautrice torinese che si chiama Lalli, dotata di una voce 
                  bellissima e inquietante. Questo "bateau ivre" di persone "contro" 
                  non verrà mai affondato perché la poesia è una vela nera." 
                   
                  Mauro Macario 
                  
                  
                 "Hanno bandiere nere  
                  Sulla loro speranza  
                  E la malinconia  
                  Per compagna di danza  
                  Coltelli per tagliare  
                  Il pane dell'Amicizia  
                  E del sangue pulito  
                  Per lavar la sporcizia  
                  Non son l'uno per cento ma credetemi esistono  
                  Stretti l'uno con l'altro e se in loro non credi  
                  Li puoi sbattere in terra ma sono sempre in piedi  
                  Sono gli anarchici 
                 
                   
                     
                      
                         (da "Gli anarchici") 
                           
                       
                     
                   
                 
                Le poesie di Léo Ferré sono state tradotte da Cesare Medail. 
                 
                  
                      
                   
                        
                        
                   
                        
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