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                 Non è certo da oggi che il papa fa notizia. 
                  Figuriamoci in agosto, quando gli operatori dell'informazione 
                  di massa hanno un tale disperato bisogno di "eventi", che non 
                  esitano, il più delle volte, a inventarseli. Un evento di indiscutibile 
                  ed evidente autenticità, quale l'affluire a Roma di un milione 
                  e duecentomila giovani d'ambo i sessi, partecipanti, nell'ambito 
                  del giubileo, alle "giornate mondiali della gioventù", deve 
                  essere parso a quei nostri colleghi un vero dono della provvidenza. 
                  Non tanto per le dimensioni, pur imponenti, del fatto, visto 
                  che di altre recenti congregazioni di giovani di pari imponenza 
                  (per dirne una: la parata rave di Berlino, i cui partecipanti, 
                  in condizioni organizzative molto più disagevoli, hanno toccato 
                  - mi sembra - il milione) tutti si erano bellamente disinteressati, 
                  ma per il valore ideologico che sin dall'inizio è stato convenuto 
                  di attribuirvi.  
                  Che attorno al vecchio pontefice tradizionalista si stringessero 
                  esultanti tanti esponenti delle nuove generazioni è sembrata 
                  un'occasione perfetta per cantare a gran voce il De profundis 
                  a quella particolare forma di civiltà che nel rifiuto settecentesco 
                  di ogni egemonia chiesastica sulla società civile riconosceva, 
                  un tempo, il proprio atto di origine. E su questa solfa, come 
                  i lettori ricorderanno, ce ne hanno cantate di ogni. Gli unici 
                  commentatori che hanno avuto qualcosa da eccepire non sono stati, 
                  paradossalmente, quelli di parte laica, fin troppo disposti, 
                  come si è visto, stracciarsi le vesti a gloria del vincitore, 
                  ma i pochi superstiti dell'intellettualità cattolica di origine 
                  maritainiana, aristocraticamente diffidenti, com'è sempre stato 
                  loro costume, di una fede esibita in condizioni di tanto plateale 
                  esteriorità. Ma si è trattato di poche voci critiche in un deserto 
                  di clamorosi consensi.  
                  Naturalmente, la decisione di leggere l'evento in quel modo 
                  comportava l'adozione di certe procedure descrittive standard. 
                  Di questa sorta di pellegrinaggio giovanile nella capitale del 
                  cristianesimo andavano sottolineate, oltre che l'imponenza, 
                  la sincerità e la spontaneità. Quei bravi giovani erano a Roma 
                  perché avevano voluto venirci, per portare ciascuno la sua testimonianza 
                  e ci erano arrivati da soli, a prezzo (si sottintendeva) di 
                  non pochi sforzi. In fondo, una testimonianza che non richieda 
                  a chi la porta nemmeno un briciolo di sforzo non è particolarmente 
                  interessante.  
                  È stato omesso, così, qualsiasi importuno riferimento alla pur 
                  pregevole dimensione organizzativa dell'evento. Che quei moderni 
                  pellegrini fossero stati portati a destinazione da una perfetta 
                  organizzazione di massa, che aveva messo a frutto, da un lato, 
                  le cospicue risorse della chiesa cattolica e, dall'altro, quelle, 
                  forse meno affidabili, ma tutto sommato efficienti, di un comune 
                  di Roma il cui sindaco, non a caso, aveva rinunciato al giovanile 
                  anticlericalismo per farsi anch'egli testimone di fede, non 
                  era cosa su cui insistere: molto meglio insistere sui disagi 
                  cui quei poveretti si sottoponevano, del fatto - per esempio 
                  - che facesse un gran caldo e si avesse molto bisogno di acqua, 
                  anche se questi, in fondo, sono da sempre i problemi con cui 
                  si misura, d'estate, qualsiasi turista in qualsiasi città della 
                  fascia calda del pianeta.  
                   
                   
                    
                  Un look adeguato  
                 Della sconcertante omogeneità con cui quel milione 
                  e duecentomila individui di diversa origine si presentavano 
                  (tutti più o meno con lo stesso aspetto, con la stessa attrezzatura, 
                  lo stesso cappelluccio antisole, persino le stesse bandiere, 
                  a onta delle diverse origini nazionali che quelle bandiere volevano 
                  segnalare) non si è fatta parola. Della evidente falsità delle 
                  varie interviste televisive a questo o quel rappresentante del 
                  popolo giovanile, tutti molto attenti, giovanotti e ragazze, 
                  a esibire un look adeguato all'occasione, nel senso di abbastanza 
                  scapigliato (perché si sa, i giovani...) ma non più di tanto, 
                  e tutti, in definitiva, impeccabilmente pettinati e truccati, 
                  sul modello di quei cinque esemplari, altrettanto platealmente 
                  falsi, che si esibivano sul palco di Tor Vergata con la professionalità 
                  di altrettanti conduttori di varietà del sabato sera (che dev'essere, 
                  suppongo, la carriera cui tutti e cinque sono avviati) nessuno 
                  ha pensato. Persino sull'evidente commozione del papa, l'unico, 
                  in tutta questa buriana mediatica, che si comportava, riconosciamoglielo, 
                  da credibile essere umano, si è preferito sorvolare. Sì, certo, 
                  il papa "doveva" commuoversi, caspita, ma senza esagerare, se 
                  no che razza di trionfo sarebbe stato il suo? 
                  
                  
                  Vittime inconsapevoli  
                 D'altronde, qualche motivo per commuoversi c'era davvero, 
                  anche per chi meno del papa fosse coinvolto nell'evento. Anche 
                  a un osservatore laico come chi scrive, un osservatore che giovane 
                  non è certo più, ma si illude, forse a torto, di aver conservato 
                  qualche ricordo della sua giovinezza, quello spettacolo, pur 
                  nella patente falsità con cui era orchestrato, non poteva non 
                  fare una certa impressione. Fa sempre piacere, diciamolo, vedere 
                  tanti ragazzi convinti e sicuri di sé, assistere allo spettacolo 
                  di tanti giovani felici di affermare la verità che sono convinti 
                  di possedere. E pazienza se la dimensione religiosa in cui si 
                  estrinseca quella felicità non è la nostra. I giovani, lo sappiamo, 
                  sono talmente convinti della propria immortalità che la dimensione 
                  religiosa gli viene, in un certo senso, spontanea. Ma anche 
                  chi religioso non è non può fare a meno di ammirare, con una 
                  maggiore o minore dose d'invidia, quella capacità di coltivare 
                  la speranza che rappresenta, per l'appunto, l'aspetto più commuovente 
                  della giovinezza.  
                  Dispiace, certo, sapere, anche grazie all'amara consapevolezza 
                  degli anni, che quei bravi ragazzi e quelle fanciulle risolute 
                  sono vittime inconsapevoli di un'operazione di sfruttamento 
                  piuttosto bieca, nel senso che si fa leva sul loro entusiasmo 
                  e sulla loro ingenuità per portarli, intruppati come turisti 
                  di un viaggio "tutto compreso", a esaltare la funzione liberatoria 
                  di un'organizzazione (la chiesa) che ha contribuito non poco, 
                  nei suoi duemila anni di storia, all'oppressione dell'uomo sull'uomo, 
                  sia esercitandola in proprio, sia educando le masse al consenso 
                  verso il potere. Dispiace pensare che la loro fiducia di poter 
                  cambiare il mondo può essere utilizzata per perpetuare il potere 
                  di certuni su certi altri. Perché è questa, naturalmente, la 
                  vera contraddizione su cui lo straordinario successo dell'iniziativa 
                  dovrebbe spingere a riflettere, anche se la maggior parte dei 
                  commentatori hanno preferito chiedersi, con indiscreta curiosità, 
                  se tra le virtù che tutti quei bravi cristiani esercitavano 
                  ci fosse anche quella della castità.  
                  In ogni caso, che l'entusiasmo dei giovani non sia scevro di 
                  qualche ingenuità lo sappiamo tutti. Tutti, in fondo, conosciamo 
                  dei ragazzi, magari figli nostri, o nostri nipoti, serenamente 
                  sicuri di essere, nella propria autonomia, ben in grado di perseguire 
                  i fini che si propongono, mentre in tutto dipendono, oltre che 
                  dalle risorse economiche della propria famiglia, dal quadro 
                  valori che a loro insaputa gli viene trasmesso, dalle mode e 
                  dalle illusioni che l'apparato mediatico culturale continuamente 
                  crea e fa circolare a maggior gloria dell'impero del soldo. 
                  Presto o tardi, ci diciamo di solito con un sospiro, capiranno 
                  anche loro e se non ci riusciranno - d'altronde - la colpa sarà 
                  stata anche nostra. 
                  
                  
                  Sul mercato delle notizie 
                 Di un analogo atto di fiducia, in fondo, si può far 
                  credito anche agli entusiasti di Tor Vergata. Non tutti loro, 
                  si spera, sono destinati a fare la fine di quei loro compagni 
                  di fede più cresciutelli che, pochi giorni dopo, si sarebbero 
                  spellate le mani acclamando, al meeting riminese di Comunione 
                  e Liberazione, il programma e la figura di Berlusconi. Non tutti 
                  raggiungeranno il livello di cinismo e di incoerenza necessari 
                  per applaudire un programma ferocemente neoliberale come quello 
                  del cavaliere e farsi zelatori, subito dopo, della canonizzazione 
                  di Pio IX, che fu probabilmente un personaggio più complesso 
                  di come lo dipingono i libri di storia su cui ho studiato io, 
                  ma resta comunque colui che del liberalismo pronunciò la più 
                  severa e impietosa condanna (e tale condanna asseverò anche 
                  a costo di far tagliare pubblicamente la testa a certi suoi 
                  sudditi che avevano, in merito, un opposto punto di vista). 
                  Non tutti rinunceranno alle loro facoltà critiche e non tutti 
                  saranno disposti, come i seguaci di Formigoni, a mettere la 
                  categoria dell'utile al di sopra di qualsiasi necessità di coerenza. 
                  Almeno si spera.  
                  Un'ultima osservazione. I media, a volte, sono crudeli. Per 
                  tutti quei giorni di agosto, subito dopo o subito accanto ai 
                  resoconti dell'incontro gioioso tra il vecchio papa e i suoi 
                  giovani amici, si potevano leggere o seguire le cronache della 
                  straziante agonia di quegli altri centodiciotto ragazzi rinchiusi 
                  nella carcassa del sommergibile russo immobilizzato sul fondo 
                  del Mare di Barents. Nessuno, naturalmente, si è mai permesso 
                  di mettere i due eventi in qualche rapporto, né ce ne sarebbe 
                  stato motivo, anche se forse qualcuno si sarebbe aspettato da 
                  chi esprimeva la propria esultanza per il primo qualche parola 
                  di pietà o commiserazione per il secondo. D'altronde, che le 
                  sofferenze cui siamo tutti esposti, uomini e donne, non possano 
                  essere utilizzate come argomento per negare la provvidenzialità 
                  dell'ordinamento del mondo è, fin dai tempi di Giobbe, uno dei 
                  postulati di ogni pubblicistica religiosa.  
                  Ma faceva abbastanza impressione, lo ammetterete, vedere come, 
                  sui teleschermi o sulle pagine dei giornali, gli articoli, i 
                  servizi e i commenti da Roma si susseguissero a quelli da Arcangelo 
                  o da Mosca senza alcuna soluzione di continuità e pur senza 
                  il minimo riferimento gli uni agli altri. La sofferenza e la 
                  morte, in una cultura sempre più indifferente ai significati 
                  e ai valori, come la nostra, possono essere trattate come merce 
                  sul mercato delle notizie, allo stesso titolo di un episodio 
                  festoso di affermazione di sé. Ai giovani di Tor Vergata, che 
                  di un tipico "evento" mediatico sono stati, forse involontariamente, 
                  protagonisti, non si può che augurare di non lasciarsene a loro 
                  volta intrappolare.  
                 
                   
                  Carlo Oliva 
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