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                 Ero piccina, appena cinque anni, ma 
                  mi porto il ricordo nitido di quest'uomo dalla folta barba che, 
                  venuto a sera a trovarci, trascorse ore a giocare con noi bambini. 
                  Portava in dono un meccano. Era quel giorno stesso uscito dalla 
                  prigione. Si chiamava Errico Malatesta". Luce è felice nel racconto: 
                  brani di un'esistenza che appaiono più avvincenti del più avvincente 
                  romanzo. L'ascolto a mia volta rapito, cercando di non perdere 
                  le sfumature di questa voce flebile che sembra giungere da lontano. 
                   
                  Conobbi Luce Fabbri dai suoi scritti, e più precisamente durante 
                  un lavoro di ricerca sul primo periodo di Volontà, gli 
                  anni eroici della fondazione e del tentativo di rilancio del 
                  movimento in Italia. La seconda guerra mondiale era appena terminata 
                  e gli anarchici tornavano dalle galere e dagli esili, che per 
                  più di vent'anni li avevano tenuti lontani. Anche Luce pensò 
                  in quel tempo di riprendere a ritroso il mare, "ma la salute... 
                  ". Un compagno conosciuto a casa sua, commentando il primo loro 
                  incontro alla fine degli anni '30, rammentava: "La trovammo 
                  incredibilmente colta e profonda, ma mangiava come un uccellino 
                  ed era pallida e smunta da farci pensare che non ci sarebbe 
                  rimasta per molto". Luce ha compiuto novantadue anni.  
                  Degli scritti di quel periodo colpivano il tratto deciso e arguto, 
                  la determinazione a sottrarsi alle categorie dell'inevitabile 
                  luogo comune, seppur libertario. Nei lunghi pomeriggi trascorsi 
                  chino sulla rivista, cercavo un filo di Arianna che mi aiutasse 
                  a sottrarmi alle pastoie della ricostruzione storiografica, 
                  a trarre da quelle voci suggestioni per un futuro possibile. 
                  E del futuro e di un risveglio alla vita di tante esistenze 
                  sonnolente e sapide, da quel tempo per me lontano desiderai 
                  parlare con Luce.  
                  Il discorso iniziò in verità a Milano, nella redazione di "A". 
                  Salutavo Paolo Finzi in attesa di partire per il Brasile e involontariamente 
                  cominciai a riversare sul suo inarrestabile attivismo la vena 
                  scettica e indefinita che da qualche tempo mi tormenta. "Gli 
                  anarchici mi appaiono troppo appiattiti sul loro affascinante 
                  passato. La vita, i nuovi fermenti sono nella strada; diversi 
                  e mutevoli, ma reali", dicevo e nel dire quel senso di insoddisfazione 
                  e anche di dolore si faceva parola per un amico disposto a condividere. 
                  "Non serve realizzare nuovi tentativi di catalogazione di ciò 
                  che è, o meglio appare, "libertario". I movimenti giovanili 
                  sono per natura inafferrabili e spesso contraddittori. L'Hip-hop 
                  ne è un esempio, un crogiolo di passioni e desideri che quotidianamente, 
                  in ogni parte di questo vecchio pianeta, nonostante gli Albertini, 
                  si fa atto". E qui, sotto lo sguardo più inquieto di Paolo, 
                  il sasso nello stagno: "Gli anarchici dovrebbero a mio avviso 
                  trascurare un poco le loro meravigliose architetture teoriche 
                  e 'sporcarsi le mani'... ". Mi era uscito.  
                  Paolo mi consigliò di riflettere, precisare il mio pensiero 
                  e scriverne. Poi, pochi giorni dopo, il bagno di polvere, grida 
                  e barricate di questa presente, vitalissima America Latina. 
                  L'odore acre delle dittature degli anni '80 dietro gl'inesplicabili 
                  compromessi dei politici delle "rinate" democrazie. "Sem terra", 
                  Zapatisti e movimenti indigenisti. Volti e parole, ma soprattutto 
                  un agire lontano anni luce dal fideismo monolitico dei tristi 
                  bolscevichi. Ritrovarmi con gli anarchici uruguasci nelle avenida 
                  di Montevideo, un corteo di 70.000 persone, a chiedere: "Donde 
                  estan los desasparecidos?".  
                  E ancora Luce: "Sono contenta perché ciò che sta avvenendo conferma 
                  che avevamo ragione. In Uruguay, come ovunque, la sinistra si 
                  è avvicinata al potere perdendo le caratteristiche originarie, 
                  acquistando i caratteri che era nata per combattere. E' sufficiente 
                  l'odore del potere per corrompere. Penso ai revisionisti 
                  anarchici, tipo Machno con la sua piattaforma o in Italia Pardaillan, 
                  orientati verso la presa del potere 'per il periodo brevissimo' 
                  necessario a compiere il salto. Noi non dobbiamo avvicinarci 
                  al potere". 
                 "Tuttavia, nella gestione di qualunque struttura emergono 
                  un carisma, delle capacità, dei leader...".   
                   
                  "L'importante è sentire dentro che [il potere] non lo vuoi. 
                  E di ciò sono sicura per me stessa e per i compagni che conosco; 
                  certo ce ne possono essere di più deboli. Non si può garantire 
                  per tutti".  
                   
                  "Qual è la differenza tra l'autorevolezza riconosciuta al 
                  leader di un gruppo e il potere?".  
                   
                  "Siamo esseri umani, non possediamo una difesa, una corazza 
                  interiore che ci protegga dalle nostre pulsioni. Si tratta di 
                  un processo; piccoli strappi e concessioni, qualcosa di insensibile. 
                  Non accade che all'improvviso ci si percepisca autoritari. Piccoli 
                  strappi: sei sicuro di te, ma proprio perché ti senti sicuro 
                  puoi arrivare a compiere un altro e un altro strappo. Ti trovi 
                  intrappolato in un ingranaggio. Incominci a dirti: 'Non è il 
                  momento: se perdo il potere succede... '. E dunque: 'ancora 
                  no; ancora no'. E via via si scivola: credo che ci sia molta 
                  differenza tra l'esercizio del Governo provvisorio e dire 'non 
                  voglio il potere', anche a condizione di subire quello di un 
                  altro. E' meglio averci il piede sulla testa, che avere il 
                  proprio piede sulla testa di un altro".  
                   
                  "Stai pensando alla Rivoluzione spagnola?".  
                   
                  Stavo pensando a quello, a Federica Montseny e alla sua riflessione. 
                  Gli anarchici sono passati per il potere un po' teoricamente... 
                  ".  
                   
                  "Insomma, erano ministri...".  
                   
                  "Erano ministri, ma non potevano fare molto...".  
                   
                  "Forse più in Catalogna...".  
                   
                  "Sì, io credo che chi veramente abbia avuto potere e l'abbia 
                  esercitato sia stato Santillan. Santillan era molto, molto anarchico, 
                  ma ci fu un momento che in Catalogna gli anarchici prevalsero. 
                  La CNT era molto potente e Santillan il suo rappresentante... 
                  Il ministero dei quattro è stato il gran colpo ricevuto dall'anarchismo 
                  contemporaneo, e non è stato grave per Federica che era al Ministero 
                  della sanità, dove qualcosa di buono si può fare. Ma Garzia 
                  Oliver che aveva la giustizia, nientemeno...".  
                   
                  "Mi sembra di capire che secondo te gli anarchici non dovevano 
                  accettare".  
                   
                  "Si era in guerra, una ragione molto forte. Franco stava vincendo, 
                  i compagni erano imbottigliati nel sud; se le cose non fossero 
                  cambiate, presto sarebbero stati costretti a concentrarsi ad 
                  Alicante, nel tentativo di imbarcarsi. Loro si convinsero che 
                  per non perdere la guerra fosse necessario agire a quel modo. 
                  I giudici della situazione erano loro, non certo quanti sono 
                  restati comodamente a casa, tuttavia rimango convinta non dovessero 
                  accettare".  
                   
                  "Mi viene in mente una parabola di Ghandi sulla necessità 
                  di compiere compromessi con la propria coscienza quando si tratta 
                  di evitare grandi mali. Se nel mio villaggio vedo il macellaio 
                  uscire minaccioso con un coltellaccio a suo negozio, dovrò cercare 
                  di fermarlo. E se questi fuori di senno dovesse cominciare a 
                  ferire e uccidere la gente, per fermarlo dovrò compiere un atto 
                  violento (ammesso che ci riesca). Da questo punto di vista percepisco 
                  la sterilità dei dogmatismi e apprezzo la scelta. L'assoluta 
                  coerenza può portare alla paralisi dell'azione, all'ignavia...". 
                   
                   
                  "L'esempio della votazione mi sembra emblematico. La ripugnanza 
                  al voto si è per gli anarchici trasformata in dogma. Noi non 
                  vogliamo delegare la nostra sovranità, la vogliamo esercitare 
                  direttamente, tuttavia a volte conviene che la votazione riesca. 
                  L'importante è non esser candidati, ma votare o non votare, 
                  non vedo in cosa praticamente influisca".  
                   
                  "Sei una grande eretica... ".  
                   
                  "Io generalmente non voto, eppure una volta ho votato".  
                   
                  "Io invece voto facendo inorridire gli anarchici, ma voto 
                  in funzione del male minore".  
                  "Il rifiuto del voto è un pregiudizio; credo che noi non siamo 
                  partigiani del male minore: 'tutto o niente'. Ma in genere non 
                  si ottiene nulla quando si vuole tutto".  
                   
                  "Nella storia recente del movimento, penso al tentativo di 
                  Masini di candidarsi alle amministrative, si assiste a contrapposizioni 
                  molto dure, ad atteggiamenti che sanno di scomunica. Un altro 
                  esempio è fornito da Cesare Zaccaria, redattore di Volontà 
                  fino alla metà degli anni '50 , quando parve avvicinarsi al 
                  liberalismo crociano dal quale proveniva. Anche in quel caso 
                  si verifica una sorta di condanna e una successiva rimozione. 
                  Cosa pensi di questo atteggiamento nei confronti di quanti infrangono 
                  i fondamenti dell'anarchismo o che semplicemente se ne allontanano?". 
                   
                    
                  "Se uno si presenta come candidato e accetta una carica come 
                  anarchico crea confusione nella mente della gente. Bisogna prendere 
                  posizione per evitarlo e perché si rispetti il significato delle 
                  parole. Ma bisogna vedere più in là: nella Resistenza si sono 
                  viste le cose più strane. Bifolchi è diventato sindaco di un 
                  paesino meridionale".  
                   
                  "Anche Ugo Fedeli, esule in Uruguay, poi espulso, si trovò 
                  nella medesima situazione...".  
                   
                  "Di Fedeli non sapevo. È stato un momento di confusione che 
                  fa parte della storia del movimento; guerra, partigiani".  
                   
                  "Dopo la confusione, l'accendersi delle correnti. Come hai 
                  vissuto le infinite diatribe interne?".  
                   
                  "Io gli individualisti non li ho mai capiti. Non capisco come 
                  possano sostenere una visione del futuro senza considerare l'uomo 
                  come essere sociale. L'uomo non si concepisce senza il linguaggio, 
                  e il linguaggio è di tutti e ci lega gli uni agli altri. Il 
                  linguaggio è il portato di una società; siamo la convergenza 
                  di tanti sforzi".  
                   
                  "Una domanda un po' provocatoria: l'aggressività è frutto 
                  della paura...".  
                   
                  "E anche del desiderio di potere".  
                   
                  "E anche del desiderio di potere; ma considerando la storia 
                  del movimento sono colpito dalla veemenza del confronto tra 
                  le fazioni. Se tra loro sono e sono stati così aggressivi, di 
                  cosa hanno paura gli anarchici?".  
                   
                  "Credo sia l'argomento più forte contro la realizzabilità dell'anarchia. 
                  'Se non andate d'accordo tra voi, come può funzionare la società 
                  senza autorità?' E' difficile discutere riconoscendo la buona 
                  fede dell'avversario, ma è l'unica strada".  
                   
                  "Torniamo alla paura degli anarchici. Penso all'Adunata 
                  dei refrattari, ma anche a polemiche e prese di posizione 
                  più recenti. Quanti compagni hanno intinto la penna nel veleno...". 
                   
                   
                  "Quando ancora s'intingeva. Ma rispondi tu, che hai detto che 
                  è frutto della paura...".  
                   
                  "Forse il desiderio di prevalere sull'opinione dell'altro, 
                  di sentirsi più forti e sicuri. Problemi di autostima". 
                   
                   
                  "Non se ne accorgono. Tu vedi: appena nelle riunioni uno parla 
                  un po' meglio, riesce meglio a convincere, assume una posizione, 
                  un ruolo speciale e lo difende. Non lascia più parlare 
                  gli altri, e anche questa è una forma di potere. È inevitabile, 
                  siamo tutti persone, soggetti ai nostri istinti".  
                   
                  "Votazioni, leader, aggressività latente, paura e desiderio 
                  di potere sono temi trasversali alla tua storia, quanto al presente. 
                  Il senso del passato viene meno se non se ne trae, come sostenevate 
                  voi di# Volontà, uno stimolo per l'azione e il cambiamento. 
                  Si pone un tema fondamentale: la capacità dell'anarchismo contemporaneo 
                  di cogliere e interpretare fermenti e segnali concreti. Secondo 
                  te, gli anarchici sanno ancora ascoltare?".  
                   
                  "Io non so se in campo nostro siano stati valutati sufficientemente 
                  i cambiamenti della struttura sociale, e più precisamente gli 
                  effetti del venire meno del proletariato come classe maggioritaria 
                  e cosciente di sè. ...se ci siamo realmente adattati nei nostri 
                  metodi a una situazione così nuova. Non si può più parlare di 
                  insurrezione. È diventato importante il piccolo passo, la vittoria 
                  circostanziale. Credo di essere ancora in debito con A Rivista 
                  di una risposta rispetto a una intervista che mi fecero molto 
                  tempo fa, in cui mi definii partigiana delle cooperative. Sono 
                  convinta che il cooperativismo, ben inteso, costituisca un passo 
                  avanti. È un sistema molto corrompibile, accessibile alle deformazioni 
                  del mercato, ma al principio si fonda sulla solidarietà e non 
                  sulla concorrenza".  
                   
                  "Per te la concorrenza è un disvalore?".  
                   
                  "In un regime capitalista è alla radice della violenza; è un 
                  disvalore".  
                   
                  "Come giudichi dunque la componente "sperimentalista", che 
                  individua nella compresenza, e nella competizione, di differenti 
                  soggetti economici - cooperative, piccoli imprenditori, artigiani 
                  - una precondizione allo sviluppo del corpo sociale?".  
                   
                  "Mio padre era sperimentalista, e anch'io lo sono. Il capitalismo, 
                  quanto un'economia solidale, possono realizzarsi in varie forme. 
                  Quando mio padre diceva 'si sperimenteranno i vari sistemi', 
                  si riferiva comunque all'ambito socialista".  
                   
                  "Per associazione diretta, il tema dello sperimentalismo 
                  richiama Camillo Berneri...".  
                   
                  "Se la memoria non mi inganna, ricordo che mio padre sosteneva 
                  Berneri stesse 'navigando in acque pericolose', ma, soprattutto 
                  negli ultimi tempi, l'idea della libera sperimentazione lo affascinava". 
                   
                   
                  "Per concludere, un tuo pensiero sugli anni che ci attendono". 
                   
                   
                  "Credo che la cesura tra presente e passato sia rappresentata 
                  da Hiroshima.  
                  Tutto ciò che è stato scritto precedentemente dovrebbe essere 
                  rivisto in funzione della morte atomica. Los Alamos recentemente 
                  lambita da un incendio rappresenta una metafora. Il capitalismo, 
                  anche se mostra segni di crisi, è un animale duro a morire, 
                  capace di profonde mutazioni che in questa fase, la globalizzazione, 
                  vanno a peggiorare le condizioni della gente. Gli anarchici 
                  comprenderanno il cambiamento in atto e giungeranno a una concezione 
                  differente della rivoluzione sociale, adeguando gli strumenti 
                  di propaganda in un senso che mi pare vicino al movimento dei 
                  Sem Terra".  
                 18 maggio 2000.  
                  Montevideo, Uruguay 
                   
                  Massimo Annibale Rossi  
                   
                   
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                       La 
                        morte sempre è ingiusta  
                         
                        Luce se ne è andata da noi pian piano. Fino a oltrepassare 
                        il limitare e lì spegnersi. Ma non si spegnera tutto l'apporto 
                        che fin dalla giovinezza, di lei e di noi, asincronici 
                        ma coincidenti, ci diede.  
                        A partire da quel precoce libretto che ci servì d'appoggio, 
                        riuniti in Juventudes Libertarias, e che non casualmente 
                        si chiamò "La strada", fino al suo libro "La libertad 
                        entre la Historia y la Utopìa", Luce Fabbri ci apportò 
                        le sue idee sempre fresche e responsabilizzanti.  
                        "Pensare è azione anticipata" ci ripeteva quando ci riunivamo 
                        per ascoltarla. Certamente, a volte si manifestarono differenze, 
                        ma per arricchire il dialogo e l'analisi della realtà. 
                         
                        La sua morte annunciata non smette di colpirci, forse 
                        perché non ci lascia in epoche facili. La meta ancora 
                        sembra lontana e il cammino è ripido.  
                        In una poesia che ci lascia aveva anticipato il suo commiato 
                        e il suo desiderio che noi manteniamo vivo il suo desiderio 
                        di un mondo giusto e libero, che precorse e che non potè 
                        vedere realizzato:  
                       
                         
                           En el cielo y en la tierra está el futuro,  
                          el futuro cercano,  
                          en el que moriré.  
                          Hacedlo luminoso, tu y los otros,  
                          no dejeis que me muera en la tiniebla  
                          agazapada bajo el horizonte.* 
                       
                       I 
                        tempi si sovrappongono, domani al darle l'addio si compiono 
                        proprio 45 anni dalla nascita della nostra Comunità, che 
                        sempre poté contare sul suo riconoscimento e sulle sue 
                        critiche, e sopra tutto sull'esempio della sua integrità 
                        e del suo calore.  
                        Luce, amica e compagna, cercheremo di corrispondere alla 
                        tua speranza. 
                       
                        COMUNIDAD DEL SUR  
                        Montevideo, 19 agosto 2000 
                       
                        *(Nel cielo e nella terra sta il futuro, / l'ormai prossimo 
                        futuro / in cui io morirò. / Rendetelo luminoso  
                        , tu e gli altri, / non lasciate che io muoia tra le tenebre 
                        / rannicchiata sotto l'orizzonte.) 
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