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                  Percorsi-Poesia: due parole sul Festival di Pavia 
                 Tra maggio e giugno, anno domini 2mila, si è svolta a Pavia 
                  la 4a rassegna di performance poetica "Percorsi-Poesia". Essendo 
                  stato invitato, per la 3a volta, a parteciparvi, mi sento di 
                  esprimere un parere su quello che è ormai uno dei festival più 
                  riusciti riguardanti la "Parola": semplicemente lo spazio più 
                  interessante e meglio gestito rispetto all'uso della Vocalità 
                  che si possa trovare in Italia; quindi suggerirei, a chiunque 
                  si occupi della cosa, di segnarsi gli indirizzi sparsi per questo 
                  articolo.  
                  Utilizzando anche quest'anno una sala del Castello Visconteo, 
                  con le finestre direttamente sul magnifico cortile medievale, 
                  le serate sono state sempre molto seguite, da un pubblico magari 
                  piccolo (100/120 persone) rispetto ad altri raduni "popolari", 
                  ma molto attento e interessato. Mauro Bianchi, che è uno degli 
                  ispiratori del Festival, io l'ho conosciuto girovagando per 
                  Centri Sociali e affini con Franti e Kina. Anche lui interno 
                  all'area dei "punx anarchici", si è poi dedicato da una parte 
                  all'Università, risiedendo per un periodo in Svizzera, e dall'altra 
                  alla Poesia. A questa ultima rassegna io ho partecipato, ancora 
                  con Claudio Villiot, con "Piccola Meccanica Vocale", un lavoro 
                  appena iniziato, in parte simile allo "storico" (per noi, ovvio) 
                  "Corpi Sparsi" di qualche tempo fa. Ma non di questo si parla 
                  qui. Sax, voce, piano, nastri nel nostro caso ma anche danza, 
                  video, pittura e altro ancora da parte di gruppi e "solisti" 
                  passati alla Rassegna in questi quattro anni. A Mauro ho fatto 
                  un paio di domande telematiche. Ecco le risposte:  
                  (Un po' di storia....) "Diciamo la rivista di Pavia Macondo. 
                  Attraverso l'inserto dedicato alle poesie come spesso avviene 
                  nelle fanze giovanili e...romantiche incontriamo il gruppo di 
                  SuperNova Venezia. È un gruppo che ha seguito e pubblicato, 
                  in tempi non sospetti, il post-beat, ovvero Tom Rawhorth, Robert 
                  Creely, Kathy Acker, Jim Koller e poi Franco Beltrametti, John 
                  Gian, Rita degli Esposti. Alla morte di Beltrametti (http://www.beltrametti.com) 
                  si decide, nel 1996, di fare una antologia che diviene, alla 
                  sua presentazione, ben presto una rassegna di più giorni. Percorsii 
                  Poesia Pavia-Verso il Duemila. Al numero uno, quindi ci sono 
                  Steve Lacy, Irene Aebi, Rawhorth, Julien Blaine, Stefano Giaccone, 
                  Claudio Villiot, Vanni Picciuolo ex-Franti - Chicco Giusti, 
                  Jean Monod, John Gian, Rita degli Esposti e Aldo Vianello un 
                  poeta veneziano di grandissima forza comunicativa, fuori da 
                  ogni legame "colto" e molto classico, aulico, alla Eliot. Il 
                  rapporto con le istituzioni è una storia di battaglie e compromessi 
                  ma l'iniziativa ci permette di consolidare l'asse Ticinese Riva 
                  San Vitale-Locarno, attraverso i rapporti con l'editore L'Affranchi 
                  (Beltrametti, il pittore PAM), come la "discussa" comunità del 
                  Monte Verità. Tenendo conto che a Locarno Michele Bakunin ha 
                  soggiornato non poco, la cosa incominciava a piacerci! Altre 
                  collaborazioni fondanti sono quindi seguite: La Rada di Locarno 
                  e Porto dei Santi (http://www.portodeisanti.org). Dallo specifico 
                  "poesia", ci siamo mossi verso altre forme, la poesia-visiva, 
                  la performance, spesso più importante del testo e la danza contemporanea. 
                  Gilles Jobin, ad esempio, con lo spettacolo "Braindance", il 
                  corpo come retorica del potere, attraverso le immagini dei guerriglieri 
                  colombiani allineati e fucilati. O ancora la spagnola La Ribot 
                  con "El Gran game". Altri partecipanti: l'enfant terrible dell'underground 
                  "socialista" ungherese, Endre Szkarosi; Nanni Balestrini; Jorg 
                  Burkhard, il Tetsuo della poesia sonora; Riccardo Held, premio 
                  Montale; Dadi Mariotti, voce misconosciuta ma per noi importante; 
                  Teresa Cannavò, performer torinese, Elio Pagliarani, Gianni 
                  Toti con la sua video-poesia; Francesco Biamonti, John Giorno, 
                  Anne Waldman, Pierre Thoma, Bernard Heidseck.  
                  (musicalmente?) "Sicuramente Steve Lacy col suo lavoro 
                  da Naked Lunch di Burroughs e Train Goes By di Creely. 
                  Lacy, considerato il più grande sax soprano di sempre, è una 
                  figura storica del jazz, da quello di Monk all'avanguardia improvvisativa. 
                  Suona tuttora con Mal Waldron, ultimo pianista accompagnatore 
                  di Billie Holiday. Ma anche Umberto Petrin, pianista jazz e 
                  i DMS3 di Losanna (HYPERLINK mail to: frusciantej@hotmail.com) 
                  . Abbiamo avuto il country rock di Karl Bruder, Jim Koller e 
                  Joelle Leandre, doublebass pazzesca, collaboratrice di Cage 
                  e Fred Frith (la conoscerete sicuramente se siete attenti lettori 
                  di Marco Pandin, qui su A).  
                  Bene. Spero di avervi messo una pulce poetica nell'orecchio. 
                  Mauro Bianchi fa capo all'associazione Lemming (lemming999@email.com) 
                  oppure direttamente: maurofb@hotmail.com. 
                   
                  Per il prossimo Percorsi e altre iniziative. A risentirci e 
                  rivederci.  
                   
                  Stefano Giaccone   
                  
                   
                  Ricordando Goliardo Fiaschi  
                Il 29 luglio scorso è morto a Carrara Goliardo Fiaschi, una 
                  delle figure più caratteristiche dell'anarchismo carrarese. 
                  Era nato nella città del marmo, settantadue anni fa.  
                  Dopo aver partecipato come giovane staffetta alla Resistenza 
                  contro i nazifascisti, che in quelle terre fu particolarmente 
                  dura - e ne sono testimonianza le sanguinose rappresaglie nazi-fasciste, 
                  a partire da quelle di Sant'Anna di Stazzema e di Vinca - Goliardo 
                  fu tra i molti giovani attivi, nell'immediato dopoguerra, nella 
                  ripresa delle attività sociali e sindacali del movimento libertario, 
                  che aveva in Alberto Meschi (segretario della Camera del Lavoro) 
                  la sua figura di maggiore notorietà.  
                  Nei primi anni '50 si unì allo spagnolo José Facerias ed ad 
                  altri anarchici iberici ed italiani, con l'intento di portare 
                  avanti direttamente in Spagna la lotta anti-franchista, con 
                  azioni anche armate. L'esperienza fu di breve durata, Facerias 
                  ed altri furono uccisi dalla polizia catalana, mentre Goliardo 
                  - sfuggito alla morte ed arrestato - iniziò un periplo di una 
                  quarantina di penitenziari, prima spagnoli poi italiani (in 
                  seguito all'estradizione in Italia, dove era stato condannato 
                  in contumacia per rapina ed altre azioni illegali compiute prima 
                  di trasferirsi in Spagna). Per quasi vent'anni fu detenuto, 
                  per essere poi scarcerato nel '73 dal penitenziario di Lecce. 
                   
                  Rientrato nella natia Carrara, riprese subito il suo impegno 
                  pubblico in campo anarchico, con particolare attenzione all'opera 
                  di propaganda della cultura, dei libri e della stampa del movimento 
                  anarchico. Il compimento di questo suo impegno fu l'apertura 
                  del Circolo culturale anarchico di via Ulivi 8, in pieno centro: 
                  una libreria del tutto anomala, a partire dai grandi cartelloni 
                  manoscritti che puntualmente Goliardo metteva sul marciapiede 
                  antistante, per commentare i fatti politici e sociali, perlopiù 
                  cittadini, con una prosa ampollosa ma diretta, che proveniva 
                  dritta dritta dall'anarchismo di fine '800, in particolare da 
                  Luigi Galleani.  
                  Il suo Circolo è stato un punto di riferimento politico ed organizzativo 
                  per tante iniziative sociali, non solo anarchiche. Ma soprattutto 
                  era la più fornita libreria anarchica in Italia, curata con 
                  precisione maniacale e scrupolosa correttezza: Goliardo era 
                  fiero che da lui, che aveva a stento fatto le elementari ed 
                  era sostanzialmente un autodidatta, passavano anche fior fiore 
                  di professoroni, giornalisti, uomini di cultura. E a tutti era 
                  assicurata un'accoglienza calorosa, seria.  
                  Per lui che non era riuscito a crearsi una famiglia come avrebbe 
                  voluto (quanto pesavano quei vent'anni passati dietro le sbarre!) 
                  e che nella sua famiglia originaria si era impegnato - una volta 
                  uscito poco più che quarantenne di prigione - prima per la anziana 
                  madre e poi per la sorella invalida, la vera famiglia era il 
                  movimento anarchico internazionale. Ed i funerali che in una 
                  calda domenica di fine luglio hanno attraversato le vie di Carrara, 
                  con le bandiere anarchiche, con la banda che intonava "Addio 
                  Lugano bella" e altri motivi libertari, antifascisti e proletari, 
                  con i compagni e le compagne venuti anche da fuori (e in quanti 
                  non abbiamo potuto esserci, in piena stagione di vacanze!), 
                  sono stati proprio come lui li avrebbe voluti.  
                  Personalmente lo conobbi per corrispondenza subito dopo l'uscita 
                  di "A", quasi trent'anni fa. Iniziammo una corrispondenza, che 
                  si trasformò da parte nostra in solidarietà attiva quando sul 
                  n. 20 di questa rivista - un numero speciale dedicato all'antifascismo 
                  anarchico, nel 30° anniversario dell'inizio della Resistenza 
                  armata (1943) - sollevammo il caso di questo compagno detenuto 
                  (allora) da quasi vent'anni, di cui poco o nulla si sapeva in 
                  giro. Goliardo non se n'è mai dimenticato.  
                  Vennero poi la sua scarcerazione, l'incontro a Carrara, un sodalizio 
                  umano profondo che non fu mai concordanza nel concepire l'anarchismo. 
                  Con il passare degli anni, anzi, la distanza tra le nostre concezioni 
                  politiche si era fatta sempre maggiore ed il suo mondo per così 
                  dire "ottocentesco", dove il nemico, lo stato, gli sbirri avevano 
                  sempre almeno una maiuscola, e non cessavano di tramare contro 
                  l'avanzare delle nostre meravigliose Idee, da tempo lo sentivo 
                  distante. Non gliene parlai mai apertamente, non ce n'era bisogno. 
                  Quel che ci univa era qualcosa di più importante che una concordanza 
                  politica.  
                  L'uomo - Goliardo - era proprio una bella persona, onesto, sinceramente 
                  devoto ad una Causa per la quale comunque aveva sofferto quel 
                  che aveva sofferto. Non aveva "la puzza al naso", non ti schiacciava 
                  con il suo passato né ti faceva sentire in colpa per le fortune 
                  che a lui non erano capitate. Era semplice, di quella semplicità 
                  che segnala una grande forza morale, una rettitudine che spesso 
                  mancava nei suoi interlocutori: e ciò lo faceva soffrire, ancor 
                  più quando proveniva dall'interno del movimento, della "sua" 
                  famiglia. Ha fatto più lui per la cultura anarchica, per tener 
                  desto lo spirito critico anche in tempi di cloroformizzazione, 
                  di tanti intellettualoni.  
                  In campo anarchico, ha sempre operato per l'unità dei compagni. 
                  Ha mandato giù tanti rospi, e - sensibile com'era - ha sofferto 
                  più di quel che lasciava trasparire per le cattiverie che ebbe 
                  a subire. In città era molto noto ed ha saputo tenere alta la 
                  bandiera dell'anarchia innanzitutto con il suo comportamento 
                  quotidiano, con la sua umanità, con la disponibilità ad ascoltare 
                  e la capacità di dare per dare. Tipica la sua visita ogni fine 
                  anno nell'ospizio, per consegnare panettoni ai vecchietti ricoverati: 
                  nel nome dell'Anarchia, naturalmente.  
                  L'ultima volta che l'ho rivisto - prima del suo ultimo, definitivo 
                  ricovero ospedaliero - è stato qualche mese fa al Circolo. Andai 
                  con Aurora ed i miei figli, perché conoscessero bene quest'uomo 
                  che stava tanto male (dimagrito, con il respiratore) eppure 
                  sedeva come al solito dietro al suo tavolino, tra la corrispondenza 
                  da evadere e le migliaia di libri anarchici che in buon ordine 
                  lo circondavano. Sembrava quasi che anche loro lo volessero 
                  abbracciare.  
                   
                  Paolo Finzi  
                  
                  Goliardo 
                  Fiaschi (foto di Reinhold Kohl) 
                  
                  
                  Un convegno Su Francesco S. Merlino 
                 La figura e il pensiero di Francesco Saverio Merlino sono 
                  una presenza sicuramente scomoda non solo per l'anarchismo nel 
                  quale egli si riconobbe per molti anni e che anche formalmente 
                  abbandonò in seguito alla famosa polemica che lo contrappose 
                  all'amico di sempre Malatesta-, ma anche per il socialismo come 
                  tale, che soprattutto oggi, miseramente crollata l'Unione Sovietica 
                  e tramontato il marxismo che l'aveva determinata e animata, 
                  si trova a dover fare i conti con un mondo percorso da radicali 
                  trasformazioni senza un pensiero veramente in grado di fungere 
                  da griglia analitica e da riferimento propositivo.  
                  La "scomodità" di Merlino per anarchismo e socialismo è poi 
                  resa ancor più marcata da due questioni, fra loro diverse ma 
                  di fatto convergenti. La prima è che egli, dopo l'abbandono 
                  dell'anarchismo e a parte una breve adesione al Partito Socialista, 
                  rimase sempre un "senza partito" e fino ai suoi ultimi anni 
                  si definì "socialista libertario", una definizione che, vista 
                  la sua indubbia consapevolezza linguistico-teorica, lascia pochi 
                  dubbi sul senso che attribuiva alle sue elaborazioni e proposte 
                  e alle critiche che svolgeva all'anarchismo, al marxismo e alle 
                  democrazie liberali.  
                  La seconda è che la relativa "riscoperta" di Merlino, cui da 
                  qualche anno si assiste, si è intrecciata spesso a motivazioni 
                  e preoccupazioni di carattere politico contingente, la qual 
                  cosa ha reso ancor più problematica una valutazione veramente 
                  distaccata del suo pensiero, indubbiamente variegato e percorso 
                  da molteplici influenze e preoccupazioni. Fra gli studi storico-analitici 
                  più seri ed obbiettivi, a Merlino dedicati, il più importante 
                  è sicuramente  Francesco Saverio Merlino. Dall'anarchismo 
                  socialista al socialismo liberale di Giampietro Berti (edito 
                  da Franco Angeli nel 1993), che proprio nelle speculazioni del 
                  Merlino post-anarchico vede il vero inizio e la teorizzazione 
                  più approfondita del socialismo liberale, ma non sono mancati 
                  né studiosi che hanno inteso fare del pensatore napoletano il 
                  teorizzatore di una forma radicale della democrazia, né quelli 
                  che, come Gianpiero Landi e Massimo La Torre, vedono nelle riflessioni 
                  merliniane ben più dell'abbozzo di un "anarchismo possibile" 
                  che, senza rinunciare alla volontà trasformatrice dell'anarchismo 
                  "classico", abbandoni tuttavia le fumisterie teoriche, i tremendismi 
                  linguistici e soprattutto l'"incapacità" teorico-politica che 
                  lo hanno sempre contraddistinto e sempre più lo determinano. 
                   
                  Queste le coordinate che hanno orientato, come ha sottolineato 
                  Gianpiero Landi nel discorso di apertura, il convegno La 
                  fine del socialismo? Francesco Saverio Merlino e l'anarchia 
                  possibile, organizzato dall'associazione Arti e pensieri 
                  e tenutosi a Imola il 1° luglio con la partecipazione di 
                  un nutrito nucleo di studiosi di diversissimo orientamento e 
                  di un pubblico sempre attento.  
                  Lo scopo che il convegno si prefiggeva, come sempre Landi ha 
                  chiarito, stava soprattutto nel tentativo di capire cosa oggi 
                  significhi proprio quel "socialismo libertario" che Merlino 
                  poneva come suo riferimento e dove esso possa collocarsi oggi, 
                  in una "geografia" politica ed ideale in cui alla fine del marxismo 
                  ha corrisposto solo il trionfo planetario del capitalismo, non 
                  certo una rinascita dei socialismi non marxisti o dell'anarchismo 
                  "classico", il quale, anzi, ancora una volta ha messo in luce 
                  come sia oggi incapace di proporre pratiche e teorie in grado 
                  di essere alternativa realmente praticabile alle trasformazioni 
                  in atto.  
                  Su questo terreno, però, almeno per chi scrive, il convegno 
                  ha dato qualche motivo di insoddisfazione, soprattutto perché 
                  sono stati pochi i momenti in cui i nodi problematici forti, 
                  che legano le riflessioni merliniane alle questioni del presente, 
                  sono stati riconosciuti come tali e posti al centro della riflessione. 
                  A determinare tale riuscita non pienamente soddisfacente hanno 
                  sicuramente concorso sia il fatto che il convegno è stato concentrato 
                  in un solo giorno -non per volontà degli organizzatori, ma per 
                  necessità economiche e di disponibilità di molti dei relatori, 
                  fra i quali sono tuttavia mancati Luciano Pellicani e Nicola 
                  Tranfaglia- sia la diversissima impostazione "disciplinare" 
                  delle molte, forse troppe, relazioni presentate (quasi tutte, 
                  comunque, rivelatisi interessanti), che non hanno portato, né 
                  probabilmente avrebbero potuto, ad una tematizzazione convergente. 
                  A rafforzare tale impressione ha poi sicuramente contribuito 
                  anche il fatto che relazioni e comunicazioni dal taglio soprattutto 
                  storico siano state inframmezzate a relazioni e comunicazioni 
                  più dichiaratamente teoriche, così spezzando il "filo" della 
                  riflessione che si poteva/voleva costruire.  
                  Le relazioni eminentemente incentrate sulla ricostruzione storico-culturale 
                  sono state quelle di Emilio Papa -che ha parlato di Merlino 
                  avvocato dei "malfattori", come la stampa borghese di fine Ottocento 
                  chiamava spesso anarchici e rivoluzionari-, di Enrico Voccia 
                  -che ha messo in luce l'importanza dell'ambiente culturale dell'illuminismo 
                  napoletano, pieno dei fermenti suscitati dalla fallita rivoluzione 
                  repubblicana del 1799, in cui Merlino maturò-, di Natale Musarra 
                  -che ha illustrato la particolare attenzione sempre riservata 
                  da Merlino alla "questione meridionale"-, e di Gianpiero Landi, 
                  che con la sua relazione ha soprattutto reso un omaggio ad Aldo 
                  Venturini, curatore-divulgatore dell'opera merliniana, senza 
                  il quale Merlino sarebbe forse caduto nel dimenticatoio, alla 
                  cui memoria il convegno era dedicato. Queste relazioni, che 
                  certo hanno chiarito aspetti del pensiero e della figura di 
                  Merlino, ben pochi elementi hanno però portato, almeno dal giudizio 
                  che si è potuto trarre dall'ascolto, alle questioni "calde" 
                  annunciate da Landi nella sua introduzione. Cosa che non è accaduta 
                  neanche con le relazioni di Paolo Favilli, che, uscendo un po' 
                  dal "tema", ha soprattutto dissertato sull'uso storiografico-politico 
                  di concetti quali "ortodossia" e "revisionismo" riferiti al 
                  marxismo, e di Bruno Bongiovanni , che, sostanzialmente, ha 
                  messo in discussione l'idea stessa che potesse esistere, almeno 
                  a fine Ottocento, un "marxismo" strutturato come tale di cui 
                  celebrare la "crisi", come Merlino fece.  
                  A toccare temi più direttamente politico-teorici sono invece 
                  state sia le relazioni di Giampietro "Nico" Berti, di Massimo 
                  La Torre, di Raimondo Cubeddu, che le comunicazioni di Pietro 
                  Adamo e di Nadia Urbinati. L'interesse dell'intervento di Adamo, 
                  che ha parlato della polemica che contrappose Merlino all'anarchico 
                  statunitense Benjamin Tucker, risiede nell'aver reso evidenti 
                  le differenze, per non dire le inconciliabilità, esistenti fra 
                  l'anarchismo di matrice anglosassone e quello di matrice europeo-continentale. 
                  La polemica fra Tucker e Merlino, infatti, mette tutt'ora in 
                  luce come l'anarchismo statunitense abbia in realtà ben poco 
                  in comune, al di là di una serie di avversari contingenti, con 
                  la tradizione anarchica "continentale". Infatti, mentre il primo 
                  è del tutto derivato dall'ethos determinato dalle infinite derive 
                  della riforma protestante e politicamente si incentra su una 
                  concezione individualistico-atomistica della libertà, sull'accettazione 
                  tout-court della logica del mercato e sulla convinzione 
                  che una società libera ed egualitaria possa reggersi e costruirsi 
                  soprattutto attorno all'interesse individuale, il secondo da 
                  sempre mette in luce come l'"individuo" non sia pensabile se 
                  non come contraltare della "società", la quale, a sua volta, 
                  abbisogna, per potersi reggere con modalità il più possibile 
                  egualitarie e libertarie, di un senso "forte" che ne costituisca 
                  contemporaneamente presupposto e compito.  
                  Diverso l'interesse della comunicazione di Urbinati, per la 
                  quale non pochi sarebbero i punti di contatto fra il pensiero 
                  di un campione del liberalismo come John Stuart Mill e quello 
                  di un socialista come Merlino. Urbinati è partita dalla definizione 
                  di Merlino e di Mill come "pensatori che scardinano le frontiere" 
                  per giungere a mostrare come tanto in Mill come in Merlino il 
                  motivo fondamentale sia quello della democrazia, intesa 
                  non solo come sistema politico rappresentativo, ma soprattutto 
                  come "senso" generale, un "senso" che permetterebbe la libertà 
                  e la crescita del singolo individuo e contemporaneamente, combattendo 
                  i monopoli economici e di potere, la cooperazione sociale.  
                  Con un intervento brioso e intrigante, ricchissimo di riferimenti 
                  storico-filosofici e di spunti polemici, Berti ha invece difeso 
                  la sua convinzione che Merlino, dopo l'abbandono dell'anarchismo, 
                  sia approdato al socialismo liberale, che secondo Berti è caratterizzato 
                  proprio da alcuni degli elementi che fondano la concezione del 
                  Merlino post-anarchico: il venir meno della visione del socialismo 
                  come di un totalmente altro che nulla ha da spartire 
                  con la società esistente, sostituita da una visione del socialismo 
                  come "essenza", basata sulla libertà e sull'eguaglianza, da 
                  cui derivano infinite "forme", parte delle quali già praticabili, 
                  o ottenibili, nella società capitalistica; il riconoscimento 
                  che la diversità umana non solo non è in alcun modo conciliabile/riducibile, 
                  se non a costo del totalitarismo, ma non è neppure leggibile 
                  come equivalenza, come accade in Bakunin, cosicché essa può 
                  solo essere governata e armonizzata attraverso i criteri etico-giuridici 
                  della giustizia distributiva ("ad ognuno secondo i suoi bisogni") 
                  e retributiva ("ad ognuno secondo il suo lavoro"); il ritenere 
                  il socialismo una questione sostanzialmente etica che deve fare 
                  contemporaneamente i conti, conciliandole, con l'ineludibile 
                  limitatezza delle risorse e con l'illimitatezza dei bisogni/desideri. 
                   
                  Berti, in modo volutamente provocatorio, ha posto questi problemi 
                  all'attenzione dei presenti sottolineando come essi siano, una 
                  volta abbandonate le visioni rivoluzionario-palingenetiche, 
                  i problemi con cui ogni prospettiva socialista deve confrontarsi 
                  e da cui non può che essere determinata.  
                  Quel che Massimo La Torre ha proposto, con una relazione pienissima 
                  di riferimenti culturali e filosofici e oltremodo stimolante, 
                  è stata una "storia alternativa" dell' anarchia, di cui Merlino 
                  sarebbe stato punto terminale profondamente autoconsapevole. 
                  La Torre, con non poca vis polemica, ha cercato infatti di mostrare 
                  come, a fianco dell'anarchismo di matrice bakuniniana e kropotkiniana 
                  -articolato attorno a motivi, fra loro spesso contradditori, 
                  di tipo millenaristico, romantico, aristocratico ma anche populistico, 
                  positivistico, meccanicistico-, ne sia sempre esistito un altro 
                  non solo meno confuso e contradditorio, ma soprattutto chiaramente 
                  radicato nella tradizione democratico-illuministica, di cui 
                  proprio Merlino rappresenterebbe l'esito maturo e in grado di 
                  rispondere alle sfide dei nostri tempi.  
                  Sempre secondo il parere di La Torre, fra i tanti meriti di 
                  tale anarchismo ci sarebbe quello di non aver evitato, come 
                  invece ha fatto l'anarchismo "classico" bakunin-kropotkiniano, 
                  il problema della politica, quindi anche il problema della rappresentanza 
                  e del diritto. Anzi, proprio alla politica, intesa come ambito 
                  della discussione e della decisione razionale attorno all'infinito 
                  porsi e provvisoriamente strutturarsi del problema del come 
                  gli esseri umani stanno insieme, tale anarchismo attribuirebbe 
                  il ruolo centrale nella ricerca della maggior uguaglianza e 
                  libertà possibile in ogni concreta situazione, così articolando 
                  quella che La Torre, citando Merlino, ha chiamato l'"anarchia 
                  possibile".  
                  Di ampio respiro teorico, come detto, anche la relazione di 
                  Raimondo Cubeddu, il cui sfondo ricostruttivo-speculativo è 
                  stato quello delle teorie economico-politiche. Cubeddu ha infatti 
                  sottolineato come uno degli aspetti più interessanti di Merlino 
                  sia stato il suo tentativo di fondare il socialismo su basi 
                  economico-politiche altre da quelle determinate dal pensiero 
                  economico "classico", fondato sul valore-lavoro inteso come 
                  fatto oggettivo, da cui derivano tanto il marxismo che il liberismo 
                  del laissez-faire (che a loro volta portano o al totalitarismo 
                  comunista o alla dittatura di fatto del capitalismo). Fu proprio 
                  partendo dal rifiuto delle teorie economiche "classiche" che 
                  Merlino riprese alcune delle teorie della scuola marginalista 
                  austriaca, ed in particolare la convinzione che il valore di 
                  un bene sia determinato da una molteplicità di fattori -di cui 
                  il valore-lavoro è, in sé, parte significativa ma non determinante- 
                  mutevoli e imprevedibili. Secondo Cubeddu, a questo insieme 
                  di considerazioni sarebbe dovuto sia l'abbandono merliniano 
                  della "soluzione collettivistica", intesa come unica prospettiva 
                  veramente socialista, che la sua accettazione del mercato come 
                  sistema di regolamentazione dei rapporti economici.  
                  Certo, ha sottolineato Cubeddu, l'idea di socialismo che Merlino 
                  sempre nutrì rimane profondamente etica, quindi lontana dai 
                  teorici dell'individualismo economico-metodologico (come De 
                  Molinari o Spencer), ma è proprio qui che, sempre secondo Cubeddu, 
                  sta anche la contradditorietà di Merlino. Per Cubeddu, infatti, 
                  quel che Merlino non ha capito è che proprio perché ciò che 
                  ha "valore" è diverso per ogni individuo, e ogni individuo muta 
                  tale attribuzione di valore nel tempo, il socialismo come tale 
                  (anche nella versione liberal-socialista) o è impossibile o 
                  non può che sfociare in forme dittatoriali. Da qui Cubeddu è 
                  partito per sostenere come solo le prospettive cosiddette "anarco-capitaliste" 
                  di stampo giusnaturalistico, ben rappresentate da un teorico 
                  come Murray Rothbard, siano le più adeguate per cercare di avvicinarsi, 
                  se non ad una società giusta, almeno ad una società il più possibile 
                  priva di coercizione.  
                  Il dibattito, purtroppo necessariamente concentrato in tempi 
                  molto ristretti, si è incentrato soprattutto sui temi agitati 
                  da La Torre, Berti e Cubeddu. Fra i vari interventi va ricordato 
                  soprattutto quello di Luciano Lanza il quale, riferendosi soprattutto 
                  alle relazioni di Berti e La Torre, ma anche anticipando parte 
                  di quanto sarebbe poi stato detto da Cubeddu e Urbinati, ha 
                  contestato che Merlino possa essere visto come un superamento, 
                  ocome un problema, della teoria anarchica. Secondo Lanza, infatti, 
                  l'utilizzo merliniano del marginalismo economico e la sua accettazione 
                  del mercato in funzione antimonopolistica, così come il suo 
                  rifarsi alle teorie democratiche in chiave anti-totalitaria, 
                  non riescono a superare le intuizioni, le critiche, le proposte 
                  presenti, anche se spesso non chiaramente, nelle teorie anarchiche. 
                  Tutto questo, ha concluso Lanza, non significa che l'anarchismo 
                  non debba essere ripensato, visto che il mondo attuale è sempre 
                  più diverso da quello in cui l'anarchismo si è definito, semplicemente 
                  significa che in questa opera Merlino è di scarsissima utilità. 
                   
                  Detto tutto questo, quale bilancio si può sommariamente trarre 
                  da questo convegno? Indubbiamente esso, così come il recente 
                  convegno veneziano su anarchismo ed ebraismo, ha avuto il merito 
                  - non così frequente di questi tempi, soprattutto in ambito 
                  libertario - di tentare una riflessione profonda e "senza rete" 
                  attorno a nodi problematici decisivi sia per l'anarchismo propriamente 
                  detto, sia per un socialismo che voglia essere veramente tale, 
                  che per un libertarismo che (sia esso "anarchia possibile" o 
                  altro) non accetti di essere ricondotto né ad un liberismo più 
                  o meno selvaggio, né alla pura difesa/allargamento delle libertà 
                  civili e politiche esistenti.  
                  Proprio i nodi tematici emersi hanno infatti messo in luce, 
                  direttamente o "in negativo", come sia ancora in grandissima 
                  parte da pensare un pensiero libertario che riesca a fuoriuscire 
                  dal rivoluzionarismo di matrice ottocentesca (da tempo morto 
                  anche nella sua versione anarchica, anche se non sono pochi 
                  coloro che ancora sembrano non essersene accorti), facendo contemporaneamente 
                  e positivamente fronte, senza tuttavia diventarne succube o 
                  strumento, alle questioni politiche, istituzionali, sociali 
                  e culturali su cui la tarda modernità in cui viviamo è incentrata 
                  o attorno a cui "gira". Quel che questo convegno su Merlino 
                  ha ancora una volta posto come ineludibile, insomma, è la necessità 
                  di un pensiero libertario che sappia essere pienamente "politica" 
                  senza per questo cessare di essere "utopia". 
                   
                  Franco Melandri  
                  
                  Disegno di 
                  Francesco Berti 
                  
                  
                  Al campeggio Anarchico  
                 Francamente non sapevamo, al momento della proposizione del 
                  campeggio sulle pagine della stampa libertaria, se e come la 
                  ' cosa' avrebbe potuto funzionare. Alle riunioni preparatorie 
                  del comitato costituito ad hoc la partecipazione si dimostrava 
                  piuttosto ridotta, e nonostante i ripetuti solleciti, i segnali 
                  che pervenivano dal movimento erano alquanto flebili. Si trattava 
                  in fin dei conti di una proposta che aveva ben pochi precedenti, 
                  e ormai piuttosto lontani nel tempo, almeno qui da noi.  
                  Anche la ricerca del luogo non si dimostrava facile: dalla Campania 
                  all'Umbria, dalla Romagna all'arcipelago toscano, le varie ipotesi 
                  si erano andate progressivamente sgonfiando. Poi Vico di Querceta 
                  si è fatto avanti proponendo l'uso di un suo terreno piantumato 
                  a pioppi, altri compagni si sono resi disponibili per gli indispensabili 
                  lavori di sistemazione dell'area (dalla falciatura dell'erba 
                  all'impianto elettrico, dalla collocazione della cucina all'impianto 
                  idraulico, alla sistemazione di un tendone, dei tavoli e delle 
                  sedie) e il campeggio ha preso il via. E così grazie ad Aldo 
                  abbiamo avuto acqua calda e fredda per lavandini e docce, grazie 
                  ad Alfo e Donato luce ed energia per frigo e scaldabagno, grazie 
                  ai compagni di Querceta e dintorni la disponibilità dei WC chimici. 
                   
                  E domenica 20 agosto il campeggio ha preso forma e sostanza: 
                  i primi compagni arrivavano disponendo le tende e inserendosi 
                  nell'autorganizzazione della vita del campo. Accettata la proposta 
                  dei promotori si dava subito vita all'assemblea dei partecipanti 
                  che, per tutto il periodo di durata del campo, avrebbe scandito 
                  l'organizzazione concreta del vivere quotidiano: dalle cene 
                  collettive serali (ma chi voleva poteva mantenere la sua specificità 
                  culinaria), alla raccolta dei fondi necessari a far fronte alle 
                  spese sostenute, dai rapporti con il vicinato all'organizzazione 
                  dei dibattiti politici e dei momenti conviviali.  
                  L'autoregolazione dei presenti ( e la loro particolare sensibilità) 
                  ha consentito che il terreno del campeggio fosse sempre perfettamente 
                  pulito, che le cene collettive fossero gestite da diversi 'cuochi' 
                  in un clima di grande disponibilità ed allegria, che le spese 
                  sostenute fossero ricoperte con il contributo libero e volontario, 
                  superando ogni distinzione tra promotori e fruitori del campeggio 
                  stesso.  
                  Insomma una volta di più si dimostrava la possibilità di un 
                  vivere collettivo che, accomunando compagne e compagni provenienti 
                  da varie parti d'Italia (dalla Sicilia al Friuli) per lo più 
                  sconosciuti gli uni agli altri, utilizzava la ricchezza del 
                  metodo libertario per la gestione del quotidiano, consentendo 
                  parimenti lo stabilirsi di un confronto sociale e politico a 
                  più livelli (bambini compresi). Sicuramente ha favorito lo svolgimento 
                  del campeggio la sua collocazione stessa, a tre chilometri dal 
                  mare e a poca distanza dalle Alpi Apuane, che ha consentito 
                  ai presenti bagni notturni, belle escursioni tra gli anfratti 
                  di Lerici, le spiagge di Forte dei Marmi, le cave di marmo e 
                  le ricche memorie anarchiche di Carrara, predisponendo gli animi 
                  ad un clima particolarmente favorevole allo sviluppo dei dibattiti 
                  politici che hanno parimenti contrassegnato ogni pomeriggio, 
                  così come la chitarra e la voce di Alvise hanno simpaticamente 
                  caratterizzato le caldi nottate.  
                  Se qualche nota negativa va trovata essa risiede da una parte 
                  (e senza alcun dubbio) nella serale presenza di zanzare e dall'altra 
                  nell'incapacità di trovare un giusto punto di equilibrio tra 
                  allodole e gufi, cioè tra mattinieri e tiratardi ( ma qui si 
                  potrebbe aprire un dibattito di tipo epocale quale quello tra 
                  fumatori e non, e non è questa la sede).  
                  Ma veniamo ora agli aspetti più prettamente 'politici' dell'iniziativa 
                  (anche se questa definizione mi sta un po' stretta: cosa c'è 
                  di più 'politico' dell'autogestione del quotidiano?). Intendimento 
                  dei promotori era che l'iniziativa del campeggio servisse da 
                  momento di riflessione, libero da ogni preoccupazione organizzativa 
                  contingente, su vari aspetti della proposta anarchica, sia sul 
                  versante sociale che su quello esistenziale, per approfondire 
                  le tematiche, per confrontare le esperienze, per valutare le 
                  prospettive di azione. Ed in questo il campeggio ha dimostrato 
                  di essere un valido strumento per favorire l'incontro e lo scambio 
                  tra compagne e compagni di generazioni ed esperienze diverse, 
                  di sensibilità ed interessi variegati , pur nella limitatezza 
                  della sua dimensione numerica (sempre intorno ai quaranta i 
                  partecipanti ai dibattiti).  
                  Vari gli argomenti affrontati: dalla mobilitazione antirazzista 
                  alle campagne di boicottaggio delle multinazionali, dalle trasformazioni 
                  in atto nel mondo del lavoro salariato alle produzioni di morte, 
                  dall'iniziativa antimilitarista alla differenza di genere, dal 
                  Chiapas ai movimenti di controglobalizzazione, dal presente 
                  al futuro dell'anarchismo. Non è mancata la commemorazione di 
                  due compagni recentemente scomparsi, Gogliardo Fiaschi e Luce 
                  Fabbri , che tanto hanno dato allo sviluppo del pensiero e della 
                  pratica libertaria.  
                  Un'ampia gamma di argomenti la cui discussione è stata stimolata 
                  dalla presenza di compagni particolarmente attivi nei rispettivi 
                  settori e che ha dimostrato l'esigenza di un confronto sempre 
                  più serrato in grado di produrre azione e riflessione, all'altezza 
                  dei compiti che il momento impone. Non era intenzione dei presenti 
                  produrre mozioni o comunicati, così solo nei mesi futuri si 
                  potrà cogliere appieno se le intenzioni e gli impegni espressi 
                  durante il campeggio (da una lista di discussione su Internet 
                  ad un sito sulle campagne di boicottaggio delle multinazionali, 
                  dalla partecipazione autonoma alla Marcia mondiale delle donne 
                  alle iniziative di solidarietà alle afgane, ad un più generale 
                  impegno di collegamento sulle iniziative antirazziste, antimilitariste 
                  ed internazionaliste) troveranno uno sbocco operativo.  
                  Quello che è certo è che a Querceta si è concretizzato un nuovo 
                  modo di fare 'vacanza' che ci piacerebbe veder generalizzato. 
                 
                   
                  Massimo Varengo  
                  
                  
                  Rom a Palermo, "A" 
                  e danze   
                 Venerdì 16 giugno presso la libreria "I Fiori Blu" di Palermo 
                  si è tenuto un incontro-dibattito che, prendendo come spunto 
                  il dossier "Gli zingari della città normale" (pubblicato su 
                  "A"264) ha sviluppato una serie di riflessioni sulla condizione 
                  dei Rom al campo nomadi della Favorita e più in generale sui 
                  problemi che tali popolazioni incontrano in questa città "normalizzata" 
                  dalle istituzioni comunali in seguito ad un progetto di vivibilità 
                  e di pulizia a tutto svantaggio delle minoranze più povere. 
                   
                  All'incontro hanno partecipato Fulvio Vassallo Paleologo, che 
                  si occupa della parte legale per quanto concerne la richiesta 
                  dei permessi di soggiorno, e Irene Abbate che da molti anni 
                  si occupa dei Rom a Palermo soprattutto per la scolarizzazione 
                  dei bambini.  
                  Interessantissimi sono stati gli interventi di alcuni esponenti 
                  degli zingari che hanno portato la testimonianza della loro 
                  esperienza di profughi kosovari perseguitati in Albania prima 
                  e ora in Italia.  
                  L'incontro, durato dalle 19.00 alle 21.00 si è concluso con 
                  un piccolo concertino tenuto dal gruppo musicale Bali Rom che 
                  ha poi replicato la serata al Malox arricchendo lo spettacolo 
                  con danze tradizionali tzigane in costume tipico (come si vede 
                  nelle foto di Mario Zerillo).  
                   
                  Vittorio Vizzini "Scintilla"  
                   boxuno@iol.it  
                  
                  
                  
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