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 Quasi incontri Solo qualche mese fa su queste pagine (“A” 
                  415), nel delirare a proposito della diversa velocità 
                  con cui oggi viaggiano le informazioni rispetto ai miei vent'anni 
                  - uno dei miei chiodi fissi in questi tempi, ve ne sarete accorti 
                  - vi ho raccontato che a me la lentezza piace. Pur riconoscendo 
                  alla tecnologia odierna dei vantaggi complessivi, trovo che 
                  la troppa velocità rischi di influenzare negativamente 
                  l'approccio alle cose del mondo, nel senso che possa contribuire 
                  a far perdere la concentrazione nell'attenzione all'altro ed 
                  agli altri, possa diluire la curiosità e l'impegno alla 
                  conoscenza. Temo che la troppa velocità che ci viene messa a disposizione 
                  possa confondere i tempi biologici di comprensione ed assimilazione 
                  dei ragionamenti (nostri e) degli altri, che possa in qualche 
                  modo costringere alla zona di superficie delle cose e possa 
                  contribuire a far scordare che sotto alle cose ed ai ragionamenti 
                  ci sono delle radici. E che senza radici le cose ed i ragionamenti 
                  fanno fatica a restare in piedi, a crescere, a camminare, ad 
                  arrivare.
 Ho pensato di raccogliere alcuni dei miei quasi incontri di 
                  questi ultimi tempi: sono occasioni cominciate e lasciate lì, 
                  incontri troppo brevi che mi hanno lasciato dentro una voglia 
                  grande e ricorrente di essere ripresi e migliorati e approfonditi. 
                  Anche cose tipo pacchetti consegnati a mano e buste arrivate 
                  a sorpresa nella cassetta della posta e nella mailbox con dentro 
                  oggetti e domande restate appese lì come vermi sull'amo 
                  che trovo avessero bisogno di attenzione maggiore di quella 
                  che sono riuscito a rastrellare. Siccome vedo che sono parecchi 
                  e continuano ad accumularsi, mi sa che ci ritornerò sopra 
                  il mese prossimo.
 
 ½ h(our) drama Antonio Bertoni e la sua compagna, complice un amico comune 
                  come Ignazio Lago - uno dei quei chitarristi-in-opposition trasversali 
                  indefinibili imprendibili - hanno ospitato me e Dethector per 
                  un incontro pubblico lo scorso febbraio allo Spazio Loup a Mori, 
                  su nel Trentino vicino a Rovereto. Ci siamo presentati sì 
                  ma non abbiamo parlato poi molto, Antonio mi ha mostrato il 
                  suo contrabbasso e alcuni dei dischi che ama ascoltare, così 
                  da farmi intuire direzioni e provenienze. Lui ha una formazione 
                  solida, frequenta musica classica, sperimentale, jazz. Abbiamo 
                  cenato tutti insieme e, poi lì al Loup mentre parlavo 
                  delle cose che mi sono ritrovato a fare nella vita, mi sono 
                  accorto di come mi stava ad ascoltare. Mi ha colpito la sua 
                  attenzione, come seguiva i fili e soprattutto i nodi del mio 
                  discorso. Sembrava a momenti che riconoscesse persone, situazioni, 
                  luoghi, rumori - sapete, quelle volte in cui ci si accorge di 
                  aver fatto inconsapevolmente dei pezzi di strada insieme, oppure 
                  pezzi di strada paralleli ognuno per conto proprio e che però 
                  arrivano da distante ad incrociarsi senza preavviso, senza che 
                  ci sia uno straccio di cartello, di indicazione. Prima di farmi ripartire verso la stazione e verso casa, la 
                  mattina successiva Antonio mi ha messo in mano un cd tutto suo 
                  e due cd dei Tongs, un suo gruppo/progetto. Arrivato a casa 
                  ficco nel lettore “½ h(our) drama” e tempo 
                  pochi secondi mi ritrovo la casa invasa. Non capisco se quelli 
                  che escono dal cd sono insetti o uccelli, spettri oppure presenze 
                  aliene: quello che so è che mi riesce impossibile fare 
                  dell'altro mentre accadono queste musiche che reclamano attenzione 
                  a stridii e a graffi, così mollo tutto e mi piazzo davanti 
                  alle casse per quella mezz'ora (appunto) che dura il disco. 
                  Poi però lo rimetto su, e ancora, e un'altra volta - 
                  e occhio, questo non è un lavoro che si lascia ascoltare 
                  facilmente o che ti mette addosso la voglia di riascoltarlo, 
                  irto com'è di pericoli, spine, pezzi di vetro, di chiodi 
                  e roccia e schegge e ruggine.
 Direi innanzitutto che il disco è un po' una trappola 
                  per i curiosi e gli affamati di sonorità altre: è 
                  stato realizzato con un contrabbasso che però non sembra 
                  affatto uno ma due o anche tre e che comunque non sembra affatto 
                  essere un contrabbasso - e questo aggiunge spiazzamento alla 
                  sorpresa. La musica entra senza bussare - presto ci si illude 
                  che abbia preso questa forma attraverso un qualche trucco in 
                  studio e invece no, è tutto realizzato da solo e in diretta. 
                  Un solo contrabbasso che prende come dicevo poco fa una voce 
                  non sua come di insetto e d'uccello nero, e anche restando a 
                  basso volume riesce a scavare buchi in testa e ficcarci dentro 
                  lingua artigli e saliva e semi. Roba che ascolti una volta e 
                  ti si ficca dentro e non si schioda e resta dentro a rimbombare, 
                  roba che non ci si lava via dai ricordi neanche raschiando forte. 
                  Difficile metterla a fuoco questa musica, darle una collocazione 
                  storica (il cd è stato registrato nel 2013 e pubblicato 
                  poco dopo da Leo Records, ma suona come se venisse da un ipotetico 
                  futuro lontanissimo, oppure potrebbe verosimilmente essere stato 
                  fatto negli anni Settanta per la carica esplosiva che nasconde) 
                  né geografica (autoprodotto in mezzo alle nostre montagne, 
                  potrebbe benissimo avere casa che so in Germania o a New York 
                  City o ovunque).
 Sono passati dei mesi, e ogni tanto quel suono ritorna a galla 
                  - e vado a riprendermi il cd e me lo ascolto per un po', così 
                  mi viene in mente Antonio Bertoni e i quintali di cose che non 
                  ci siamo detti. Mai e poi mai avrei immaginato di ritrovarmi 
                  così preso dentro a un disco, e così a sorpresa: 
                  ve lo dico senza filtro, penso che Antonio sia riuscito a spostare 
                  il confine delle musiche possibili, di quelle inventate e immaginate 
                  sino a oggi.
 È riuscito a mettere i piedi in una zona inesplorata 
                  e (e secondo me qua viene il bello) senza piantarci una qualche 
                  bandiera sopra per rivendicare appartenenze, ma mettendo un 
                  punto fermo più in là nella frase, aggiungendo 
                  parole nuove - le sue - al discorso in libertà della 
                  musica.
 
 Contatti: basstonico@gmail.com, 
                  www.leorecords.com
 
                   
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                    | Accordo dei Contrarifoto Daniele & Valentina Fran©hi
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 Violato intatto Giusto per tornare un attimo al discorso delle strade che si incrociano senza premeditazione: dentro ad uno dei due cd dei Tongs ho trovato Luca Serrapiglio - che a distanza breve ho poi incontrato di persona grazie a Nicola Guazzaloca e al loro progetto tutt'attorno all'orchestra degli Improvvisatori di Valdapozzo. Alla presentazione del cd, lo scorso luglio, sono stato invitato anch'io - si decide di partire in gruppo per Alessandria dalla sede della scuola Ivan Illich a Bologna. Mentre ci si aspetta per fare il conto dei posti in macchina, succede che mi metto a parlare con un ragazzo che sta lì: ha con sé una custodia da sax, si chiama Stefano e lo incuriosisce il mio parlare abituale segnato così pesantemente dall'accento veneto. Stefano fa Radaelli di cognome, a occhio avrà una trentina d'anni, dopo un po' che siamo lì tira fuori dalla tasca dello zaino un cd e me lo allunga - dice due parole veloci, tipo suono con questo gruppo, magari è roba che non ti piace, magari non ti interessa, cose che disgraziatamente mi sento dire spesso da musicisti giovani che pensano io sia chissà quale specie di giornalista esperto sessantenne (forse sono abituati male con altri giornalisti, altri esperti e/o altri sessantenni - mi viene da pensare).
 Poi gli altri arrivano, si organizzano i posti in macchina e si parte per Valdapozzo, lì ci si ritrova tutti e mi accorgo velocemente che l'unico nuovo acquisto dell'orchestra sono io - ma a questo spaesamento si rimedia altrettanto presto: so che farò fatica a ricordare tutti i nomi ma so che non dimenticherò affatto le strette di mano, gli abbracci, i sorrisi. È un bel giro di gente che ama stare insieme a suonare (e a mangiare e bere, imparo presto pure questo). Si tira tardi tardissimo e anche oltre. Il giorno dopo si ritorna - in macchina fino a Bologna poi prendo il treno verso casa.
 Arrivo, sistemo la borsa e salta fuori il cd che mi aveva dato Stefano - lo prendo e lo ficco nel lettore. Il gruppo si chiama Accordo dei Contrari (la musica come luogo dove le differenze si congiungono - è così che la pensavano i Greci), neanche faccio in tempo a leggere chi e cosa in copertina ed ecco che nel giro di pochi secondi “Violato intatto” (così si chiama il cd) scatena qualche tempesta che agita le onde sotto alla mia barca e pure riesce a strapparle le vele. Se mi lascio portare via mi vedo con addosso quarant'anni-e-passa di meno, eccomi lì ragazzino affamato di musiche, a me piacevano quelle strane - quelle che non piacevano agli altri - e confondevo allegramente Henry Cow e il prog alla ricerca di suono nuovo che consumavo con voracità spandendo briciole e macchie tutt'attorno senza mettermi problemi di etichetta e di etichette.
 Se facessi finta di dimenticare tutto quello che è successo dal punk in qua mi sarebbe facile raccontarvi questo cd come una raccolta di outtakes degli Area dal vivo con Massimo Urbani ed un Demetrio Stratos in assetto di guerra, o come il disco nuovo e più bello mai uscito degli Arti&Mestieri, ma sarebbe sbagliato anzi offensivo per tutti - quindi facciamo come se questa cosa non l'avessi mai pensata detta e scritta. Resta il fatto che il cd suona con un piede dentro ieri e l'altro indiscutibilmente dentro oggi: una doppia esistenza ed una felicità espressiva che lo rendono unico.
 Voi che ci avete suonato dentro: se avete scorte di questa benzina creativa fatene presto un altro, e poi altri ancora.
 
 Contatti: accordodeicontrari.wordpress.com
  Marco Pandinstella_nera@tin.it
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