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  Con 
                  l'uscita di “A” 89 (febbraio 1981) 
                  si apre il secondo decennio di “A”. Tempo di bilanci: 
                  a tracciarlo è Nico Berti, con un denso saggio del significativo 
                  titolo “Dieci anni di A-pensiero”, in cui sottolinea 
                  il ruolo svolto dalla rivista sul doppio binario di una riaffermazione 
                  dei valori e delle scelte politiche fondanti, un secolo prima, 
                  l'anarchismo e – al contempo – il profondo rinnovamento 
                  del patrimonio storico-ideologico anarchico, grazie a un'attenzione 
                  e sensibilità orientate verso il nuovo che si muove nella 
                  società. Interessante che Berti, andando al di là 
                  del proprio identificarsi con i primi quattro anni di “A” 
                  - quelli della fase “iniziale”, particolarmente 
                  dedicata (anche tramite articoli dello stesso Berti) anche alla 
                  riaffermazione della netta distinzione pratica e teorica tra 
                  pensiero anarchico e pensiero marxista – colga positivamente 
                  l'inizio di quel lungo processo di apertura di “A” 
                  all'ecologia, al femminismo (e all'anarco-femminismo) e in genere 
                  a tendenze e movimenti non necessariamente anarchici ma sicuramente 
                  anarco-compatibili. Avremo modo di ritornarci, in questa rubrica. Numerosi i temi di attualità che caratterizzano questo 
                  numero. La copertina e l'articolo di apertura sono dedicati 
                  alla campagna sulla strage di Stato, seguendo le vicende giuridico-politiche 
                  del processo a Valpreda ed altri, all'epoca a Catanzaro. “A” 
                  riferisce della vasta mobilitazione degli anarchici un po' in 
                  tutta Italia, mentre numerose forze che si erano mobilitate 
                  in passato ora stentavano a riprendere la battaglia.
 I due interni di copertina sono dedicati a foto di macerie e 
                  distruzioni dopo il terremoto dell'Irpinia. Francesco Codello 
                  (“Dopo il terremoto... lo Stato”) analizza il post-terremoto 
                  in Campania e sottolinea la vitalità (e la nocività) 
                  dell'intervento della Chiesa. E il Centro redazionale della 
                  provincia di Napoli analizza la realtà del capoluogo 
                  e dell'economia di vicolo, sempre dopo le scosse telluriche.
 Un anarchico spagnolo, Pep Castells i Casellas, analizza la 
                  situazione socio-sindacale iberica, rifiutando qualsiasi ipotesi 
                  di prospettiva di rivoluzione “operaia” ed entrando 
                  nel dibattito “organizzativo”. Visto a distanza, 
                  un approccio “iper-critico” che non aiutava a comprendere 
                  la realtà. E questo pone la difficoltà per noi, 
                  spesso, di trovare contributi sereni ed equilibrati per cogliere 
                  la presenza anarchica e libertaria in altri Paesi.
 Una stimolante intervista a Giorgio Gaber è realizzata 
                  da Luciano Lanza all'indomani – in particolare – 
                  dell'uscita della canzone “Io se fossi dio”. Titolo 
                  dell'intervista: “Io se fossi Gaber”. Una bella 
                  chiacchierata, che conferma l'originalità del suo approccio 
                  ma anche la sua profonda sensazione di impotenza: che non è 
                  mai stata la nostra.
 E poi droga, cinema, ecologia e autogestione.
 In chiusura un piccolo dossier dedicato a Pietro Gori (Messina 
                  1865 / Portoferraio – Isola d'Elba 1911) una delle figure 
                  più note e influenti del movimento anarchico di lingua 
                  italiana. Ne viene pubblicata un'arringa, una delle tante nella 
                  sua professione di avvocato. E Cesare Bermani, un ricercatore 
                  (e un amico) che spesso si è occupato di storia anarchica, 
                  scrive per “A” un articolo (“Anarchia in pentagramma”) 
                  che davvero segna lo stato dell'arte dell'influenza di Gori 
                  nella storia della musica e più in generale nella storia 
                  del movimento operaio e socialista, ben al di là dei 
                  confini dell'anarchismo.
 Che è un po' anche il fine della nostra rivista: una 
                  rivista anarchica, ma non per sole anarchiche e anarchici. Una 
                  rivista che sappia parlare con “gli altri” e con 
                  loro dialogare. Compito che, come lo si voglia valutare, anche 
                  questo n. 89 ha inteso realizzare. E, se proprio vogliamo dirla 
                  tutta, anche questo n. 421 che hai tra le mani. E un po' tutta 
                  la serie dei 421 numeri finora usciti.
  
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