| alluvioni 
 L'utopia del buongoverno è annegata a Livorno 
 di Martina Guerrini 
 
 Comune, Chiesa, sindaco 5Stelle, i vecchi padroni PCI-PDS-DS-PD e chi più ne ha più ne metta. Morti, feriti, distruzione. All'improvviso, ma a ben guardare stra-preannunciati. Una livornese (volontaria presso i Vivai di Ardenza) tira le somme delle piogge di quella notte di settembre. Domenica 10 settembre Livorno 
                  si è svegliata, all'alba, sommersa per metà dopo 
                  un violentissimo fortunale che ha scaricato al suolo 200 mm 
                  di pioggia in meno di tre ore.
 Questa prevedibile tragedia ha purtroppo fatto contare sette 
                  persone, tra le quali un bambino di appena 2 anni, annegate; 
                  un giovane morto in un incidente stradale mentre si recava al 
                  lavoro e un suicidio connesso all'alluvione, oltre a quartieri 
                  inagibili, persone sfollate, ponti crollati, attività 
                  distrutte e tutto quello che si può immaginare in situazioni 
                  analoghe. Ancora oggi, a pochi mesi dall'evento, la situazione 
                  resta difficile in alcuni quartieri collinari, come ad esempio 
                  Montenero la cui funicolare panoramica, di inizio Novecento, 
                  resta inagibile per lo smottamento del terreno sotto le rotaie.
 La devastazione del territorio con connessa speculazione edilizia 
                  è un'eredità delle precedenti amministrazioni 
                  Pci-Ds-Pd, ma la cementificazione prosegue sotto l'attuale giunta 
                  5Stelle.
 La tracotanza burocratese del sindaco è stata memorabile, 
                  trinceratosi dietro all'allarme “non adeguato” e 
                  alla situazione “non prevista”: ma l'allerta arancione, 
                  diramata a livello regionale dalla sera precedente, non era 
                  interpretabile, dato che prefigura danni e pericoli per strutture 
                  e persone.
 D'altra parte, i 5Stelle sono abituati ad allarmarsi per nocività 
                  spesso totalmente irragionevoli (le scie chimiche?) mentre un 
                  mese fa, in quella maledetta notte, bastava dare un'occhiata 
                  al satellite intorno alle 22 per capire cosa stava preparandosi. 
                  Fatto ancor più criminale, il sindaco sempre-connesso 
                  ha ammesso di non aver mai attivato la app fornitagli dalla 
                  Protezione civile regionale per essere informato in tempo reale 
                  delle criticità del territorio.
 
 Il sonno pesante del sindaco E si può certo verificare con quale rapidità Nogarin abbia imparato la burocrazia, nascondendosi da subito dietro al grigio adagio “si è fatto quanto previsto dal protocollo”, peccando di superbia quando non di scarsa intelligenza, dato che nessuna delle persone abitanti nelle zone critiche aveva ricevuto alcun avviso via sms e telefono, così come avvenuto in altre città vicine. E, comunque sia, non è certo una difesa sufficiente quando tutto intorno (cielo compreso) faceva presagire qualcosa di diverso dal “previsto dalla burocrazia dei protocolli”.Nogarin deve avere un sonno particolarmente pesante, essendosi presentato in Comune alle 7 del mattino dell'11 settembre, a strage avvenuta, quando l'altro suo complice del disastro, il neo-responsabile della Protezione civile comunale – l'ex-comandante dei vigili urbani Pucciarelli – aveva disposto con grande “serenità” che la sala operativa dovesse insediarsi, appunto, alle 7.30 della domenica.
 Che sia finito il tempo delle retoriche democratiche, quando neanche il minimo impegno amministrativo di pulizia fognaria viene adempiuto, non è certo un'opinione, soprattutto davanti a nove morti. Ma di questo il sindaco non sembra curarsi, restando convinto (beato lui) che niente sarebbe cambiato se le misure necessarie fossero state prese. Perché di questo stiamo parlando, non degli straordinari non remunerati di un sacrificale primo cittadino, ormai privato della vita personale per amore della città.
 Una città infangata da ben altro che l'acqua limacciosa delle esondazioni.
 È appena necessario sottolineare la supponenza e l'impudenza dello stesso sindaco che, all'indomani dalla strage, ha “tuonato” contro l'assenza di prevenzione e la cementificazione selvaggia. Ma è questa stessa giunta, appena ad agosto, a essersi resa responsabile della decisione di sgomberare l'area verde degli Orti Urbani, occupati e autogestiti – una delle poche scampate al cemento – per consegnarla alla speculazione edilizia e ai profitti di una cooperativa “rossa”, in perfetta continuità con le precedenti amministrazioni, ma anche in sintonia con le petizioni legalitarie delle destre. E indovinate un po' dove si trova questa zona? Perfettamente adiacente ai quartieri alluvionati e ai torrenti esondati di questa luttuosa devastazione del territorio. Di più: sotto gli Orti Urbani scorre un corso d'acqua che sarà inevitabilmente deviato nel suo percorso, per permettere la costruzione delle abitazioni previste dall'accordo. Lo sciacallaggio irresponsabile in continuità Pci-Ds-Pd-5Stelle è tutto racchiuso in questa esemplare decisione criminosa, alla quale la parte migliore della città si è opposta e si opporrà con ogni mezzo necessario.
 Quelle ruspe devote al Signore Ma un (de)merito a parte va alla Chiesa, che anche a Livorno 
                  ha le sue responsabilità su quanto accaduto. Nonostante 
                  infatti il Vescovo si sia scagliato contro il sindaco, su tutti 
                  gli organi di stampa e televisivi possibili, accusandolo di 
                  irresponsabilità politica e responsabilità morale 
                  della strage, i conti non tornano affatto. Il quartiere collinare 
                  di Montenero – piuttosto celebre per la presenza del Santuario 
                  che richiama ogni anno un cospicuo numero di pellegrini (oltre 
                  che di introiti nelle casse, certo misericordiose, vaticane) 
                  – è stato in passato devastato dal pio intervento 
                  di ruspe devote al Signore, al fine di costruire una meravigliosa, 
                  pardon santa, colata di cemento in occasione del Giubileo 2000. 
                  Quest'opera – denominata Terminal – destinata ad 
                  accogliere il flusso di pullman e pellegrini diretti al Santuario 
                  di Montenero, è stata da sempre inutilizzata e ci è 
                  costata 580 milioni di vecchie lire, di cui 380 finanziati dallo 
                  stato (cioè da noi) e 200 stanziati dal comune (cioè 
                  da noi). In passato, la zona è stata inoltre presa d'assalto dai 
                  ricchi cittadini che grazie a facili condoni e permessi di abitabilità, 
                  hanno qui costruito ville e villette.
 Oggi la Chiesa, però, ci fa la carità pelosa stanziando 
                  la bellezza di 1 miliardo di euro per risistemare il territorio 
                  e la Funicolare, formalmente per aiutare la cittadinanza, informalmente 
                  per ripristinare i collegamenti con i luoghi di culto e commercio 
                  sacro. Insomma, con una mano si prende e si devasta, e con l'altra 
                  si regalano soldi degli altri.
 Decisamente, i conti non tornano. E non tornano neppure sul 
                  piano imprenditoriale. Le quattro casse di espansione che dall'ottobre 
                  2015 vigilano sul Rio Maggiore – poi esondato – 
                  si sono rivelate troppo piccole. E chissà perché… 
                  visto che sono state costruite, a ribasso, dalla società 
                  Ninfee (creata dal gruppo imprenditoriale Fremura e dalle Unicoop 
                  Tirreno e Firenze) in cambio del via libera, da parte del Comune, 
                  alla lottizzazione dell'area dietro il cimitero della Misericordia, 
                  sul quale sarebbe sorto poi il “Nuovo centro”, un 
                  chilometro quadrato di uffici, residenze e commerci. Certo, 
                  ampliare le casse – così come suggerito dal docente 
                  di Protezione idraulica del territorio all'Università 
                  di Pisa – avrebbe comportato una sottrazione di terreno 
                  edificabile. È degno di nota che questo racket sia stato 
                  salutato, dai protagonisti dell'epoca, come “un connubio 
                  virtuoso tra pubblico e privato”.
 
 La strafottenza del potere Infine, non poteva mancare la responsabilità dello stabilimento Eni, già nota in città per le sue costanti nubi tossiche e per l'aumento di pazienti oncologici nelle zone adiacenti. A poche ore dall'evento tragico, è esondato anche il torrente Ugione, stavolta nella zona nord di Livorno, coinvolgendo appunto anche la raffineria. Si è subito verificato uno sversamento di idrocarburi, contaminando sia le acque che hanno invaso le case del vicino quartiere di Stagno, sia, successivamente, il mare: infatti l'acqua contaminata dallo stabilimento è stata fatta defluire direttamente nel fiume. En passant, l'Eni ha anche pensato bene di mettere alla porta l'Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) per due giorni, impedendogli di fare i rilievi opportuni. Quando si dice la strafottenza del potere.Com'è ormai noto, l'incredibile quantità di persone – uomini, donne, ragazzi e perfino bambini – che hanno autogestito gli aiuti nelle zone colpite è stato l'elemento più bello e pulito di questa lorda tragedia. Tuttavia, di fronte alla smisurata risposta solidale, l'area antagonista cittadina – che si è distinta insieme a moltissime individualità, per l'energia e l'aiuto portato – ha scelto di non denunciare da subito le responsabilità politiche. Come se ci fosse un tempo per spalare il fango, e uno per riflettere, dando così modo ai principali responsabili – Pd e 5Stelle – di inquinare e incanalare i torrenti di rabbia crescenti all'indomani dagli eventi (basti pensare agli interventi dei dirigenti o burocrati dei due partiti nelle chat di autogestione degli aiuti, ovviamente quelle “meno-politiche”). Non condividendo e non comprendendo i motivi di questa posizione, da subito ho scelto di parlare e di scrivere quello che, ad oggi, è ormai il segreto di Pulcinella, anche se la tensione appare già abbassata.
 Così come, alla generalità dei volontari, era apparsa in modo lampante l'inutilità civile dei militari in una città dove ci sono ben tre caserme operative e un'accademia navale.
 È evidente che lo Stato, nelle sue appendici di governo, ben lungi da costituire un aiuto, è con-causa dello sfruttamento e della distruzione del territorio. È altresì evidente che occorrerebbe sempre connettere la devastazione ambientale a quella culturale, ed è piuttosto difficile – oggi – non riconoscere a Livorno un collegamento profondo tra la cementificazione del territorio e la sostituzione dei teatri cittadini con le catene multinazionali dell'abbigliamento o dell'alimentazione scadente. Un'analogia nociva come chi la dispone.
  Martina Guerrini |