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 Il fantasma della seduzione 1.
 Nel suo breviario dedicato a La seduzione (Laterza, Roma-Bari 
                  2009), lo psicologo Luigi Anolli dice che in questa particolare 
                  fase dei rapporti umani risultano “fondamentali i gesti 
                  che, nel loro insieme, comunicano avvicinamento, affiliazione 
                  e condiscendenza” e che questi gesti prevedono dunque 
                  flessione e inclinazione degli arti – “soprattutto 
                  delle braccia” – e “del corpo leggermente 
                  in avanti nella direzione del partner” o dell'aspirato 
                  tale. In particolare, nella situazione, la donna “tende 
                  a sfiorarsi le labbra con la lingua oppure può mordicchiarsi 
                  il labbro inferiore, si tocca i capelli, allarga leggermente 
                  le gambe o le incrocia, piega la mano esponendo il polso, giocherella 
                  con gli anelli o con un bottone della camicetta” e via 
                  così inequivocabilmente comunicando. Che molta di questa 
                  gestualità – fermo restando che univoca univoca 
                  proprio non può essere considerata – andrebbe ben 
                  indagata dal punto di vista evoluzionistico, Anolli sembra saperlo, 
                  ma nella circostanza preferisce lasciarlo inevaso.
 
  2.
 In Personal shopper di Olivier Assayas, Kristen 
                  Stewart sembra far tesoro delle analisi degli psicologi. Quando 
                  parla, fluttua e nuota queste sue braccine tenere un po' qui 
                  e un po' là nello spazio, disarticola e disegna maldestramente 
                  di polsi, bofonchia e si mangiucchia il poco che vuol dire, 
                  si mordicchia il labbro inferiore e, soprattutto, tocca e ritocca, 
                  scompiglia e ravvia, s'incattivisce contro ricci ribaldi, sfruguglia 
                  i propri capelli come fossero un tormento di un'anima rosa dai 
                  più fastidiosi pidocchi freudiani.
 E tuttavia, sia esercitando questo suo strano e modernissimo 
                  mestiere che consiste nello spendere e spandere soldi altrui 
                  nell'ultima moda, sia in quel minimo angoscioso di privatezza 
                  che le rimane, da sedurre non ha nessuno. Maschi che se la contendano 
                  non ce n'è e lei ha tutt'altro per la testa. Per il sesso 
                  fa da sola – che nell'al di qua chi fa da sé fa 
                  per tre – e tutti i suoi problemi sono nell'al di là: 
                  intanto, è una che “ci sente”, una sensitiva, 
                  una che se l'intende con i fantasmi e, poi, è anche sorella 
                  di un morto fresco fresco con cui aveva un patto – chi 
                  dei due fosse morto per primo avrebbe mandato un messaggio all'altro.
 
 3.
 Date queste premesse narrative, ad un regista cinematografico 
                  spetta una scelta: o rappresentare i fantasmi in qualche modo 
                  – dando ad intendere allo spettatore che siano entità 
                  dello stesso genere degli armadi o delle querce – visibili, 
                  forse tangibili, passibili di interazioni materiali con le persone 
                  viventi, o non rappresentarli affatto e accontentarsi di far 
                  vedere allo spettatore la protagonista che dice di vederli. 
                  Va da sé che il senso della narrazione muti molto a seconda 
                  di questa scelta: si può passare da un film di genere 
                  “fantastico” (horror, gotico, etc.) ad un film di 
                  stampo realistico. Assayas cerca di cavarsela mantenendo il 
                  piede in due scarpe: si prova a far credere che ciò che 
                  la protagonista vede è la proiezione di un proprio desiderio 
                  – che i fantasmi sono tutta roba sua –, ma, al contempo, 
                  mentre li vede lei, li vede anche lo spettatore il quale, allora, 
                  richiesto di mandar giù la contraddizione, rimane piuttosto 
                  interdetto.
 Insomma: così come la motricità seduttiva di Kristen 
                  Stewart è rivolta a chi non c'è – allo spettatore 
                  del film, visto che di candidati all'approccio nella sua realtà 
                  non ce n'è –, lo spettatore è invitato a 
                  preoccuparsi di qualcosa che, presumibilmente, non c'è. 
                  E tutte queste “assenze” cominciano a essere ideologicamente 
                  sospette.
 
 4.
 Nei mesi scorsi, dopo averle prodotte, la televisione di Stato 
                  ha trasmesso due serie di telefilm classificabili nel genere 
                  dei gialli. Di qualità filmica diversa – di solido 
                  impianto realistico il primo e più fumettistico il secondo; 
                  innovativo il primo quanto rimasticatuccio il secondo –, 
                  si trattava di Rocco Schiavone e de I 
                  bastardi di Pizzofalcone, rispettivamente derivati 
                  dai romanzi di Antonio Manzini e di Maurizio De Giovanni. Ebbene, 
                  in entrambi, si dà il caso – che proprio caso a 
                  questo punto sarebbe bene non considerare – che un personaggio, 
                  una volta tornato a casa dopo la sua travagliata giornata, trovi 
                  conforto nel parlare con la moglie morta. Nel caso di Rocco 
                  Schiavone interpretato dallo scetticissimo Marco Giallini – 
                  e rieccoci al punto –, la moglie la si vede – nelle 
                  amorevolmente casalinghe fattezze di Isabella Ragonese –, 
                  nel senso che, nonostante palese risultato della dolorosa solitudine 
                  del protagonista, la vede lui e la vediamo pure noi spettatori. 
                  Come i fantasmi di Kristen Stewart.
 
 5.
 Non resusciterei la categoria di “realismo magico” 
                  – è già servita fin troppo per designare 
                  qualche corrente pittorica della prima metà del Novecento 
                  nonché i romanzi sagacemente fascisti di Massimo Bontempelli 
                  –, ma, piuttosto, parlerei di un esoterismo timido e discreto 
                  – un esoterismo leggermente vergognoso, come di qualcuno 
                  che nell'“a parte” teatrale dica che “non 
                  ci crede”, ma aggiungendo che “ce n'è tanto 
                  bisogno”. Bisogno a che pro? Per sedurre – perché, 
                  in fin dei conti, anche chi produce narrazioni – narrazioni 
                  che verranno consumate nel mercato ideologico proporzionalmente 
                  alla loro capacità consolatoria – ha le sue tecniche. 
                  Che, evolvendo, giungono a dosarci questa accorta distribuzione 
                  di fantasmi che, per distinguerli dalla ridda dei precedenti 
                  – anime religiosamente in pena – li chiamerei “laici”.
  Felice Accame  P.s.: Andando a vedere anche Café society 
                  di Woody Allen e leggendo in rete commenti vari a proposito 
                  di Twilight di Catherine Hardwick (tratto dalla 
                  serie cui l'attrice deve il suo successo), mi rendo conto che, 
                  pur interpretando personaggi molto diversi fra loro, Kristen 
                  Stewart recita sempre allo stesso modo. Sembrerebbe dunque il 
                  caso di un'attrice scelta per come è e lasciata tale 
                  dai registi – senza pretenderne adattamenti e modifiche. 
                  I primi sedotti, insomma, sarebbero loro. |