| la rivoluzione russa 
 Soviet sì Lenin no 
 di Franco Bertolucci 
 
 Gli avvenimenti russi, dalla rivoluzione di febbraio a quella di ottobre, e la loro eco in Italia. Il ruolo di Lenin, dal quasi libertario delle “Tesi di aprile” e “Stato e Rivoluzione” al bolscevico della repressione contro gli anarchici e altri dissidenti politici.Le posizioni degli anarchici italiani, tra solidarietà indistinta ai soviet russi e le prime notizie della repressione rossa. “Non possiamo accettare il potere e la mancanza di libertà”.
 La notizia della detronizzazione 
                  dei Romanov e della fine della tirannide russa giunse in Italia 
                  nei primi giorni del marzo del 1917 accolta positivamente da 
                  quasi tutte le forze politiche, a parte il re e il suo seguito 
                  sempre preoccupati che qualche mano o un moto rivoluzionario 
                  mettessero fine al regno di Casa Savoia. Alla Camera dei deputati, 
                  il 16 marzo tutti gli schieramenti politici e i ministri del 
                  governo applaudirono e inneggiarono alla Russia e il ministro 
                  degli esteri, Sidney Sonnino, espresse la propria fiducia nel 
                  movimento rivoluzionario russo, fiducioso che questo potesse 
                  facilitare non certo un «rallentamento» ma una «più 
                  intensa e più energica prosecuzione delle operazioni 
                  belliche». I nazionalisti videro nelle dichiarazioni del 
                  nuovo governo guidato dal principe Georgij E. L'vov, e dal ministro 
                  degli esteri Pavel N. Miljukov, un mantenimento degli impegni 
                  presi con l'alleanza militare contro gli Imperi centrali, seguiti 
                  in questo dai radicali interventisti e dai riformisti che speravano 
                  in un più ampio coinvolgimento del popolo per garantire 
                  la continuità della guerra. Gli interventisti di sinistra 
                  (repubblicani, ex socialisti, rivoluzionari e sindacalisti) 
                  accolsero la notizia dell'abdicazione dello zar con giubilo, 
                  vedendovi la conferma della loro interpretazione politica del 
                  conflitto mondiale che stava inevitabilmente portando verso 
                  uno sbocco rivoluzionario l'intera Europa.
 I socialisti – riuniti a Milano il 9 e 10 aprile 1917 
                  la direzione del Partito, il Gruppo parlamentare e il Consiglio 
                  direttivo della Confederazione del lavoro per un esame della 
                  situazione politica internazionale – stilarono un documento 
                  nel quale interpretarono le vicende russe, come il recente intervento 
                  militare americano in guerra, come eventi destinati ad affrettare 
                  un processo di giustizia e libertà e a segnare necessariamente 
                  anche la rinascita di un'intesa internazionale tra i popoli. 
                  Per i socialisti era dovere del proletariato d'ogni paese riunire 
                  le forze e imporre in maniera decisiva la cessazione del conflitto.
 «Fare come in Russia» diventò in breve il 
                  leitmotiv della propaganda dei giornali sovversivi e 
                  libertari. Gli anarchici e i propri organi tra i quali «L'Avvenire 
                  anarchico» e «Guerra di classe», periodico 
                  dell'USI, seguirono con trepidazione e crescente simpatia l'evolversi 
                  della situazione. Ragioni politiche e storiche – considerando 
                  anche il diffuso “mito” delle donne e degli uomini 
                  del movimento rivoluzionario russo in Italia – determinarono 
                  questa spontanea ed entusiasta attenzione verso la Russia rivoluzionaria 
                  da parte degli anarchici italiani, che con una visione messianica 
                  attesero la rivoluzione sociale come risposta alla guerra imperialista.
 
 Le differenze scomparvero, le diffidenze no Le notizie che, tra l'aprile e il maggio, arrivarono via via 
                  in Italia parlavano della crisi del governo provvisorio russo 
                  e dell'opposizione delle frange più estreme, tra cui 
                  i bolscevichi, e sembrarono soddisfare in pieno le aspettative 
                  degli anarchici e dei socialisti.Gran parte delle informazioni che gli anarchici italiani poterono 
                  avere in quel periodo, in assenza di rapporti diretti con la 
                  Russia, erano filtrate dalle agenzie di stampa internazionali 
                  e nazionali o, ad esempio, dai quotidiani liberali come il «Corriere 
                  della sera» di Milano, «La Stampa» di Torino 
                  – che in un articolo del 21 aprile definì Lenin 
                  come un «anarchico russo» – e il socialista 
                  «Avanti!». Quest'ultimo si distinse però 
                  dagli altri giornali, soprattutto di estrazione liberale, per 
                  il privilegio di avere tra i suoi editorialisti un giovane socialista 
                  rivoluzionario russo, Vasilij V. Suchomlin, che da subito fornì 
                  una lettura originale e vivacissima della rivoluzione in atto. 
                  Di fatto, l'«Avanti!» fu l'unico giornale italiano 
                  che fin dalle prime notizie non interpretò gli eventi 
                  russi, come invece fecero i maggiori quotidiani occidentali, 
                  come un semplice colpo di Stato per una più efficiente 
                  condotta della guerra, un pronunciamento militare organizzato 
                  dagli elementi liberali dell'esercito e della maggioranza della 
                  Duma contro la debole e corrotta politica della corte zarista.
 
 Fu sul numero del periodico pisano «L'Avvenire anarchico» 
                  del 23 marzo 1917 che Virgilio S. Mazzoni pubblicò uno 
                  dei primi articoli dal suggestivo titolo Aurore boreali nel 
                  cielo di Russia. Il militante libertario, non senza un tocco 
                  di enfasi e retorica, salutò la rivoluzione auspicando 
                  il diffondersi del moto rivoluzionario negli altri paesi europei:
 La Comune di Parigi non poteva essere commemorata in miglior 
                  modo, a Pietrogrado e in tutta la Russia, ormai incamminantesi 
                  a sua volta sulla via della propria redenzione.
 
 concludendo con:
 
 Intanto la Russia, ch'era in arretrato di un secolo ed un 
                  quarto, sul quadrante della storia, raggiunge le altre nazioni, 
                  per quando suonerà la grande ora. Quell'ora però, 
                  non può scoccare in Russia, se non scocca contemporaneamente 
                  in Germania, in Austria ed in tutta la (Mittel o non Mittel) 
                  Europa.
 
 Tutti gli organismi libertari si prodigarono immediatamente 
                  e lanciarono appelli alla solidarietà e proclami di ammirazione 
                  che il settimanale pisano pubblicò con regolarità: 
                  ricordiamo, ad esempio, il manifesto dell'Unione sindacale italiana 
                  dal titolo Ai proletari rivoluzionari russi pubblicato 
                  da «L'Avvenire anarchico», sul numero del 13 aprile 
                  1917. Il 15 aprile, si svolse a Firenze una riunione ristretta 
                  fra i membri del Comitato d'azione internazionalista anarchica 
                  (CdAIA) e la direzione dell'USI per redigere un manifesto in 
                  solidarietà al popolo russo e stringere accordi nell'eventualità 
                  di un'azione insurrezionale contro la guerra. All'incontro parteciparono 
                  i principali anarchici ancora in libertà tra i quali 
                  il segretario dell'USI, Armando Borghi, Pasquale Binazzi, V.S. 
                  Mazzoni e Temistocle Monticelli. Il CdAIA al termine della riunione 
                  inviò un messaggio di solidarietà agli anarchici 
                  russi e a coloro che si erano battuti per sconfiggere il militarismo 
                  e il dispotismo zarista.
 La simpatia degli anarchici per la rivoluzione in Russia, dove 
                  essi, assieme a socialisti rivoluzionari di sinistra e bolscevichi 
                  erano affratellati in un unico fronte rivoluzionario, fecero 
                  in breve scomparire le differenze ma non le diffidenze verso 
                  gli antichi avversari. Va ricordato che all'epoca in Italia 
                  erano pochi a poter vantare non solo una conoscenza approfondita 
                  delle basi teoriche del bolscevismo e del socialismo rivoluzionario 
                  ma anche una chiara visione della mappa geopolitica delle forze 
                  della sinistra, e non solo, che componevano il variegato panorama 
                  del fronte politico che aveva preso il controllo del destino 
                  delle grande paese euroasiatico. Non a caso gli anarchici italiani 
                  erano anche impegnati nel rivendicare il ruolo dell'anarchismo 
                  nella rivoluzione russa, messo in secondo ordine o ignorato 
                  per motivi politici dai redattori del quotidiano socialista 
                  «Avanti!». Camillo Berneri a tale proposito su «Guerra 
                  di classe» del 22 aprile 1917 scriveva:
 
 Avvenire Anarchico ha protestato con un articolo di fondo 
                  contro questo esclusivismo socialista e molti compagni hanno 
                  notato che né nell'Avanti! né, in generale, in 
                  altri giornali è stata messa in evidenza l'azione svolta 
                  dagli anarchici russi, azione che conta diversi anni di attività 
                  ed un martirologio tra i più sanguinanti ed i più 
                  luminosi. Io credo che gli articolisti socialisti abbiano taciuta 
                  la parte presa dagli anarchici nel movimento rivoluzionario 
                  russo perché presi tutti da vivo desiderio di rivendicare 
                  innanzi al proletariato ed al partito tutta l'azione svolta 
                  dai loro compagni di Russia.
 
 Il 15 aprile 1917 a Torino venne stampato e diffuso un numero 
                  unico clandestino «Eppur si muove!», foglio edito 
                  da un «Circolo operaio» sotto il cui nome si nascondeva 
                  in realtà un gruppo ben preciso di libertari che facevano 
                  riferimento a Luigi Fabbri. Il giornale riportò la prima 
                  posizione articolata degli anarchici italiani sulla Rivoluzione 
                  russa.
 
 ”È la luce di un sublime incendio” L'editoriale anonimo del foglio è attribuibile con certezza 
                  a Fabbri, che in questo articolo espresse con entusiasmo la 
                  propria soddisfazione per l'evolversi della storia dalla Russia: 
                  Finalmente un fascio di luce viva e sfolgorante ha rotto 
                  all'improvviso la fitta e buia nebbia di dolore e di sangue, 
                  di menzogna e di morte, che da ormai tre anni avvolge e uccide 
                  l'umanità. È la luce d'un sublime incendio, che 
                  fa tremare sui troni tutti i potenti e infonde il desiderio 
                  della rivolta in tutti gli oppressi; un fuoco di purificazione 
                  e di liberazione, che illumina le menti assetate di verità 
                  e riscalda i cuori anelanti giustizia. È la rivoluzione! 
                  La rivoluzione è scoppiata e ha trionfato in Russia. 
                  Ecco la grande notizia, che ci ha inebriati di gioia ed ha rianimato 
                  tutte le nostre speranze. Esultiamo, o amici, o compagni, o 
                  lavoratori! Mentre ci credevamo ovunque sconfitti, mentre la 
                  tirannide militaresca pareva ovunque trionfante, ecco che in 
                  una nazione vasta quanto la rimanente Europa il popolo vince 
                  i suoi tiranni, salvando l'onore della specie umana che stava 
                  per essere sommerso da una realtà sempre più opprimente 
                  e vergognosa.
 
 Venne, inoltre, espressa la convinzione che la rivoluzione era 
                  ormai un processo inarrestabile per due fondamentali ragioni: 
                  in primo luogo perché il popolo si era armato e vigilava 
                  insieme coi soldati ribelli e in secondo luogo perché 
                  la massa dei contadini aveva aderito al movimento insurrezionale. 
                  Anche se la rivoluzione russa non era «l'anarchia», 
                  gli anarchici pensarono che essa era riuscita «a screditare 
                  e sgretolare nella coscienza del popolo lo spirito di sottomissione 
                  al governo» e aprire le porte dell'avvenire «a tutte 
                  le audacie e a tutte le iniziative».
 Del resto bastava il fatto della liberazione dei detenuti politici, 
                  fra i quali molti anarchici, e la conquista della libertà 
                  di propaganda di tutte le idee, e quindi anche delle idee libertarie, 
                  «perché le bandiere degli anarchici si levassero 
                  al vento e al sole in segno di profonda e incondizionata solidarietà». 
                  Il giornale contestava poi l'interpretazione che davano gli 
                  interventisti della rivoluzione russa, vista come una diretta 
                  conseguenza della guerra, osservando che «certamente la 
                  rivoluzione russa è stata una conseguenza della guerra, 
                  ma solo come l'eccesso di un male può provocare per reazione 
                  il suo contrario» e che «la condizione principale 
                  della riuscita del movimento era quindi che i rivoluzionari 
                  non si fossero prima resi solidali col governo per la guerra».
 L'analisi del numero unico torinese descriveva con efficacia 
                  il conflitto tra le forze che stavano operando all'interno delle 
                  rivoluzione democratica che aveva causato la caduta dello zarismo: 
                  coloro che volevano spingere in avanti il movimento «per 
                  fare una rivoluzione sociale», disintegrando fino alle 
                  fondamenta il vecchio regime zarista, e coloro che perseguivano 
                  lo scopo dell'affermazione di una democrazia liberale borghese. 
                  Per il foglio torinese il banco di prova di queste due forze 
                  era la guerra. I primi desideravano liquidare l'eredità 
                  dell'imperialismo guerrafondaio zarista, i secondi intendevano 
                  continuare la guerra anche per distogliere l'attenzione delle 
                  moltitudini dalle questioni interne. Gli anarchici italiani 
                  ritenevano che gli ostacoli che dovevano affrontare i sinceri 
                  rivoluzionari in Russia erano enormi, in considerazione delle 
                  difficoltà materiali e dei tanti nemici sia interni che 
                  esterni che insidiavano la rivoluzione. L'analisi dei redattori 
                  del periodico torinese e di Fabbri si chiudeva con una considerazione 
                  estremamente lucida sulla necessità di aiutare i fratelli 
                  russi, mobilitando il proletariato occidentale a cominciare 
                  da quello tedesco e dal suo principale partito, quello socialdemocratico:
 
 Tentar la rivoluzione in Germania è il meno che possan 
                  fare, per diminuire alquanto la propria terribile responsabilità, 
                  quei socialdemocratici che nel 1914 ingannarono il popolo tedesco 
                  e tradirono per primi l'internazionalismo, facendosi complici 
                  del Kaiser, col pretesto dello czarismo. Questo pretesto oggi 
                  non c'è più. Una rivoluzione in Germania o dei 
                  moti seri che paralizzassero almeno l'azione militare dei suoi 
                  eserciti, sarebbe anzi un coefficiente dei più validi, 
                  perché divenga del tutto impossibile in Russia un ritorno 
                  del regime czarista ...
 Il momento storico che attraversiamo è critico e solenne 
                  insieme. L'umanità può uscirne salva e libera, 
                  solo a patto che ogni popolo, come il popolo russo, separi la 
                  sua causa da quella dei propri oppressori e scenda sul terreno 
                  della lotta contro di questi per e con la bandiera soltanto 
                  – la rossa bandiera della rivoluzione e della libertà.
 
                   
                    |  |   
                    | Immagini tratte da Funeral of P.A. Kropotkin in Moscow, february 13, 1921, Berlin, 1922. I duestriscioni recitano: «Domandiamo il rilascio degli anarchici incarcerati che stanno lottando per
 le stesse idee di Kropotkin – Per l'anarchia» e «L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei
 lavoratori stessi. Come ha detto Karl Marx. Confederazione russa degli anarco-sindacalisti»
 |  
                    |  |  
 “Abbasso Kerenskij, evviva Lenin!” Nel frattempo, in aprile, un comitato olandese-scandinavo, 
                  composto da rappresentanti di partiti socialisti di paesi neutrali 
                  e di alcuni dirigenti dell'Internazionale, avanzava la proposta 
                  di una grande conferenza internazionale da convocarsi a Stoccolma, 
                  aperta a tutte le correnti socialiste, vecchie e nuove, con 
                  lo scopo di elaborare un nuovo piano di pace che avrebbe dovuto 
                  imporsi, con tutta l'autorità morale del socialismo internazionale 
                  nuovamente riunitosi, al complesso delle nazioni in guerra. 
                  L'idea venne subito raccolta e fatta propria, nel luglio, dal 
                  Comitato esecutivo del Soviet panrusso che inviava nella capitale 
                  svedese alcuni suoi delegati. Anche gli zimmerwaldiani convocarono 
                  una conferenza sempre a Stoccolma, la terza dopo quelle svolte 
                  in Svizzera.Stoccolma in quel contesto diventava rapidamente il crocevia 
                  della «diplomazia socialista»: nella città 
                  si incontrarono, oltre che delegazioni ufficiali, profughi ed 
                  esuli russi provenienti da ogni parte del mondo che cercavano 
                  di tornare in patria. L'unica strada accessibile, all'epoca, 
                  per raggiungere la Russia era quella via nave dall'Inghilterra 
                  alla Norvegia e poi in Svezia verso la Finlandia per imbarcarsi 
                  direttamente per un porto russo.
 Il Comitato socialista internazionale, costituitosi dopo Zimmerwald 
                  (1915) e Kiental (1916), all'annuncio della conferenza si era 
                  immediatamente mobilitato per evitare che quest'ultima diventasse 
                  un'occasione di riabilitazione per coloro che, tra le forze 
                  socialiste, si erano macchiate del marchio infame di «traditori» 
                  al momento delle votazione dei crediti di guerra.
 Di conseguenza, a Stoccolma si giocava un'importante partita 
                  a scacchi per definire alleanze e strategie del socialismo internazionale, 
                  al fine di trovare una soluzione accettabile per la fine della 
                  guerra e il sostegno delle aspettative dei lavoratori per un 
                  futuro di pace e solidarietà.
 All'interno della sinistra italiana si aprì un ampio 
                  dibattito, in considerazione del fatto che l'occasione della 
                  conferenza internazionale poteva mettere per la prima volta 
                  a confronto le forze socialiste occidentali con quelle che erano 
                  impegnate in Russia.
 Gli anarchici italiani erano favorevoli in larga maggioranza 
                  a una partecipazione alla Conferenza e chiesero che l'appuntamento 
                  fosse aperto a tutte le componenti rivoluzionarie che si erano 
                  opposte alla guerra. Il CdAIA aveva deciso, in una riunione 
                  svoltasi a Firenze il 3 giugno 1917, che a rappresentare i libertari 
                  italiani fossero Errico Malatesta, Luigi Molinari, Pasquale 
                  Binazzi, Luigi Bertoni direttore de «Il Risveglio» 
                  di Ginevra e V.S. Mazzoni. Mentre però i due principali 
                  giornali anarchici italiani, «Il Libertario» della 
                  Spezia e «L'Avvenire anarchico» di Pisa, erano d'accordo 
                  sulla partecipazione alla conferenza internazionale, critiche 
                  vennero espresse proprio da Bertoni e dalla redazione de «Il 
                  Risveglio». Negli stessi giorni a Firenze si svolse il 
                  congresso annuale dell'USI, che registrò una buona partecipazione 
                  di delegazioni delle Camere del lavoro e del sindacato metallurgici, 
                  e che si chiuse con una dichiarazione nella quale si manifestava 
                  la propria disponibilità a partecipare alla conferenza 
                  internazionale di Stoccolma; tra le altre cose, l'incontro discusse 
                  ampiamente la questione delle alleanze a livello sia nazionale 
                  che internazionale, con un'apertura alle forze socialiste rivoluzionarie 
                  e ai sindacati contrari alla guerra.
 Qualche settimana dopo il CdAIA, rispondendo all'appello lanciato 
                  dal quotidiano socialista «Avanti!» pubblicato il 
                  18 luglio, ribadì la partecipazione al progetto, precisando 
                  che l'adesione degli anarchici italiani era subordinata al rispetto 
                  dell'obiettivo principale della riunione e cioè «l'unione 
                  di tutte le forze del proletariato internazionale per ottenere 
                  una pace senza annessioni e senza contribuzioni, fondata sul 
                  diritto dei popoli a decidere di sé stessi» («L'Avvenire 
                  anarchico», 27 luglio 1917).
 Il Convegno di Stoccolma, convocato dalla Commissione socialista 
                  internazionale, si svolgerà dal 5 al 12 settembre 1917, 
                  nonostante il boicottaggio dei governi dell'Intesa che non rilasceranno 
                  alle varie delegazioni i passaporti, ma riscuoterà scarso 
                  interesse, poche furono le adesioni, anche per l'assenza del 
                  movimento libertario volontariamente escluso dagli organizzatori 
                  e il boicottaggio del movimento zimmerwaldiano che nella capitale 
                  svedese aveva inviato, la rivoluzionaria russa Angelica Balabanova, 
                  segretaria del Comitato socialista internazionale, decisamente 
                  contraria a qualsiasi compromesso con il socialismo patriottico. 
                  In quel contesto, l'influenza degli avvenimenti russi fu determinante 
                  nello svalutare d'importanza la portata dell'incontro internazionale 
                  dal momento che, anche in Russia, il movimento socialista era 
                  fortemente diviso tra chi era favorevole alla continuazione 
                  della guerra e chi era invece per una pace immediata. Bisogna 
                  inoltre considerare un elemento tattico importante: le componenti 
                  internazionaliste erano contrarie a un'iniziativa planetaria 
                  nella quale avrebbero potuto rimanere minoranza rispetto alle 
                  componenti «socialpatriottiche», senza raggiungere 
                  l'obiettivo di una pace proletaria non diplomatica.
 Nel frattempo, in luglio la situazione politica in Russia si 
                  modificò velocemente: il malcontento per l'andamento 
                  della guerra e le difficoltà economiche delle classi 
                  subalterne provocarono forti agitazioni spontanee – sostenute 
                  dai bolscevichi, dagli anarchici e dagli altri gruppi radicali 
                  – che coinvolsero le principali città ed in particolare 
                  Pietrogrado. Una nuova coalizione politica guidata dal socialista 
                  Aleksandr F. Kerenskij si affermò alla guida del paese 
                  mettendo fuori legge i «massimalisti», mentre Lenin 
                  dovette fuggire in Finlandia. In Italia tali avvenimenti vennero 
                  interpretati dalla stampa socialista e libertaria, in modo più 
                  o meno omogeneo, come una testimonianza dell'avanzamento della 
                  controrivoluzione borghese a danno delle istanze rivoluzionarie.
 D'altra parte, le prime dichiarazioni del nuovo governo non 
                  lasciarono dubbi sulle reali intenzioni: per i nuovi dirigenti 
                  il «primo problema capitale» consisteva nell'impegnarsi 
                  con ogni energia nel contrastare il «nemico esterno» 
                  e nel difendere il «nuovo regime di governo contro tutti 
                  gli attacchi anarchici e rivoluzionari, senza fermarsi dinanzi 
                  alle misure più rigorose» («Avanti!», 
                  24 luglio 1917).
 Alla fine di luglio, una delegazione dei Soviet di Pietrogrado 
                  e Mosca partirono alla volta di Inghilterra, Francia e Italia, 
                  con lo scopo di confrontarsi sia con i governi dell'Intesa, 
                  al fine di stabilire accordi per la prosecuzione della guerra, 
                  sia con le forze socialiste, nella speranza di trovare consenso 
                  alla proposta avanzata dal Consiglio degli operai e dei soldati 
                  di Pietrogrado per una più ampia partecipazione alla 
                  conferenza internazionale di Stoccolma. La delegazione russa 
                  riconosceva la necessità della continuazione della guerra 
                  a fianco degli alleati e si pronunciò contro le tesi 
                  di Lenin e dei bolscevichi ma anche degli anarchici per un immediato 
                  ritiro dal conflitto, e quindi contro la pace separata.
 La delegazione dei Soviet di Pietrogrado e di Mosca, rappresentante 
                  del nuovo governo provvisorio di Kerenskij, raggiunta l'Inghilterra, 
                  dopo una sosta a Stoccolma, espresse una linea politica che 
                  può essere riassunta dalla formula: «lotta per 
                  la pace generale simultaneamente alla guerra sul fronte». 
                  Gli «argonauti della pace», il 25 luglio arrivarono 
                  a Londra e il 4 agosto a Parigi.
 La delegazione era composta da noti militanti socialisti rivoluzionari 
                  e menscevichi, con un lungo curriculum vitae e con una buona 
                  conoscenza del mondo occidentale, essendo alcuni di loro emigrati 
                  in Europa per sfuggire alla repressione della polizia politica 
                  zarista negli anni precedenti la Prima guerra mondiale: Iosif 
                  P. Gol'denberg e Alexander N. Smirnov erano delegati del soviet 
                  di Pietrogrado mentre Nikolai S. Rusanov e Henryk Ehrlich rappresentavano 
                  il soviet di Mosca.
 Gol'denberg, accompagnato dagli altri membri della delegazione, 
                  raggiunse Torino da Parigi il 5 agosto e iniziò un viaggio 
                  diplomatico in Italia che, in campo storiografico, viene definito 
                  come una delle storie più paradossali nelle relazioni 
                  tra Stati durante la Prima guerra mondiale. Il Governo italiano, 
                  dopo una prima esitazione legata soprattutto a questioni di 
                  politica interna, permise ai rappresentanti dei soviet di entrare 
                  nel paese, in considerazione del fatto che il governo russo 
                  al momento non prevedeva la cessazione delle ostilità 
                  con la Germania e l'Austria.
 
                   
                    |  |   
                    | «Eppur si muove!» numero unico, edito a cura del Circolo operaio, Torino, aprile 1917(grazie all'Archivio storico della Biblioteca F. Serantini di Pisa per la gentile concessione)
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                    |  |  
 “Viva Lenin e gli anarchici russi” Vittorio Emanuele Orlando, liberale moderato, ministro dell'Interno 
                  del governo presieduto da Paolo Boselli, acconsentì che 
                  il viaggio della delegazione russa fosse ampiamente pubblicizzato 
                  dalla stampa periodica e autorizzò le riunioni pubbliche 
                  organizzate dai socialisti. Quest'ultimi approfitteranno dell'occasione 
                  per promuovere grandi manifestazioni di piazza a favore della 
                  Russia che spesso si trasformavano in veri e propri plebisciti 
                  per la rivoluzione e soprattutto per Lenin. La delegazione, 
                  che incontrò i rappresentanti di tutte le forze politiche 
                  del movimento operaio italiano, rispettando in questo la linea 
                  politica intesa a sollecitare il maggior numero possibile di 
                  adesioni al progetto di Stoccolma, il 5 agosto fu a Torino, 
                  il giorno successivo a Roma, il 10 a Firenze e a Bologna, l'11 
                  a Milano e il 13 nuovamente a Torino, ovunque accompagnata da 
                  entusiastiche manifestazioni di piazza nelle quali era accolta 
                  dal grido «Viva la Rivoluzione dei soviet, viva Lenin». 
                  Fu paradossale questa situazione in cui gli esponenti di un 
                  governo, per quanto rivoluzionario, vennero accolti da acclamazioni 
                  che inneggiavano all'opposizione politica di quello stesso governo. 
                  Gli anarchici parteciparono attivamente a queste manifestazioni 
                  e agli incontri politici con i delegati del governo russo e 
                  si unirono alle altre forze politiche nelle manifestazioni euforiche 
                  di piazza, indirizzando al leader bolscevico il saluto sincero 
                  e l'ammirazione per un uomo che era in quel momento il simbolo 
                  dell'ala più radicale del movimento rivoluzionario, sostenitore 
                  determinato della necessità di una cessazione immediata 
                  della guerra e dell'avvio di un profondo rivolgimento sociale. 
                  L'anarchico Anselmo Acutis nella manifestazione di Torino del 
                  13 agosto 1917 concluse il suo intervento, dopo quelli dei rappresentanti 
                  del Partito socialista, salutando i rappresentanti russi con 
                  queste parole:
 
 I compagni del Soviet sono stati accolti a Roma da un gruppo 
                  di interventisti imboscati al grido di abbasso Lenin. A questo 
                  grido infame dobbiamo contrapporre un altro che esprima la nostra 
                  solidarietà verso quegli arditi compagni: salutiamo i 
                  delegati al grido di Viva Lenin!
 
 Le parole dell'anarchico torinese vennero immediatamente riprese 
                  dalla redazione del periodico «L'Avvenire anarchico» 
                  che nel numero del 17 agosto rivendicò il ruolo degli 
                  anarchici nelle manifestazioni di solidarietà con la 
                  Russia, nelle quali i sinceri rivoluzionari – a coloro 
                  che esaltavano il dittatore Kerenskij – hanno risposto: 
                  «Viva Lenine e gli anarchici russi».
 Al periodico pisano fece eco la redazione di «Cronaca 
                  libertaria» di Milano il 23 dello stesso mese:
 
 Siccome anche noi, anzi noi più di tutti, abbiamo 
                  gridato Evviva Lenin, vogliamo far sapere che noi eravamo pienamente 
                  consapevoli del valore e del significato di quel grido. Consapevoli 
                  al punto che l'abbiamo anche accoppiato con quello di Abbasso 
                  Kerenskij.
 
 Anche «Guerra di classe», il giornale dell'USI, 
                  nel numero dell'11 agosto condivise l'applauso a Lenin e ai 
                  bolscevichi, sottolineando che l'umore delle masse proletarie 
                  che avevano partecipato alle manifestazioni di solidarietà 
                  con la delegazione russa era ben riassunto dal quello slogan, 
                  «Viva Lenin», che si contrapponeva alla propaganda 
                  della stampa reazionaria e moderata che dipingeva il leader 
                  russo come un nemico del progresso. Il giornale sindacale inneggiava 
                  al «leninismo», neologismo nel panorama del linguaggio 
                  politico di allora, come naturale prosecutore degli ideali e 
                  delle speranze della Comune di Parigi.
 Sempre in quel periodo, e sullo stesso organo di stampa, Berneri 
                  ribadì la critica alle posizioni ambigue dei dirigenti 
                  del PSI e della CGdL, scrivendo che è sempre meglio stare 
                  con Lenin, cioè con chi voleva la «pace immediata», 
                  rispetto a Kerenskij che voleva la prosecuzione della guerra.
 Non deve meravigliare questo atteggiamento da parte degli anarchici 
                  italiani verso Lenin e il bolscevismo. In quel momento, la stragrande 
                  maggioranza dei libertari provava una forte attrazione e simpatia 
                  per i bolscevichi, di cui, come già accennato, pochissimi 
                  conoscevano la vera essenza politica fedele all'ortodossia marxista. 
                  Questa attrazione nasceva dalla comune condivisione della radicale 
                  condanna del primo conflitto mondiale, e dalla sfiducia completa 
                  nella socialdemocrazia, considerata complice dell'imperialismo 
                  guerrafondaio. Le poche notizie su Lenin vennero sempre filtrate 
                  dal quotidiano socialista «Avanti!» che, tramite 
                  Gustavo Sacerdote, suo corrispondente da Zurigo, fornì 
                  le prime indicazioni sul programma e sulla tattica del dirigente 
                  bolscevico, che il giornalista aveva potuto conoscere in Svizzera 
                  prima della sua partenza per la Russia.
 «L'Avvenire anarchico», alla notizia dei tumulti 
                  e della mancata insurrezione in Russia del luglio 1917, descrisse 
                  l'azione comune dei bolscevichi e degli anarchici come la vera 
                  forza politica massimalista che voleva spingere il processo 
                  rivoluzionario fino alle estreme conseguenze, con l'abolizione 
                  del sistema capitalista e dello Stato e con la proclamazione 
                  della comune rivoluzionaria.
 
 “Le tesi di aprile” e “Stato e rivoluzione”: il Lenin (quasi) anarchico Al di là della scarsità di notizie e di conoscenze 
                  della Russia dell'epoca, va di fatto considerato che anarchici 
                  e bolscevichi, tra il febbraio e l'autunno del 1917, si trovarono 
                  oggettivamente a operare congiuntamente contro il governo provvisorio 
                  di Kerenskij. Inoltre, le posizioni politiche espresse da Lenin, 
                  dopo il suo ritorno in Russia, con le «Tesi di aprile», 
                  la critica radicale alle posizioni socialdemocratiche, l'impostazione 
                  «volontaristica» dell'azione rivoluzionaria, l'accantonamento 
                  delle teorie evoluzioniste tipiche del socialismo della Seconda 
                  internazionale, la proposta di abbandonare qualsiasi ipotesi 
                  di un processo a tappe della rivoluzione e di conseguenza la 
                  sfiducia completa nel modello rappresentativo democratico, tutto 
                  ciò, aggiunto alle parole d'ordine di abolizione dell'esercito 
                  di leva, dell'azzeramento della burocrazia statale, dell'eguaglianza 
                  salariale, della trasformazione della guerra imperialista in 
                  lotta rivoluzionaria rappresentarono questioni che accomunarono 
                  il primo bolscevismo alla cultura e alle aspettative dei libertari. 
                  Le «Tesi di aprile» sconcertarono non solo i menscevichi 
                  ma anche una buona parte dei bolscevichi.La parola d'ordine «tutto il potere ai soviet», 
                  lanciata dal leader bolscevico nella primavera del 1917, venne 
                  interpretata non solo come la base di una progressiva radicalizzazione 
                  della rivoluzione in atto, ma anche come il riconoscimento di 
                  un'idea della costruzione della società socialista basata 
                  sul decentramento e sulle forme autogestite delle strutture 
                  sociali, fondamento dell'idea federalista libertaria e della 
                  società senza Stato che gli anarchici agognavano. Nessuno 
                  tra i libertari russi, né tra gli italiani, sollevò 
                  dubbi sulle posizioni teoriche leniniste. Nei mesi che trascorsero 
                  tra la Rivoluzione di febbraio e quella di ottobre molti ignorarono 
                  che le tesi leniniste si riferivano a un trasferimento del potere 
                  politico dal governo provvisorio alla direzione del partito 
                  bolscevico.
 Anche Stato e rivoluzione, testo elaborato da Lenin nel 
                  breve periodo di esilio forzato in Finlandia tra l'agosto e 
                  il settembre 1917, riprendendo e sviluppando le idee di Marx 
                  sulla dittatura del proletariato e sulla trasformazione rivoluzionaria 
                  dello Stato nell'autogoverno dei produttori, sembrò agli 
                  occhi degli anarchici confermare le posizioni di vicinanza con 
                  colui, che pur guidando una minoranza rivoluzionaria, anche 
                  se non dichiarava l'abolizione assoluta di una qualsiasi forma 
                  di Stato, ne auspicava la graduale estinzione.
 Scrive Paul Avrich (Gli anarchici nella rivoluzione russa, 
                  Milano, La Salamandra 1976. pp. 15-16) che, in ottobre, anarchici 
                  e bolscevichi lavorarono di concerto per spostare la locomotiva 
                  della storia su un nuovo binario, senza però al momento 
                  prevedere – aggiungo – in quale stazione il convoglio 
                  della rivoluzione potesse terminare il suo viaggio.
 
 Aspettando il sol dell'avvenire Un anarchico italiano autorevole come Luigi Galleani testimonierà 
                  su «Cronaca sovversiva» del marzo 1919 lo stato 
                  d'animo con cui i libertari guardarono alla Russia e ai bolscevichi 
                  guidati da Lenin a quel tempo:Il linguaggio che parlavano era nuovo, inaspettata l'audacia, 
                  trionfale la rivincita; il nome esotico, soffuso di mistero, 
                  corrusco di ricordi impetuosi, soggiogava tutte le simpatie: 
                  bolsheviki!
 Nessuno sapeva di preciso che cosa volesse dire, ma poiché 
                  nessuno sapeva disgiungerlo dalle prime vittorie della insurrezione 
                  che aveva dell'anarchico al socialista coscritte le più 
                  fervide energie d'avanguardia, tutti furono bolsheviki!
 Niente di male in fondo; tanto più che tutti del comune 
                  denominatore volevano, per iscarico di coscienza, l'etimologia. 
                  Il male che tutti volevano – mentre a traverso le maglie 
                  della censura non filtrava una notizia e la stampa indigena 
                  vi sopperiva delle sue lojolesche fantasie salariate – 
                  la cronaca, le vicende, i caratteri della nuova rivoluzione.
 
 La speranza messianica che la Rivoluzione russa potesse tramutarsi 
                  nel motore del riscatto dei popoli contro le politiche guerrafondaie 
                  dei governi europei – nell'anno più lungo del Primo 
                  conflitto mondiale, che per l'Italia si concluderà con 
                  la disfatta militare di Caporetto – alimentò l'aspettativa 
                  nelle masse, stremate dalla guerra e dalla fame, e agì 
                  come un potente detonatore nella coscienza dei proletari italiani 
                  in attesa di un momento escatologico che facesse sorgere il 
                  sol dell'avvenire.
 L'occasione si presentò una decina di giorni dopo la 
                  partenza della delegazione russa dall'Italia, quando a Torino 
                  una sommossa spontanea contro il caroviveri, iniziata dalle 
                  donne, si trasformerà ben presto in uno sciopero generale 
                  contro la guerra. Anarchici e socialisti collaborarono nel sostenere 
                  la rivolta che, in alcuni momenti, prese l'aspetto di un moto 
                  insurrezionale con innalzamento di barricate, saccheggi di negozi 
                  di generi alimentari, scontri a fuoco con le forze dell'ordine 
                  e assalti ai commissariati di polizia; le truppe governative 
                  riuscirono ad avere la meglio dopo una settimana di scontri 
                  che lasciarono sul terreno numerosi morti e feriti.
 
 Lenin al governo La notizia che il governo di Kerenskij era stato abbattuto 
                  da un colpo di mano rivoluzionario, e che ora la Russia era 
                  guidata dai «massimalisti» di Lenin, arrivò 
                  in Italia filtrata dalla censura militare. Il Paese era ancora 
                  sotto shock per la disfatta militare di Caporetto, e le autorità 
                  avevano promosso un'ulteriore stretta repressiva nei confronti 
                  delle opposizioni politiche. Gran parte dei giornali erano stati 
                  soppressi o imbiancati dalla censura. Non è lontano dal 
                  vero il fatto che la presa del potere da parte di Lenin e dei 
                  bolschevichi fosse accolta positivamente dalla stragrande maggioranza 
                  del movimento socialista e anarchico, pochi erano coloro che 
                  espressero delle critiche. Il superamento della forma democratico-borghese 
                  dell'Assemblea costituente verrà giudicata positivamente 
                  dalla stampa anarchica italiana, anche dopo che i contrasti 
                  e gli scontri insanabili tra bolscevichi e anarchici verranno 
                  alla luce. In fondo, ciò che accomunava tatticamente 
                  le due fazioni rivali era la totale sfiducia nei metodi parlamentari 
                  e rappresentativi tipici dell'ordinamento liberale.I socialisti italiani, nella loro stragrande maggioranza, condivisero 
                  le scelte bolsceviche anche se queste contraddicevano la teoria 
                  e prassi del marxismo classico.
 «L'Avvenire anarchico», confortato dall'indirizzo 
                  del «Risveglio» di Ginevra, fu il primo giornale 
                  in Italia che avanzò delle perplessità, dubbi 
                  e qualche critica, dopo le prime scarne notizie dalle quali 
                  ancora non si percepiva la dimensione “storica” 
                  della presa del Palazzo d'Inverno. Il giornale, che parlava 
                  di un «Comitato esecutivo della rivoluzione» e di 
                  «Governo massimalista», avvertì il pericolo 
                  di una svolta autoritaria. Il numero del 30 novembre riportava 
                  un articolo di spalla dal titolo Lenine al governo, firmato 
                  con lo pseudonimo Welfare (probabilmente scritto da V.S. 
                  Mazzoni), che però sarà interamente censurato.
 L'avvenuto ritrovamento del testo originale dell'articolo ci 
                  permette di cogliere gli elementi essenziali del dibattito e 
                  delle critiche che la redazione, per la prima volta esplicitamente, 
                  espresse al nascente dispotismo comunista. L'articolista de 
                  «L'Avvenire anarchico», dopo aver salutato
 
 l'uomo, sul capo del quale intrecciavansi le più strane 
                  leggende, cacciato finora con la sua frazione massimalista come 
                  si cacciano le fiere, inseguito dalla polizia e dai cosacchi 
                  attraverso tutta la Russia, è riapparso ad un tratto 
                  alla testa dei suoi, ha sconfitti i partigiani di Kerenski ed 
                  ha vinto.
 
 apriva la riflessione sul pericolo del nuovo potere:
 
 Senza tante ambagi – ora che Lenine non è più 
                  il cospiratore rivoluzionario, ma è l'uomo di governo 
                  – lo riteniamo perduto per la rivoluzione, come tutti 
                  i più o meno illustri esponenti delle dittature rivoluzionarie 
                  del passato, del presente e sarei per dire anche dell'avvenire.
 
 Le critiche libertarie al coups d'état di Lenin 
                  derivavano dalla diffidenza sul carattere autoritario dei marxisti 
                  che nasceva da una contrapposizione di campo risalente ai tempi 
                  di Bakunin e della Prima internazionale. Si riapriva una vecchia 
                  disputa e polemica anti-autoritaria e anti-marxista che da sempre 
                  divideva gli anarchici dai socialisti delle diverse scuole. 
                  Gli anarchici, al contrario dei marxisti, negavano risolutamente 
                  la forma dello Stato, in quanto strumento d'oppressione nelle 
                  mani delle classi dirigenti, negavano ogni teorizzazione del 
                  periodo di transizione fra Stato capitalistico e società 
                  socialista e consideravano ugualmente tirannico anche quello 
                  Stato che, sorto da una rivoluzione, si fosse basato sul potere 
                  della «classe operaia».
 
 La lucidità di Luigi Fabbri e Luigi Bertoni Anche Fabbri, qualche tempo dopo, con alcuni articoli proprio 
                  sul periodico pisano, manifestò le sue preoccupazioni 
                  e perplessità in merito all'avvento al potere dei bolscevichi. 
                  L'approccio di Fabbri alla questione della presa del potere 
                  da parte di Lenin era prudente per la scarsità di notizie 
                  a disposizione. L'intellettuale libertario non voleva certamente 
                  cadere in una critica «palesemente ingiusta e maligna», 
                  ma sollevava alcuni dubbi che nei mesi successivi saranno ripresi 
                  con maggiore decisione e chiarezza da Malatesta. Fabbri scriveva 
                  sulle colonne de «L'Avvenire anarchico» del 25 gennaio 
                  1918:
 Noi ci guardiamo bene dall'emettere un giudizio qualsiasi 
                  sulle loro intenzioni, che crediamo oneste. Ma constatiamo ancora 
                  una volta la contraddizione insanabile fra i principii ideali 
                  del socialismo e la conquista del potere politico.
 Allo stesso modo, constatiamo ancora una volta, malgrado 
                  che il governo di Pietrogrado tenti alcune realizzazioni più 
                  audaci del socialismo, la contraddizione fra i principii di 
                  libertà (senza di cui il socialismo sarebbe un non senso) 
                  e le necessità pratiche di un governo, anche rivoluzionario, 
                  per mantenersi al potere. Se le notizie dei giornali non sono 
                  completa menzogna, si ripete a Pietrogrado l'errore della Comune 
                  di Parigi con la libertà di stampa, e l'errore della 
                  prima rivoluzione francese, della persecuzione dei rivoluzionari 
                  non del tutto d'accordo col governo [...].
 
 Come è stato giustamente osservato in campo storico, 
                  l'articolo di Fabbri rappresentò un momento importante 
                  della riflessione libertaria a poche settimane dagli eventi 
                  russi e dopo i mesi dell'euforia e degli entusiasmi. Fabbri 
                  colse con chiarezza due punti essenziali della critica che man 
                  mano il movimento anarchico italiano, e poi quello internazionale, 
                  farà propri negli anni successivi: l'indivisibile binomio 
                  della libertà politica/rivoluzione sociale e l'inesorabile 
                  avvio di un processo autoritario, di un partito al potere che 
                  si faceva Stato, negatore delle ragioni stesse che aveva ispirato 
                  la rivoluzione di febbraio.
 Alle parole di Fabbri fece eco la redazione de «Il Risveglio» 
                  che, sempre nel gennaio 1918, ribadì che gli anarchici 
                  erano avversari di ogni forma di potere e che, se anche in un 
                  caso eccezionale un governo provvisorio avesse trovato l'appoggio 
                  dei libertari nel combattere i reazionari, questo non poteva 
                  essere considerato come ineluttabile:
 
 Conquista del potere e dittatura del proletariato sono formule 
                  da noi sempre combattute, come quelle che preconizzano gli stessi 
                  mezzi della tirannia e del privilegio per realizzare la libertà 
                  e l'uguaglianza.
 
 Bertoni, e con lui la redazione del periodico ginevrino, erano 
                  ben consapevoli dei rischi che la rivoluzione in Russia stava 
                  correndo e di come la contraddizione tra l'aspirazione a un 
                  pace immediata, attesa dalle masse contadine e proletarie, e 
                  la necessità di difendersi dalle armate degli imperi 
                  centrali era una spada di Damocle sulla testa di tutti i sinceri 
                  rivoluzionari e che questo nodo gordiano poteva essere spezzato 
                  solo da un'immediata sollevazione del proletariato tedesco. 
                  Concetti che verranno ribaditi nelle settimane seguenti da Francesco 
                  Porcelli («Il Risveglio», 16 febbraio 1918), quando 
                  la notizia delle trattative di armistizio tra il governo rivoluzionario 
                  russo e i rappresentanti del Kaiser si diffonderanno, e il giudizio 
                  del periodico ginevrino sarà durissimo, considerando 
                  l'armistizio non come una pace rivoluzionaria tra i popoli ma 
                  una pace statale tra governi.
 
 Un canone fondamentale della dottrina anarchica è 
                  l'avversione assoluta a qualsiasi forma di governo.
 La nostra diffidenza al governo di Lenine e di Trockij è 
                  inerente dunque alla posizione mentale che noi anarchici istintivamente 
                  prendiamo verso un'autorità, comunque istituita e costituita.
 Cotesta diffidenza, impostaci dalle dette premesse teoriche, 
                  che potrebbe essere attenuata dalle contingenze di una situazione 
                  eccezionale, viene ad essere avvalorata, invece dalla mossa 
                  politica dei russi: le trattative impegnate dai rappresentanti 
                  della nuova Russia con i più vecchi e più vieti 
                  esponenti del dispotismo teutonico.
 
 La successiva notizia del trattato di pace di Brest-Litovsk, 
                  firmato il 3 marzo 1918 in Bielorussia fra le potenze centrali 
                  e la Russia guidata da Lenin, che sanzionava l'uscita di quest'ultima 
                  dalla Prima guerra mondiale con durissime condizioni, inclusa 
                  la perdita di circa un quarto dei territori europei, riaccese 
                  le polemiche e le critiche degli anarchici nei confronti delle 
                  scelte dei bolscevichi.
 I libertari si interrogarono sulle ragioni che avevano portato 
                  i dirigenti del partito bolscevico a questa scelta. L'accettazione 
                  delle durissime condizioni di pace tedesche era forse dovuta, 
                  come era sembrato inizialmente, alle sfavorevoli circostanze 
                  materiali che impedivano ogni forma di resistenza russa oppure 
                  era dipesa da ragioni di principio? Si trattava, dunque, di 
                  stabilire se un governo rivoluzionario avesse ceduto senza combattere 
                  a un governo imperialista, o se questa «ritirata» 
                  era solo un aspetto di una strategia necessaria per preparare 
                  una riscossa militare contro gli Imperi Centrali.
 Ad esempio, le posizioni del giornale svizzero di lingua italiana 
                  non erano immediatamente fatte proprie dai pochi giornali anarchici 
                  che ancora uscivano in Italia. «L'Avvenire anarchico», 
                  di Pisa come «La Favilla» di Roma, espressero posizioni 
                  più accondiscendenti e di solidarietà alle scelte 
                  operate dal governo bolscevico russo, anche se, come abbiamo 
                  visto precedentemente, in particolare l'organo pisano aveva 
                  esternato critiche assai convinte nei confronti del nuovo corso 
                  governativo russo. È probabile che i giornali italiani, 
                  rispetto a quelli svizzeri, non avessero un quadro complessivamente 
                  sufficiente delle dinamiche politiche che avevano portato alla 
                  stipula dell'armistizio, e non avevano notizie riguardanti l'opposizione 
                  al trattato di pace, non solo interna allo stesso partito di 
                  Lenin, ma anche di quella dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari.
 Gli appelli all'unità rivoluzionaria vennero anche dal 
                  Partito socialista, nonostante le sue divisioni interne tra 
                  massimalisti e riformisti, per la difesa della Russia e del 
                  socialismo internazionale. In Russia, non a caso, l'abbandono 
                  della coalizione di governo da parte dei socialisti rivoluzionari 
                  di sinistra per protesta contro la pace di Brest-Litowsk, non 
                  venne rilanciata con il giusto rilievo da parte degli organi 
                  socialisti e libertari italiani. La segreteria del Partito socialista, 
                  in mano ai massimalisti guidati da Serrati, era nettamente su 
                  posizioni di difesa intransigente delle scelte bolsceviche delle 
                  quali condividevano la critica alla guerra, alla Seconda internazionale 
                  e alla politica rigorosamente intransigente verso ogni governo 
                  borghese. La minoranza riformista, guidata da Turati, avvertì 
                  il pericolo del modello bolscevico, ne criticò gli aspetti 
                  più “eversivi”, “illiberali”, 
                  “anarcoidi” e “utopistici” rispetto 
                  alla dottrina marxista.
 
                   
                    |  |   
                    | Questo articolo è tratto dal volume, fresco di stampa,di F. Bertolucci, A Oriente sorge il sol dell'avvenire.
 Gli anarchici italiani e la rivoluzione russa 1917-1922,
 BFS, Pisa 2017. Per info e altre notizie sulle attività
 editoriali della casa editrice della Biblioteca
 F. Serantini, leggetevi la quarta di copertina
 di questo numero di “A”
 |  
 La prima repressione degli anarchici I socialisti e gli anarchici italiani ancora non immaginavano che Lenin e il gruppo dirigente del partito bolscevico, dopo il trattato di pace, indirizzeranno le proprie attenzioni al fronte interno con la decisione di azzerare le opposizioni politiche e in particolare quelle di sinistra.Nella tarda primavera, il governo bolscevico dichiarò guerra ai gruppi anarchici che a Pietrogrado e a Mosca controllavano alcuni quartieri e caseggiati. Lo scontro fu durissimo, con vittime in entrambi gli schieramenti, ma gli anarchici ebbero la peggio e diverse centinaia di loro vennero rinchiusi nelle carceri.
 Le notizie, seppur frammentarie, che giunsero in Europa e in Italia, scatenarono subito la reazione dei principali organi libertari. A guidare la protesta del mondo libertario europeo contro l'eccidio degli anarchici fu «Il Risveglio» di Ginevra, che nel numero del 22 giugno 1918 denunciò l'azione dei «nuovi despoti», e rivendicò il diritto alla rivolta contro la cosiddetta «dittatura del proletariato». «L'Avvenire anarchico», in un articolo pubblicato sul numero del 24 maggio, dal titolo significativo Gli Anarchici di Russia alla riscossa, riportò gli ultimi tragici eventi dello scontro fra i libertari e i seguaci di Lenin: «La battaglia è divampata da Mosca e Pietrogrado in tutta la Russia, ove poté raccogliersi ed armarsi un pugno di anarchici e spiegarsi una bandiera, contro l'ormai insopportabile giogo dei bolsceviki, che hanno preso il posto del governo più esigente, più esoso ed inetto».
 Mazzoni ribadì, in un articolo del 28 giugno 1918, che il potere corrompe l'uomo e che come gli anarchici in precedenza hanno combattuto il vecchio regime, ora si opponevano a quello di Lenin, concludendo con un accorato messaggio di solidarietà e simpatia agli anarchici russi vittime del «terrore rosso».
 È la fine di un'illusione, quella che la rivoluzione unisca tutti i sinceri rivoluzionari sotto la bandiera della libertà, della fratellanza e dell'uguaglianza; la delusione per gli anarchici fu amara e violenta ma, il mito di Lenin e quello prima della rivoluzione russa rimarranno ancora a lungo fortemente radicati, non solo nel movimento operaio ma finanche in quelle componenti del movimento libertario fortemente influenzate dal bolscevismo.
  Franco Bertolucci 
 
 
                   
                    |   Un 
                        libro (in tedesco) sulla rivoluzione russa  
                        Recentemente le edizioni Dietz di Berlino hanno dato alle 
                        stampe il volume Anarchismus und Russische Revolution 
                        curato da Philippe Kellermann (Berlin, Dietz, 2017). Si 
                        tratta di un importante lavoro storiografico collettaneo 
                        di messa a punto, a cent'anni dalla rivoluzione russa, 
                        sul ruolo che vi hanno avuto gli anarchici, le idee libertarie 
                        e l'incontro/scontro con i bolscevichi guidati da Lenin. 
                        Fino al 1917 l'anarchismo, come movimento politico e di 
                        idee, si era confrontato con le diverse anime del marxismo 
                        manifestando tutti i propri dubbi e le proprie critiche 
                        sull'impostazione autoritaria delle soluzioni all'idea 
                        di rivoluzione e società socialista che venivano 
                        proposte, sul piano sia teorico che pratico. I due avversari, 
                        anarchici e marxisti, si erano sostanzialmente confrontati 
                        nel coacervo di idee e di esperienze maturate durante 
                        lo sviluppo del movimento operaio ma, al di là 
                        degli scontri verbali nei congressi internazionali e nelle 
                        dispute sociali, di fatto non si erano quasi mai affrontati 
                        durante una vera e propria esperienza rivoluzionaria. 
                        La Comune di Parigi del 1871 rimaneva una meteora ormai 
                        lontana nel tempo, quando la sua storia e le sue interpretazioni 
                        avevano contribuito a disegnare, in qualche maniera, il 
                        DNA delle due grandi corrente dell'internazionale: quella 
                        antiautoritaria e quella autoritaria.
 Il 1917 è il vero spartiacque in cui l'anarchismo 
                        e il marxismo divaricano ancora di più le proprie 
                        strade, anche se poi nei decenni successivi torneranno 
                        a intrecciarsi in altre drammatiche vicende. In particolare, 
                        questa divaricazione si accentuerà con l'emergere 
                        all'interno delle componenti del marxismo russo della 
                        corrente bolscevica, che si affermerà come modello 
                        teorico e pratico, dando vita alla lunga stagione terzointernazionalista.
 Il libro curato da Kellermann, tenta una disanima dei 
                        diversi problemi sollevati dalla rivoluzione di febbraio 
                        e da quella di ottobre del 1917 in Russia, e di come quegli 
                        eventi abbiamo influito sulle fortune e sfortune dell'anarchismo. 
                        Il volume descrive e analizza da un lato il ruolo svolto 
                        dal movimento anarchico in Russia nel contesto della rivoluzione 
                        russa; dall'altro, come i movimenti anarchici nei vari 
                        paesi (Italia, Svizzera, Francia e Germania) hanno reagito 
                        di fronte alla concreta esperienza di quella rivoluzione, 
                        e quali discussioni e controversie hanno animato la vita 
                        dei libertari negli immediati anni successivi.
 F.B. |  
 
 
 
 
                   
                    |  Gli 
                        anarchici e la rivoluzione russa 
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                    |  | Reggio 
                        Emilia, 1 - 2 dicembre 2017Università di Modena e di Reggio Emilia
 via Allegri 9, Reggio Emilia
 
 Seminario promosso da Biblioteca Panizzi 
                        e
 Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa
 
 Prima sessione (venerdì 1, ore 15): intervengono 
                        Giampietro Berti, Marcello Flores,
 Ettore Cinnella, Giuseppe 
                        Aiello.
 
 Seconda sessione (sabato 2, ore 9.30): 
                        Misha Tsovma, Selva Varengo,
 Pietro Adamo, Roberto Carocci.
 
 Terza sessione (sabato 2, ore 15): Antonio Senta, 
                        Lorenzo Pezzica, David Bernardini,
 Massimo Ortalli. A 
                        seguire interventi dal pubblico e dibattito.
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