|   
 
  Nella copertina di “A” 
                  69 (ottobre 1978) campeggia una foto di infermiere davanti ai 
                  cancelli di un ospedale milanese, alle loro spalle alcuni baschi 
                  neri. È stagione di grosse mobilitazioni negli ospedali 
                  italiani e “A” se ne occupa. Sotto la foto una citazione 
                  da una dichiarazione di uno degli infermieri che scrive su quel 
                  numero: “...dicono che noi lasciamo morire gli ammalati, 
                  mentre noi abbiamo sempre garantito i servizi essenziali, e 
                  poi, parliamoci chiaro, la gente muore ogni giorno in questi 
                  schifosi ospedali senza personale né attrezzature. Noi 
                  lottiamo anche contro tutto questo...”. In tutto 8 pagine 
                  sulle lotte degli ospedalieri, in apertura del numero.
 Originale anche il secondo tema affrontato. A scriverne è 
                  il nostro collaboratore – ormai da anni e anni fisso all'inizio 
                  di ogni numero della rivista – Andrea Papi, ora in pensione, 
                  ma allora “dada con i baffi”, come lo chiamavano 
                  i bimbi della scuola materna forlivese in cui lavorava, primo 
                  maestro di sesso maschile in una professione allora esclusivamente 
                  affidata alle donne. E “La dada con i baffi” è 
                  stato poi scelto come titolo di un suo interessante libro su 
                  quest'esperienza, uscito pochi anni fa e da noi segnalato su 
                  “A”. Trentasette anni fa Andrea ne scriveva sulla 
                  nostra rivista e la sua testimonianza mantiene freschezza e 
                  contribuisce a una riflessione non ideologica su bambini, pedagogia, 
                  potere. “Il nido dell'autogestione” è il 
                  titolo di questo suo intervento.
 Un altro forlivese, Franco Melandri, cura un piccolo saggio 
                  (8 pagine) su “Gli Indiani. Storie, costumi e tradizioni 
                  degli indiani d'America”, ricco di informazioni e con 
                  un taglio decisamente simpatetico con lo stile di vita e l'organizzazione 
                  sociale di varie tribù di quel popolo. Ricordiamo, per 
                  quanto può contare, una telefonata di Fabrizio De André, 
                  sempre nostro attento lettore, di complimenti a un nostro redattore 
                  per esserci occupati su “A” dell'argomento. E tre 
                  anni dopo, primo LP dopo la drammatica esperienza del rapimento 
                  di Dori Ghezzi e suo nel cuore della Barbagia, sarà proprio 
                  un indiano d'America a campeggiare nella copertina del nuovo 
                  disco, senza alcun titolo, passato alla storia appunto come 
                  “L'indiano” - con dentro quella unica canzone sull'argomento 
                  (“Fiume Sand Creek”) che resta una pagina alta dell'attenzione 
                  di De André per i popoli, le “categorie”, 
                  le persone oppresse ed emarginate.
 Ancora Forlì. “Quando il boia commemora le vittime” 
                  è il titolo di un intervento di Pio Turroni, un muratore 
                  cesenate (e allora Cesena era parte della provincia forlivese), 
                  anarchico fin dalla gioventù, grande figura di militante, 
                  combattente in Spagna, poi rifugiatosi in Messico, rientrato 
                  in Italia nel 1943 dove dette un contributo importante alla 
                  ripresa della presenza anarchica nell'Italia meridionale. E 
                  nel secondo dopoguerra instancabile organizzatore di attività, 
                  anche editoriali, quali la casa editrice Antistato (poi passata 
                  in gestione a noi dell'Editrice A e infine proseguita con Elèuthera).
 Turroni, che nella Spagna del ‘36/'37 c'era, combattente 
                  al fronte antifranchista, risponde duramente alle menzogne e 
                  alle calunnie antianarchiche di Vittorio Vidali, il famigerato 
                  “comandante Carlos”, a capo delle brigate garibaldine, 
                  di stretta osservanza staliniana. Pagine anche dolorose, culminate 
                  con gli scontri tra anarchici e comuniste per le vie di Barcellona 
                  nelle tragiche giornate di inizio maggio 1937. E in quel contesto 
                  furono assassinati gli anarchici italiani Camillo Berneri e 
                  Francesco Barbieri.
 Ma il conflitto era ben più profondo e vasto e riguardava 
                  due modi diametralmente opposti di concepire e organizzare la 
                  lotta antifranchista. Qui ci limitiamo ad accennarne, rimandando 
                  alla ricca letteratura in merito. Che su “A” ha 
                  avuto, sopratutto in quegli anni, una ripetuta eco.
 Ultima citazione per un paio di articoli su sessualità 
                  e politica, un tema spesso presente in “A” (sullo 
                  scorso numero, guarda caso, abbiamo pubblicato il bel dossier 
                  su Emma Goldman “Sesso, 
                  anarchia e rivoluzione”). In “A” 69 ci 
                  si occupa del “sesso degli anarchici” e poi delle 
                  istanze di lotta omosessuale. Battaglie di cultura alternativa 
                  e di diritti negati, da affermare.
 Due compiti cui la nostra rivista ha cercato, con tante carenze, 
                  di non dimenticarsi mai in questi suoi primi 400 (ora 401) numeri.
  
 |