| narrazioni 
 Una vita da Lalli 
 intervista a Lalli di Claudia Piccinellipoesie e canzoni di Lalli
 scritti di Dori Ghezzi e di Paolo Finzi
 
 
 È una delle cantautrici più intense e originali nel panorama musicale italiano degli ultimi decenni. Pubblichiamo in queste pagine un'intervista, la sua discografia, alcune delle sue poesie e canzoni, gli interventi di Dori Ghezzi e di un nostro redattore. 
 
                   
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                    | Lalli con Pietro Salizzoni |  
 
 
 narrazioni 
 La testa sì,quella canta sempre
 
 intervista di Claudia Piccinellia Lalli 
 
 Marinella Ollino, da Mongardino (Asti), 1956. Lalli e basta.Dai Franti a Elia: voce solista, compositrice, poetessa e altre cose ancora.
 Un pezzetto di storia, una storia a pezzetti.
 Tutta dentro la musica.
 
 Incontro Lalli una mattina colorata di un bell'autunno torinese. 
                  Mi accoglie nella sua stanza chiara, silenziosa. Il micio Tato 
                  ancora insonnolito ci fa compagnia sulla poltrona. È 
                  un trovatello, nato malato e raccolto dal cassonetto delle immondizie, 
                  a San Vincenzo.Attento, fissa con i suoi occhi ciechi e ascolta il racconto 
                  di Lalli, mentre lei con mano leggera, di tanto in tanto, gli 
                  asciuga con un fazzoletto il mucolino, strofinandogli i baffi.
  C.P. Lalli, mi piacerebbe in questa nostra conversazione iniziare 
                  a cogliere il tuo profondo sguardo sul mondo, il tuo mondo interiore. 
                  Tu sei torinese di adozione, ancora piccola con la famiglia, 
                  dalla provincia di Asti ti sei trasferita in città. Se 
                  sei d'accordo, ti va di iniziare proprio con un balzo all'indietro, 
                  ripercorrendo la tua infanzia, le persone a te vicine che hanno 
                  segnato la tua strada?Certo, volentieri farò un bel balzo all'indietro...
 Avrò avuto quattro anni. Dalle colline di Mongardino 
                  ci siamo trasferiti a Torino dove  mio padre lavorava. 
                  All'asilo la maestra mi obbligava a stare con gli altri bambini, 
                  io invece preferivo rimanere da sola. Mi sedevo sulle scale, 
                  non volevo entrare in classe. Non mi sono mai inserita. Mia 
                  mamma era preoccupata per me. Ho impressa la sua immagine molto 
                  sofferente quando mio padre ha deciso di andarsene. Io avevo 
                  undici anni. Ha perso i capelli. “Prova a fumare, ti rilassa”, 
                  le ha detto il dottore di famiglia. Si è accesa una sigaretta 
                  e dopo qualche minuto l'ho vista addormentarsi. Così 
                  ha preso il vizio del fumo. La sua presenza mi bastava, compensava 
                  anche quella di  mio padre. Ormai  non lo vedevo più. 
                  Ma  lo amavo. Si chiamava Venanzio.
 Mamma Alma aveva una predilezione per i bambini, voleva fare 
                  la maestra. Era del '29. Invece ha cresciuto i fratellini, in 
                  una famiglia contadina. Era la figlia preferita di mia nonna 
                  Marina. Io mi chiamo Marinella, come dire, una Marina piccola, 
                  curioso! Le saltavo sulle ginocchia. Sento ancora i suoi abbracci, 
                  e quel suo amore smisurato per gli animali. Come quando mio 
                  nonno tornato da caccia con una volpe ferita dalla tagliola, 
                  nonna Marina si è presa cura della povera bestiola con 
                  dedizione, costanza, senza risparmiare carezze, coccole, tenerezza.
 Belle le estati a Mongardino dalla nonna! Ci rimanevo fino a 
                  settembre. Non mi piaceva tornare a Torino, la Torino Sabauda, 
                  perché non potevo parlare il dialetto. Il piemontese 
                  è diverso dal dialetto di Torino, più savoiardo, 
                  in punta di lingua. Il nostro è più largo, contadino, 
                  da mani grandi, scarpe da lavoro.
 Allora mio padre: “Se stai buona, se parli bene l'italiano 
                  a scuola, ti porto a fare il sonnellino e ti lascio parlare 
                  tutto in dialetto”. E io mi sentivo liberata.
 Un tempo nevicava molto di più in inverno. Nonna Marina 
                  ci preparava il dolce con la neve. Prendeva la parte sotto, 
                  bella pulita, e ci metteva lo zucchero. Zucchero e neve, il 
                  dolce più buono!
 Anche lei una presenza discreta, come tutti del resto, nella 
                  mia famiglia. “Non devi essere la migliore” mi ripeteva. 
                  E mia madre, tra la guerra e i fratelli da crescere non ha potuto 
                  studiare, allora: “I libri dovranno diventare i tuoi migliori 
                  amici”. Tutti i libri di Salgari usciti in edicola me 
                  li ha comprati, e io ne ho ricomprati altri sulle bancarelle. 
                  Sono cresciuta con Salgari e Madama Butterfly. La cantava mia 
                  mamma: “Un bel dì vedremo...”. Ho la sua 
                  stessa estensione vocale. Le chiedevo di suggerirmi le parole, 
                  non me le ricordavo mai. Lei ascoltava la mia voce.
 
                   
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                    | Il padre e la madre di Lalli in due foto d'epoca |   Ad un certo punto ti sei aperta  alla vita politica. 
                  Come ricordi questa esperienza?Mi sono avvicinata alla politica alle superiori. Scuole sovraffollate, 
                  i turni al pomeriggio per le lezioni. Assemblee, occupazioni. 
                  Marea di persone in mezzo alle strade. Semplicemente un'apertura 
                  al mondo. Compagne di scuola e ragazzi di altre scuole, manifestazioni. 
                  Politica militante voleva dire andare ai collettivi, ai coordinamenti.
 A scuola diventai un mito. Le avanguardie erano già uscite. 
                  Ora toccava a me andare dalla bidella, prendere il megafono, 
                  far uscire tutti gli studenti dalle aule e convogliarli in palestra. 
                  Ad un certo punto, per la confusione esce il preside e mi si 
                  avvicina. All'improvviso, silenzio, disagio. “E lei di 
                  che classe è?”, “Operaia” risposi senza 
                  lasciarmi intimorire. Tutti si misero a ridere, e il preside 
                  da quella volta ha cominciato a dimostrarsi meno intransigente, 
                  insomma più comprensivo.
 Poi la militanza è finita negli anni di piombo, nella 
                  repressione. Sono stati cancellati i luoghi, gli spazi fisici, 
                  la sede di Lotta Continua, di Corso San Maurizio. Non potevi 
                  far gruppo, nemmeno sederti sulle panchine: arrivava la sicurezza, 
                  chiamavano la polizia. Tutti i cinema chiusi. Un'altra perdita 
                  per noi che ci andavamo quasi ogni giorno. Costava davvero poco, 
                  un piatto di pasta e il cinema...
 
                   
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                    | Lalli con Miguel Angel Acosta |   Musica e scrittura, un bell'incontro. Quali circostanze 
                  ti hanno avvicinata?Nel gruppo c'era sempre qualcuno che suonava la chitarra. Ho 
                  conosciuto Stefano Giaccone. Volevamo aprire una radio libera. 
                  Il nome c'era già: “Radio Morgana”, suona 
                  bene, tanti i riferimenti: la fata Morgana, la Morgana di Corto 
                  Maltese. Ma non avevamo i fondi, dovevamo andare in collina 
                  per affittare un ripetitore. Non ci siamo riusciti. Per raccogliere 
                  i fondi abbiamo organizzato un concerto, il mio primo concerto. 
                  Poi abbiamo iniziato insieme l'esperienza dei “Franti”. 
                  Il primo concerto in città, all'aperto. Non ricordo bene 
                  dove, ma è stata la prima rivelazione anche per me. Ho 
                  capito che era un mondo che mi si poteva aprire.
 Il Cortiletto di Torino, un punto di riferimento. Era la sala 
                  prove del quartiere, non c'era bisogno di farsi le proprie cantine. 
                  Lì conoscevi tutto il mondo musicale, con la circoscrizione 
                  sempre aperta. Vicino c'era il bar dove andavano gli operai 
                  di Mirafiori. Mi piaceva molto interpretare “Voglio di 
                  più” di Pino Daniele, “America” di 
                  Gianna Nannini. E Stefano: “Prova a scrivere”. Così 
                  ho composto “Le loro voci”, per i Franti. La mia 
                  prima canzone, in una notte. Sulla strage dei campi profughi 
                  palestinesi di Sabra e Shatila a Beirut. Era successo all'alba. 
                  La notte ho scritto il massacro visto dalla parte di un bambino: 
                  “poco sole, pochi giochi, i bambini guardano su ....”. 
                  Quella notte non ho dormito, per il dolore.
 Mi sono resa conto che potevo scrivere canzoni e che “Le 
                  loro voci” ha rappresentato un testo fondamentale.
 Poi “Voghera”. Era normale far parte di collettivi 
                  femministi, spesso si avevano parenti o detenute incarcerate 
                  a Voghera. Cercavo di capire cosa significava per i parenti. 
                  E per i detenuti vivere in una situazione di assoluta a-sensorialità, 
                  quando ti lasciano la luce accesa 24 ore su 24, quando non sai 
                  se è giorno o notte, oppure stai nel silenzio senza sentire 
                  un rumore per giorni, giorni e giorni: “pietre che cadono 
                  sull'acciaio invisibile...”.
 Mio padre era molto affezionato a “Bella ciao”. 
                  Una notte, in sogno mi diceva molto affettuoso, sorridente: 
                  “Canta la mia canzone”. Al mattino mi sono alzata 
                  e ho scritto “Brigata partigiana Alphaville”, e 
                  l'ho dedicata a mio padre.
 
                   
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                    | Pietro Salizzoni |   Ti va di parlare dei luoghi, degli spazi che hanno connotato 
                  la tua esperienza di donna, cantante, autrice?Vivrei in casa, sempre. Non perché non mi piaccia il 
                  mondo. Ma la mia dimensione è questa. È di nuovo 
                  stare un po' indietro. Come quelli della mia famiglia, anch'io 
                  sono così. Se devo fare, faccio. Ad esempio ho fatto 
                  l'avanguardia a scuola, in politica, la front-man nei gruppi 
                  musicali - sì, front-man, non front-woman, non c'è 
                  un modo di dirlo al femminile, bisogna dirlo al maschile-. Comunque, 
                  se devo scegliere, preferisco stare un po' più in disparte.
 “Testa storta”, per la colonna sonora del film “Preferisco 
                  il rumore del mare” del regista Mimmo Calopresti, è 
                  la prima canzone che abbiamo scritto Pietro ed io. In casa, 
                  senza fatica. Un'altra rivelazione, una persona con la quale 
                  potevo scrivere tranquilla. Era proprio come essere a casa. 
                  Un non far fatica. Di fondo, c'è casa. “Èlia”, 
                  il titolo del cd del 2006, è il nome della nonna di Pietro. 
                  Ed è di nuovo casa.
 Mongardino, di nuovo, è un ritorno a casa. Ma oggi io 
                  non mi sento più a casa, né a Torino né 
                  a Mongardino. Però essere nata in un posto, quando ci 
                  torni è sempre casa. I colori di Mongardino, il verde, 
                  rosso, i gialli. Diversi rossi, diversi gialli. E poi si vendemmia, 
                  in autunno, a Mongardino.
 Se penso invece alla città allora è Torino, e 
                  solo Torino. Con la sua urbanizzazione e i luoghi scomparsi. 
                  La faccia della città cambia, Mongardino no. Oggi riconosco 
                  pochissimi posti. Piazza Solferino, ma perché ci ho lavorato 
                  quasi trent'anni, dove c'erano le piste per le olimpiadi. Ci 
                  sono molto affezionata . E poi certi viali e controviali alberati 
                  da percorrere sui marciapiedi, camminando.
 
                   
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                    | Il calciatore Gigi Meroni. Un omaggio al cuore granata di Lalli |   Quale significato e quale posto ha la musica nel tuo sentire 
                  personale?La musica, l'ho capito da subito, un posto l'avrebbe avuto nella 
                  mia vita. A tutto tondo, non limitato a un solo periodo.
 A seconda delle fasi della vita, ha un posto più 
                  o meno grande, più o meno coinvolgente.
 Dopo “Tempo di vento” del '98, il mio primo disco 
                  solista, avrei mollato, se non fosse stato per Pietro. Lui, 
                  la sua umiltà. È un chitarrista Pietro Salizzoni, 
                  non solo un autore. Un musicista che sa fare il proprio mestiere 
                  a livelli eccellenti, creare arrangiamenti particolari e capace 
                  di farli risuonare. Mi piace in particolare la musica composta 
                  da Pietro per “Ballo lento”. Ogni tanto me la canto 
                  dentro.
 Diceva: “Lalli, i miei interessi sono altri, faccio il 
                  Politecnico, vorrei fare l'ingegnere ambientale. Se serve imparare 
                  a suonare il basso, il contrabbasso, il banjo per suonare con 
                  te, lo faccio”. Una persona rara, mi potevo fidare. C'era 
                  intesa profonda, sintonia.
 E poi, la musica ti trascina su un palco, davanti a un pubblico. 
                  “È schizofrenico”, diceva Demetrio Stratos. 
                  Sei su un palco. Canti, senti la tua voce da dentro, ma tu non 
                  sentirai mai quello che sentono loro. In più canti da 
                  sola, fai finta di rivolgerti a qualcun altro che ti sta di 
                  fronte. Ma il pubblico è una entità astratta, 
                  un'altra forma di schizofrenia. Charlie Parker suonava di schiena, 
                  fino alla fine della sua carriera ha suonato di spalle, ed era 
                  Charlie Parker.
 La musica fa parte di me, anche quando non tengo concerti pubblici 
                  o non scrivo con Pietro canzoni. Io suono sempre. Io canto sempre. 
                  Ho la testa che canta, pensa a una canzone, alle parole, alla 
                  melodia, a come cantarla. Mi sveglio cantando.
 Nulla sfugge alle regole della musica, alla sua legge, neanche 
                  le persone, i rapporti umani, l'amore, gli affetti. In qualche 
                  modo stanno lì dentro.
 Quando hanno saputo della mia grave malattia, dalla Toscana, 
                  mia zia Mirella e mio cugino Marco - non li vedevo da vent'anni 
                  - mi hanno accolta in casa loro, a San Vincenzo. Salvata un'altra 
                  volta perché da sola non potevo accudirmi. Come dire, 
                  è un sentire comune, un'armonia, un essere nello stesso 
                  tempo. Marco da un anno è ritornato a Torino. La vita 
                  ti riporta ai tuoi luoghi.
 Quando c'è molta sofferenza, smetto di ascoltare musica. 
                  Come sento una nota mi si stringe la gola. Ma devo essere forte. 
                  Allora smetto di ascoltare, anche per mesi, e mi sembra di stare 
                  meglio.
 
                   
                    |  |   
                    | Una foto di scena del film “Nemmeno il destino”,con il regista Daniele Gaglianone
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                  E la tua filosofia di vita?Sono una contadina. Stefano - siamo stati compagni per più 
                  di sette anni - ogni tanto mi rimproverava: “Sei troppo 
                  semplicistica, troppo contadina”. Invece io rivendico 
                  questo mio essere contadina. Perché le cose della vita 
                  sono semplici, magari sono difficili da raggiungere, da spiegare, 
                  da rendere. Come la semplicità della musica è 
                  difficile da realizzare. Dietro la semplicità c'è 
                  un lavoro enorme. Enorme. Enorme.
 Come ad un concerto, tutto bello, sì. Pensa a quello 
                  che si è svegliato alle quattro del mattino per costruire 
                  il palco, a quello che si presenta dopo qualche ora per allestire 
                  le luci, a quell'altro che lavora da mesi per creare certi effetti. 
                  Lavoro, sì tanto lavoro.
 Per trovare un accordo di una canzone, magari ci si mette anche 
                  sette, otto mesi: “No la melodia lì non va bene, 
                  è ridondante... No no Pietro, guarda ci ho ripensato... 
                  “.
 I miei sono tempi da contadina. Ho bisogno di un bel paio di 
                  maniche lunghe per masticare il dolore, poterci stare dentro, 
                  sopravvivere. Maturare un abbandono, una mancanza. Devi sentirla 
                  come vera, reale, buona. Conviverci. E poi accettare che “non 
                  è”. E basta. Imparare la rassegnazione. Ci vuole 
                  tempo. Per me che sono una contadina, una ribelle di natura 
                  non è facile. Forse non la imparerò mai. Invece 
                  essere più in pace con me stessa, quello sì, credo 
                  di averlo imparato. Anche questa è una forma di rassegnazione.
 Oggi puoi fare l'equilibrista, il cantante, il pittore dadaista, 
                  non importa. È la legge dell'immagine ad essere dominante, 
                  nient'altro. E a questo non ci si rassegna facilmente. Perché 
                  poi la vita batte e quell'immagine lì va a farsi fottere. 
                  Quando hai bisogno di una mano, a cosa serve che l'altro sappia 
                  usare la sua mano, solo per un selfie!
 
 A chi si rivolgono le tue parole in musica?
 Da ragazze e ragazzi ho ricevuto tantissime lettere. Mi parlano 
                  come se fossi entrata in casa loro, sapessi cosa stanno passando, 
                  vivendo. Si mettono l'iPod e sei nelle loro orecchie, nella 
                  loro testa. E non sai dove sei capitata. Non sai con la musica 
                  dove puoi arrivare.
 Lettere intense esprimono il bene che sembra tu abbia fatto 
                  loro. Invece hai solo scritto una canzone. Certo, gratifica 
                  molto. Ma si incappa anche in situazioni particolari. Innamoramenti, 
                  crisi di gelosia. Vorrebbero mettersi con te perché ti 
                  conoscono già prima di incontrarti, attraverso le canzoni.
 Oggi, con la mia malattia, non ho il fiato per cantare. Allora 
                  scrivo. Scrivo poesie. Ma lo dico anche in “Fuochi I”: 
                  “nella testa la musica non si ferma mai”.
 Io ho sempre la testa che pensa, suona, scrive, canta. La testa 
                  canta. La testa sì, quella canta sempre.
  Claudia Piccinelli 
 
 
 
 
  Brigata partigiana Alphaville(dall'album Tempo di vento)
 
 Scesi dall'auto a toccare il mondo
 come venuti dalle stelle
 ci guardavamo attorno, senza fretta.
 I colletti alzati delle giacche,
 erano rondini senza vento,
 nella testa solo un richiamo,
 rumore sordo di mare, un uragano.
 Mi sorprendono gli occhi di tua madre,
 mi trapassano, se ne vanno,
 proprio mentre il ponte
 saltava in mille scintille...
 Oggi sono vecchio e stanco,
 è aprile e vento, ho più paura,
 così sono venuto a chiederti,
 fammi questo piacere,
 ti prego, questo piacere
 Canta la mia canzone preferita
 ti prego, canta,
 cantala in questa mattina
 appena appena impazzita,
 cantala dove la mia mano ti potrà vedere,
 cantala dove anche il mare
 si può riposare
 Vedi, non potevo davvero,
 non potevo di certo
 guardare le altre luci brillare
 senza provare a toccarle,
 canta la mia canzone preferita,
 ti prego, canta,
 cantala in questa mattina
 appena appena impazzita
 
 
 Mostar
 (dall'album Tempo di vento)
 
 Senti la neve, com'è calda qui
 Nessun rumore e anche il cecchino si dev'essere stupito
 Senti la neve? Senti la neve?
 Lavoravo qui con mio padre
 e un pezzo di quel ponte, sai, era anche mio,
 e di un poeta che non voleva morire per i confini dei potenti
 Senti la neve? senti la neve?
 Solo l'odio e le cicatrici, diceva,
 ci sarebbero venuti dietro per sempre con le nostre ombre
 come le nostre ombre,
 come le nostre orme sopra la neve
 Com'è fredda qui tra le mie dita
 Senti la neve? Senti la neve?
 Un colpo dietro l'altro ha coperto tutto
 ha coperto tutto ma non proprio tutto
 adesso i miei occhi vedono tutto bianco, senza confini,
 vedono tutto quello che non c'è più,
 ci distinguo ancora la luna,
 ma sono così stanco, adesso mi riposo un po'
 qui sulla neve
 Senti la neve? Senti la neve?
 
 
 Aria di Buenos Aires
 (dall' album Tempo di vento)
 
 Qui non vengono più a posarsi gli arcobaleni
 e le nuvole alte, così larghe
 da tenersi stretto il vento sottobraccio e il sole tra i denti,
 il giovedì pomeriggio in questa Piazza di Maggio,
 tutte qui, mezze a Torino e mezze a Buenos Aires.
 Come per magia eccole uscire dai corsi immensi,
 scivolate fin qui come nebbia in novembre,
 indossano foto sbiadite e nessuno sembra vederle,
 eppure gridano nomi, posti e date,
 ognuno una nuvola, uno sparo su Buenos Aires.
 E d'improvviso è già qui un vento caldo che sa 
                  un po' di terra
 ma è quasi un tango
 e batte piano così come una lingua che sa un po' di sale
 ed è proprio un tango.
 Dietro la porta si sente il mare,
 le donne in nero le pietre portate fin qui,
 addosso il dolore di un silenzio,
 ma qui sotto i seni il caldo del cuore, del tempo di un'onda
 in questa stanza al confine con Buenos Aires
 
 
 Ballo lento
 (dall'album All'improvviso, nella mia stanza)
 
 Una nuvola di fumo
 che ci scopre lentamente
 corpi stretti nell'abbraccio
 in un ballo senza tempo
 La camicia stropicciata
 sulle braccia abbandonate
 il tremore della terra
 E mi stringo nella testa
 per non fare uscire il grido
 tutto è solo e abbandonato
 Sarà così, si farà da sé
 parlerà per me
 Sarà così
 Dimmi il nome e la ragione
 perché un cuore sconosciuto
 lascia più vergogna e più ferite
 Vorrei bastasse dirti - Guarda
 porgendoti uno specchio
 e il tremore delle mani
 È solo un ballo lento
 nell'urgenza della voce,
 fra i battiti del tempo,
 fra i respiri del silenzio,
 nelle pieghe delle case
 sulle pagine del mondo
 la canzone
 si scriverà
 da sé
 parlerà per me
 Sarà così, si farà da sé
 parlerà per me
 Sarà così
 
 
 La fiaba di Nushe
 (dall'album All'improvviso, nella mia stanza)
 
 Dal foulard le spuntava
 un ricciolo scuro
 come il tempo di temporale
 a far buia la strada
 e ombra sul viso
 E Nushe non apre la mano
 continua a cantare
 si fa compagnia
 mentre rondini pazze di inverno
 da sotto il vestito
 le volano via
 Salta dal carro
 saltale addosso
 copri la bocca adesso
 poi casca il mondo
 casca la terra
 Il foulard cade piano
 un ricciolo chiaro
 come l'alba dal campo
 a far luce sui monti
 e livido il viso
 E Nushe riapre la mano
 sul labbro gonfio
 la vergogna e l'orrore
 di portare nel ventre un seme d'offesa
 che dovrebbe
 esser solo d'amore
 Salta dal carro
 saltale addosso
 copri la bocca adesso
 poi casca il mondo
 casca la terra
 
 
 Samira piccola
 (dall'album All'improvviso, nella mia stanza)
 
 Samira piccola comincia a contare
 prima le onde e sulle onde le file
 Poi passa alle stelle, ma fai attenzione
 perché in questa notte senza comete
 sarà per noi una di vetro
 a indicarci la via e l'approdo
 Chiudi gli occhi, mio piccolo pane,
 lasciati andare e vedrai il bosco
 nell'acqua che non aspetta,
 ogni gemma un grano di riso
 Nel mio sogno ero in cima a un ulivo
 e non potevo restare e non potevo cadere
 Nonna, ho paura e il bosco che vedo
 non lo riconosco
 e le luci laggiù mi confondono il conto,
 sono stanca e noi siamo buio
 e la nostra stella suderà per trovarci
 Nonna, tienimi stretta, nonna cantami un poco
 Nel mio sogno tutto brillava
 al suono di una musica che non sentivo,
 dondolavano i rami spargendo polvere
 di sabbia e d'argento sul fondo del bosco,
 così finalmente potevo volare
 Ora prova a dormire, mia principessa
 Ma fu un'altra stella, figlia del mare,
 a guidarle fino al fondo del mondo
 accanto ad un nome scritto su un coccio
 sepolto per sempre di là dalle mura
 della terra bagnata da un altro dio
 Samira piccola, così l'ho trovato
 Samira piccola
 
 
 Le loro voci
 (dall'album dei Franti Non classificato)
 
 Poco sole, pochi i giochi, i bambini guardano su
 Una scia graffia il cielo, occhi scuri cercando un se
 Inventa madre, tu che sei dolce
 storie impaurite di felicità
 presto il sonno ci prenderà, suoni lievi la tua voce
 Quattro di mattina piove piano, me li vedo i marciapiedi
 trasparenti il buio e i neon, è solo un altro giorno
 Ti svegli e sei dentro un sogno,
 mi dici “dormi”, guardi l'ora
 una piega cancella il tuo viso,
 suoni lievi la tua voce
 Una mano conta i minuti, respira storie di gioia bruciata
 Una mano tatuata sul palmo, è fredda è notte è 
                  Beirut.
 Sembra una notte come tante, ruba ancora aria là fuori
 Occhi feroci uccidono il giorno, forse domani solo una foto.
 Mani, le mie, mani su Beirut,
 taglio di luce spezza il sorriso
 Mani, le mie, mani, il cuscino, la fine del sonno è dentro.
 Sembra una notte come tante,
 quasi sento gridare qua sotto
 Si, lo so, è molto lontano
 anche la strada è sempre uguale
 
 
 
                   
                    | Discografia 
                        e...
 1981 – Lalli partecipa alle registrazioni del demo 
                        dei Luna Nera (progetto precedente ai Franti): tre canzoni, 
                        due delle quali sono presenti nel cd “Estamos en 
                        todas partes” (ed. stella*nera, 2005).
 1982 – Esce la cassetta di debutto di Franti “A/b” 
                        (autoprodotta). Lalli è però assente, alla 
                        voce c'è Luca Colarelli dei Deafear.
 1983 – Esce la cassetta di Franti “Luna nera” 
                        (autoprodotta). Con Lalli, troviamo Massimo d'Ambrosio, 
                        Vanni Picciuolo, Marco Ciari, Stefano Giaccone ed altri.
 1984 – Esce uno split LP autoprodotto e senza titolo 
                        di Franti e Contrazione. A distanza breve le registrazioni 
                        di “Luna nera” vengono ristampate su LP.
 1986 – Esce l'album di Franti “Il giardino 
                        delle 15 pietre” (LP, ed. Blu Bus / P.E.A.C.E.), 
                        preceduto dal singolo “Acqua di luna” (ed. 
                        Blu Bus / P.E.A.C.E.). Sul lato b del singolo sono raccolti 
                        i contributi di Lalli, Stefano Giaccone e Vanni Picciuolo 
                        dei Franti alla raccolta di poesie “Schizzi di sangue” 
                        (MC, ed. Blu Bus, 1985).
 1987 – I Franti raccolgono quasi tutto il materiale 
                        pubblicato nel box “Non classificato” (ed. 
                        Blu Bus): oltre all'album “Luna nera”, alle 
                        registrazioni comparse nello split LP con i Contrazione 
                        e all'album “Il giardino delle quindici pietre”, 
                        troviamo il miniLP “Nel salto dell'ascia sul legno” 
                        e molte registrazioni inedite. “Non classificato” 
                        è stato ristampato più volte sia in versione 
                        2CD (ed. Blu Bus, 1992) che 3CD (ed. stella*nera, 1999).
 1988 – con Stefano Giaccone dei Franti, Lalli forma 
                        il gruppo Environs. Esce il singolo “No man can 
                        find the war” (ed. Inisheer).
 1989 – Esce l'album degli Environs “3 luglio 
                        1969” (LP, ed. Inisheer). Esce qualche mese dopo 
                        l'album “Canzoni” degli Orsi Lucille (LP, 
                        ed. Inisheer): nel gruppo insieme a Lalli anche gli altri 
                        ex-Franti Vanni Picciuolo, Massimo d'Ambrosio e Stefano 
                        Giaccone.
 1990 – Gli Environs pubblicano l'album “Cinque 
                        parti” (LP, ed. Inisheer). Nel 2001 una selezione 
                        delle registrazioni degli Environs è stata raccolta 
                        in “Un pettirosso in gabbia...” (CD, stella*nera). 
                        Lalli e Stefano Giaccone si presentano in duo come Howth 
                        Castle e pubblicano l'album “Rust of keys” 
                        (LP, ed. Inisheer).
 1992 – Esce l'album “Due” degli Orsi 
                        Lucille (LP, ed. Inisheer).
 1994 – Esce “Good morning, Mr. Nobody!” 
                        degli Howth Castle (CD, ed. Blu Bus).
 1995 – Lalli e Vanni Picciuolo formano il gruppo 
                        Ishi; che pubblica l'album “Sotto la pioggia” 
                        (CD e LP, ed. Blu Bus).
 1996 – Esce “The lee tide” degli Howth 
                        Castle (CD, ed. Inisheer).
 1998 – Lalli debutta come solista con l'album Tempo 
                        di vento” (CD, ed. il Manifesto). Oltre diecimila 
                        copie vendute. La rivista “Il mucchio selvaggio” 
                        lo premia come miglior opera prima.
 1999 – Esce “Tra le dune di qui” (CD, 
                        ed. On/Off) che contiene la canzone “Le donne quando 
                        restano sole”. Lalli vince il Premio Ciampi.
 2000 – La canzone “Testa storta”, scritta 
                        da Lalli e Pietro Salizzoni, compare nella colonna sonora 
                        del film di Mimmo Calopresti “Preferisco il rumore 
                        del mare”. Lalli ed il cantante e chitarrista argentino 
                        Miguel Angel Acosta propongono lo spettacolo “Vengo 
                        a ofrecer mi corazon”, un recital / omaggio alla 
                        musica di Leon Gieco e Violeta Parra che ottiene grande 
                        successo e viene rappresentato anche a Londra.
 2001 – Lalli partecipa a “Come fiori nel mare”, 
                        tribute CD a Luigi Tenco, con una personalissima versione 
                        di “Vedrai, vedrai”.
 2003 – Esce “All'improvviso nella mia stanza” 
                        (CD, ed il Manifesto) che contiene alcune perle tra cui 
                        “Canzone del ritorno” e “Ballo lento”.
 2004 – Lalli partecipa a “Mille papaveri rossi”, 
                        tribute CD a Fabrizio de André (ed. stella*nera 
                        / Editrice A), con un'interpretazione struggente di “Ave 
                        Maria”. Esordisce come attrice nel film “Nemmeno 
                        il destino” di Daniele Gaglianone, presentato alla 
                        Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che ottiene 
                        numerosi riconoscimenti fra i quali i premi come Migliore 
                        Regia e come Migliore Attrice al Sulmona Cinema Festival 
                        e il Premio Tiger Award al Festival del Cinema di Rotterdam.
 2005 – Seconda esperienza come attrice nel film 
                        “Senza fine” del regista torinese Roberto 
                        Cuzzillo.
 2006 – Lalli e Pietro Salizzoni pubblicano l'album 
                        “Elia” (CD, ed. il Manifesto).
 2012 – Lalli e Pietro Salizzoni realizzano l'album 
                        dal vivo “Elia in concerto” (CD, ed. Felmay).
 a 
                        cura di Marco Pandin |   
 
 
 
  
 Strade nel nodo della mano.
 La mia collina, un dono,
 un sogno davvero.
 a Mongardino
 
 
 Quando torno a casa,
 conosco a memoria le curve,
 riconosco ogni petalo sul quale salivo
 per intraprendere la terra di sempre
 e l'abisso di domani.
 Sono ancora piccoli boschi in discesa, scarpe,
 rive, fossi, capelli sudati, zappe,
 che sovrastano donne e uomini,
 chini,
 nelle vigne,
 sull'affanno dei soldi per comprarsi la vita,
 sul riposo che la sera viene a riempire i piatti della cena,
 e non basta mai.
 E ancora, da sempre,
 nel buio, canto.
 
 
 C'è calma,
 mentre i miei pesi salgono a spinta.
 Quand'ero bambina,
 la domenica pomeriggio,
 preferivo stare a guardare
 gli altri bambini giocare.
 Non sembra vero, adesso,
 sia bastata una rete a catturare il cielo.
 
 
 Mi conosci,
 senza luci e rumori.
 Mi manca sempre la neve,
 sotto il cielo di Torino.
 Cammino sul ciglio,
 da tanto.
 Le foglie mi cadono addosso.
 Imparo, ogni giorno,
 piccole cose.
 
 
 La musica,
 la sento anche quando dormo.
 Quando non ho più forze,
 fiato, risorse,
 riesco ancora cantare,
 anche nel sonno.
 Per la strada, la musica è una magia.
 Per favore, non dirlo a mia madre,
 altrimenti si spaventa,
 esce e viene a cercarmi.
 - Qualcuno ha visto la mia bambina?
 Dove sono le giunchiglie della musica?
 perché è lì che è andata,
 ne sono certa -
 
 
 Se le assi con cui sono costruiti i palchi
 potessero tornare indietro nel tempo,
 ecco, il bosco della musica.
 
 
 Passi,
 lucenti come le pratoline alla rugiada.
 Se ci fosse il mare, qui,
 verrebbero su svelti dalla collina,
 lasciandosi alle spalle
 il posto dove io so
 vanno a dormire i gabbiani.
 
 Avete 
                  presente Nina Simone ed Edith Piaf?
 Tra i molti tributi musicali dei primi anni in onore di Fabrizio, 
                  uno che mi colpì in particolar modo, affascinandomi davvero 
                  molto, fu una versione dell'Ave Maria interpretata da una voce 
                  particolarissima e profonda, che mi ricordava quelle straordinarie 
                  cantanti soul – che ho sempre tanto adorato – come 
                  Nina Simone.
 Ho poi scoperto che quella voce apparteneva a Lalli, un'artista 
                  che prima d'allora non avevo ancora avuto occasione di ascoltare. 
                  â¨Il desiderio di conoscerla di persona è stato immediato 
                  e quando finalmente ci siamo incontrate, ho scoperto che questa 
                  enorme voce è contenuta in uno scricciolo di donna, il 
                  che ha suscitato in me ancora più curiosità e 
                  meraviglia.
 Poco dopo ho avuto il piacere di assistere a un suo concerto, 
                  ed è stata un'ulteriore conferma del suo temperamento 
                  e della forza della sua arte. Una presenza scenica alla Edith 
                  Piaf.
 Credo che Lalli – come purtroppo spesso succede – 
                  se fosse nata in un paese di respiro più internazionale, 
                  sarebbe considerata un'artista di primo piano, pur conservando 
                  la sua tanto rivendicata anima contadina, “in volo per 
                  il mondo”.
  Dori Ghezzi   A forza di essere Lalli
 di Paolo Finzi
 
 A spasso per il centro di Torino, tra un caffè 
                  sabaudo e il ricordo di un corteo, una sala di registrazione, 
                  una trattoria di compagni.
 Pezzi di memoria collettiva, spunti 
                  per riflessioni individuali.
 
 Conosco Lalli da oltre una trentina d'anni, più di metà 
                  della sua vita, quasi metà della mia. La prima immagine, 
                  nel buio di un centro sociale nei pressi delle colonne di San 
                  Lorenzo, nel quartiere Ticinese, nella Milano dei primi anni 
                  ‘80, è quella di una donna magra, fragile, con 
                  una voce della madonna, di quelle che ti fanno accapponare la 
                  pelle, forte e sensuale (la voce), modulata e soprattutto calda, 
                  voce solista dei Franti. E già in quell'occasione – 
                  almeno nel ricordo che vivido conservo – c'è un 
                  aspetto essenziale della “mia” Lalli. Antagonista, 
                  combattiva, determinata – non a caso è la voce 
                  e la “punta” dei tostissimi Franti – ma al 
                  contempo dolce, sentimentale mi verrebbe voglia di dire, intima.
 E sono queste le caratteristiche della compagna, della donna 
                  con cui in una calda giornata dell'ottobre torinese mi ritrovo 
                  a girovagare per il centro del capoluogo sabaudo. Un giro bello, 
                  ricco di spunti, carico (a volte, mi pare, sovraccarico) di 
                  memoria. Questa mattina Lalli se la sente, “ma sì, 
                  andiamo in centro”, un viaggetto in tram, una sosta per 
                  un caffè nello storico bar in piazza Castello e poi: 
                  qui c'era la sala di registrazione, lì ci trovavamo nel 
                  ‘77 noi dei collettivi studenteschi, qui ricordo una manifestazione 
                  con un casino di gente, poi ci furono cariche e scontri... Pezzi 
                  di memoria, pezzi di una storia collettiva a prima vista uguale 
                  per tanti di noi: la nostra generazione, le nostre generazioni 
                  (io ho 5 anni più della mia anfitriona, 5 anni pesanti, 
                  lo spartiacque tra chi è arrivato prima del ‘68 
                  e chi dopo la perdita dell'innocenza rappresentata da piazza 
                  Fontana e l'assassinio Pinelli).
 Al punto da sembrar fragile Decenni dopo (Tradiscono i decenni, saranno gli anni fa 
                  cantava Amedeo Minghi) contano più le atmosfere, i sentimenti, 
                  la loro rielaborazione da parte di una memoria selettiva che 
                  non è più collettiva, ma individuale. La Lalli 
                  è la Lalli, io sono io. E ognuno è se stesso. 
                  Abbiamo fatto cose in parte analoghe, in parte diverse: storia, 
                  una gran bella storia, ma passata.È l'oggi di questa piccola grande donna, esile come la 
                  sua voce al punto da sembrar fragile, ma forte di una consapevolezza 
                  interna che è frutto di riflessioni, sofferenza, sofferenze, 
                  comunque di un grande lavoro interiore. Voluto? Spontaneo? Non 
                  lo so, non m'interessa. Sento solo che le sue parole mi piacciono, 
                  non solo in sé, ma per quanto lasciano intuire, trasparire: 
                  un percorso così diverso dal mio – altro genere 
                  (e già questo...), altra città, altre frequentazioni 
                  politiche, lei la musica, ovunque musica, io più sulla 
                  parola, lo scritto, ecc..
 Anche se poi, spulciando e sfogliando libri e opuscoli esposti 
                  in piccole bancarelle di piazza Vittorio Veneto, bancarelle 
                  spesso senza nemmeno la bancarella (un tavolino e basta e scatoloni 
                  aperti) ritroviamo e ci segnaliamo libri e opuscoli che a volte 
                  allora inconsapevoli abbiamo condiviso, altre volte ci segnaliamo 
                  reciprocamente ora per la prima volta. Quella scrittrice, il 
                  resoconto di un processo, il ricordo di un autore.
 Quella religione In altra occasione – una delle tante di comune ricordo 
                  e riflessione – spunta un piccolo crocefisso. Ricordo 
                  a Lalli che ben lo notai al suo collo, una volta che anni – 
                  tanti anni – fa passò con Pietro a Milano, in redazione, 
                  prima di un concerto al circolo Arci “Matatu” (oggi 
                  non c'è più, come tante cose di cui parliamo). 
                  Le chiedo, se se la sente e la mia curiosità non le risulti 
                  invasiva, della fede. E fa capolino una sua sosta, nel corridoio 
                  di un ospedale torinese, quando diretta a una visita oncologica 
                  importante sente l'esigenza di fare una sosta nella cappelletta 
                  che si affaccia sul corridoio, e di una piccola preghiera silente. 
                  Fede? Cattolicesimo?Non posso in poche righe “spiegare” io quel che 
                  non conosco e che ho solo cercato di capire. Chiederò 
                  a Lalli se le sembri opportuna, se se la sente che riferisca 
                  in pubblico di questi suoi pezzetti di vita raccontata. Di religione, 
                  zen buddhismo, silenzio, privilegi clericali e sterminii in 
                  nome di dio, parliamo a lungo. Saltano fuori le mie lunghe e 
                  per me bellissime chiacchierate di ore ed ore con don Andrea 
                  Gallo, il mio perdurante ateismo, ma con un approccio non più 
                  antagonistico e aggressivo con la sensibilità religiosa, 
                  il nostro comune “anticlericalismo” (se i privilegi 
                  e le pretese vaticane contrastare bisogna, nessun dubbio: ci 
                  siamo). Mi colpisce un'affermazione di Lalli, che dopo tante 
                  letture “orientali”, afferma che se comunque un 
                  riferimento anche religioso dovesse sentire il bisogno di ritrovare, 
                  le sembra naturale che sia alla religione in cui è stata 
                  allevata e cresciuta, se pure per poi distaccarsene. A quel 
                  cattolicesimo che la madre – figura cui tanto fortemente 
                  e complessamente è legata – e la nonna e le altre 
                  donne della sua infanzia le trasmisero.
 Già la madre, questa donna che quando anni fa iniziai 
                  ad andare a parlare con Lalli a Torino, ritrovavo accanto a 
                  Lalli e ben ricordo. E la cui mancanza, in relazione alla Lalli 
                  di oggi, colgo credo appieno.
 Con il solito treno Tra gli altri temi, la violenza. Il tema forse per me “per 
                  eccellenza”, quello cui maggior tempo e sofferenza e riflessioni 
                  ho dedicato e dedico – credo – da sempre. Con un 
                  rifiuto sempre più radicato e convinto, che mi porta 
                  a valorizzare l'etica e le tecniche della nonviolenza che però 
                  non sento del tutto mia, perché troppo ho presenti le 
                  drammatiche contraddizioni del vivere. E soprattutto non mi 
                  piacciono le soluzioni “a tavolino”, ideologiche, 
                  e cerco di partire e di arrivare nella concretezza delle esperienze, 
                  dell'esperienza.Bando alle spataffiate. Con Lalli la sintonia mi pare davvero 
                  profonda. Nel suo racconto, comprese le risposte a mie specifiche 
                  domande, viene fuori una Lalli che direi a disagio nel ruolo 
                  di donna di punta di un gruppo (i Franti) e poi di esperienze 
                  comunque vissute e apprezzate nell'area dell'antagonismo duro, 
                  combattente. Le P38 virtuali, quelle dita delle mani a simboleggiarle, 
                  le pesavano già allora e le sono pesate quando, molto 
                  tempo dopo, rifecero come gruppo un concerto a Torino e i loro 
                  (e quindi anche suoi) fan espressero così la loro lettura 
                  del messaggio frantesco. Ma Lalli, mi dice, non ci stava allora 
                  e tantomeno c'è stata più recentemente. C'è 
                  stata male.
 “Si vive una volta sola in questo mondo, almeno non lasciamo 
                  pratiche e ricordi di violenza contro le persone” mi dice. 
                  Ne parliamo complessivamente per ore. Ne parleremo ancora, di 
                  questo come delle foglie, di Mongardino, di sua mamma, dell'anarchia 
                  e dei sogni.
 Al prossimo appuntamento, piccola grande amica. Con il solito 
                  treno da Milano Centrale delle 7.18.
  Paolo Finzi 
 
                   
                    | Gioia e dolore hanno il confine incertonella stagione che illumina il viso
  
                        dall'Ave Maria
 di Fabrizio De André e Gian Piero Reverberi
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