| Non credo che abbia molto senso stupirsi 
                  di quella che molti considerano unimpressionante escalation 
                  di violenza che si sta verificando in tutto il mondo. Lumanità 
                  attuale ha alle sue spalle una storia che non giustifica nessuno 
                  stupore. Non dimentichiamo lOlocausto degli ebrei nella 
                  seconda guerra mondiale e le bombe atomiche lanciate su Hiroshima 
                  e Nagasaki. Non dimentichiamo i secoli della spietata espansione 
                  coloniale europea. E se poi vogliamo prendere in considerazione 
                  gli esempi più spirituali della nostra storia 
                  non dimentichiamo le persecuzioni, le torture e i roghi della 
                  Santa Inquisizione. Tutto sommato, oggi siamo semplicemente 
                  allaltezza del nostro passato.   Interpretazioni biologiche della violenza 
 La nostra storia è così intrisa di violenza che 
                  certi studiosi hanno ritenuto opportuno arrivare alla conclusione 
                  che la violenza labbiamo nel sangue o, come si dice oggi, 
                  labbiamo nel nostro patrimonio genetico. La psicologia 
                  è stata dominata per molto tempo da questa idea, che 
                  si è basata, oltre che sulla comune osservazione dei 
                  fatti, su due concetti fondamentali: quello di istinto e quello, 
                  in un certo senso complementare, di energia psichica. Come è noto, per istinto si intende tradizionalmente 
                  un comportamento fisso, rigido, non modificabile da parte dellesperienza, 
                  geneticamente determinato e quindi ereditario, caratteristico 
                  di una determinata specie. Allistinto viene tradizionalmente 
                  contrapposto lapprendimento, cioè quel processo 
                  per cui il comportamento viene modificato dallesperienza. 
                  In realtà, oggi il concetto di istinto è in crisi 
                  per quel che riguarda gli esseri umani e gli animali superiori 
                  ed è soprattutto in crisi la contrapposizione netta fra 
                  istinto e apprendimento. Da un lato viene sempre più 
                  messa in evidenza la dipendenza di tutti i comportamenti dalle 
                  condizioni ambientali, in particolare durante lo sviluppo dellindividuo 
                  (Hinde, 1959). Dallaltro si analizzano sempre più 
                  i condizionamenti biologici dei processi di apprendimento (Hinde 
                  e Stevenson-Hinde, 1973; Seligman e Hager, 1972). Oggi, cioè, 
                  la tendenza fondamentale è quella di negare il dualismo 
                  istinto-apprendimento e di considerare istinto e 
                  apprendimento come i due estremi di un continuum. Nel 
                  considerare il significato concreto di questo continuum 
                  per quel che riguarda la specie umana, inoltre, non bisogna 
                  dimenticare che nel corso dellevoluzione biologica si 
                  ha una progressiva diminuzione dei meccanismi tradizionalmente 
                  definiti istintivi e un progressivo aumento delle capacità 
                  di apprendimento. Nel corso dellevoluzione biologica, 
                  quindi, cambia il tipo di rapporto che lanimale ha col 
                  suo ambiente. Da comportamenti più o meno fissi, rigidi, 
                  geneticamente determinati, si passa a comportamenti sempre più 
                  plastici, acquisiti con lapprendimento.
 Molto importanti, nella psicologia, sono state anche le concezioni 
                  energetiche dellistinto, che ipotizzano lesistenza 
                  di unenergia psichica di produzione endogena senza di 
                  cui nessun comportamento istintivo sarebbe possibile. Si tratta 
                  di concezioni sorte sul terreno positivistico della fine dellottocento, 
                  che hanno chiaramente mutuato i loro elementi fondamentali dalla 
                  fisica. Da vari decenni queste concezioni sono state invalidate 
                  dalla ricerca psicologica, etologica e neurobiologica e sono 
                  state sostituite da concezioni di tipo informazionale (cfr.: 
                  Hinde, 1960; 1982; Robustelli, 1986).
 Bisogna rendersi chiaramente conto di quello che hanno significato, 
                  e continuano a significare, nella nostra cultura sia il concetto 
                  di istinto sia le concezioni energetiche dellistinto.
 Linnatismo implicito nel concetto tradizionale di istinto 
                  ha favorito in politica le posizioni conservatrici, con la tesi 
                  secondo la quale la struttura delle società umane è 
                  fondamentalmente determinata da meccanismi istintivi e scarse 
                  sono le possibilità di trasformazione di questa struttura, 
                  in quanto appunto essa corrisponde ad un programma biologico 
                  della specie umana. Linnatismo, cioè, tende ad 
                  analizzare lo sviluppo culturale delle società umane 
                  con categorie biologistiche che snaturano tale sviluppo destoricizzandolo 
                  (Robustelli, 1982).
 I modelli energetici, daltronde, hanno contribuito pesantemente 
                  a far considerare luomo come un meccanismo che continuamente 
                  si carica e, di conseguenza, continuamente si deve scaricare. 
                  La potenza dellistinto è stata metafisicizzata. 
                  Laccumulo di energia psichica è stato presentato 
                  come un fenomeno apocalittico. Ma oggi, come ho già detto, 
                  i risultati di molte ricerche indicano che non esiste negli 
                  esseri umani unaggressività istintiva che deve 
                  assolutamente essere in qualche modo scaricata.
  E le nostre misere townships? 
 La tradizionale concezione istintivistica dellaggressività 
                  umana è molto pericolosa, perché ciò che 
                  la gente pensa di sé stessa è uno dei principali 
                  fattori che determinano il suo comportamento. E se la gente 
                  pensa che laggressività sia inevitabile è 
                  improbabile che si sforzi concretamente di ottenere un mondo 
                  meno aggressivo. Per questo un gruppo internazionale di specialisti 
                  (psicologi, etologi, neurobiologi, psichiatri, sociologi e antropologi) 
                  si è riunito nel maggio del 1986 allUniversità 
                  di Siviglia ed ha stilato un documento per eliminare il 
                  mito secondo cui la guerra e la violenza fanno parte della natura 
                  umana e perciò sono inevitabili (Adams, 1991). 
                  Il documento, che ha preso il nome di Dichiarazione di 
                  Siviglia sulla Violenza, sostiene che la violenza umana 
                  è prodotta fondamentalmente da fattori socioculturali 
                  ed è stato sottoscritto da molte associazioni scientifiche, 
                  fra cui lAmerican Psychological Association, lAmerican 
                  Sociological Association, lAmerican Anthropological 
                  Association e lInternational Society for Research 
                  on Aggression. Nel 1989 la Dichiarazione di Siviglia 
                  è stata patrocinata dallUnesco, che ha creato una 
                  rete internazionale per la sua diffusione; io sono il rappresentante 
                  italiano di questa rete (1). Nel 1993 ho partecipato al congresso internazionale Violence 
                  and its Alternatives, tenutosi a Città del Capo. 
                  Nei dieci giorni trascorsi in Sud Africa ho avuto incontri con 
                  docenti e studenti di varie università come pure con 
                  membri di parecchie associazioni di Città del Capo e 
                  di Johannesburg che si battono per i diritti umani. A Città 
                  del Capo, in una interessante riunione pubblica a cui hanno 
                  partecipato alcune centinaia di persone, dopo che ho parlato 
                  della Dichiarazione di Siviglia un uomo mi ha chiesto:
 A che ci serve la Dichiarazione di Siviglia se vogliamo 
                  affrontare il problema della violenza che ha prodotto le nostre 
                  miserabili townships (2) negre?
 Gli ho risposto che capivo benissimo il suo tono polemico e 
                  che di fatto la critica delle posizioni biologistiche ha un 
                  significato solo se costituisce un punto di partenza per una 
                  discussione globale sullaggressività e sulla violenza 
                  e soprattutto se costituisce un punto di partenza per un concreto 
                  programma di educazione contro la violenza per le giovani generazioni.
  
  Cause socioculturali della violenza 
 Dunque la violenza umana è prodotta fondamentalmente 
                  da fattori socioculturali e credo che questi possano riassumersi 
                  in quella tendenza alla sopraffazione che si è venuta 
                  strutturando nel corso della storia e che ha portato alla disuguaglianza, 
                  allingiustizia, alloppressione, allo sfruttamento. 
                  Queste condizioni sociali esprimono lessenza della violenza 
                  che da millenni luomo esercita sulluomo. Unanalisi 
                  della tendenza alla sopraffazione porta poi, secondo me, ad 
                  individuare facilmente ciò che determina questa tendenza: 
                  lirrazionalità. È razionale cooperare con 
                  gli altri per raggiungere uno scopo comune, invece di sfruttarli. 
                  È razionale instaurare con gli altri un rapporto di libertà 
                  reciproca, invece di dominarli. Il periodo storico in cui viviamo 
                  mostra molto chiaramente, e molto brutalmente, lirrazionalità 
                  della violenza. La violenza contro gli esseri umani, come pure 
                  la violenza contro la natura, ci sta portando progressivamente 
                  ed inesorabilmente verso lautodistruzione totale. In questa prospettiva la lotta contro la violenza si presenta 
                  come un tentativo di superare certi schemi negativi di pensiero 
                  e di comportamento che hanno profonde radici nelle culture umane. 
                  Il problema da affrontare è quindi: come ottenere questo 
                  superamento? La risposta è semplice: aumentando il livello 
                  di razionalità degli esseri umani. Mi rendo perfettamente 
                  conto che una proposta formulata in questi termini ha il sapore 
                  della banalità. Educare gli esseri umani alla razionalità: 
                  che idea originale! Ma, in realtà, quando mai si è 
                  cercato veramente di farlo?
 Oggi abbiamo delle scadenze che non abbiamo mai avuto nel corso 
                  della nostra storia. Non ho nessuna intenzione di idealizzare 
                  il passato. La storia dellumanità è stata 
                  un susseguirsi ininterrotto di errori ed orrori. Ma ora ci troviamo 
                  in una fase cruciale. Come specie biologica ci stiamo disintegrando. 
                  Ora può accadere da un momento allaltro qualcosa 
                  che non è mai potuto accadere prima nel corso della nostra 
                  storia. Da un momento allaltro possiamo scomparire. Si, 
                  né più né meno che scomparire. Forse la 
                  cosa in sé e per sé non è così tragica 
                  per luniverso. Ma come esseri umani non vogliamo cercare 
                  di impedirlo? La passività è intollerabile. È 
                  intollerabile lidea che dobbiamo scomparire così, 
                  con disinvoltura, mentre siamo ottusamente immersi nella palude 
                  dei nostri stupidi miti consumistici, mentre stiamo al volante 
                  della nostra automobile, per esempio, o davanti al televisore, 
                  magari godendoci leccitante spettacolo dei nostri simili 
                  che muoiono di fame o si scannano in qualche regione del globo.
  Leducazione contro la violenza 
 Non dobbiamo stupirci dellirrazionalità dellessere 
                  umano medio in ogni parte del mondo. In questo senso le differenze 
                  culturali sono spesso, essenzialmente, differenze di irrazionalità. 
                  Ogni cultura umana ha il suo proprio modello di irrazionalità, 
                  elaborato accuratamente ed ostinatamente in tutto il corso della 
                  sua storia. Noi cerchiamo di educare i bambini e gli adolescenti in modo 
                  da farne degli esseri fondamentalmente irrazionali. E le nostre 
                  tecniche pedagogiche sono così efficaci che quasi sempre 
                  i nostri sforzi sono coronati da successo. Non dobbiamo stupirci, 
                  poi, che la maggioranza degli esseri umani rimanga fondamentalmente 
                  irrazionale per il resto della vita, mentre alcuni, i più 
                  intelligenti, passano buona parte della vita a liberarsi dallirrazionalità 
                  che gli è stata ficcata in testa nellinfanzia e 
                  nelladolescenza, in modo da essere capaci di usare bene, 
                  o almeno abbastanza bene, il proprio cervello (Robustelli e 
                  Pagani, 1996).
 Noi ci preoccupiamo di costruire bene le automobili, le autostrade, 
                  i calcolatori, i missili, i satelliti artificiali, ma non ci 
                  preoccupiamo di costruire bene gli esseri umani. Leducazione 
                  contro la violenza è, dunque, uneducazione alla 
                  razionalità, un impegno concreto e responsabile a costruire 
                  esseri umani di buona qualità. La scienza ci fornisce 
                  innumerevoli indicazioni su come raggiungere questo scopo, ma 
                  esse vengono quasi sempre ignorate nella realtà.
 E a questo punto occorre aprire una parentesi sulla scienza, 
                  o meglio sugli scienziati.
 Chi sono esattamente gli scienziati? Nellambito dellattuale 
                  divisione del lavoro dellumanità li si potrebbe 
                  forse definire i professionisti della razionalità. 
                  Essi cercano di capire la realtà, usando la logica ed 
                  una metodologia che gli permette di verificare le ipotesi esplicative 
                  che formulano. Fanno in fondo quello che dovrebbe fare ogni 
                  essere umano in una società più matura di quella 
                  in cui viviamo, più costruttiva, più consapevole 
                  della propria condizione esistenziale.
 Con questo non voglio sostenere che gli scienziati siano dei 
                  superuomini, selezionati fra i rappresentanti migliori della 
                  specie umana. No, niente del genere. Si diventa scienziati, 
                  come si diventa agricoltori, operai, artigiani, impiegati o 
                  poeti, per un concorso di circostanze che si verificano nella 
                  vita, soprattutto nella prima parte della vita, di certi individui. 
                  In molti casi queste circostanze possono riassumersi nel fatto 
                  che le loro famiglie avevano un reddito sufficiente per farli 
                  studiare alluniversità.
 Non voglio neanche sostenere che, comunque ci siano diventati, 
                  una volta scienziati essi costituiscano la parte migliore della 
                  società. Molti scienziati si preoccupano solamente, o 
                  quasi solamente, della loro carriera, cioè del loro prestigio 
                  o del denaro o di entrambi. Sono professionisti dellarrivismo, 
                  quindi, piuttosto che della razionalità. La ricerca scientifica 
                  è per loro solo un pretesto per cercare di emergere, 
                  di prevalere, di dominare, come succede in qualsiasi altra categoria 
                  di lavoratori in questa società basata sulle regole della 
                  competizione. Altri scienziati sono affetti da un attaccamento 
                  troppo individualistico, egocentrico, introverso, al loro lavoro. 
                  Si chiudono nelle loro stanze o nei loro laboratori, ignorando 
                  quello che succede al di fuori. Osservano al microscopio con 
                  estremo interesse lala di una farfalla del tutto insensibili 
                  al fatto che fuori, nella strada, un gruppo di nazisti sta pestando 
                  un ebreo. In termini scientifici si potrebbe dire che cercano 
                  di capire una realtà troppo piccola, troppo circoscritta, 
                  troppo limitata, e questo di fatto significa, sempre in termini 
                  scientifici, che non possono capire niente perché la 
                  realtà è tutta la realtà. Le inevitabili 
                  specializzazioni, per essere proficue, devono in qualche modo 
                  conservare i contatti con la realtà globale. Altrimenti 
                  si hanno scienziati mutilati, ed esseri umani mutilati, spesso 
                  molto dannosi nonostante la loro infantile e nevrotica buona 
                  fede. Ma, infine, ci sono anche gli scienziati che cercano di 
                  influire col loro lavoro sulla qualità della vita di 
                  tutta lumanità, scienziati per cui capire la realtà 
                  significa combattere la sofferenza, migliorare i rapporti fra 
                  gli individui, realizzare tutti quei valori che, a mio parere, 
                  sono inscindibilmente legati alla razionalità, e cioè: 
                  la giustizia, la tolleranza, la solidarietà, la libertà. 
                  Quanti siano questi scienziati non saprei dire, ma senza dubbio 
                  esistono.
 Questa categoria di scienziati è costantemente frustrata 
                  dal senso della propria impotenza. Lo scandalo della scienza 
                  contemporanea, o forse si dovrebbe dire la farsa della scienza 
                  contemporanea, sta proprio in questo: la si considera ufficialmente 
                  la massima espressione della razionalità umana, ma di 
                  fatto, sistematicamente e accuratamente, non si tiene conto 
                  di una parte considerevole di ciò che essa sostiene. 
                  La nostra epoca si distingue da altre epoche per lassai 
                  maggiore patrimonio di conoscenze scientifiche e per la conseguente 
                  assai maggiore tecnologia. Ma è proprio questo che rende 
                  più assurda la nostra situazione. Noi abbiamo tante più 
                  conoscenze delle generazioni precedenti e, spesso, facciamo 
                  di tutto per non applicarle. Noi siamo capaci di andare sulla 
                  luna e tanti esseri umani muoiono ancora di fame esattamente 
                  come nel medioevo.
 Questo, appunto, fa sentire alcuni scienziati impotenti ed inutili. 
                  Essi si chiedono perfino, a volte, a che possono servire ulteriori 
                  ricerche. Sappiamo già molte cose, abbiamo già 
                  molte conoscenze, ma spesso non le traduciamo in azione. In 
                  tale situazione lunico argomento di ricerca opportuno 
                  sarebbe questo: perché non traduciamo in azione quello 
                  che già sappiamo?
 
  Violenza e potere 
 Il pensiero politico ha dato varie risposte a questa domanda. 
                  Personalmente ritengo che si possa riassumere il meglio di queste 
                  risposte nel modo seguente. Nel corso della storia si sono venuti 
                  costituendo a poco a poco complessi di idee che avrebbero potuto 
                  trasformare radicalmente la condizione umana, per esempio mettendo 
                  fine alle guerre, allingiustizia sociale, allignoranza, 
                  alla miseria, ma nello stesso tempo nel corso della storia si 
                  sono venuti costituendo a poco a poco anche gruppi di potere 
                  politico ed economico che hanno avuto interesse a che queste 
                  trasformazioni non avvenissero, che hanno avuto interesse a 
                  che le varie forme della distruttività umana non venissero 
                  superate ed eliminate, e che quindi si sono sistematicamente 
                  opposti a questi complessi di idee. In tale prospettiva leducazione 
                  alla razionalità e contro la violenza va vista come un 
                  processo liberatorio. Essa deve spazzare via tutte le proposte 
                  di modelli di vita antisociali, funzionali solo agli interessi 
                  di chi detiene il potere politico ed economico. Se si vuole veramente educare la gente, di qualsiasi età, 
                  alla razionalità e contro la violenza bisogna eliminare 
                  dallambiente tutti gli agenti dinquinamento mentale, 
                  così come, se si vuole che la gente cresca e viva sana 
                  fisicamente, bisogna eliminare dallambiente tutti gli 
                  agenti dinquinamento fisico. Chi ha il potere ha spesso 
                  interesse a convincere la gente che la violenza è il 
                  solo modo di risolvere i conflitti tra gli individui, come pure 
                  tra gli stati. Lalternativa alla violenza, difatti, è 
                  in genere la discussione, cioè il confronto delle diverse 
                  opinioni, la riflessione, il ragionamento. Ma la discussione, 
                  la riflessione, il ragionamento, sono abitudini pericolose per 
                  chi detiene il potere. Se gli esseri umani imparassero a ragionare 
                  ogni sistema di potere crollerebbe. La razionalità porta 
                  inevitabilmente alla libertà.
 Mi si potrebbe obiettare che i gruppi che detengono il potere 
                  non hanno alcun interesse a predicare la violenza perché 
                  questa potrebbe ritorcersi contro di loro. Ma in generale lindividuo 
                  medio non è in grado di usare la violenza contro il potere. 
                  Difatti, sapendo ragionare poco, non è in grado di individuare 
                  le vere fonti del potere. E poi, soprattutto, per eliminare 
                  i gruppi di potere che dominano una società occorre una 
                  ribellione collettiva, che presuppone la solidarietà 
                  fra gli oppressi, solidarietà molto difficile da ottenere 
                  se la mentalità degli oppressi è stata abilmente 
                  manipolata dai gruppi che detengono il potere con limposizione 
                  di modelli antisociali di rapporti interpersonali.
 I sistemi di potere vanno sostituiti da comunità veramente 
                  democratiche e questo si può ottenere solo costruendo 
                  esseri umani che sappiano usare bene il proprio cervello, maturi, 
                  responsabili, capaci di partecipare concretamente alla cosa 
                  pubblica e capaci di difendere i propri diritti e la propria 
                  libertà contro tutti e contro tutto, se necessario 
                  anche con la violenza. Perché questo deve essere 
                  ben chiaro: leducazione contro la violenza non deve in 
                  nessun caso essere castrazione degli oppressi, rinuncia alle 
                  giuste ribellioni. Cioè, non deve esserci un uso ideologico 
                  delleducazione contro la violenza, ciò che è 
                  già avvenuto nel corso della storia umana. A volte, infatti, 
                  indubbiamente il modello della non violenza, se utilizzato adeguatamente, 
                  può essere altrettanto utile per chi detiene il potere 
                  quanto il modello della violenza. Questo, come ho già 
                  detto, impedisce la solidarietà fra gli oppressi. Il 
                  modello della non violenza, nella sua versione che potremmo 
                  definire dogmatica, cioè tale da favorire unaccettazione 
                  passiva del modello stesso senza le implicazioni che riguardano 
                  lo sviluppo della razionalità, impedisce comunque la 
                  ribellione contro il potere, nei casi appunto in cui questa 
                  ribellione può essere attuata solo con la violenza.
 Un programma di educazione contro la violenza deve basarsi su 
                  un confronto sistematico fra la razionalità scientifica 
                  e il potere politico ed economico. Sulla carta sembrerebbe inevitabile 
                  la sconfitta della razionalità scientifica. Ma se un 
                  numero sufficiente di scienziati in tutto il mondo si unisse 
                  e si mobilitasse, forse questa sconfitta potrebbe non essere 
                  così scontata.
 La situazione mondiale sta peggiorando rapidamente di giorno 
                  in giorno. Guerre, massacri, terrorismo, miseria, razzismo, 
                  disoccupazione, degrado ambientale: queste sono le strutture 
                  portanti delle attuali società umane. Non aspettiamo 
                  passivamente che accada qualcosa di irreparabile. Non aspettiamo 
                  che gli storici del futuro dicano della nostra epoca che cerano 
                  innumerevoli segni chiari ed evidenti di ciò che stava 
                  per succedere e che noi siamo stati così miopi da non 
                  vederli. Daltronde credo che, se continueremo ad essere 
                  miopi, non ci saranno storici del futuro...
  Violenza, razionalità, libertà ed educazione 
 La situazione generale dellumanità potrà 
                  essere veramente cambiata solo con un intervento radicale, che 
                  non può che essere un intervento educativo nel senso 
                  più profondo del termine. Bisogna tentare di sradicare 
                  alla base tutte le tendenze irrazionali e distruttive che le 
                  attuali società umane alimentano copiosamente negli esseri 
                  umani fin dai primi anni di vita. Dobbiamo renderci conto che, attualmente, lo sviluppo mentale 
                  dellessere umano medio non viene plasmato che in piccola 
                  parte dalla scienza, dalla filosofia, dallarte, non viene 
                  plasmato che in piccola parte dagli individui che hanno dato 
                  in passato e danno tuttora un contributo costruttivo alla civiltà 
                  umana. Lo sviluppo mentale dellessere umano medio è 
                  plasmato fondamentalmente dallideologia del consumismo 
                  e dallindottrinamento politico e religioso (che è 
                  in fondo una forma di indottrinamento politico) e il risultato 
                  è, in generale, un essere umano che lavora (quando ha 
                  un lavoro), consuma, cerca spesso di calpestare il prossimo 
                  e soprattutto pensa entro limiti assai ristretti, in 
                  modo appena abbozzato e in ogni caso estremamente ridotto rispetto 
                  alle sue reali possibilità. La civiltà nel senso 
                  più alto è uneredità presente solo 
                  in una irrilevante minoranza di individui. È così 
                  da millenni. Allessere umano medio viene trasmesso, di 
                  generazione in generazione, solo un piccolo quantitativo di 
                  civiltà, il cui effetto è in buona parte annullato 
                  dallenorme diluizione con il liquido del conformismo, 
                  della passività, dellevasione, della deresponsabilizzazione. 
                  La trasmissione della civiltà umana di generazione in 
                  generazione, cioè, è un mito, o meglio un imbroglio. 
                  La maggior parte degli esseri umani non ha mai letto Dante o 
                  Shakespeare, Dostoyevskiy o Kafka, Omar Kayyàm o Lu-Hsün, 
                  non ha mai sentito la musica di Mozart o di Monteverdi, non 
                  ha mai visto un quadro di Van Gogh o di Leonardo, non sa nulla 
                  del pensiero filosofico e della scienza conosce solo gli aspetti 
                  più banali. La maggior parte degli esseri umani è 
                  costituita da individui incompleti, da aborti che non sono mai 
                  riusciti a svilupparsi. Avrebbero potuto essere querce e, invece, 
                  non sono altro che bonsai.
 Il giovane essere umano medio è il protagonista di una 
                  tragedia in un contesto sociale che non è altro che la 
                  fabbrica della stupidità. Nella nostra società 
                  occidentale, per esempio, egli impara a due anni a credere alle 
                  fate e agli orchi. A quattro anni impara ad accendere il televisore. 
                  Quindi, in una società ancora fondamentalmente maschilista 
                  come la nostra, è soprattutto lesemplare di sesso 
                  maschile a percorrere alcune tappe tipiche. A sette anni impara 
                  a giocare a calcio o a baseball. A quattordici anni è 
                  pronto a vendersi lanima per un motorino. A diciotto anni 
                  è pronto a vendersi lanima per unautomobile. 
                  E a questo punto, più o meno, il sacrificio è 
                  consumato, limbecille è completo. Per il resto 
                  della vita potrà solo arricchire la sua imbecillità. 
                  Farà un lavoro da imbecille (3) (anche lei, cioè 
                  lesemplare di sesso femminile). Si sposerà (anche 
                  lei) e metterà al mondo altri futuri imbecilli come lui 
                  (come lei). Farà la guerra (lui di solito), ammazzando 
                  gli altri e facendosi ammazzare, pensando di difendere la patria, 
                  la libertà e soprattutto la pace.
 Quando penso ai bambini penso ai Prigioni di Michelangelo. 
                  Forme stupende che stanno per liberarsi dal marmo. Purtroppo 
                  i bambini sono scolpiti non da Michelangelo ma dalla società. 
                  Invece delle forme stupende che potrebbero uscir fuori dalla 
                  materia amorfa la società produce miserabili aborti infarciti 
                  di stupidità. Sempre più spesso mi chiedo che 
                  cosa potrebbe diventare un essere umano in condizioni diverse, 
                  e soprattutto che cosa potrebbe diventare lumanità.
 E questi aborti, naturalmente, sono spesso violenti perché 
                  il complesso macchinario che li ha prodotti è programmato 
                  per produrre violenza. Abbiamo già visto a chi giova 
                  la violenza.
 Dobbiamo realisticamente renderci conto che ciò che caratterizza 
                  una società non è mai casuale. Soprattutto i fenomeni 
                  sociali più importanti sono lespressione di bisogni, 
                  di interessi, di volontà ben definiti, spesso invisibili 
                  o mascherati per lindividuo medio, ma sempre operanti 
                  in modo sistematico e inesorabile. Se la violenza è il 
                  contrario della cooperazione e se la cooperazione è un 
                  modo razionale, costruttivo, utile, di regolare i rapporti umani, 
                  allora vuol dire che deve esserci qualcosa nelle società 
                  umane che non vuole che gli individui cooperino fra di loro, 
                  che non vuole che i loro rapporti siano regolati in modo razionale, 
                  costruttivo, utile (utile per tutti, naturalmente), qualcosa 
                  che ha bisogno del disaccordo degli individui, della loro ostilità 
                  reciproca, della loro divisione, per conservarsi, per sopravvivere. 
                  Divide et impera. Questo qualcosa, lho già 
                  detto, è evidentemente il potere, in tutte le sue forme, 
                  il vertice marcio di tutte le marce piramidi sociali, il fiore 
                  venefico che prospera sul letamaio della disuguaglianza, dellingiustizia, 
                  dellignoranza, delloppressione, dello sfruttamento.
 Il millenario conflitto che, in forme più o meno indirette 
                  e più o meno manifeste, caratterizza buona parte della 
                  storia umana, è fra un tipo di società strutturata 
                  secondo rapporti di potere, in cui chi detiene il potere pensa 
                  prevalentemente ai propri interessi, e un tipo di società 
                  composta da individui liberi, maturi, responsabili, che si organizzano 
                  secondo criteri che essi stessi scelgono e che sono utili per 
                  tutti. In questa prospettiva le democrazie storiche non 
                  sono altro che abili tentativi di perpetuare il primo tipo di 
                  società dando limpressione che si tratti del secondo 
                  tipo.
 Solo individui liberi, maturi, responsabili, possono costruire 
                  una società senza rapporti di potere. Il problema naturalmente 
                  è: come formare individui liberi, maturi, responsabili, 
                  in una società in cui il potere condiziona inesorabilmente 
                  tutto il processo di formazione dellindividuo? Nessuna 
                  concezione politica, finora, ha saputo risolvere questo problema.
 Il condizionamento sociale impone schemi culturali che influenzano 
                  i processi di socializzazione e lo sviluppo della personalità. 
                  Il condizionamento sociale abitua gli individui a seguire certe 
                  strade ed essi spesso le percorrono senza spirito critico, senza 
                  chiedersi chi le ha tracciate e perché, e dove portano. 
                  Le percorrono passivamente come treni sulle rotaie.
 Il condizionamento sociale è pesante con gli adulti. 
                  Con i bambini, per ovvie ragioni, è pesantissimo, quasi 
                  senza possibilità di salvezza. I sentieri che vengono 
                  percorsi sistematicamente fin dalla prima infanzia si scavano 
                  profondamente nel terreno, diventano col tempo fossati con pareti 
                  sempre più alte dai quali è sempre più 
                  difficile uscire.
 Bisogna affermare fino in fondo il principio che i bambini 
                  non sono una proprietà di nessuno (né dei loro 
                  genitori, né degli stati, né delle chiese, né 
                  dei gruppi industriali e commerciali) ma esseri umani che fin 
                  dalla loro nascita hanno certi diritti di cui nessuno può 
                  privarli. E il loro primo diritto è quello di ricevere 
                  uneducazione che sviluppi al massimo la loro razionalità. 
                  Niente precoci indottrinamenti politici o religiosi, quindi, 
                  che creino nei loro cervelli schemi rigidi che non potranno 
                  in seguito non condizionare lelaborazione cognitiva della 
                  maggior parte dei loro rapporti con la realtà. I dogmatismi 
                  politici e religiosi sono agenti fortemente patogeni per lo 
                  sviluppo della razionalità. E, naturalmente, niente precoci 
                  indottrinamenti commerciali tesi solo ad ottenere meschini, 
                  ottusi, disumani, consumatori ideali. Ad ogni bambino, insomma, 
                  deve assolutamente essere garantita la libertà di imparare 
                  a pensare. Tutto il resto viene di conseguenza.
  La responsabilità degli scienziati 
 E, per concludere, torniamo a quello che ho prima definito 
                  lo scandalo, o la farsa, della scienza contemporanea. La scienza 
                  continua ad accumulare risultati che non vengono utilizzati. 
                  Per esempio, è stato dimostrato che i gas di scarico 
                  delle automobili nuocciono alla salute ed è stata spiegata 
                  la dinamica dellinduzione dei bisogni da parte della pubblicità 
                  commerciale. Ma a che è servito? Laria delle città 
                  continua ad essere inquinata e la gente continua ad essere in 
                  balìa dei bisogni indotti dalla pubblicità commerciale. 
                  Lindustria deve vendere i suoi prodotti e gli esseri umani 
                  vengono allevati in modo da sentire prima che sia possibile 
                  e con la massima intensità possibile il bisogno di questi 
                  prodotti. Cè qualche psicologo nel mondo che pensi che lesposizione 
                  quotidiana di un bambino ad ore di stupidi spot pubblicitari 
                  televisivi possa facilitare il suo sviluppo intellettuale? Cè 
                  qualche psicologo nel mondo che pensi che lesposizione 
                  quotidiana di un bambino ai pugni, ai calci, agli spari, al 
                  sangue, alla prepotenza, al sadismo di tanti film possa facilitare 
                  lo sviluppo della sua tendenza alla cooperazione, alla solidarietà, 
                  alla comprensione, alla tolleranza? Eppure i bambini dei paesi 
                  industrializzati continuano a passare molte ore ogni giorno 
                  davanti al televisore nutrendosi di stupidità e di violenza. 
                  A che sono servite tante ricerche, tanti risultati? Viene sistematicamente 
                  neutralizzato quasi tutto il potenziale di trasformazione sociale 
                  che è implicito in ogni aumento delle conoscenze.
 Se vogliamo che la razionalità scientifica possa efficacemente 
                  svolgere la sua funzione nella società dobbiamo come 
                  scienziati cercare di superare la nostra tradizionale astrattezza, 
                  la nostra tradizionale inconcludenza. Dobbiamo fare in modo 
                  che le nostre proposte non rimangano limitate alle situazioni 
                  accademiche, cioè ai congressi, alle riviste specializzate, 
                  alle conferenze e ai seminari nelle università. Dobbiamo 
                  mettere al centro della nostra attività un impegno politico 
                  concreto, realistico, deciso. Dobbiamo renderci conto che lanalisi 
                  scientifica deve compenetrarsi con lanalisi politica o 
                  meglio che il momento politico dellanalisi deve costituire 
                  un nucleo centrale di aggregazione di vari tipi di analisi scientifica, 
                  di volta in volta individuabili sulla base delle caratteristiche 
                  dello specifico problema che si intende affrontare.
 Credo che andrebbe promosso un movimento internazionale di mobilitazione 
                  di tutti gli scienziati che siano disposti a mettere le loro 
                  conoscenze e la loro esperienza al servizio di un tipo di intervento 
                  che potrebbe dare un contributo determinante alla soluzione 
                  di molti fondamentali problemi delle attuali società 
                  umane. Questo intervento deve consistere, come ho già 
                  detto, in un sistematico confronto fra il potere e la razionalità 
                  scientifica. Bisogna trovare il modo di istituzionalizzare il 
                  trasferimento delle conoscenze scientifiche nella realtà 
                  sociale, soprattutto nel campo delleducazione.
 Non pretendo che questa sia unidea rivoluzionaria. Non 
                  pretendo, naturalmente, che in questo modo si possano radicalmente 
                  cambiare le società umane. Ma, nella situazione tragica 
                  in cui ci troviamo, dobbiamo tentare di utilizzare tutti gli 
                  spazi disponibili. E questo è uno degli spazi disponibili. 
                  In questa direzione si possono forse fare dei passi avanti.
 Lirrazionalità del potere lo condanna inesorabilmente 
                  a porre le sue radici su un terreno di contraddizioni. Su queste 
                  contraddizioni si può fare leva per tentare di trasformare 
                  le strutture sociali.
 Daltronde gli scienziati non sono soli. Possono contare 
                  sulla collaborazione di una parte dellumanità che 
                  è certamente minoritaria ma che altrettanto certamente 
                  è la parte migliore. La fabbrica della stupidità 
                  non è infallibile. Di tanto in tanto la catena di montaggio 
                  non funziona e il prodotto finale è fornito di una mente 
                  libera che non era assolutamente prevista nel piano di produzione. 
                  Lo sviluppo della personalità umana è il processo 
                  più complesso che conosciamo e il condizionamento sociale, 
                  per quanto preciso, rigoroso, spietato, non riesce sempre a 
                  controllare tutti gli elementi di questo processo. Nel mondo 
                  ci sono anche esseri umani ben riusciti, che in qualche modo 
                  si sono sottratti alle pressioni fondamentali del condizionamento 
                  sociale. Di solito vagano come ombre in un mondo che sentono 
                  estraneo ma che è comunque il loro mondo ed essi saranno 
                  ben lieti di mobilitarsi per salvarlo dalla catastrofe e per 
                  viverci senza sentirsi alienati. Inoltre, per quanto scarse 
                  siano le capacità cognitive dellessere umano medio 
                  cè spesso in lui un qualche elemento positivo, 
                  negli strati profondi della sua personalità, su cui si 
                  può intervenire per cercare di dare lavvio ad un 
                  processo, inevitabilmente lento e faticoso, che in alcuni casi 
                  porta ad un superamento, almeno parziale, della sua stupidità. 
                  Qualche volta si può persino verificare un miracolo. 
                  Per quanto negativo sia il punto di partenza, a qualsiasi età, 
                  un essere umano può trasformarsi in qualcosa di diverso 
                  da quello che era, se riceve le stimolazioni adatte.
 
  Educazione e politica 
 Non dobbiamo, quindi, dimenticare che il processo educativo 
                  non si svolge nel vuoto. Esso si svolge allinterno della 
                  trama concreta di tutti i rapporti sociali e politici che caratterizzano 
                  la vita delle società umane. Non possiamo parlare di 
                  educazione se non nel contesto più vasto di tutti questi 
                  rapporti. Leducazione contro la violenza non deve essere considerata 
                  un compito isolato nellambito di organizzazioni sociali 
                  che di fatto la ignorano. Per questo non ci si può limitare 
                  ad interventi di tipo psicoterapeutico, soprattutto quando si 
                  tratta di violenza giovanile. Degli interventi di tipo psicoterapeutico 
                  può beneficiare solo un numero ristretto di soggetti 
                  che peraltro, qualunque sia il risultato di questi interventi, 
                  continuano a vivere in un ambiente sociale immutato, lo stesso 
                  che ha prodotto la loro violenza e che presumibilmente ha buone 
                  possibilità di riprodurla. Non si può per leternità 
                  intervenire su una percentuale minima dei soggetti violenti 
                  che lambiente sociale sistematicamente produce. È 
                  una battaglia persa in partenza. Bisogna cambiare le basi dellambiente 
                  sociale, adottando quindi soluzioni politiche e non psicoterapeutiche.
 Insomma, leducazione contro la violenza può essere 
                  efficace solo se si esplica allinterno di una situazione 
                  sociale generale dinamica che si muova tutta intera nella direzione 
                  di una socialità che si basi su rapporti umani non violenti. 
                  Il circoscrivere in qualsiasi modo leducazione contro 
                  la violenza, facendone unattività isolata e lasciando 
                  tutto il resto intatto, è un ottimo sistema per neutralizzarne 
                  lefficacia.
 La violenza, e la violenza giovanile in particolare, non è 
                  una malattia. È la logica conseguenza, la conseguenza 
                  più probabile, dellambiente culturale in cui la 
                  gente vive e cresce. O, se proprio in ogni caso la si vuole 
                  considerare una malattia, è lambiente culturale 
                  che ininterrottamente produce i germi patogeni di questa malattia. 
                  Questa tesi è tuttaltro che nuova. Anzi, è 
                  tanto vecchia ed è stata riproposta tante volte che è 
                  diventata una specie di ossessione. Rimane il fatto che lumanità 
                  continua a non muoversi nella direzione suggerita da questa 
                  tesi.
 Ci piacciano o meno le ossessioni, quindi, dobbiamo avere ben 
                  chiaro questo punto: un processo educativo concreto implica 
                  la modificazione del contesto sociale in cui gli individui vivono 
                  e sono educati. In questa prospettiva leducazione è 
                  indissolubilmente legata allazione politica intesa nel 
                  senso più vasto e più profondo.
  Francesco Robustelli
 
                  
                       
                        | BibliografiaAdams, 
                            D. (ed.) (1991). The Seville Statement on Violence. 
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                            Il dibattito sulla sociobiologia. Roma: Istituto 
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                            Appleton Century Crofts.
 Note1. 
                            Ho anche realizzato con alcuni collaboratori un sito 
                            web per illustrare un progetto di ricerca e di formazione, 
                            di cui sono il responsabile, sulleducazione 
                            contro la violenza secondo gli orientamenti della 
                            Dichiarazione di Siviglia. Lindirizzo 
                            del sito è: http://wwwistc.ip.rm.cnr.it/seville.
 2. Le townships sono agglomerati urbani dove vive 
                            una parte della popolazione negra sudafricana, spesso 
                            in condizioni di miseria difficilmente immaginabili.
 3. Con lattuale divisione del lavoro quasi tutti 
                            i lavori sono alienanti.
 |    
                      
                         
                          | Francesco 
                              Robustelli è Incaricato di Ricerca presso 
                              lIstituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione 
                              del CNR. È Libero Docente in Psicologia. 
                              È stato Research Associate presso lAlbert 
                              Einstein College of Medicine della Yeshiva University 
                              di New York, docente di Psicologia comparata presso 
                              lUniversità La Sapienza 
                              di Roma e Dirigente di Ricerca presso lIstituto 
                              di Psicologia del CNR. Ha condotto ricerche nel 
                              campo della psicologia comparata, della memoria, 
                              dellapprendimento, dei rapporti fra evoluzione 
                              biologica ed evoluzione culturale, degli atteggiamenti 
                              nei riguardi della morte, del disagio psicologico 
                              dei pazienti nel servizio sanitario pubblico e dellaggressività. 
                              È il rappresentante per lItalia di 
                              una rete internazionale dellUNESCO per leducazione 
                              contro la violenza.  |  |