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                  «bellissima studentessa, intrigante, vogliosa», 
                  che «cerca uomo per sesso sfrenato» e la «supermaggiorata, 
                  studentessa di giorno, calda, disinibita piccante la sera» 
                  che hanno messo, a pagamento, un annuncio sulle pagine de «La 
                  Gazzetta dello Sport» di martedì 16 dicembre 2003 
                  hanno scelto entrambe di chiamarsi «Alice».  
                  Da quel 1865 in cui Lewis Carroll (pseudonimo, arrangiamento 
                  dei due nomi propri di Clarles Lutwidge Dodgson) pubblica Alice 
                  nel paese delle meraviglie dopo aver rielaborato un 
                  racconto estemporaneo – improvvisato durante una gita 
                  in barca – fatto a tre ragazzine, figlie di H. G. Liddell 
                  (quello del dizionario di greco antico «Liddell-Scott»), 
                  Lorina Charlotte, Edith e, per l’appunto, l’Alice 
                  «in oggetto», il nome del personaggio ha riscosso 
                  il plauso popolare e si sono moltiplicate le persone e le cose 
                  – nel senso più ampio e più vago – 
                  meritevoli di portarlo.  
                  Da una rapida scorsa, fra Internet ed enciclopedie varie, infatti, 
                  risulta che, oggi, il nome è assegnato a: un’offerta 
                  di «banda larga» della Telecom, una cantante, un 
                  sito di notizie editoriali, un sito della Columbia University 
                  sulle questioni di cuore, una fondazione sull’intelligenza 
                  artificiale, un programma di grafica 3D interattivo, una società 
                  per l’Arte Elettronica, una società per la vendita 
                  on line di oggetti «romantici», un personaggio di 
                  un fumetto, un servizio della Federazione svizzera per l’educazione 
                  degli adulti, una o più radio, un canale satellitare 
                  sul buon gusto dell’abitare e del mangiare, un sito per 
                  il turismo in Australia, una lettrice di tarocchi, una sperimentazione 
                  didattica, un servizio di consulenza per i lavori atipici (chi 
                  sa cosa siano), una canzone di Tom Waits (su cui torneremo), 
                  siti vari, giornali e romanzi (fra cui una «Alice cibernetica») 
                  e quattro toponimi italici, Alice Bel Colle, comune in provincia 
                  di Alessandrina, Alice Superiore, comune in provincia di Torino, 
                  Alice Castello, comune in provincia di Vicenza e Punta Alice, 
                  che dovrebbe designare la località di un campeggio sulla 
                  costa ionica, presso Cirò Marina.  
                  Il cinema, ovviamente, non si è tirato indietro. All’Alice 
                  disneyana, se ne sono aggiunte molte altre: Woody Allen, Wim 
                  Wenders, Arthur Penn e Martin Scorsese, per citare esempi di 
                  prestigio, hanno utilizzato il nome nel titolo di un loro film. 
                   
                  Allorquando ci si trova di fronte a processi di replicazione, 
                  tuttavia, occorrerebbe sempre ricordarsi di ciò che accade 
                  alle fotocopie. Se si prosegue a fotocopiare il risultato della 
                  fotocopia medesima, si arriva, prima o poi, ad un risultato 
                  che soltanto alla lontana ricorderà l’originale 
                  – alla fine, anzi, lo perderà del tutto.  
                  Nel caso di un personaggio romanzesco, le cose vanno in modo 
                  leggermente diverso, perché, bene o male, l’autore 
                  farà sempre in modo, consapevolmente o meno, che qualcosa 
                  rimanga.  
                  Un’analisi anche superficiale del personaggio di Lewis 
                  Carroll non fatica a mettere in evidenza alcuni caratteri che, 
                  per così dire, ne costituiscono il paradigma: il sesso, 
                  l’età, la curiosità, la disposizione d’animo 
                  ad accettare il meraviglioso, lo strampalato e l’apparentemente 
                  illogico o il contraddittorio, la fiduciosa prontezza all’esperienza 
                  diretta (Alice mangia torte o beve liquori di dubbia provenienza, 
                  per esempio), l’anticonvenzionalità, la spregiudicatezza, 
                  la trasgressività.  
                  L’etimo, d’altronde, misterioso come tutti gli etimi 
                  che si rispettino – «aletheia», in greco – 
                  vorrebbe che fosse «sincera» (o «aliké», 
                  nel senso poco opportuno in questo caso di «creatura del 
                  mare», come un’alice; d’altronde Alice è 
                  una ninfa marina, una delle cinquanta figlie di Dori, sorella 
                  e – anche qui, alla faccia della morale più corrente 
                  – al contempo moglie del dio marino Nereo – da cui, 
                  per l’appunto, le Nereidi).  
                  Potremmo dunque concluderne che sono questi singoli costituenti, 
                  presi uno ad uno o associati variamente fra loro, a venir manipolati 
                  nei successivi processi di clonazione. Il personaggio «madre» 
                  figlia così. Il che, in certi casi, può anche 
                  costituire una spiegazione esauriente.  
                  Non, a mio avviso, nel caso di Alice – dove non si spiegherebbe 
                  tutta l’insistenza odierna sulla malizia di ordine sessuale. 
                   
                  Una breve indagine storica può condurre ad un meccanismo 
                  ulteriore. Qualche anno prima di scrivere Alice, 
                  lo scrittore, logico e matematico, Lewis Carroll, piuttosto 
                  sorprendentemente, prima prende i voti e, poi, si fa ordinare 
                  sacerdote. Con qualche mania non propriamente innocente. Fotografa 
                  bambine. Anche nude. Non solo: arriva al punto di chiedere in 
                  moglie l’Alice che gli ispira il racconto. Ovvio che venga 
                  cacciato a male parole dai genitori e che le voci circolino. 
                  Non a caso, Carroll, nel 1867, parte per un viaggio in Russia. 
                  Quando Tom Waits canta di Alice, non a caso, sta parlando di 
                  Alice Liddell, che, come bambina in carne ed ossa, resta in 
                  credito perenne nei confronti del suo personaggio.  
                  Sulle Alici successive, dunque, piovono parecchi residui che, 
                  più che al personaggio, pertengono al suo autore, il 
                  cui stato «sessuale» non poteva essere socialmente 
                  accetto. Ai caratteri del «prototipo» si aggiunge 
                  qualcosa che del prototipo non fa parte, ma fa parte, invece, 
                  della considerazione morale assegnata collettivamente al suo 
                  inventore. La parte più cospicua della malizia rimasta 
                  appiccicata sulla sua eroina, proviene in realtà da investimenti 
                  ideologici che, in quanto personaggio, la riguardano poco o 
                  nulla.  
                  
                  Felice Accame 
                
                P.s.: L’ultima Alice ambulante è quella di Gianni 
                  Pettenati (Alice se ne va, Asefi editore, Milano 
                  2003), che, ripiegata per una volta la sua «bandiera gialla» 
                  (una canzone che lo ha contrassegnato come personaggio più 
                  di quanto la prima Alice abbia contrassegnato tutte le successive), 
                  scrive una commedia in versi. Nel suo caso, i tratti salvati 
                  di Alice sono quelli essenzialmente simbolici di uno scontro 
                  frontale fra un sistema di valori aperto, come quello di un’infanzia 
                  non ingenua ma desiderosa di sincerità, e un sistema 
                  di valori chiuso, come quello di un’età adulta, 
                  gravida di contraddizioni e incapace di assumersene le responsabilità. 
                  Il risultato è un sorriso scettico che non promette nulla 
                  di buono per le prossime generazioni di Alici.  
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