  
                
  
				Sensi di colpa 
                  
                  “Il principio è: se qualcuno attacca noi o i 
                  nostri alleati, si tratta di terrorismo. Se invece siamo noi 
                  o i nostri alleati a eseguire atti spesso molto peggiori di 
                  quelli che hanno colpito noi, allora si tratta di controterrorismo 
                  o di guerra giusta”. 
                  (Noam Chomsky, Power and Terror, post 9/11 talks, Seven 
                  Stories press, New York, 2003) 
                   
                  Credo che la vita di ognuno di noi venga segnata, più 
                  o meno consapevolmente, da certi avvenimenti storici che hanno 
                  incrociato la nostra personale vicenda umana. Per i miei nonni 
                  fu la maledetta grande guerra, per i genitori il fascismo, la 
                  seconda guerra mondiale, la resistenza. E io? Sono tante le 
                  vicende storiche che si sono intrecciate con la mia vita ma 
                  una che mi ha segnato profondamente è stata la guerra 
                  che, nel 1991, incendiò il Golfo Persico. Ricordo il 
                  senso di smarrimento che mi pervase di fronte agli avvenimenti 
                  che correvano veloci, amari e inarrestabili. Per poche settimane 
                  è stato un sentimento condiviso con decine di migliaia 
                  di altri concittadini che vedevano, per la prima volta dal dopoguerra, 
                  l'Italia direttamente coinvolta in un conflitto armato. 
                  Chi c'era ricorderà: momenti di isteria collettiva, folle 
                  che invasero i supermercati per fare scorte alimentari e tante 
                  marce per la pace con le quali, in molti, consumammo voce, scarpe 
                  e selciati, nella vana speranza di far riflettere i politici 
                  che correvano verso il baratro. Prima di allora avevo nutrito 
                  l'ingenua convinzione che la guerra guerreggiata fosse, per 
                  l'Italia, un ricordo del passato. In quei giorni, però, 
                  tornò con forza nell'orizzonte del possibile, col suo 
                  carico di crudeltà e stupidi eroismi. I Tornado 
                  italiani cominciarono a sfrecciare sui cieli dell'Iraq, sganciando 
                  il loro carico di morte e mi fu subito chiaro che qualcosa di 
                  irreparabile stava accadendo. In quei giorni, assieme a mia 
                  moglie e ad alcuni amici, fui anche “identificato” 
                  dalla polizia per aver appeso, alla finestra dell'associazione 
                  di volontariato per cui operavamo, uno striscione su cui era 
                  scritto L'Italia ripudia la guerra. Il dissenso non era 
                  gradito, nemmeno quello espresso con le parole della Costituzione: 
                  ancora non erano scoppiate le ostilità e già ci 
                  trattavano come traditori della patria. 
                
                   
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                    |   New York (USA) - Centro di reclutamento delle forze armate a Times Square  | 
                   
                  
                Bombardamenti chirurgici e danni collaterali 
                L'Italia entrava in guerra senza nemmeno dichiararla: questo 
                  pensiero non mi lasciò in pace per molti mesi a venire. 
                  Per settimane, ossessivamente, non potei fare altro che marciare, 
                  protestare e discutere animatamente. Molti sembravano invece 
                  aver metabolizzato rapidamente gli eventi e avevano deciso di 
                  credere alle fandonie dell'armamentario propagandistico esibito 
                  in quei giorni, dai bombardamenti chirurgici ai danni 
                  collaterali. 
                  Le proteste cominciarono a scemare non appena si capì 
                  che l'Italia non avrebbe subito conseguenze pratiche sul suo 
                  territorio, che i giovani non sarebbero stati reclutati per 
                  andare a combattere nel deserto, che le merci non sarebbero 
                  state razionate e che, insomma, la vita sarebbe proseguita normalmente, 
                  anche se i nostri aerei lanciavano missili su un paese che non 
                  ci aveva fatto nulla e che la maggior parte di noi faceva fatica 
                  a individuare sulla carta geografica. Si smise di marciare e 
                  si preferì accendere la TV per guardare, affascinati, 
                  le immagini delle prime bombe che cadevano su Baghdad, i servizi 
                  senza storia della CNN e le facce ributtanti dei generali americani 
                  che sciorinavano i loro press release. La maggioranza 
                  si tranquillizzò, anzi, s'inorgoglì: anche l'Italia 
                  dava il suo contributo alla causa e due piccoli eroi tricolore 
                  erano tornati miracolosamente vivi dal disastro del loro bombardiere 
                  abbattuto.1 Nessuno sembrava 
                  più preoccuparsi dei morti e ben pochi alzarono la voce 
                  anche dopo, contro lo sterminio silenzioso e terribile che fece 
                  seguito a quel conflitto, con le sanzioni crudeli che colpirono 
                  per anni il popolo iracheno. La conta dei nemici caduti non 
                  la fecero mai2 anche se, dopo, 
                  gli episodi raccapriccianti sono venuti fuori, come il bombardamento 
                  inutile e senza pietà di una colonna nemica in rotta 
                  o le trincee nel deserto ricoperte di sabbia per seppellire 
                  vivi i soldati iracheni. Episodi utili a ricordarci che una 
                  guerra pulita non esiste. Ma in TV non si era visto nemmeno 
                  un cadavere e quando le atrocità vennero a galla non 
                  importava più niente a nessuno. 
                  La vergogna di quei giorni non mi ha più lasciato. Da 
                  allora l'Italia ha mutato il proprio modello di difesa e i nostri 
                  militari partecipano a missioni cosiddette umanitarie, mascherati 
                  da agenti di pace. Non più difesa dei confini, ma degli 
                  interessi nazionali e, violando la Costituzione, le guerre le 
                  facciamo, senza nominarle. Aveva ragione Quasimodo: sei ancora 
                  quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. 
                  Non siamo riusciti ad impedire questo dramma e io me ne sento 
                  personalmente responsabile. 
                  Sono pensieri che mi arrovellano da anni e me li sono ritrovati 
                  addosso, assieme a domande nuove, da quando vivo negli Stati 
                  Uniti. Sì, perché mi chiedo: se io mi sento responsabile 
                  per le nostre piccole avventure militari, come fanno gli americani, 
                  che amano la libertà e credono nella democrazia, a sopportare 
                  il peso di tutte le loro guerre, che sono costate al mondo milioni 
                  di morti e indicibili sofferenze? Come è possibile vivere 
                  con questo peso addosso, trascinare la propria vita da un giorno 
                  all'altro senza mai sentire la necessità di ribellarsi? 
                  Si può vivere nell'indifferenza? 
                  Lasciamo da parte per un momento i massacri del passato, dalla 
                  conquista del west, alla morte nucleare sul Giappone: le generazioni 
                  del dopoguerra in fondo non sono colpevoli di quella storia. 
                  Ma i sette decenni che ci separano dalla fine del secondo conflitto 
                  mondiale hanno visto l'America distruggere, bombardare, tramare, 
                  scatenare guerre sanguinose e brutali, sperimentare armi nuove 
                  sempre più orribili, finanziare signori della guerra 
                  e regimi crudeli, fomentare disordini e colpi di stato, sostenere 
                  guerriglie reazionarie, scalzare governi democratici, fino all'ultimo 
                  ritrovato: i droni che piombano su villaggi lontani e sperduti 
                  terrorizzando intere popolazioni. Come accettano gli americani 
                  tutto questo? Con docilità, con indifferenza. È 
                  una terra libera e libero è il pensiero, ma la maggioranza 
                  è addomesticata, preferisce non approfondire, non sapere 
                  che questo modello di vita lo si paga col sangue di milioni 
                  di esseri umani. 
                  Molti anni fa provai a discuterne con una turista americana 
                  incontrata sul treno. Domanda ingenua e diretta: “perché 
                  lo fate”? La ragazza mi guardò sorpresa. Risposta 
                  ingenua e diretta: to help, per aiutare. Secondo lei 
                  l'America invadeva e bombardava spinta da genuino altruismo. 
                  Non ci fu modo di scalfire quella convinzione anzi, la sua meraviglia 
                  era grande: come potevo non capire? 
                
                   
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                    |   Boston (USA) - Le piastrine di riconoscimento dei soldati caduti in guerra al Boston Memorial Garden  | 
                   
                  
                Vivere con questo peso addosso 
                Recentemente ho provato a parlarne con Barbara, una donna mite 
                  del Colorado, terra di importanti basi militari. Ha lavorato 
                  a lungo per l'esercito come esperta informatica. Quando le ho 
                  detto che non avrei mai potuto farlo, perché per me sarebbe 
                  come prender parte alla carneficina, non mi ha capito. “It 
                  was a great job”5, è 
                  stata la risposta. 
                  Non posso domandare a tutti gli americani che incontro cosa 
                  ne pensano delle loro guerre, ma in uno studio molto serio del 
                  2002 ho trovato questo passaggio illuminante: “Gli americani 
                  non sono consapevoli di quale sia l'impatto della loro cultura 
                  e delle scelte dei loro governi sul resto del mondo. La vasta 
                  maggioranza non crede che l'America abbia fatto o possa fare 
                  qualcosa di male”.6 L'America 
                  resta, per la maggior parte dei suoi cittadini, un'eccezione 
                  storica, che non ha ragione di essere criticata.7 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Boston (USA), Boston Memorial Day, 30 maggio 2016 - Un mare di bandiere, una per ogni soldato del Massachussets caduto in guerra  | 
                   
                  
                Perché l'attacco all'istruzione pubblica 
                È una follia. Ma posso davvero essere critico? Quanto 
                  ci abbiamo messo noi italiani ad abituarci alla guerra tornata 
                  nella nostra quotidianità? È bastato poco per 
                  farci accettare le nostre nuove missioni: Iraq, Afghanistan, 
                  Kosovo... anche noi facciamo le guerre per aiutare. Rassicurati 
                  dalla propaganda e addormentati dal benessere facciamo finta 
                  di crederci o ci crediamo davvero. Come gli americani. 
                  C'è chi resiste, si batte, denuncia. Uno dei più 
                  noti a livello internazionale è Noam Chomsky che, già 
                  alla fine del conflitto in Indocina, commentò con rabbiosa 
                  ironia: “abbiamo realizzato la nostra missione di portare 
                  stabilità e libertà distruggendo tre paesi e lasciando 
                  sul terreno milioni di cadaveri”. È dal suo scrupoloso, 
                  ossessivo lavoro di ricerca che possiamo meglio comprendere 
                  l'atteggiamento della maggioranza. 
                  Chomsky sostiene che l'istruzione pubblica qui è sotto 
                  attacco da quarant'anni perché, per la classe dirigente, 
                  rappresenta il vero pericolo, l'ostacolo alla formazione del 
                  consenso. È nei campus universitari che, negli anni sessanta, 
                  sono nate le lotte per i diritti civili, il femminismo, il movimento 
                  contro la guerra e per questo, da allora, l'impegno del potere 
                  per trasformare le scuole pubbliche in centri di indottrinamento 
                  non è mai cessato. Secondo Chomsky due sono stati gli 
                  strumenti utilizzati per impedire che scuole e università 
                  continuassero ad essere fucine di pensiero e di protesta: da 
                  una parte il taglio del finanziamento pubblico e la contestuale 
                  apertura a quello privato, con la conseguenza di piegare le 
                  università alle necessità delle aziende che le 
                  sponsorizzano; dall'altra l'aumento vertiginoso delle tasse, 
                  che ha spostato il costo dell'istruzione universitaria quasi 
                  interamente sugli studenti, costringendo le famiglie a indebitarsi 
                  per far studiare i figli. I giovani devono lavorare duramente 
                  per ripagare il debito accumulato durante gli studi e di tempo 
                  per protestare non ne è rimasto. 
                  Ma le cose possono cambiare: arrivano quei momenti della storia 
                  che si intrecciano con la propria vicenda personale, riempiono 
                  di indignazione e ti costringono a pensare, ad agire. Nel febbraio 
                  2003 milioni di persone in tutto il mondo hanno protestato contro 
                  l'imminente guerra in Iraq: centinaia di migliaia anche qui, 
                  negli USA. Non accadeva dai tempi del Vietnam. Nel 2011 Occupy 
                  Wall Street ha fatto tremare il mondo della finanza: una ribellione 
                  senza precedenti nel cuore dell'impero che ha impressionato 
                  il mondo, un virus che prima di placarsi, si è propagato 
                  rapidamente da New York a Boston, Philadelphia, Chicago. Era 
                  la fiamma illusoria di una candela che si è consumata 
                  fino in fondo? O è fuoco che cova sotto la cenere? Difficile 
                  dirlo. “Non abbiamo capito cosa volevano” dice la 
                  gente qui, mentre se ne va per la sua strada. Quella folla multicolore 
                  che per due mesi ha occupato lo Zuccotti Park, nel cuore del 
                  distretto finanziario di New York, proclamando: “siamo 
                  il 99%” è già un ricordo sbiadito. Ma le 
                  motivazioni che hanno ispirato quella lotta sono ancora valide 
                  e chissà che il novantanove percento non torni un giorno, 
                  con nuove idee, a occupare le piazze. 
                  Per prendere coscienza della realtà qui la gente dovrebbe 
                  leggersi la storia degli USA scritta da Howard Zinn8, 
                  grande intellettuale e attivista che ha dedicato tutta la vita 
                  a smascherare l'imperialismo guerrafondaio. Nel 1943 Zinn si 
                  arruolò volontario nell'aviazione per combattere il nazifascismo 
                  e scaricò a lungo la morte dal cielo volando sull'Europa. 
                  Dalle successive, dolorose riflessioni su quell'esperienza nacque 
                  il suo instancabile impegno contro ogni guerra.9 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   New York (USA), Museum of The City - Il manifesto pro guerra in Vietnam firmato dai Giovani americani per la libertà recita “Ditelo ad Hanoi”  | 
                   
                  
                Defezioni tra le fila dell'esercito 
                “Dobbiamo tutti impegnarci a diffondere la verità”, 
                  disse Zinn nel 2005 in una conversazione organizzata a Roma 
                  da Emergency. “Dobbiamo smascherare le vere motivazioni 
                  dei politici, mostrare le connessioni col potere aziendale, 
                  mostrare come dalla morte e dalla sofferenza vengano enormi 
                  profitti. L'Iraq non è stato invaso solo dai nostri soldati 
                  ma anche dalle grandi corporazioni, da Halliburton e Betchel10 
                  a cui sono stati dati milioni di dollari per sostenere l'occupazione 
                  del paese”. 
Quando Zinn, quasi novantenne ma ancora instancabile, ci ha lasciati, nel gennaio 2010, il potere ha tirato un sospiro di sollievo: “Questo terribile studioso antiamericano finalmente è morto”, scrisse in un posting l'allora governatore dell'Indiana. 
Oggi assistiamo a molte defezioni fra le file dell'esercito americano. Disertori forse inconsapevolmente sulle orme di Zinn. I reduci sono in prima fila nelle proteste contro la guerra e non possiamo perdere la speranza che si possa diffondere una nuova consapevolezza, che gli americani, chiusi al fresco delle loro casette, imbambolati davanti alla TV, possano davvero cambiare, smettere di credere che missili, bombe e droni siano il loro modo di portare al mondo democrazia e libertà. Solo i cittadini di questo paese potranno impedire al loro governo di continuare la sua guerra infinita. 
                 Santo Barezini 
                 
                
                   
                    Da 
                        militare ad antimilitarista 
                        La 
                        presa di coscienza dello storico e militante Howard Zinn, 
                        raccontata da lui stesso 
                       Da 
                        bambino leggevo libri d'avventura sulla prima guerra mondiale, 
                        storie di eroismo e cameratismo che presentavano una guerra 
                        pulita e gloriosa, senza morte e sofferenze. 
                        Quella nozione romantica fu sradicata a diciott'anni dalla 
                        lettura di Johnny Got His Gun3, 
                        il romanzo forse più sconvolgente che sia mai stato 
                        scritto contro la guerra. 
                        Eppure, a vent'anni, all'inizio del 1943, mi arruolai 
                        volontario nell'aviazione: volevo dare il mio contributo 
                        alla sconfitta del fascismo. Avevo imparato a odiare la 
                        guerra ma ritenevo che quella non fosse un guerra per 
                        il profitto o per l'impero ma una guerra del popolo contro 
                        la brutalità fascista. 
                        Ho sganciato bombe su Berlino e su altre città 
                        tedesche, ungheresi, cecoslovacche e persino su una piccola 
                        città francese della costa atlantica. Ero fiero 
                        di me stesso e non mi facevo domande: il fascismo doveva 
                        essere sconfitto. 
                        Finita la guerra in Europa tornai a casa in licenza, con 
                        la prospettiva di ripartire per nuove missioni, stavolta 
                        contro i giapponesi. Ma il 7 agosto del 1945, mentre andavo 
                        verso la stazione, mi cadde l'occhio sui grandi titoli 
                        dei giornali: “Lanciata bomba atomica su Hiroshima, 
                        città distrutta”. Non avevo idea di cosa 
                        fosse una bomba atomica ma provai un senso di sollievo: 
                        la guerra sarebbe finita presto e non sarei dovuto partire 
                        per il Pacifico. 
                        Subito dopo la fine della guerra, però, lessi il 
                        resoconto di un giornalista che era andato a Hiroshima 
                        poco dopo il bombardamento e aveva parlato coi sopravvissuti. 
                        Potete immaginare l'aspetto di quella gente: qualcuno 
                        senza una gamba, altri senza un braccio, altri ancora 
                        resi ciechi o con la pelle così bruciata che non 
                        si riusciva a guardarli. Lessi quelle storie e per la 
                        prima volta mi resi conto delle conseguenze dei bombardamenti 
                        sulla popolazione. Capii che non avevo idea di quel che 
                        facevo agli esseri umani quando lanciavo bombe sulle città 
                        europee. Quando sganci bombe da otto chilometri di altezza 
                        non vedi quello che accade sotto, non senti le urla, non 
                        vedi il sangue, i bambini fatti a pezzi. Compresi come, 
                        in tempo di guerra, le atrocità vengano commesse 
                        da persone ordinarie che non vedono le loro vittime come 
                        esseri umani ma come nemici, anche se sono bambini di 
                        cinque anni. 
                Quelle bombe al napalm 
                Mi tornò alla mente un raid, portato a termine 
                        poco prima che finisse la guerra, vicino a Royan, una 
                        cittadina francese sulla costa atlantica. Lì erano 
                        accampati dei soldati tedeschi che non facevano nulla, 
                        aspettavano semplicemente la fine delle ostilità. 
                        Fummo avvisati che questa volta avremmo usato un nuovo 
                        tipo di bomba chiamata “Jelled Gasoline”4: 
                        era il napalm. La città di Royan fu distrutta e 
                        migliaia di persone, fra soldati tedeschi e civili francesi, 
                        morirono, ma dal cielo non vidi gli esseri umani, i bambini 
                        bruciati vivi dal napalm. 
                        È un episodio al quale non ripensai fino a quando 
                        non lessi delle vittime di Hiroshima e Nagasaki. Vent'anni 
                        dopo andai a visitare Royan, feci delle ricerche e capii 
                        che quella gente era morta senza motivo, era morta perché 
                        qualcuno in alto loco voleva più medaglie e voleva 
                        verificare gli effetti del napalm sulla carne umana. 
                        Capii allora gli effetti dei bombardamenti alleati sulle 
                        popolazioni civili. Eravamo rimasti inorriditi quando, 
                        anni prima, gli italiani avevano bombardato Addis Abeba 
                        o quando i tedeschi avevano colpito Coventry, Londra e 
                        Rotterdam. Ma poi gli alleati scelsero di mettere in atto 
                        bombardamenti massicci per minare il morale del civili 
                        tedeschi e Churchill, con l'approvazione dell'alto comando 
                        americano, decise di colpire i quartieri abitati dai lavoratori 
                        tedeschi. Cominciarono così i bombardamenti a tappeto 
                        su Francoforte, Colonia, Amburgo, col massacro di decine 
                        di migliaia di persone: erano bombardamenti terroristici. 
                        Nel febbraio 1945 Dresda fu bombardata per un giorno e 
                        una notte e, a causa dell'intenso calore generato dalle 
                        esplosioni, un gigantesco incendio divorò la città, 
                        all'epoca piena di rifugiati. Nessuno sa esattamente quante 
                        persone morirono, forse centomila. 
                        Studiai anche le circostanze che avevano portato al bombardamento 
                        atomico sulle città giapponesi e conclusi, come 
                        altri studiosi, che le motivazioni ufficiali di quell'orrore 
                        erano false: quei bombardamenti non erano necessari perché 
                        i giapponesi stavano comunque per arrendersi. Quelle bombe 
                        erano il primo atto della guerra fredda fra Stati Uniti 
                        e Unione Sovietica, con centinaia di migliaia di ignari 
                        giapponesi utilizzati come cavie. Nella primavera del 
                        1945 venne anche portato a termine un attacco notturno 
                        su Tokyo: non ci fu alcun tentativo di colpire obiettivi 
                        specifici e forse centomila uomini, donne e bambini ne 
                        morirono. 
                Ma quale guerra giusta? 
                Giunsi a concludere che ogni guerra, anche quella che 
                        avevamo chiamato buona e giusta per sconfiggere il fascismo, 
                        corrompe tutti coloro che vi partecipano, avvelena la 
                        mente e l'anima della gente su entrambi i fronti. Compresi 
                        che la guerra mette in atto un processo per cui io e tutti 
                        gli altri eravamo diventati inconsapevoli assassini di 
                        innocenti. Perché all'inizio del conflitto decidi 
                        che la tua parte è quella giusta e che gli altri 
                        sono i cattivi e una volta presa questa decisione smetti 
                        di pensare e qualunque cosa tu faccia, anche la più 
                        terribile, diviene accettabile. 
                        L'idea di guerra giusta si basa un salto logico perché 
                        una causa può effettivamente essere giusta ma questo 
                        non significa che l'uso della guerra, come rimedio a quella 
                        ingiustizia, sia giusto. È tempo di prendere in 
                        considerazione un'idea che non fa parte del pensiero convenzionale 
                        in materia di relazioni internazionali: laddove accadono 
                        ingiustizie nel mondo è necessario cercare un rimedio 
                        che non sia la guerra. 
                        Se muoviamo guerra contro una nazione governata da un 
                        tiranno le persone che uccidiamo, in realtà, sono 
                        le vittime stesse della sua tirannia. 
                        Nelle guerre del ventesimo secolo il 90% delle vittime 
                        sono civili: la guerra è uccisione indiscriminata 
                        di esseri umani ed è sempre, fondamentalmente, 
                        contro i bambini. E allora, anche quando una causa giusta 
                        ci viene presentata, vera o inventata che sia, quando 
                        ci dicono che dobbiamo combattere per la libertà, 
                        o per la democrazia, o per sconfiggere la tirannia, dobbiamo 
                        sempre rigettare la guerra come soluzione. 
                        Albert Einstein era a Ginevra quando i delegati di sessanta 
                        nazioni si incontrarono per stabilire le regole di condotta 
                        della guerra. Ne fu così inorridito che decise 
                        di convocare una conferenza stampa per dichiarare che 
                        la guerra non poteva essere umanizzata, poteva solo essere 
                        abolita. 
                        L'idea di guerra giusta, inoltre, si disintegra quando 
                        l'analisi storica viene estesa oltre le conseguenze immediate 
                        di un conflitto. Ho un ricordo vivido delle celebrazioni 
                        seguite alla sconfitta delle potenze dell'asse e avevamo 
                        ben ragione a festeggiare. Ma se guardiamo al mondo dopo 
                        la fine della seconda guerra mondiale possiamo forse dire 
                        che il fascismo, il totalitarismo, il razzismo, il militarismo 
                        furono davvero sconfitti? No, ci siamo ritrovati invece 
                        con due superpotenze armate con migliaia di testate nucleari 
                        che, se fossero state utilizzate, avrebbero fatto impallidire 
                        l'olocausto di Hitler. E dopo i cinquanta milioni di morti 
                        del secondo conflitto mondiale le guerre sono forse finite? 
                        No, sono continuate nei decenni successivi lasciando altre 
                        decine di milioni di vittime sul terreno. 
                      Howard Zinn
  traduzione di Santo Barezini 
					  Quanto precede sono frammenti di un discorso tenuto 
                        a Roma il 23 giugno 2005 da Howard Zinn nell'ambito di 
                        un evento organizzato da Emergency. Il testo completo 
                        dell'intervento è stato pubblicato negli USA in 
                        varie raccolte. Il testo qui riprodotto è stato 
                        tradotto da “Just War”, pubblicato nel dicembre 
                        2005 dall'editore Charta. Il testo completo in italiano 
                        è reperibile all'indirizzo it.peacereporter.net/articolo/3038/La+guerra+giusta  | 
                   
                  
                 
                Note  
                
- Chi non ricorda Bellini e Cocciolone, i due piloti del Tornado abbattuto dalla contraerea irachena durante il primo raid? Il paese intero era in ansia per la sorte dei due aviatori italiani che contavano di più di tutte le vittime dei loro missili. Quei piccoli eroi furono presto restituiti. Oggi Cocciolone è colonnello dell'aviazione militare. Di Bellini, congedatosi da generale di corpo d'armata, si dice gestisca un ristorante italiano in Virginia, dove non andrò mai a mangiare.
 - Ai giornalisti che lo interrogavano sul numero delle vittime irachene, il generale Colin Powell rispose che la questione non lo interessava.
 - Di un soggettista di Hollywood, Donald Trumbo, che finì anche in carcere durante il maccartismo per aver rifiutato di rivelare le proprie affiliazioni politiche a una commissione parlamentare.
 - Benzina gelatinosa.
 - “Era un lavoro fantastico”.
 - Z. Sardar e M. W. Davies: “Why Do People Hate America?”, ed. Disinformation, 2002.
 - Tornerò in futuro sullo stupefacente e radicato mito dell'eccezionalismo americano.
                  
 - A People's History of the United States, 1980: una storia degli USA 
                    rigorosa ma letta dal punto di vista dei perdenti, del perseguitati, 
                    delle minoranze. Zinn (1922-2007) è stato docente di 
                    storia, intellettuale del dissenso e instancabile attivista 
                    dei movimenti di base. 
                  
 - Vedi pagina 72.
 - Betchel è la più grande società edilizia degli Usa, Hulliburton una multinazionale del petrolio con sede in Texas. Entrambe hanno avuto contratti d'oro in Iraq anche attraverso USAID, l'agenzia USA di cooperazione allo sviluppo.
  
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