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				 grafica 
                  
                Segno Libero         
                Le edizioni Elèuthera ristampano, 35 anni dopo la prima 
                  edizione (con le Edizioni Antistato), un libro di grafica (militante, 
                  si diceva allora),  Segno Libero, realizzato da Ferruccio 
                  “Ferro” Piludu. Ferro è stato un grande grafico, 
                  da molti è considerato un maestro. Nella seconda metà 
                  degli anni '70 studiò per “A” una nuova veste 
                  grafica, che durò un decennio e che lui stesso venne 
                  a realizzare con noi nella tipografia anarchica a Carrara. Lavorò 
                  anche per i periodici Umanità Nova, Volontà Libertaria 
                  nonché per vari editori anarchici (tra cui appunto Antistato 
                  ed Elèuthera), molti poster, la comunicazione di vari 
                  Convegni di studi, ecc. 
                  Coltivando al contempo la sua passione per l'aliante. Morì 
                  a 80 anni schiantandosi a terra con uno di quegli strumenti 
                  di volo e di libertà lui che aveva migliaia di chilometri 
                  sulle spalle. 
                  Ci eravamo incontrati poco prima di quel tragico volo e propose 
                  di vederci e parlare di “A” e della sua impaginazione. 
                  Ci aveva pensato su e qualche idea in testa per rinnovarla l'aveva.
                 
                Ripubblichiamo in questo dossier le sue premesse alla due 
                  edizioni anni '80 di  Segno Libero e 18 pagine, che danno 
                  informazioni specifiche (i riferimenti a pagine precedenti non 
                  trovano riscontro nelle pagine ripubblicate) e al contempo aiutano 
                  a capire come la pensasse e come si esprimeva questo milanese 
                  di orgini sarde e di vita romana. Una persona professionalmente 
                  capace, un compagno esterno al movimento anarchico militante, 
                  un compagno di strada in empatia con i valori di fondo del nostro 
                  impegno. Anche con questa rivista, che sentiva giustamente anche 
                  come sua.  
                   
                   
                   
				grafica 
                  
                Attrezzi per la mente 
                  
                di Ferro Piludu 
                    
                Prima dell'attuale ristampa Elèuthera, Segno Libero 
                  aveva conosciuto due edizioni (1981 e 1986), per le Edizioni 
                  Antistato. Per ciascuna delle due Ferro Piludu aveva scritto 
                  una breve presentazione, con dentro tanto di sé e dei 
                  tempi. Rileggerle oggi, a 35 e 30 anni di distanza, ne conferma 
                  l'interesse e la profondità. 
                 
                  Avevamo incominciato a lavorare in tanti 
                   
                  Non mi ricordo bene quando ho smesso di avere paura. È 
                  accaduto certamente piano piano, un po' alla volta. Una volta 
                  perché ho scoperto che il buio è, di fatto, l'altra 
                  faccia della luce e ha dentro, di terribile, soltanto quello 
                  che noi vogliamo metterci. 
                  Un'altra volta perché mi sono reso conto che l'acqua 
                  tiene benissimo a galla se fai tanto di avere un po' di fiducia 
                  e ti lasci semplicemente andare (enunciato non usuale, ma altrettanto 
                  scientifico, del principio di Archimede). 
                  Un'altra volta ancora, forse la più importante, perché 
                  mi sono accorto che sbagliare non è sicuramente colpa 
                  (né peccato) ma, piuttosto, la maniera più rapida 
                  per conoscere e scoprire e che solo una divinità cieca 
                  e idiota e i suoi rappresentanti terreni (preti, maestri, vecchie 
                  signore) possono condannare chi sbaglia. 
                  Così, un po' alla volta, sono riuscito a capire che il 
                  contrario di paura è conoscenza e che conoscenza è 
                  una grossa parte di quella cosa che chiamiamo libertà. 
                  Da qui all'impegnarmi ad analizzare i meccanismi del conoscere 
                  (per cercare di imparare più in fretta e meglio) il passo 
                  è stato breve. Ho dovuto, è evidente, mettermi 
                  a smontare una serie di convinzioni ben radicate che avevo dentro. 
                  In primo luogo che conoscere e imparare è difficile e 
                  che, per conoscere e imparare, bisogna essere intelligenti. 
                  In secondo luogo che intelligenti e bravi, con le attitudini 
                  insomma, ci si nasce, come si nasce veri signori, navigatori, 
                  santi e poeti. È stata una battaglia dura. Ho letto tutti 
                  i libri che mi sono capitati a tiro e ho parlato con tanta gente. 
                  Ho cambiato idee, amici, donne e lavoro. A trent'anni suonati 
                  ho smesso di fare il perito tecnico industriale specializzato 
                  in impianti petroliferi e mi sono messo a lavorare con immagini, 
                  segni, messaggi e con faccende come l'informazione e la comunicazione. 
                  Siccome la lezione l'avevo imparata, mi sono preoccupato, per 
                  prima cosa, di avere bene nelle mani il mestiere. 
                  Ci ho messo buoni quindici anni – e ancora sto imparando 
                  – a dimostrazione che un po' tardo lo sono davvero e che, 
                  a lavorare soli, i tempi sono lunghi. 
                  Poi è venuto il '68, che dio lo benedica. 
                  Ho fatto appena a tempo (avevo già una certa età) 
                  a entrare ufficialmente nella scuola e a farmi altrettanto ufficialmente 
                  cacciare via quattro anni dopo. Ma intanto molte cose erano 
                  successe. Avevamo incominciato a lavorare in tanti, i ragazzi 
                  ed io, e tutte le cose che avevo pensato e imparato le abbiamo 
                  prese, riguardate, smontate e rimesse assieme. Ho fatto anche 
                  il salto. Dalla professione, dal mestiere sicuro, sono passato 
                  dall'altra parte tra quelli che volevano, per davvero, cambiare. 
                  Ho incontrato gente scombinata e meravigliosa: Anna e Aldo, 
                  Dino e Alfonso, quei pazzi dell'Antistato. Il passaggio da ambienti 
                  come gli art director's clubs a scuole di campagna, cantine, 
                  vecchi magazzini (sempre senza finestre o con i vetri rotti, 
                  chissà perché) non è stato poi così 
                  duro. Perché dalla parte giusta ci si sta sicuramente 
                  meglio: intanto più allegri e poi con più voglia 
                  di fare, di cercare, di scoprire. Questo libro è un po' 
                  la storia di tutta questa faccenda. È, credo, un libro 
                  politico (ma non intenzionalmente politico) in tempi in cui 
                  la politica non è più di moda. È anche 
                  probabile che, come libro, sia un disastro: è pieno di 
                  approssimazioni, imprecisioni e anche di errori. 
                  A veder bene, non è neanche un libro. Ma, per metterlo 
                  assieme, ci ho messo – ci abbiamo messo – quasi 
                  due anni. Perché, se si vive in una certa maniera, il 
                  tempo non c'è mai e il denaro poche volte. Comunque, 
                  eccolo qui. Provate a prenderlo come un cacciavite o, meglio, 
                  come un pennello. 
                  Se – come libro, cacciavite o pennello – potrà 
                  in qualche modo aiutarvi a raccontare una storia, vostra o di 
                  gente in cui credete, sarà certamente servito a qualcosa. 
                  
                Ferro Piludu 
                  Roma, febbraio 1981 
				   
                   Aspettando un treno che parta davvero 
                   
                  Quando, negli anni tra il 1979 e il 1981, abbiamo messo insieme 
                  «Segno libero», si incominciava appena a parlare 
                  di faccende come il «riflusso» e il «privato». 
                  C'erano centinaia di radio libere e un buon numero di emittenti 
                  televisive non ancora travolte dagli scontri tra mamma RAI e 
                  Berlusconi. Si pensava a quotidiani di quartiere, a settimanali 
                  di cultura e di opinione. Anche se, a dire il vero, segni e 
                  figurazioni tendevano già ad una giapponese e nibelungica 
                  cattiveria, i muri delle città inviavano i loro messaggi 
                  colorati certo di consumo e consenso, ma anche di idee, fantasia 
                  e denuncia. 
                  Insomma un sacco di gente aveva proprie storie da raccontare 
                  e aveva voglia ed urgenza di provare a raccontarle. Poi i tempi 
                  – come è giusto che avvenga – sono cambiati. 
                  Le storie da raccontare – le idee – sono diminuite 
                  di numero e di spessore. In un rifiuto puntiglioso e testardo 
                  dell'impegnato, del sociale e del politico – travolti 
                  dalla disco-music e dall'umorismo demenziale – i messaggi 
                  si sono intricati e stemperati nel personale e nell'intimo delle 
                  centoventisei puntate degli sceneggiati e delle telenovelas. 
                  Le immagini sull'onda dell'emergente moda futuristico-fascista 
                  si sono fatte acide, spigolose e puntute. Gli eroi – guarda 
                  caso – mettono in mostra torsi nudi, grandi muscoli e 
                  teste piccole. 
                  Intanto «Segno libero» – pensato come uno 
                  strumento autonomo per la libera elaborazione di messaggi – 
                  influenzava – più o meno marginalmente – 
                  la formazione di gruppi impegnati in diverse avventure comunicative 
                  ed editoriali. Ma trovava e trova anche impieghi in quella certa 
                  e rinnovata ricerca di «professionalità» 
                  che è un po' la bandiera dei giovani del 1985. È 
                  stato e viene utilizzato come testo «basic» di progettazione 
                  e di grafica in scuole di grafica e di comunicazione visiva. 
                  È impiegato, sempre come testo basico e di riferimento, 
                  in corsi e seminari di «aggiornamento professionale» 
                  per insegnanti di scuole elementari e materne impegnati nei 
                  nuovi programmi di «educazione alla visione». 
                  Riguardandolo abbiamo trovato pagine e cose che oggi non vorremmo 
                  più scrivere così e pagine e cose che non scriveremmo 
                  affatto. Può sembrare – se volete – ingenuo 
                  e umile come tanti strumenti di lavoro: cacciavite, tenaglie, 
                  scalpelli, matite, pennini, pennelli, caratteri mobili. O «datato» 
                  come le canzoni dei Beatles, di Bob Dylan o di Lucio Dalla. 
                  Ma ci è sembrato quasi un «dovere» lasciare 
                  tutto come stava. Siamo convinti che il «privato», 
                  il «riflusso» e l'«effimero» comincino 
                  – era ora! – a manifestare crepe, rughe e segni 
                  di stanchezza e pensiamo che c'è ancora un mucchio di 
                  persone che – proprio adesso – hanno proprie cose 
                  da dire e storie da raccontare. 
                  Questa seconda edizione è dedicata a loro e in generale 
                  a chi – come noi e il Lucio di cui sopra – sta aspettando, 
                  con sufficiente pazienza, «un treno che parta davvero». 
                Ferro Piludu 
                  e il Gruppo Artigiano Ricerche Visive 
                  Roma, settembre 1986 
                   
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