“Il grande circo di Pechino” è la scritta 
                  che appare nella copertina del n. 78 (novembre 1979) di “A”. 
                  Sullo sfondo, una foto del Grande Timoniere Mao-Tse-Tung. All'interno 
                  un articolo-quadro di un redattore e tre documenti elaborati 
                  da militanti anarchici cinesi sulle lotte degli studenti, la 
                  condizione della donna e la situazione contadina. Tutti materiali 
                  – come altri presenti su codesto numero di novembre – 
                  provenienti dal Convegno internazionale di studi sull'autogestione 
                  (Venezia – 28/30 settembre 1979) tenutosi poco prima 
                  con buona partecipazione di pubblico e notevole qualità 
                  dei numerosi dibattiti. Come spesso in occasioni simili, oltre 
                  alle relazioni “ufficiali”, a margine dell'incontro 
                  e nelle settimane precedenti e successive – grazie alla 
                  sosta prolungata di numerosi relatori e militanti – si 
                  è svolta una notevole attività di scambio di informazioni, 
                  dibattiti, diffusione di documenti, in quell'epoca precedente 
                  all'avvento del web. 
                  Una relazione ripresa dal Convegno veneziano è quella 
                  dello studioso jugoslavo Slobodan Drakulic (che più tardi 
                  emigrerà in Canada, dove morirà) su “Burocrazia 
                  e autogestione in Jugoslavia”. Ma l'articolo di apertura 
                  della rivista è del torinese Piero Flecchia ed è 
                  dedicato ai licenziamenti alla Fiat (titolo: “Il fantasma 
                  di Valletta”), al quale segue un pezzo ironico sui papi 
                  e la Chiesa cattolica. Lo firma Gabriele Roveda (con lo pseudonimo 
                  “Palluntius”), allora e per qualche anno membro 
                  della redazione di “A”. 
                  Quattro dense pagine sono dedicate alla Sac, il sindacato libertario 
                  tuttora esistente in Svezia: un'organizzazione non appartenente 
                  all'Associazione Internazionale dei Lavoratori che raggruppa 
                  alcuni sindacati di ispirazione anarco-sindacalista ma non questa 
                  significativa organizzazione sindacale libertaria svedese, di 
                  cui in un bel box si racconta la lunga storia. L'intervistato 
                  (da Paolo Finzi, sotto le pseudonimo di Camillo Levi) è 
                  Lars Tormbionsson, per un decennio segretario generale della 
                  Sac. Il quale racconta dell'originale presenza di un sindacato 
                  libertario e autogestionario non – come in genere si pensa 
                  – in Paesi caratterizzati da forti diseguaglianze sociali, 
                  ma nella Svezia di quegli anni, considerata una delle patrie 
                  del relativo benessere e di una lotta di classe sicuramente 
                  attutita. È un'esperienza storica molto interessante 
                  questa della Sac, che prosegue tuttora e della quale torneremo 
                  di sicuro ad occuparci. 
                  Uno scritto non firmato, quindi redazionale, si occupa della 
                  situazione all'interno delle carceri italiane e in particolare 
                  delle differenze e della contrapposizione tra detenuti per fatti 
                  di lotta armata (e dintorni) di fede marxista (a partire dagli 
                  esponenti delle Brigate Rosse) e altri di impostazione libertaria. 
                  Un tema che ricorre in quegli anni sulle colonne di “A”. 
                  A quelle vicende non sempre – con l'occhio di oggi – 
                  si guarda da parte della redazione con sufficiente spirito critico, 
                  all'altezza di una lucida visione del contesto generale. L'attenzione, 
                  in genere attenta e critica, data a quei fenomeni e a quelle 
                  vicende – e anche a storie di singole persone – 
                  testimonia certo la volontà della redazione di essere 
                  orgogliosamente attiva e indipendente nell'attenzione critica 
                  verso gli episodi di violenza “rivoluzionaria” e 
                  di lotta armata. 
                  Certo è che gli sviluppi di quei movimenti e anche tanti 
                  episodi che sarebbero accaduti negli anni successivi accentuarono 
                  di molto la nostra critica al lottarmatismo quale modalità 
                  di possibile “avanzata” delle tematiche libertarie. 
                  Senza se e senza ma, si sarebbe poi detto. 
                  I conti con le drammatiche conseguenze di un attentato compiuto 
                  da tre anarchici nel 1921 a Milano si colgono anche nella recensione 
                  (non firmata, quindi anch'essa redazionale) del volume Mazurka 
                  blu, scritto da Vincenzo Mantovani, che all'attentato al Teatro 
                  Diana del marzo 1921 ha dedicato anni di ricerca storiografica 
                  e poi la pubblicazione di un librone che da allora segna lo 
                  stato dell'arte nella ricerca storiografica sul tema. Mantovani, 
                  all'inizio del suo lavoro di ricerca, era venuto a trovarci 
                  in redazione, tenendoci poi informati dei risultati del suo 
                  impegno. Che non ha potuto fare luce chiara e completa su eventuali 
                  responsabilità indirette (provocazione da parte delle 
                  forze dell'ordine?), ma ha comunque illuminato la scena socio-politica 
                  di quelle vicende. 
                   
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