    
                
  
                Fine pena: quando non è più necessario  
                 - Lei non è abbastanza arrendevole, a quanto mi hanno 
                  detto. - Chi gliel'ha detto? - chiese K. (...) - Non mi chieda 
                  nomi, per favore, e corregga piuttosto il suo errore, non sia 
                  più così rigido, contro questo tribunale difendersi 
                  non si può, bisogna confessare. Faccia la sua confessione, 
                  appena può. Solo dopo se la potrà cavare, solo 
                  dopo. (Franz Kafka, Il processo) 
                   
                  Ho letto un articolo di Ferdinando Camon pubblicato su “La 
                  Nuova Venezia” di mercoledì 13 aprile che mi ha 
                  fatto comprendere che sono un ergastolano senza scampo anche 
                  quando scrivo. L'autore di questo articolo mi rimprovera: “C'è 
                  un ergastolano a vita nel Veneto, Carmelo Musumeci, che scrive 
                  email, libri, e tempesta il mondo di messaggi: vuole uscire”. 
                  Premesso che credo sia normale che un prigioniero cerchi di 
                  uscire, in tutti i casi io lotto soprattutto per sapere quando 
                  finirà la mia pena. E penso di non fare nulla di male 
                  se invio dalle sbarre della mia cella pensieri, emozioni e sogni. 
                  La cosa incredibile è che in questi venticinque anni 
                  di carcere in molti mi hanno chiesto di “farmi la galera” 
                  e di smettere di scrivere e di ululare alla luna. E me lo hanno 
                  chiesto sia le persone perbene sia molti uomini di Stato e anche 
                  alcuni mafiosi di spessore che mi hanno fatto sospettare che 
                  la pena dell'ergastolo serva anche a loro per non fare uscire 
                  dalle loro organizzazioni, fisicamente e culturalmente, i giovani 
                  ergastolani (perché lo dovrebbero fare se non hanno più 
                  nessun futuro?). 
                   Gentile 
                  signor Camon, Le confido che alcune sue parole mi hanno profondamente 
                  ferito e riportato indietro di molti anni. Mi hanno fatto capire 
                  che mi devo rassegnare perché, nonostante tutti i miei 
                  sforzi, per alcuni rimarrò sempre l'uomo del reato e, 
                  se ho capito bene, secondo Lei non dovrei scrivere se non iniziando 
                  a parlare dei miei reati. A parte il fatto che ho sempre condannato 
                  le mie scelte passate devianti e criminali attraverso quanto 
                  ho scritto nei miei libri, nelle mie tesi di laurea e in tutti 
                  i mie contributi scritti, non credo che quando si parla della 
                  “Pena di Morte Viva” (o “mascherata” 
                  come la chiama papa Francesco) sia essenziale parlare delle 
                  proprie vicende giudiziarie. In tutti i casi, la mia storia 
                  giudiziaria è semplice; lo dice la motivazione della 
                  Corte d'Assise che mi ha condannato alla pena dell'ergastolo 
                  e che, nonostante la grande distanza fra verità vera 
                  e processuale, ha stabilito: “In un regolamento di conti 
                  il Musumeci Carmelo è stato colpito da sei pallottole 
                  a bruciapelo, salvatosi per miracolo, in seguito si è 
                  vendicato”. In molti casi come il mio non ci sono né 
                  vittime, né carnefici, né innocenti, né 
                  colpevoli, perché sia i vivi che i morti si sentivano 
                  in guerra. E quando ci si sente in guerra, al processo non ci 
                  si difende, si sta zitti e ci si affida alla Dea bendata. Non 
                  si maledice la buona o la cattiva sorte, anche se si pensa spesso 
                  che i morti siano stati più fortunati dei vivi se i vivi 
                  sono stati condannati all'ergastolo. 
                  Lei mi rimprovera anche di non avere mai collaborato e di non 
                  avere usato la giustizia per uscire dal carcere, ma io credo 
                  che un detenuto dovrebbe uscire dal carcere perché lo 
                  merita e non perché ci metta un altro al posto suo. In 
                  tutti i casi non credo sia una colpa grave accettare la propria 
                  condanna, giusta o sbagliata che sia. Inoltre, dopo venticinque 
                  anni di carcere, che cosa potrei dire o aggiungere a quello 
                  che i giudici hanno già stabilito nelle loro sentenze? 
                  Penso che sia quasi impossibile rieducare una persona senza 
                  amarla, perdonarla e senza dirle quando finirà la sua 
                  pena. Tenere un uomo vivo dentro quattro mura, anche quando 
                  non è più necessario, senza neppure la compassione 
                  di ucciderlo è un assassinio peggiore di quello per cui 
                  alcuni di noi sono stati condannati. Mi creda, l'ergastolo ostativo 
                  alla lunga ti mangia l'anima, il cuore e a volte anche l'amore, 
                  perché la vita senza una promessa di libertà non 
                  è una vita. Ci basterebbe un fine pena e poi potreste 
                  pure non farci più uscire perché che senso ha 
                  tenere in vita una persona se il suo ritorno alla società 
                  è impossibile? E come si fa a cambiare se non hai più 
                  futuro? Diciamoci la verità: la pena dell'ergastolo ostativo 
                  non è un deterrente, come non lo è la pena di 
                  morte negli Stati Uniti e in tanti altri Paesi in cui è 
                  praticata. Sono fortemente convinto che non ci sono ergastolani 
                  cattivi solo perché non collaborano con la giustizia: 
                  mi creda, in molti casi la motivazione non è l'omertà 
                  ma motivi familiari (tutelare i propri congiunti) o personali. 
                  Penso che la pena dell'ergastolo non potrà mai essere 
                  giusta per nessuno, neppure per l'ergastolano che non s'è 
                  “convertito”. Persino nella Francia rivoluzionaria, 
                  l'assemblea Costituente mantenne la pena capitale ma vietò 
                  le pene perpetue: fu così che nel codice penale del 28 
                  settembre 1791 la pena più grave dopo la morte fu la 
                  pena di ventiquattro anni. 
                  Credo che per non fare il male bisogna conoscere il bene e, 
                  purtroppo, molti di noi hanno conosciuto solo il male. Ricordo 
                  che da bambino, quando la mia povera nonna mi portava nella 
                  piazzetta del paese e vedeva un uomo con la divisa, poteva essere 
                  anche un vigile, mi sussurrava “Stai attento... quello 
                  è l'uomo nero”. Come potevo non crederle? Con questo 
                  però non cerco attenuanti perché sì, è 
                  vero, sotto un certo punto di vista sono nato colpevole, ma 
                  poi ho deciso io stesso di diventarlo. Adesso mi auguro solo 
                  di poter avere la possibilità di rimediare al male che 
                  ho fatto facendo del bene, perché la vera pena s'inizia 
                  a scontare fuori e quando sei cambiato. Sono anche convinto 
                  che non c'è miglior “vendetta” per la società 
                  che rendere migliori le persone, perché se si cambia 
                  ci si rende conto del male fatto e solo allora può emergere 
                  il senso di colpa. E il senso di colpa è la più 
                  terribile delle pene, peggiore del carcere e dell'ergastolo 
                  senza scampo. Per fortuna (o sfortuna) molti non lo sanno e 
                  preferiscono solo tenerci in carcere e buttare via le chiavi. 
                   
                  Gentile signor Ferdinando, le ho risposto non certo con l'intento 
                  di farle cambiare idea, ma solo con lo scopo di metterle qualche 
                  dubbio. 
                  Buona vita. Un sorriso fra le sbarre. 
                 Carmelo Musumeci 
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