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				 Rudolf Rocker/3 
                  
                Davanti alle macerie della guerra 
                  
                di David Bernardini 
                    
                Con questo terzo articolo si conclude la serie di scritti che ha analizzato alcune delle posizioni di Rudolf Rocker che costituirono occasione di acceso dibattito all'interno del movimento anarchico internazionale. In questo testo, al centro la rinascita del movimento anarchico in Germania dopo la seconda guerra mondiale. 
                 
                  Nulla è più pericoloso che la fede in una razza, 
                  in una nazione, in una classe sociale, in un partito. 
                  Simone Weil 
                   
                  L'accusa collettiva nei confronti del popolo tedesco riguarda 
                  infatti l'obbedienza in absurdum, l'obbedienza anche in quei 
                  casi in cui la disobbedienza sarebbe l'unica cosa umanamente 
                  legittima. 
                  Ma in fin dei conti non è questa stessa obbedienza 
                  l'aspetto che caratterizza il rapporto dell'individui con l'autorità 
                  in tutti gli stati del mondo? 
                  Stig Dagerman 
Nel 1946 il quotidiano svedese “Expressen” commissionò a Stig Dagerman una serie di reportage sulla condizione della Germania dopo il crollo del regime nazista e la fine della seconda guerra mondiale. Questi articoli vennero successivamente raccolti e pubblicati in un libro tradotto in italiano con il titolo “Autunno tedesco” (Dagerman, 2007). Dagerman era uno scrittore, anarchico sin dalla gioventù e legato a quella parte della Germania che si era opposta a Hitler, dato che la sua compagna era Annemarie Götze, un'esule anarchica tedesca. Durante la sua permanenza in Germania (dal 15 ottobre al 10 novembre 1946), Dagerman si concentrò sulle drammatiche condizioni materiali in cui versava la popolazione tedesca, intendendo ciò come il primo passo per comprendere quello che si agitava all'interno di quest'ultima. In “Autunno tedesco” si trovano anche alcune righe dedicate ai “sinceri antifascisti” tedeschi, definiti come i “più delusi, più disorientati e più sconfitti (...) le rovine più belle della Germania, ma per il momento altrettanto inabitabili” (Dagerman, 2007, pp. 28-29). 
                  Gli anarchici tra le macerie 
                Alla fine della seconda guerra mondiale, la Germania era ridotta 
                  in macerie, sia in senso letterario sia in quello figurato (Stowasser, 
                  2007, p. 429). Alcuni storici hanno definito i gruppi della 
                  sinistra indipendente sorti dopo il crollo del Terzo Reich al 
                  di fuori dei due principali partiti, quello socialdemocratico 
                  e quello comunista, come una “sinistra apolide”, 
                  destinata ad essere polverizzata nell'ambito della Guerra fredda. 
                  Gli anarchici tedeschi si trovavano nella stessa situazione, 
                  essendo al tempo stesso “estranei” e “vittime” 
                  del confronto tra i due blocchi (Degen, 2002, p. 31). D'altronde, 
                  gli spazi d'azione politica si erano ristretti drasticamente 
                  all'interno di tutto il panorama europeo segnato dall'aprirsi 
                  della Guerra Fredda, tanto da far apparire l'elaborazione di 
                  una posizione autonoma una faccenda decisamente problematica. 
                  In Germania le poche centinaia di attiviste e attivisti libertari 
                  sopravvissuti si ritrovarono in una situazione drammatica, privi 
                  di mezzi di sostentamento in città ridotte in macerie 
                  e in un paese occupato dagli eserciti vincitori. Il regime nazista 
                  e il conflitto mondiale erano riusciti a spezzare qualsiasi 
                  continuità organizzativa e politica (Degen, 2002, p. 
                  34), i contatti tra militanti di località diverse si 
                  erano interrotti da anni e i principali esponenti del movimento 
                  ai tempi della repubblica di Weimar (1919-1933) erano morti 
                  o in esilio (Bartsch, 1972, p. 96). 
                  Nell'ultimo volume delle sue memorie pubblicate nel 1952, Rudolf 
                  Rocker ricordava che negli anni del secondo dopoguerra una delle 
                  sue funzioni più utili nei confronti dei compagni rimasti 
                  in Germania consisteva, paradossalmente dato che abitava negli 
                  Stati Uniti, nel mettere in contatto i sopravvissuti tra loro. 
                  Le condizioni dei trasporti e delle vie di comunicazione erano 
                  infatti tali che, ancora alcuni anni dopo la fine del conflitto, 
                  attivisti che abitavano a poche decine di chilometri di distanza 
                  non sapevano nulla gli uni degli altri (Rocker, di prossima 
                  pubblicazione, p. 558). 
                  Il futuro appariva dunque quanto mai incerto. Nella sua corrispondenza 
                  privata, un anarchico berlinese, un certo Wartenberg, esprimeva 
                  tutta la sua amarezza, notando che: “mai ci siamo trovati 
                  così senza speranza di fronte all'aspirazione di andare 
                  avanti come nel momento in cui si trovarono due grandi visioni 
                  del mondo in lotta per la conquista del futuro”. Non c'era 
                  nessun nuovo inizio, insomma, e la Germania del secondo dopoguerra 
                  non era nient'altro che uno spettacolo deprimente, concludeva 
                  cupo l'anarcosindacalista Fritz Linow (Degen, 2002, pp. 33-34). 
                  La rassegnazione, l'assenza di ricambio generazionale e la conseguente 
                  tendenza all'invecchiamento, il riemergere di vecchie polemiche 
                  che avevano già frantumato il movimento negli anni Venti 
                  erano tutti fattori negativi che rendevano ancora più 
                  difficile la riorganizzazione del movimento libertario in Germania. 
                  Per di più alcuni militanti, pur di tornare in attività, 
                  avevano scelto di aderire al partito socialista e a quello comunista. 
                  Altri, prostrati dalla prigionia, decidevano di rinunciare definitivamente 
                  all'attività politica, mentre le amministrazioni delle 
                  potenze occupanti sfavorivano la rinascita di gruppi politici 
                  indipendenti (Degen, 2002, p. 35). 
                  Alle difficoltà materiali si univa un generale disorientamento, 
                  tanto più che agli anarcosindacalisti sopravvissuti non 
                  sembrava possibile far rivivere quella Freie Arbeiter Union 
                  Deutschlands (FAUD) [Libera Unione dei lavoratori tedeschi] 
                  di cui avevano fatto parte ai tempi della repubblica di Weimar. 
                  Alcuni studiosi hanno sostenuto a questo proposito che nel secondo 
                  dopoguerra agli anarcosindacalisti restavano ben poche alternative: 
                  o rimanere fermi sulle loro posizioni e condannarsi così 
                  alla marginalizzazione, oppure rivedere radicalmente i loro 
                  principi, adeguandosi ai tempi, oppure dissolversi (Wayne Thorpe-Marcel 
                  van der Linden, 1999). 
                  Nonostante le difficoltà, iniziarono lentamente i primi 
                  tentativi di riorganizzazione soprattutto nella parte occidentale 
                  della Germania, poiché nella zona di occupazione sovietica 
                  divenne ben presto impossibile condurre qualsiasi autonoma attività 
                  politica pubblica. Alla fine del maggio 1947 poté così 
                  nascere a Francoforte la “Föderation freiheitlicher 
                  Sozialisten” (FFS) [Federazione dei socialisti libertari], 
                  la quale si presentava come la prosecuzione della FAUD, pur 
                  riuscendo a raggruppare solamente una piccola parte dei suoi 
                  vecchi attivisti. Nel 1948 la FFS poteva infatti contare solamente 
                  circa quattrocento militanti (Degen, 2002, p. 86).  
                
                   
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                    |   Dresda (Germania), 1945 - La città dopo i bombardamenti.  
                  Nel 1933 Hitler aveva dichiarato: “Datemi quattro anni  
                  e non riconoscerete più la Germania”  | 
                   
                 
                La proposta di Rocker 
                Rudolf Rocker aveva partecipato per via epistolare dagli Stati Uniti al percorso costitutivo della FFS. Inoltre, su invito di diversi esponenti del movimento tra cui Helmut Rüdiger, Rocker aveva scritto una brochure di 36 pagine dal titolo “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland” [Considerazioni sulla condizione della Germania], nella quale sintetizzò le sue riflessioni riguardanti i compiti dell'anarchismo tedesco nel secondo dopoguerra. Finito di scrivere nel gennaio 1947, l'opuscolo venne pubblicato grazie all'impegno dell'anarcosindacalista Sveriges Arbetares Centralorganisation (SAC) [Organizzazione centrale dei lavoratori svedesi] e dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT), venendo diffuso in Germania a partire dal giugno 1947. Il ruolo di questa brochure non deve essere esagerato, poiché non sembra costituire né una sorta di documento fondativo della FFS, come è stato affermato (Graur, 1988, p. 310), né uno spartiacque che divise anarcosindacalisti disponibili ad una revisione ideologica da anarchici fedeli alla tradizione (Bartsch, 1972, pp. 108-117). Più semplicemente, le riflessioni di Rocker si inserivano nel percorso inaugurato dalla fondazione della FFS, approfondendo differenze già delineatesi in precedenza. 
All'interno di “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland”, Rocker tracciava una visione molto ampia e ambiziosa, che sembrava porsi la prospettiva di ridisegnare la fisionomia futura dell'anarchismo, tedesco in primo luogo ed europeo più in generale, per renderlo capace di agire sul presente. Il suo ragionamento prendeva le mosse dalla constatazione che tra gli anni Trenta e Quaranta si era verificata la più grande rottura di tutti i tempi e perciò non si poteva pensare di “rincominciare esattamente là dove noi abbiamo smesso 13 anni prima”, poiché “sotto montagne di cadaveri e campi di macerie (…) un vecchio mondo è stato seppellito” (Rocker, 1978, p. 5). La fine del “vecchio mondo” poneva dunque agli anarchici compiti immani, sosteneva Rocker, in primo luogo la ricostruzione e il miglioramento delle drammatiche condizioni materiali della popolazione tedesca poiché, citando Heine, “nelle masse affamate entra solo la logica della zuppa con le ragioni dello gnocco” (Rocker, 1978, p. 30). In altre parole, come annotava negli stessi mesi anche Dagerman, non si poteva pretendere nessuno sforzo etico e politico da chi pativa quotidianamente la fame. 
Gli anarchici dovevano quindi farsi elementi attivi all'interno della società tedesca, mettendo alla prova i loro progetti, dato che “con i soli discorsi non si va avanti” (Rocker, 1978, p. 20). Rocker sottolineava a questo proposito di essere “della convinzione che noi abbiamo bisogno di un nostro movimento, per poter rappresentare i nostri modi di vedere” (Rocker, 1978, p. 13). Ciò non implicava assolutamente la ricostituzione della FAUD, poiché, in una Germania ridotta ad un ammasso di rovine, una pura politica sindacale non avrebbe avuto nessuna possibilità di successo (Rocker, 1978, p. 10). Al contrario, secondo Rocker era necessario, dinanzi a nuovi compiti, darsi una nuova forma organizzativa e una nuova prospettiva politica: “cosa io ho in mente è una lega di federalisti libertari”, in grado di attirare nuovi aderenti nelle proprie fila e di collaborare, senza tradire i propri ideali, con altre forze, portando “i suoi modi di vedere in nuovi ambienti, dove possano avere feconde ripercussioni”. Il modello di Rocker era quella “Lega dei Federalisti” fondata da Kropotkin a Mosca dopo il suo ritorno in Russia (Rocker, 1978, p. 13). 
                  Nuove idee per un nuovo mondo 
                Rocker sosteneva che il movimento libertario così organizzato 
                  doveva promuovere un nuovo inizio per la Germania e per l'Europa, 
                  se non per il mondo intero, avendo come fine “una riorganizzazione 
                  della loro vita sociale su basi completamente diverse” 
                  (Rocker, 1978, p. 19). “Una Germania federata”, 
                  osservava Rocker speranzoso, “è la prima pietra 
                  per una federazione dei popoli europei e quindi per una federazione 
                  mondiale” (Rocker, 1978, p. 35). La prospettiva era quindi 
                  la costruzione di un nuovo mondo fondato sui principi di un 
                  socialismo libertario e federalista, “unico mezzo per 
                  impedire l'accumulo di potere nelle mani di una piccola minoranza 
                  e per togliere il terreno a ogni politica di potenza verso l'interno 
                  e l'esterno” (Rocker, 1978, p. 19). Rocker individuava 
                  il terreno prediletto per l'azione dei libertari nei municipi, 
                  i quali costituivano “le cellule da cui può scaturire 
                  una vera riorganizzazione delle condizioni sociali” e 
                  da cui poteva iniziare la ricostruzione su basi differenti (Rocker, 
                  1978, p. 21). Era un errore tuttavia ritenere che i municipi 
                  stessero lì, ad aspettare gli anarchici, pronti per essere 
                  utilizzati in base ai propri scopi di libertà e uguaglianza 
                  sociale. Al contrario, Rocker invitava quest'ultimi a lavorare 
                  al loro interno per aprire nell'azione quotidiana nuove prospettive 
                  (Rocker, 1978, p. 24). Ciò doveva essere compiuto anche 
                  nei sindacati che si andavano ricreando, nelle cooperative e 
                  nei consigli dei lavoratori (Rocker, 1978, pp. 28-29) . 
                  Rocker conosceva la situazione tedesca non per esperienza diretta, 
                  ma filtrata dalle lettere che riceveva. Si era così fatto 
                  l'idea che una Germania distrutta fosse inadatta per la ricreazione 
                  dei vecchi sistemi politici autoritari (Rocker, 1978, p. 24), 
                  tanto da ritenere che il paese fosse diventato una sorta di 
                  spazio vuoto, in cui i municipi potevano muoversi piuttosto 
                  liberamente e divenire il motore della ricostruzione, dato che 
                  “l'intera amministrazione sociale del paese sta oggi quasi 
                  soltanto nelle mani dei municipi” (Rocker, 1978, p. 19). 
                  Alcuni membri della FFS, come Gustav Leinau e Willi Jelinek 
                  che pure avevano apprezzato la brochure di Rocker, evidenziarono 
                  l'inconsistenza di tale prospettiva, poiché la centralizzazione 
                  politica in Germania nel 1947 era già in una fase avanzata 
                  ed era impossibile condurre un'iniziativa autonoma nei municipi 
                  ponendosi al di fuori dei partiti (Degen, 2002, pp. 103-104; 
                  Bartsch, 1972, p. 116). 
                  “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland” andava 
                  tuttavia al di là del caso particolare tedesco, proponendo 
                  una riflessione che si inseriva nel solco inaugurato precedentemente 
                  da Rocker e che aveva trovato espressione anche in “Nazionalismo 
                  e cultura” (Rocker, 1977). Infatti quest'ultimo individuava 
                  nelle pagine della brochure un problema fondamentale in quel 
                  modo di pensare, dominante anche all'interno del movimento socialista, 
                  tendente ad identificare una causa e quindi a ricercare una 
                  soluzione. Si trattava secondo Rocker di una logica astratta 
                  e autoritaria, che portava alla centralizzazione politica e 
                  alla logica della delega nei confronti di una sola persona o 
                  di una piccola minoranza. 
                  Questo meccanismo di ragionamento così assolutizzante 
                  e totalizzante era ciò che aveva portato l'Europa alla 
                  rovina, poiché “nulla è più pericoloso 
                  che la credenza in una verità assoluta” (Rocker, 
                  1978, p. 6). Non era mai possibile, continuava Rocker, uniformare 
                  la realtà ad un unico principio astratto: “la reazione 
                  inizia lì dove si tenta di riportare la vita ad una norma 
                  precisa”. Astrattezza, logica totalizzante, credenza assoluta 
                  in un'unica idea, queste erano le cause, secondo Rocker, per 
                  cui “i rivoluzionari di ieri così frequentemente 
                  diventano i reazionari di oggi” (Rocker, 1978, pp. 6-7). 
                  Questa riflessione costituiva in un certo senso la base sulla 
                  quale poggiava la proposta federalista di Rocker, tesa, mi sembra, 
                  in primo luogo a garantire la pluralità e la multiformità 
                  di progetti, di soluzioni e di idee, combattendo così 
                  quell'ossessione pericolosa e liberticida per l'unità 
                  a tutti i costi: il socialismo “non assumerà ovunque 
                  le stesse forme”, ma solo quelle più funzionali 
                  alle diverse situazioni (Rocker, 1978, p. 24). Gli anarchici 
                  tedeschi dovevano in altre parole farla finita con tutto ciò 
                  che era stata la Germania in precedenza, non solo dal punto 
                  di vista politico, con quella tradizione militarista e autoritaria 
                  sviluppatasi ininterrottamente da Bismarck a Hitler, ma anche 
                  dal punto di vista culturale e filosofico più generale. 
                  “Noi dobbiamo imboccare una nuova via”, concludeva 
                  Rocker, “noi dobbiamo liberarci delle scorie del nostro 
                  passato”, poiché “l'ora di tutti è 
                  anche la nostra ora” (Rocker, 1978, pp. 35-36). Il movimento 
                  libertario doveva quindi avere la forza di porre le basi per 
                  un nuovo inizio anche, e forse soprattutto, tra le macerie del 
                  regime nazista. Nell'immediato, l'opuscolo consigliava agli 
                  anarchici rimasti in Germania di rinunciare a qualsiasi rapporto 
                  con i partiti e di dotarsi di un giornale e di una casa editrice, 
                  cosa che si realizzò negli anni successivi, con la fondazione 
                  del mensile Freie Gesellschaft (successore di Die 
                  Internationale) e della casa editrice Verlag Die Freie 
                  Gesellschaft. 
                  Il movimento anarchico si divise sui contenuti della brochure. 
                  Se esponenti come Rüdiger, autore tra l'altro di un'entusiasta 
                  prefazione allo scritto (Rocker, 1978, pp. 3-4), sostennero 
                  le tesi di Rocker, le quali vennero apprezzate e discusse anche 
                  nell'ambito della FFS, altri mossero dure critiche. Gli attacchi 
                  più aspri giunsero dall'Internationalist Bakunin-Group 
                  [Gruppo internazionale Bakunin], che riuniva i vecchi collaboratori 
                  della rivista War Commentary, di cui aveva fatto parte 
                  anche quel Vernon Richards che aveva polemizzato con Rocker 
                  per la sua posizione di fronte alla seconda guerra mondiale 
                  (Cheptou, 2008). Nell'agosto 1947, John Olday scrisse sul giornale 
                  Freedom un duro articolo all'interno del quale Rocker 
                  veniva tacciato di riformismo, accusato di voler porre gli anarchici 
                  al servizio del governo militare e accostato a Churchill nel 
                  suo sostegno all'idea di un'Europa federata (Bartsch, 1972, 
                  p. 113). Da parte sua, l'anarcosindacalista Augustin Souchy 
                  mosse nella sua corrispondenza privata una critica indiretta 
                  alla brochure di Rocker, osservando di avere nei mesi precedenti 
                  rinunciato a scrivere qualcosa sulla Germania “poiché 
                  mi dissi che noi fuori, all'estero, non siamo capaci di giudicare 
                  correttamente la situazione” (Degen, 2002, p. 104). 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   La famiglia Götze. Foto tratta da Dieter Nelles, Ulrich 
                  Linse,  Harald Piotrowski, Carlos García, Deutsche 
                  AntifaschistInnen  in Barcelona (1933-1939). Die Gruppe 
                  “Deutsche  Anarchosyndikalisten” (DAS), Graswurzelrevolution,  
                  Freiburg, 2013  | 
                   
                 
                Alcune osservazioni sparse 
                La discussione su “Zur Betrachtung der Lage in Deutschland” 
                  si esaurì nel giro di qualche tempo, mentre le attività 
                  della FFS andarono faticosamente avanti fino alla fine degli 
                  anni Cinquanta, soffrendo soprattutto l'assenza di una partecipazione 
                  giovanile. All'inizio di quel decennio, Rocker scrisse al riguardo 
                  che “i vecchi compagni dovranno contare sulle proprie 
                  forze e portare avanti, da soli, la difficile lotta finché 
                  nel movimento non ritorni il fermento di una nuova gioventù, 
                  (...) questo tempo verrà, perché lo spirito della 
                  libertà, l'amore umano e la collaborazione solidale sono 
                  sempre risultati più forti dell'alito viziato della reazione 
                  e di tutte le prigioni della tirannia” (Rocker, 1952, 
                  p. 570). La profezia di Rocker in un certo senso si avverò 
                  diversi anni dopo, alla fine degli anni Sessanta, ma questa 
                  è un'altra storia. 
                  Con questo pezzo si conclude la serie di tre articoli dedicati 
                  a Rudolf Rocker. Tentando di esplicitare il loro senso generale, 
                  posso dire che le intenzioni iniziali consistevano nella volontà 
                  di parlare di questa figura, poco nota in Italia ma di grande 
                  importanza e interesse per la storia dell'anarchismo internazionale, 
                  nei suoi aspetti meno rassicuranti e più controversi. 
                  Se la storia serve a qualcosa, trovo che questo non sia né 
                  la celebrazione né la semplice messa in mostra della 
                  propria erudizione in una sorta di onanismo intellettuale autoreferenziale, 
                  come purtroppo spesso accade in alcuni studi, completamente 
                  chiusi nella loro gabbia di costrizione accademica, ermetici 
                  ed estranei nei confronti del mondo circostante. Bisogna ricostruire 
                  e aiutare a capire figure, fatti, idee, processi, ma trovo necessario 
                  cogliere anche tematiche significative per il presente e magari 
                  stimolare ulteriori domande e riflessioni. In questo senso Rocker 
                  ha costituito l'occasione per affrontare un tema decisamente 
                  più ampio, quello cioè delle scelte degli anarchici 
                  di fronte all'eccezionale, a ciò che non è previsto 
                  e spesso non preparato, che scombussola e sembra mettere in 
                  dubbio idee e prassi consolidate. Perciò ho scelto di 
                  prendere in esame i casi della rivoluzione russa e delle sue 
                  conseguenze, della seconda guerra mondiale e della ricostruzione 
                  della Germania dopo il 1945. Da questa prospettiva, Rocker è 
                  stato un ottimo punto di osservazione poiché mi sembra 
                  che abbia sempre cercato di spingere la sua riflessione un po' 
                  più in là, oltre il consolidato, alla ricerca 
                  di soluzioni in grado di rendere l'azione degli anarchici efficace 
                  nel presente e suscitando allo stesso tempo vivaci discussioni. 
                  Questo aspetto della figura di Rocker venne messo in luce anche 
                  da Ugo Fedeli nei suoi articoli su “Volontà”, 
                  pubblicati negli anni Cinquanta (Fedeli, 1953-1954). 
                  Ciò che più mi ha incuriosito è insomma 
                  quello che si potrebbe definire lo “sguardo” di 
                  Rocker: attento, problematico e problematizzante al tempo stesso, 
                  mosso dal continuo tentativo di aggiornarsi, di “stare 
                  sul pezzo” si potrebbe dire (male), non senza prendere 
                  posizioni discutibili e sonori abbagli. D'altronde, per trasformare 
                  l'esistente non esistono mappe certe, ma solo tentativi di tracciare 
                  una rotta contro e fuori questo presente di dominio. 
                 David Bernardini 
                 Le due puntate precedenti sono apparse in “A” 
                  401, ottobre 2015 (”Aderire 
                  o sabotare?”) e in “A” 402, novembre 2015 
                  (“Il rifiuto del 
                  totalitarismo”) 
                  
                 
                
                   
                    Bibliografia 
                        Rudolf Rocker, gli anarchici tedeschi e il Reich 
                      Günther 
                        Bartsch, Anarchismus in Deutschland. 1945-1965, 
                        vol. I, Fackelträger, Hannover, 1972. 
                        Gaël Cheptou, La liberté par en 
                        bas. De l'anarcho-syndicalisme au pragmatisme libertaire, 
                        “À contretemps”, (2007), n. 
                        27. 
                        Stig Dagerman, Autunno tedesco, Lindau, 
                        Torino, 2007. 
                        Hans Jürgen Degen, Anarchismus in Deutschland 
                        1945-1960. Die Föderation Freiheitlicher Sozialisten, 
                        Klemm & Oelschläger, Ulm, 2002. 
                        Ugo Fedeli, Rudolf Rocker. La sua opera e il 
                        suo pensiero, “Volontà”, (1953-1954), 
                        nn. 6-7, n.8, n. 11, n. 12, n. 1, n. 2, n. 3. 
                        Mina Graur, An “Anarchist Rabbi”. 
                        The Life and Teachings of Rudolf Rocker, Tesi 
                        di dottorato, Houston, 1988. 
                        Rudolf Rocker, I pionieri della libertà, 
                        edizioni Antistato, Milano, 1982. 
                        Rudolf Rocker, Nazionalismo e cultura, edizioni 
                        Anarchismo, Catania, 1977. 
                        Rudolf Rocker, Die Möglichkeit einer anarchistischen 
                        und syndikalistischen Bewegung... Eine Einschätzung 
                        der Lage in Deutschland, Verlag Freie Gesellschaft, 
                        Frankfurt, 1978. 
                        Rudolf Rocker, Evoluzione e involuzione (1918-1951), 
                        Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli, Milano, di 
                        prossima pubblicazione. 
                        Horst Stowasser, Anarchie! Idee – Geschichte 
                        – Perspektive, Nautilus, Hamburg 2007. 
                        Wayne Thorpe-Marcel van der Linden, Aufstieg und Niedergang 
                        des revolutionären Syndikalismus, “Zeitschrift 
                        für Sozialgeschichte des 20. und 21. Jahrhunderts”, 
                        (1999), n. 3, pp. 9-38, disponibile presso il sito: http://www.wildcat-www.de/material/1999_syn.htm. 
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