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                  Ripubblichiamo qui la prefazione di Erri De Luca al libro 
                  Fuga dall'Assassino dei Sogni di Carmelo Musumeci e Alfredo 
                  Cosco (Edizioni Erranti, Cosenza, 2015, pp. 278, € 14,00. 
                  Per info e ordinazioni: zannablumusumeci@libero.it, 
                  www.edizionierranti.org). 
                    
                   
                  La sagoma della prigione s'imprime nell'infanzia. Il castigo 
                  di venire rinchiusi fa parte, o ne faceva, di un avviamento 
                  alle regole. Per me fu temperato dalla materia del muro: il 
                  tufo. Traspirava, attraverso i suoi pori mi arrivava la vita 
                  che si svolgeva fuori. Ingiurie, preghiere, richiami, risate, 
                  conversazioni: il tufo le faceva passare. 
                  Le prigioni presero all'inizio la via del mare, su navi dette 
                  appunto galere, con i forzati ai remi. 
                  Proseguirono con gli esiliati su isole lontane, rinchiusi dentro 
                  il cerchio delle onde. Gli Inglesi spedirono in Australia i 
                  condannati e si trovarono in cambio una nazione. Da noi nel 
                  Mediterraneo le isole si riempirono di sbarre. Nella mia infanzia 
                  è impressa la fortezza di Procida, sotto la quale passavano 
                  i battelli della villeggiatura. A Ischia visitavano il Castello 
                  Aragonese dove stettero incatenati al muro i napoletani ribelli 
                  ai re Borbone. 
                  Scrivo questi ricordi per dire che le prigioni non sono un pensiero 
                  remoto, ma un edificio al centro dell'educazione. Nella percezione 
                  corrente gli istituti di pena sono la botola della giustizia, 
                  aperta sotto i piedi dei soliti previsti. Non quelli che pesano 
                  di più fanno scattare il meccanismo, ma gli ultraleggeri, 
                  i “luftmensch“, persone fatte d'aria, senza zavorra 
                  di quattrini in tasta. Quelli che davanti alle vetrine illuminate, 
                  agli schermi accesi, restano a sentire il loro desidero crescere 
                  fino all'ira. Leggo in questo libro le parole di uno di loro, 
                  mio coetaneo perché della generazione che ha conosciuto 
                  le carceri della persecuzione. La pena erogata veniva eseguita 
                  con l'accanimento fisico permesso dall'estremismo repressivo 
                  dell'articolo 90, oggi modificato in 41 bis. Al vertice rovescio 
                  del sistema penitenziario speciale stava l'Asinara, luogo di 
                  demolizione della macchina uomo. Qui è detta, non descritta. 
                  Detta a voce a chi sta dirimpetto e la raccoglie per averla 
                  condivisa. Topi e isolamento, percosse e privazioni d'acqua, 
                  arbitrio puro di chi è autorizzato a opprimere: l'Asinara 
                  non meritava altra sorte di quella di essere chiusa dalla rivolta 
                  degli arrostiti. Asinara, Goli Otok, Tremiti, Pianosa, Santo 
                  Stefano: le isole del Mediterraneo anticipano il destino delle 
                  celle, che è di finire chiuse, abbandonate, vuote. Le 
                  isole tornano alla loro natura di passaggio per gli uccelli 
                  in volo. Le onde smettono di essere il fossato intorno alla 
                  fortezza, libere di andare e venire. E un medico di carcere 
                  non è più il falsificatore di cartelle cliniche, 
                  addetto alla cancelleria dei pestaggi. 
                  Leggo l'io narrante di una vita rinchiusa, gli effetti ristretti 
                  all'ora di colloquio, le fughe pensate per dare caloria al pensiero, 
                  le sue letture davanti al naso per cancellare i muri. È 
                  l'esistenza che serve allo Stato per dimostrare il suo diritto 
                  di pugno. 
                  Quando nel corpo spunta un dolore, anche se in fondo a un piede, 
                  quello diventa il centro pulsante dell'intero organismo. Così 
                  è per la prigione, centro che deve irradiare intorno 
                  a sé il dolore a scopo di terrore. Il resto del corpo 
                  cerca di tenersi a distanza, per sottrarsi al contagio. Ma la 
                  prigione è un'epidemia che, pure colpendo i più 
                  deboli, ammicca a tutti gli altri, che sanno provvisoria la 
                  loro immunità. 
                  Ergastolo infine è l'ultima bestemmia della negazione, 
                  la peggiore profezia a carico della persona umana: la sua impossibilità 
                  di espiare. 
                  La pena dell'ergastolo non è penitenza ma rifiuto. 
                  Leggo chi ha avuto la forza di narrare dal fondo di questa discarica. 
                  E questo è un libro, perché a questo serve: mettere 
                  al centro una vita e dare al lettore il posto d'onore davanti. 
                 Erri De Luca 
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