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				 società 
                  
                Metamorfosi del potere 
                  
                di Andrea Papi 
                    
                L'esercizio del comando più che complementare è funzionale e assoggettato alle logiche di chi domina influenzando e ricattando. 
                 
                  Non si vede nessuna luce in fondo 
                  al tunnel e si percepisce un'inquietudine diffusa, a tratti 
                  rabbiosa. Non parlo della politica politicante che, decidendo 
                  purtroppo parte dei nostri destini territoriali, è di 
                  fatto estromessa dai giochi sovrastanti che incidono pesantemente 
                  sulle sorti di tutti e di tutto. La politica, nelle forme vigenti 
                  del potere che le competono, è infatti sempre meno il 
                  luogo in grado di determinare il senso e la direzione del cammino. 
                  Ciò che stiamo vivendo, al di là della nostra 
                  capacità di rendercene conto, è di fatto un salto 
                  di qualità difficile da cogliere nella sua reale portata. 
                  Qualità nel senso di identificazione delle caratteristiche 
                  e delle proprietà, ovviamente, non certo di miglioramento, 
                  dacché non stiamo affatto bene e stiamo progressivamente 
                  peggiorando, almeno guardando lo status esistenziale della maggior 
                  parte degli esseri umani e dei contesti naturali, che sono quelli 
                  che veramente ci interessano. 
                  Al contrario, lo sguardo sulla e della politica politicante 
                  e di chi dirige i fili del soggiogante gioco economico che ci 
                  sovrasta, mostra che si muovono in uno spazio/tempo che ci riguarda 
                  solo perché lo subiamo. Incombono sopra le comuni esistenze 
                  quotidiane al di là di esse. Il punto fondamentale allora 
                  è capire che per riuscire a comprendere cosa sta succedendo 
                  bisogna andare oltre l'evidenza della nostra quotidianità. 
                  Se ci limitiamo a guardare filtrando semplicemente lo sguardo 
                  attraverso i criteri e gli stereotipi acquisiti, non riusciremo 
                  a cogliere il movimento delle cose, perché quei criteri 
                  e quegli stereotipi non sono più in grado di interpretare 
                  in modo sensato. 
                  Emblematica e altamente significativa in proposito è 
                  la metafora del lampione riportata dall'economista Jean Paul 
                  Fitussi (la Repubblica 2 settembre 2013). “Quasi tutti 
                  conoscono la storia del tizio che cercava le chiavi sotto un 
                  lampione non perché le avesse perse lì, ma perché 
                  quello era l'unico punto illuminato della strada. (...) Siamo 
                  noi a scegliere cosa occorre illuminare, i fenomeni da analizzare, 
                  i sistemi di misurazione che conviene utilizzare, gli obiettivi 
                  da perseguire. (...) Possiamo scegliere cosa vogliamo illuminare, 
                  siamo noi che decidiamo il posizionamento dei lampioni (...) 
                  Come la luce delle stelle morte ci arriva ancora molto tempo 
                  dopo la loro fine, quella di teorie invalidate dai fatti continua 
                  a espandersi.” 
                  Occhio ai lampioni 
                 Così, se prendono forma situazioni inconsuete o compaiono 
                  fenomeni nuovi, diversi nella sostanza da ciò che eravamo 
                  abituati a vedere, siccome i nostri sistemi ermeneutici non 
                  sono più adatti a misurarli né a interpretarli 
                  in modo adeguato, perdiamo qualunque possibilità di vederci 
                  chiaro. Se continuiamo ad accendere i lampioni in luoghi che 
                  sono isolati o che stanno scomparendo progressivamente, convinti 
                  al contrario di illuminare tutto lo spazio, di conseguenza non 
                  riusciremo a vedere concretamente gli accadimenti reali. Semplicemente 
                  non sono stati accesi i lampioni giusti nei posti giusti, per 
                  cui si cercherà di agire seguendo una rappresentazione 
                  teorica e immaginaria che ha ben poco a che fare col mondo reale. 
                  Il problema a cui mi voglio riferire è quello annoso 
                  della qualità del potere che ci sovrasta e ci costringe, 
                  determinando in modo asfissiante la qualità delle nostre 
                  vite. Se vogliamo contrastarlo, identificando modalità 
                  efficaci che siano in grado sia di limitarne gli effetti sulle 
                  nostre vite sia in prospettiva di superarlo fino a liberarsene, 
                  dobbiamo innanzitutto capire con cosa abbiamo a che fare. Ci 
                  accorgeremo che la vecchia narrazione a cui siamo stati educati, 
                  che vede nell'economia del capitalismo proprietario e nelle 
                  gerarchie del potere statale i due punti cardine del dominio 
                  cui saremmo sottoposti, non è più minimamente 
                  in grado di aiutarci. Anzi non può che risultare ingannevole, 
                  dal momento che ci rappresenta un palcoscenico in via di estinzione 
                  che induce a scelte e visioni che allontanano dal reale. 
                  Per quanto riguarda l'economia capitalista ne ho già 
                  scritto diverse volte anche su questa rivista. Non abbiamo più 
                  a che fare con un sistema di potere univoco, ben strutturato 
                  e impostato, bensì con un insieme di sistemi in sinergia, 
                  spesso anche in concorrenza fra loro, impostati per conquistare 
                  egemonie, in tendenza permanenti, ma anche legate a situazioni 
                  specifiche. Predominante su tutto non c'è una struttura 
                  di classe che decide la politica economica e impone le sue scelte, 
                  mentre è egemone una specie di oligarchia finanziaria 
                  non strutturata in classe, assimilabile più che altro 
                  a un magma fluido, anonimo e non strutturato, che si muove in 
                  continuazione tra le fluttuazioni finanziarie al di là 
                  della concretezza cartacea del denaro. Senza comandare direttamente 
                  s'impone influenzando, ricattando e costringendo. La produzione, 
                  sempre meno finalizzata a produrre cose utili e belle, è 
                  diventata innanzitutto un mezzo per attivare processi finanziari 
                  ed è ormai interamente gestita e realizzata da sofisticate 
                  tecnologie elettroniche (robotizzazioni, computerizzazioni, 
                  sviluppi cibernetici, ecc.), determinando un ribaltamento antropologico 
                  nel rapporto uomo/macchina. La macchinazione non è più 
                  pensabile come supporto del lavoro umano, al contrario è 
                  questo ad agire da supporto per le programmazioni tecnologiche. 
                  La dissoluzione della politica 
                 Per quanto riguarda la politica, mi sembra piuttosto che sia 
                  sempre più evanescente rispetto a come siamo abituati 
                  a considerarla. Ciò che le sopravvive non è che 
                  l'ombra sbiadita e al tramonto di quell'idea della gestione 
                  del potere che aveva illuminato il mondo, perlomeno dall'illuminismo 
                  in poi. La visione politica cui siamo stati educati, che nacque 
                  come espressione intrinseca delle città-stato per potersi 
                  gestire, sta scomparendo innanzitutto perché si sta dileguando 
                  il tradizionale luogo di riferimento per l'esercizio del governo, 
                  sia in concreto sia teoricamente sia nell'immaginario. Con la 
                  modernità la polis era diventata identificazione di un 
                  territorio sociale, luogo specifico all'interno del quale la 
                  politica, attraverso le sue modalità decisionali, si 
                  occupava appunto della gestione e della risolvibilità 
                  dei problemi. Pensata e vissuta originariamente come entità 
                  autocratica e autosufficiente, la polis viene sostituita progressivamente 
                  dalla sopranazionalità globale trionfante che la sta 
                  sommergendo annebbiandone la potenza egemonica. 
                  Dopo il tramonto del “principe”, ultima evoluta 
                  eredità del feudalesimo, la politica moderna ha avuto 
                  senso fino a quando gli stati nazionali sono stati il massimo 
                  punto di forza che si imponeva, quando tutto ciò che 
                  riguardava il territorio si svolgeva in sua funzione dentro 
                  lo stato che lo rappresentava. Questa specificità e questa 
                  funzionalità statali hanno perduto di senso e sono divenute 
                  vieppiù evanescenti. Gli stati oggi si trovano superati 
                  da entità extrastatali molto più potenti che li 
                  sovrastano e li condizionano, costringendoli a sottostare a 
                  influenze extraterritoriali. La politica dunque, non riuscendo 
                  più ad essere veramente sovrana e a esercitare le funzioni 
                  tipiche del “principe” secondo il modello machiavellico 
                  imperante da secoli, si sta dissolvendo quale luogo eletto, 
                  principe e sovrano, delle decisioni che riguardano tutti. 
                  La dimensione dominante che si sta imponendo massicciamente 
                  in modo del tutto diverso e nuovo, oltre a essere extra/statale 
                  di conseguenza è pure extra/politica, sovra/politica, 
                  addirittura meta/politica. Il momento/potere della decisionalità, 
                  che si dovrebbe svolgere con modalità proprie dentro 
                  ogni entità nazional-statale, non esiste praticamente 
                  più nei termini cui eravamo abituati. Cioè, continuano 
                  senz'altro dei rituali istituzionali molto simili a quelli tradizionali, 
                  ma deprivati di forza e di senso perché non possiedono 
                  più l'autonomia del percorso, trovandosi invece obbligati 
                  all'interno di direzioni da cui dipendono totalmente e sulle 
                  quali non sono in grado d'intervenire. La vigente politica ufficiale, 
                  residuale e sopravvissuta, trasformatasi ahimé in mero 
                  politicantismo che vivacchia alla giornata, ormai non può 
                  che limitarsi ad amministrare, sostanzialmente a subire, le 
                  influenze i ricatti e le imposizioni, più o meno dirette 
                  e più o meno ufficiali, con cui viene sistematicamente 
                  circuita dal dominio globale, extra/nazionale e meta/politico 
                  sovrastante. 
                  Bisogna cominciare a prender atto che si sta inverando una vera 
                  e propria metamorfosi del potere, che perciò non può 
                  più essere affrontato nei termini tradizionalmente noti, 
                  ormai desueti e inadeguati. Individuato nello stato, metaforico 
                  Leviatano hobbessiano, il malefico luogo del sommo potere sovrano 
                  per eccellenza, nella considerazione che se ne era sempre avuta 
                  non poteva che essere identificato quale acme del dominio, capace 
                  di racchiudere in sé tutte le virtù e i vizi del 
                  comando e dell'imposizione massimi. Soprattutto in casa anarchica 
                  è sempre stato la bestia nera per eccellenza insieme 
                  alla proprietà privata, il nemico principale, abbattuto 
                  il quale il dominio in tutte le sue forme dovrebbe esser destinato 
                  ad estinguersi, vien da dire quasi d'incanto, perché 
                  non potrebbe più esercitarsi attraverso la sua forma 
                  storica. 
                  Se tutto ciò poteva avere un senso, e in buona parte 
                  effettivamente ce l'aveva, ai tempi di Bakunin, Marx e Malatesta, 
                  oggi è quasi impossibile riproporlo come visione un minimo 
                  realistica. Se riuscissimo a osservare con acutezza e senza 
                  apriorismi, non potremmo non accorgerci che lo stato non rappresenta 
                  più il punto più alto della dominazione suprema. 
                  Gli stati oggi sono sempre più assimilabili a una specie 
                  di amministratori territoriali per conto di predominanze sopra 
                  ed extra statali, che li sovrastano e influenzano pesantemente 
                  costringendo i governi nazionali a restringere di moltissimo 
                  la propria autonomia decisionale. 
                  Mi sembra di poter dire con sicurezza che le forme del potere 
                  non sono più univoche e sono riconoscibili in almeno 
                  due aspetti portanti e determinanti, che per comodità 
                  chiamerò “potere di comandare” e “potere 
                  di dominare”. 
                  Contro il nichilismo del potere dominante 
                 Il potere di comandare corrisponde alle vecchie classiche 
                  modalità: possibilità, legittimata dall'uso della 
                  forza, di decidere e imporre agli altri cosa debbono fare. Si 
                  esprime attraverso le varie forme di comando gerarchico e si 
                  sorregge sulla coazione, sull'ingiunzione e sull'obbligo imposto. 
                  Emanazione diretta dei vari militarismi, storicamente è 
                  strettamente legato alla monarchia prima, allo stato nazionale 
                  poi. 
                  Viceversa il potere di dominare difficilmente si esercita in 
                  modo diretto. Corrisponde alla risoluta possibilità di 
                  imporre il proprio interesse e la propria volontà attraverso 
                  la capacità di influenzare con decisione, di ricattare, 
                  di costringere senza remissione, oppure di sedurre e allettare 
                  al di là e oltre ogni regola e ogni contrattazione o 
                  accordo. È espressione di pura capacità di imposizione 
                  e frequentemente agisce in modo subdolo, sottile e infido. 
                  Entrambi non vanno visti né intesi come alternativi l'un 
                  l'altro, ma complementari. Sono due facce diversificate dell'imposizione 
                  coattiva, tenendo presente però che il potere di dominare 
                  è molto più invasivo e poderosamente influente 
                  di quello di comandare. Nei fatti non a caso l'esercizio del 
                  comando più che complementare è funzionale e assoggettato 
                  alle logiche di chi domina influenzando e ricattando. Nella 
                  fase attuale il dominio è globale. Stretta emanazione 
                  del liberismo speculativo sta condizionando pesantemente le 
                  scelte politiche ed economiche degli stati nazionali, sempre 
                  meno sovrani e sempre più dipendenti. Il potere politico, 
                  che continua a esercitare il comando, ha perso la sua egemonia 
                  assoluta e, pur persistendo pesantemente, non può più 
                  essere il nemico principale da combattere e abbattere. È 
                  il dominio, come sempre del resto, il vero obbiettivo da contrastare, 
                  in tendenza eliminare. Non essendo però identificabile 
                  in alcun palazzo o in alcuna struttura, bensì nei processi 
                  che mette in moto e gestisce, non può essere conquistato 
                  né abbattuto, come si poteva supporre per il potere che 
                  comanda, mentre dev'essere aggirato, trovando il modo di sottrarsi 
                  alla sua devastante influenza, per conquistare piena autonomia 
                  di autogestione. La guerra di classe, la guerra rivoluzionaria 
                  e consimili non sono perciò più proponibili, almeno 
                  se si vuole veramente avversare il nichilismo del potere dominante.
                  Andrea Papi
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