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                  Il mito dello stato  
                  di Andrea Staid 
                  
                  Nella storia della disciplina 
                  antropologica da sempre anche le correnti più classiche 
                  si sono occupate dello stato. Questi svariati lavori rientrano 
                  nel filone dell'antropologia politica che concerne studi sulle 
                  diverse strutture del sistema politico, sull'organizzazione 
                  gerarchica della società, sullo studio dello spazio, 
                  dei territori e soprattutto sulla base che forma la società. 
                  Sono molti gli autori rilevanti che si sono occupati di antropologia 
                  politica e della questione dello stato, solo per citarne alcuni: 
                  Pierre Clastres, Edward Evan Evans-Pritchard, Meyer Fortes, 
                  Georges Balandier, Fredrik Bailey, Jeremy Boissevain, Marc Abélès, 
                  Jocelyne Streiff-Fenart, Ted C. Lewellen, Robert L. Carneiro, 
                  John Borneman, Joan Vincent, Marshall Sahlins e tanti altri. 
                  Più volte, anche sulle pagine di questa rivista, si è 
                  parlato di Pierre Clastres e della sua importante opera Le 
                  società contro lo stato, ma questo per fortuna non 
                  è l'unico libro che affornta la tematica. È infatti 
                  importante sottolineare che sono molti gli antropologi che si 
                  sono occupati della questione, anzi si potrebbe dire che tutti 
                  gli antropologi libertari hanno affrontato nei loro studi, nelle 
                  loro etnografie la questione dello stato, della sua gerarchia, 
                  della stratificazione del potere e del suo farsi dominio e sfruttamento. 
                  Uno di questi antropologi libertari che si è occupato 
                  profondamente e per molti anni della tematica è Harold 
                  Barclay. Questo antropologo anglosassone, classe 1924, è 
                  professore emerito di antropologia all'università dell'Alberta 
                  a Edmonton (Canada), la sua ricerca si è focalizzata 
                  su la società rurale nell'Egitto moderno e nel Sudan 
                  settentrionale, così come sull'antropologia politica 
                  e antropologia delle religioni. Oltre alla sua attività 
                  accademica è considerato un teorico anarchico che si 
                  è specializzato in teorie per la distruzione dello stato 
                  e sulle possibilità reali che può avere oggi una 
                  società senza stato e senza leader. Ha scritto diversi 
                  articoli e monografie tra le quali una particolarmente interessante, 
                  purtroppo mai tradotta in Italia: People without government: 
                  an anthropology of anarchy (rev. ed., Seattle, Left Bank 
                  Books, 1990). 
                  Da poche settimane anche in Italia è uscito in libreria 
                  uno dei suoi ultimi lavori, ovvero Lo stato, breve storia 
                  del Leviatano, (Elèuthera, Milano, 2013) che in modo 
                  molto semplice ma rigoroso, attraverso la sua esperienza etno-antropologica 
                  pluri decennale, ci spiega le origini e la costituzione dello 
                  stato. 
                  Molto è stato scritto e detto sulla natura dello stato 
                  e sulla questione della sua origine ed evoluzione, ma questo 
                  saggio aggiunge una interpretazione originale e interessante 
                  per i lettori libertari e per gli antropologi. 
                  Questo libro attinge principalmente da due orientamenti. Il 
                  primo è l'insieme di dati empirici dell'antropologia 
                  e dell'archeologia; il secondo è costituito dalla teoria 
                  anarchica che può essere considerata come una specifica 
                  espressione di una più generale teoria del conflitto. 
                  L'autore sostiene che i dati dell'antropologia confermano una 
                  teoria anarchica del governo. Ovviamente parla della teoria 
                  che rifiuta lo stato in quanto fondamentalmente e inevitabilmente 
                  dispotico, e nega il fatto che non si possa vivere senza stato 
                  sottolinenado che vivere in una società statale è 
                  solamente una delle opzioni che gli esseri umani si possono 
                  dare e non l'unica. 
                  Dalla parte dello stato troviamo sempre quella fastidiosa retorica 
                  che lo raffigura come un'istituzione benevola, tesa a fornire 
                  un'ampia gamma di servizi essenziali. Questi includono la difesa 
                  della proprietà e della persona, scuole, biblioteche, 
                  buone strade, reti fognarie, soccorso in caso di calamità, 
                  difesa del territorio, uniformità delle unità 
                  di misura, garanzie sulla qualità del cibo e altri servizi. 
                  Non c'è alcun dubbio che la lista dei servizi potrebbe 
                  essere anche più lunga ma in cambio della nostra servitù. 
                  I difensori dello stato sostengono che senza di esso noi non 
                  potremmo godere di nessuno di questi servizi. 
                  Questo principio è in totale antitesi col punto di vista 
                  anarchico, e in questo saggio Barclay lo spiega bene, affrontando 
                  le questioni sollevate da questi due punti vista contrapposti. 
                  Gli esempi sono tanti di come invece è stato ed è 
                  tuttora possibile vivere senza stato e senza rinunciare ai servizi 
                  sopra elencati: lo si può fare cambiando il modo di gestirli, 
                  ovvero non più dall'alto in modo gerachico, ma dal basso 
                  in modo diffuso nella società attraverso l'autogestionene. 
                  Nel testo l'autore fa un esempio particolarmente calzante, confrontando 
                  corpo umano e stato: “Si sostiene a volte che il corpo 
                  umano è ordinato dal suo meccanismo centrale di controllo, 
                  il cervello. Ma lo stesso cervello è un organo immensamente 
                  complesso che deve catalogare una quantità enorme di 
                  informazioni e gestire innumerevoli messaggi. E non ha alcuna 
                  amministrazione centrale”. 
                  Ovunque l'ordine è creato dal 'caos' o da una congerie 
                  di processi auto-organizzati. Messa in altro modo, gli individui 
                  (siano esse persone, organismi, atomi o altro) interagiscono 
                  con l'ambiente e conseguentemente producono inaspettati e ordinati 
                  risultati. 
                  La nozione che tutti i fenomeni necessitino di una testa o debbano 
                  essere controllati da un'organizzazione centrale è un 
                  sotterfugio promosso dallo stato. È simile al postulato 
                  secondo il quale se non ci fossero polizie e galere la vita 
                  sprofonderebbe nel caos assoluto. I vicini comincerebbero a 
                  massacrarsi gli uni con gli altri, i mariti massacrerebbero 
                  le mogli, e tutti scassinerebbero i negozi per rubare a volontà. 
                  Ma se gli esseri umani avessero realmente una tale inclinazione 
                  ci sarebbe bisogno di un poliziotto per ogni individuo e altri 
                  poliziotti per controllare la polizia. Il che non corrisponde 
                  alla realtà. (Barclay, 2013)
                
 
                   
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                    |   Eric Drooker, The argument (drooker.com)  | 
                   
                 
                 
                  Continuando la lettura del testo l'autore ci fa notare che la 
                  storia dimostra come lo lo stato sia un'istituzione oppressiva 
                  e violenta relativamente recente, e che per migliaia di anni 
                  gli esseri umani hanno vissuto su questa terra senza questa 
                  istituzione. Ma poi ci pone anche diverse domande: se lo stato 
                  è oppressivo, perché fornisce così tanti 
                  servizi sociali? Come ha avuto origine l'idea stessa di stato? 
                  Esistono alternative all'organizzazione statale? 
                  Gran parte di questo saggio si concentra sull'analisi dei vari 
                  requisiti ritenuti necessari alla formazione dello stato e delle 
                  differenti forme che ha assunto nei diversi luoghi del pianeta. 
                  La certezza è che lo stato, per formarsi, necessita di 
                  un grande sviluppo della gerarchia, di una separazione del corpo 
                  sociale e della disuguaglianza nell'accesso al potere e alla 
                  ricchezza. 
                  Dopo la lettura di questo saggio diventa ancora più chiaro 
                  come non sia corretto ritenere, come fanno molti storici “ufficiali”, 
                  che con lo stato nasca la società umana e la ricerca 
                  della pace da parte della stessa. Gli esseri umani hanno sempre 
                  cercato di organizzarsi socialmente (basta pensare che per la 
                  maggior parte della storia dell'umanità abbiamo vissuto 
                  senza stato, in collettività – tribù, clan 
                  ), creando rapporti inter-tribali e intra-tribali tendenti al 
                  mutuo appoggio. Lo stato altro non è che una particolare 
                  forma organizzativa, o meglio, una degenerazione organizzativa 
                  che da un certo momento in poi l'umanità si è 
                  data, o, più correttamente, che alcune minoranze hanno 
                  imposto alla maggioranza. Come sostiene Barclay in People 
                  without government: an anthropology of anarchy “lo 
                  stato è uno dei miti universali del nostro mondo moderno”. 
                  Un mito conculcato dallo stato stesso, che tipicamente tende 
                  a confondere lo stato con la società. I due concetti 
                  sono infatti spesso ritenuti equivalenti, se non altro per confermare 
                  la credenza che senza lo stato la vita non sia possibile. La 
                  società e la vita in generale sono assolutamente possibili 
                  senza stato. Non c'è bisogno dello stato per vivere liberi, 
                  anzi è corretto ribaltare questa affermazione: per vivere 
                  liberi non ci deve essere lo stato.
                 Andrea Staid 
                  andreastaid@gmail.com
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