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				 studenti 
                  
                Meglio sarebbe legarli 
                  
                di Lucio Varriale 
                    
                C'è un'ideologia securitaria che va sempre più affermandosi nelle scuole. 
In nome della sicurezza, si limita la libertà dei bambini e si impone un modello culturale negativo. 
                 
                  Prima istantanea. Guardo una 
                  foto che ho scattato alcuni mesi fa, per un lavoro con i bambini 
                  della terza elementare dove insegno. Non ci avevo pensato prima, 
                  ma guardandola in fotografia la scuola più grande della 
                  nostra cittadina – l'Istituto superiore Russell-Newton 
                  – non aveva un bell'aspetto. La costruzione grigia, priva 
                  di slancio e di fantasia, tutta circondata da una bassa cancellata 
                  con gli ingressi chiusi, non aveva neanche l'imponente presenza 
                  di un carcere (né rocca storica come Volterra, né 
                  moderno e imponente come Sollicciano). Col suo profilo basso, 
                  mancante di personalità, pareva piuttosto soltanto un 
                  istituto di rieducazione per minori. 
                  Nel liceo in cui ho studiato io il cancello era sempre aperto. 
                  Qui mi chiedevo a cosa dovesse servire: a proteggere i ragazzi 
                  dai malintenzionati che provenivano dall'esterno? Mi sembrava 
                  troppo basso, troppo facilmente aggirabile da chi fosse stato 
                  determinato a farlo. Si sarebbe detto piuttosto che dovesse 
                  servire a proteggere i ragazzi dall'idea di poter uscire fuori: 
                  in fondo, a proteggerli da se stessi. 
                  Seconda istantanea. Il securitarismo non è solo del carcere, 
                  e neanche della scuola: è piuttosto una tendenza trasversale 
                  nella nostra società che rappresenta il mondo come fosse 
                  sempre meno sicuro, e si regge fomentando la paura al di là 
                  delle motivazioni razionali. 
                  Alla fine di un corso di aggiornamento sulla sicurezza a scuola, 
                  la prima domanda del test di verifica era che cosa significasse 
                  “pericolo”. Le risposte possibili erano tutte piuttosto 
                  ambigue e un'insegnante – sbagliando – pensò 
                  che quella giusta fosse “tutto ciò che è 
                  imponderabile”. La cosa mi sembrò preoccupante: 
                  ciò che non è calcolabile e prevedibile può 
                  essere tanto un pericolo quanto una possibilità di miglioramento. 
                  In caso contrario tutto ciò che non conosciamo dovrebbe 
                  essere eliminato ancor prima di provare a conoscerlo (compreso 
                  gli “stranieri”, del cui inserimento quell'insegnante 
                  si occupava). 
                  Sicurezza nelle scuole 
                 La sicurezza è importante. Terremoti, incendi possono 
                  causare disastri anche negli edifici pubblici, ed è importante 
                  essere preparati per gestirli al meglio. È importante 
                  far capire ai bambini cosa può succedere e come comportarsi 
                  in caso di pericolo. È importante che dalle parole si 
                  passi ai fatti, e vengano magari sperimentate in prima persona 
                  alcune attività di esercitazione. Ma soprattutto sarebbe 
                  importante che gli insegnanti avessero prima ben chiaro come 
                  comportarsi. 
                  Quest'anno molti istituti, tra cui il mio, hanno organizzato 
                  un corso di aggiornamento sulla sicurezza obbligatorio per i 
                  dipendenti. All'inizio la vicaria del dirigente, titolare del 
                  corso, aveva pensato di affiancare alle definizioni sulle slide, 
                  che lasciano un po' il tempo che trovano, una dimostrazione 
                  pratica di cosa fare nelle varie situazioni di emergenza, e 
                  soprattutto in caso di incendio. Era stato invitato un vigile 
                  del fuoco che aveva dato la sua disponibilità per una 
                  dimostrazione gratuita, e per rispondere alle domande più 
                  comuni: soprattutto avrebbe mostrato a tutti come utilizzare 
                  un estintore in modo da essere preparati a farlo al meglio, 
                  data la rapidità del fuoco (in caso di incendio, spiegano 
                  gli ingegneri specializzati, pochi secondi fanno la differenza 
                  tra la vita e la morte). Non è semplice come sembra: 
                  non c'è tempo per leggere le istruzioni, l'estintore 
                  è pesante e si trova adesso sospeso a oltre un metro 
                  e mezzo da terra (sono le nuove norme di sicurezza per eliminare 
                  gli intralci al suolo). Ci vogliono – oltre a nervi saldi 
                  e prontezza – anche abilità e una certa forza per 
                  tirarlo giù, poi va rimossa la protezione e utilizzato 
                  come meglio si sa. 
                  L'idea era buona, ma la rigidità delle norme l'ha impedita: 
                  nessun esperto esterno può intervenire a scuola senza 
                  un regolare contratto, un regolare contratto non può 
                  essere stipulato senza un pagamento, la scuola non aveva soldi 
                  a disposizione e quindi il vigile del fuoco non è venuto. 
                  Così noi, in quelle dodici ore di formazione, non abbiamo 
                  incrementato di un briciolo la nostra capacità di utilizzare 
                  un estintore né di affrontare un incendio. Senza parlare 
                  poi del primo soccorso, dato che adesso in ogni plesso dovrebbe 
                  essere presente anche un defibrillatore, il cui uso (non proprio 
                  semplicissimo) sarà a carico del personale docente e 
                  non docente, senza medici o infermieri presenti. 
                  Un modello di sicurezza passivo 
                 Per contro la sicurezza viene quasi interamente delegata ai 
                  divieti. Non si può far scendere le scale ai bambini 
                  non accompagnati (neanche se il bagno è al piano di sotto 
                  e neanche se hanno dieci anni – che usino il pannolino, 
                  casomai), non si può mandare un bambino da solo a chiedere 
                  una cosa alla collaboratrice scolastica (ex-custode, per intendersi), 
                  spesso per sicurezza non si possono neanche aprire o chiudere 
                  a piacere finestre e porte. Non si possono intralciare gli spazi 
                  dei corridoi per la didattica (ad esempio per dividere due gruppi 
                  di lavoro), e non si possono neanche far costruire ai bambini 
                  capanne di canne in giardino durante il laboratorio sulla preistoria 
                  – ci ha ammonito l'ultima volta l'ingegnere. 
                  Mi dicono addirittura che in un istituto di Firenze il dirigente 
                  ha costretto tutti gli insegnanti a portare i bambini in bagno 
                  una sola volta, insieme e in fila all'ora di ricreazione. Questo 
                  in seguito a un infortunio capitato a un singolo bambino, pare 
                  scivolato sul pavimento bagnato. In questo caso, la regola imposta 
                  dal dirigente non avrebbe evitato l'infortunio, dato che questo 
                  era accaduto oltre la porta del bagno, e non nel corridoio. 
                  Ma anche fosse accaduto nei corridoi, viene da chiedersi che 
                  sicurezza è quella fondata sul togliere ogni possibilità 
                  di agire solo perché nell'azione ci potrebbe essere un 
                  rischio. 
                  Quello del bagno è solo uno dei tanti segnali che vanno 
                  in questa direzione. Un altro segnale preoccupante è 
                  che i bambini non possono tornare a casa da soli neanche quando 
                  hanno dieci anni, e neanche con l'autorizzazione dei genitori 
                  (questa è la situazione negli ultimi tre o quattro anni 
                  nel mio istituto, che permette le uscite senza adulti solo a 
                  partire dalle scuole medie). Quando arriverà il momento 
                  in cui saranno in grado di gestire da soli le situazioni, se 
                  si toglie loro ogni autonomia? 
                  Mi chiedo se quest'idea di proteggere a ogni costo i bambini 
                  da se stessi abbia qualcosa a che fare con i meccanismi propri 
                  anche della società degli adulti. Forse sarà perché 
                  mi è capitato di occuparmi dei meccanismi del carcere 
                  nell'effettività delle sue pratiche e nell'immaginario, 
                  ma mi sembra che il famoso “securitarismo” abbia 
                  radici profonde, nell'idea di un sistema di regole atte a preservare 
                  gli uomini da se stessi, impedendo loro di ricercare possibilità 
                  di azione diverse. 
                  Il securitarismo e gli insegnanti 
                 Nel mondo della scuola pubblica i problemi sono tanti e si 
                  vedono. Ma se si è parlato spesso di tagli al personale 
                  e ai finanziamenti, di scoramento degli insegnanti o di inadeguatezza 
                  della loro formazione, di accresciute difficoltà del 
                  tessuto socio-culturale, mi pare si sia parlato meno dell'erosione 
                  che il clima securitario compie sulla pedagogia. 
                  Infatti il problema purtroppo non è solo che non si concede 
                  fiducia sufficiente ai bambini perché possano maturare, 
                  ma anche che stiamo assistendo a una drastica riduzione delle 
                  possibilità di azione degli insegnanti, in nome di una 
                  “sicurezza” che mi pare dubbia. 
                  Quest'anno mi è capitato ad esempio di arrivare un giorno 
                  nella mia classe e trovare tutti i banchi nuovi. A prima vista 
                  erano più grandi e più belli dei precedenti, ma 
                  presto hanno rivelato due grossi limiti. Per prima cosa non 
                  rimaneva più un briciolo di spazio per muoversi in quella 
                  minuscola classe (era già piccola per i banchi vecchi). 
                  In secondo luogo, i banchi non avevano alcuno spazio per riporre 
                  i propri oggetti sotto (anche quel piccolo ripiano doveva essere 
                  apparso un ostacolo inutile agli occhi dei progettisti). E questo 
                  ha comportato il venir meno di qualsiasi spazio privato del 
                  bambino a scuola, dove poter riporre gli oggetti utili o di 
                  affezione. Non c'era più neanche il posto per conservare 
                  il libro scelto dalla biblioteca di classe che si poteva leggere 
                  nei momenti di pausa, attività che avevo introdotto da 
                  un anno e che aveva riscosso molto successo, perché gestito 
                  dai bambini in totale libertà. Ho chiesto che venissero 
                  reintrodotti i banchi precedenti, ma erano già stati 
                  smaltiti: la direttiva proveniva dall'alto ed era obbligatoria 
                  perché solo i nuovi banchi erano quelli “a norma”: 
                  ne veniva sostituito un lotto dopo l'altro appena c'erano dei 
                  fondi disponibili. Io in qualche mese per fortuna riuscii a 
                  risolvere la questione, ma l'operazione è indice del 
                  restringimento dell'autonomia degli insegnanti perfino nelle 
                  scelte più strettamente didattiche: quando frequentavo 
                  le elementari io, l'insegnante aveva completa autonomia nella 
                  gestione dei banchi dell'aula. 
                  Dopo il corso sulla sicurezza faccio una piccola ricerca su 
                  google con le parole “infortunio scuola bagno”, 
                  e per primo risultato trovo una sentenza che dà ragione 
                  a un ricorso dei genitori di un bambino contro il ministero 
                  della pubblica istruzione. L'incidente era di tipo assolutamente 
                  ordinario: un bambino cammina nell'aula, inciampa nello zaino 
                  di un compagno, cade e si scheggia leggermente un incisivo. 
                  Del resto mi fa piacere che i genitori abbiano ottenuto un risarcimento. 
                  Un po' meno piacere, invece, quando leggo alcune motivazioni 
                  della sentenza. 
                  “Occorre evidenziare che i banchi erano disposti in ordine 
                  sparso e non in file ordinate, circostanza che sarebbe stata 
                  motivata da ‘nuove usanze didattiche' la cui esistenza 
                  non è stata minimamente provata, e che ad ogni modo risulterebbero 
                  incoerenti alla necessità di una strutturazione adeguatamente 
                  ordinata della classe, atta a consentirne l'ottimale controllo 
                  da parte delle insegnanti e ad agevolare la corretta circolazione 
                  degli allievi al suo interno”. 
                  Non è chiaro quale fosse la disposizione dei banchi che 
                  non rispettava le tradizionali “file” e che tanto 
                  ha preoccupato gli avvocati, ma dalla lettura dell'intera sentenza 
                  viene da pensare che si trattasse di una disposizione “a 
                  isole” secondo i modelli dell'apprendimento cooperativo. 
                  Gli avvocati non sono tenuti a essere esperti di didattica, 
                  e dunque non possiamo biasimarli più di tanto se chiamano 
                  “nuove tecniche didattiche” questa organizzazione 
                  della classe che – risalendo per lo meno alle sperimentazioni 
                  di Freinet – era stata sì “nuova”, 
                  ma lo era stata al tempo in cui a frequentare le scuole elementari 
                  erano i bisnonni dei bambini in questione. Possiamo però 
                  biasimarli un po' di più per il fatto di non assumere 
                  che, per quanto riguardava la didattica, gli insegnanti fossero 
                  più competenti di loro. Proseguendo con la seconda parte 
                  della citazione, tutta incentrata su ordine e controllo e non 
                  su insegnamento e apprendimento, mi viene da chiedere se non 
                  sarebbe più utile mettere degli ingegneri a fare i maestri, 
                  poiché dopo tutto gli esperti di questo tipo di sicurezza 
                  sono loro. Sarà che gli insegnanti sono solo una seconda 
                  scelta per l'insegnamento ai bambini, un ripiego in mancanza 
                  degli ingegneri? 
                  La massima sicurezza durante la lezione – esasperando 
                  il ragionamento securitario – si otterrebbe utilizzando 
                  cinture di sicurezza per legare i bambini, almeno i più 
                  irrequieti, a seggioline fissate al suolo (chi ricorda i lettini 
                  di contenzione?). Può davvero essere questa la strada 
                  giusta? 
                  Non scrivo per difendere ideali di libertà dei bambini 
                  o di autonomia degli insegnanti. Voglio difendere proprio la 
                  sicurezza, forse con una punta di provocazione, dal securitarismo. 
                  Se smettiamo di pensare all'uomo come un oggetto in movimento 
                  ma lo pensiamo come un soggetto, esiste un'altra via per garantirla. 
                  Se la sicurezza non si concepisce come una serie di limiti imposti 
                  dall'alto ai soggetti, ma si costruisce insieme, facendo in 
                  modo che tutti abbiano interesse a massimizzarla, allora possiamo 
                  essere molto più sicuri. 
                  Un'altra via per la sicurezza 
                 Anche questo modello di sicurezza non viene da solo, ma va 
                  costruito, in questo caso attraverso la fiducia reciproca e 
                  la consapevolezza individuale. I “soggetti” infatti 
                  hanno questo vizio: quello che possono sempre trovare il modo 
                  di sottrarsi alla regola, se così desiderano. “Fatta 
                  la legge trovato l'inganno”, recita un vecchio detto. 
                  È inutile allora restringere sempre di più le 
                  maglie securitarie per risolvere il problema. È molto 
                  più sicuro, paradossalmente, dare autonomia e fiducia, 
                  e dunque libertà. Diamola gradualmente, ma diamola (e 
                  “gradualmente” non può significare che un 
                  bambino di dieci anni non possa andare al bagno da solo). 
                  “Sbagliando si impara”: questo forse anche gli avvocati 
                  (e gli ingegneri) lo hanno sentito dire. L'idea di un'educazione 
                  “naturale”, sorvegliata con discrezione, risale 
                  per lo meno all'Émile di Rousseau. Molti altri pedagoghi 
                  (e non solo) hanno ritenuto il gioco una forma essenziale all'apprendimento, 
                  e dunque sarebbe importante lasciare un margine anche nella 
                  scuola (è “gioco”, per le macchine, anche 
                  il margine di manovra, lo spazio di muoversi liberamente, l'“articolazione”, 
                  come la chiamerebbe Stuart Hall). Fino ad arrivare al metodo 
                  “naturale” di Célestine Freinet, per il quale 
                  l'apprendimento vero non può avvenire con la ripetizione 
                  dell'esercizio, se non muove da una ricerca individuale che 
                  procede per domande, tentativi ed errori che – portando 
                  a nuove domande, e così via – progressivamente 
                  avvicinano ad una risposta sempre più adeguata ai problemi 
                  che si hanno di fronte. La qual cosa funziona solo se fatta 
                  insieme, e non imposta dall'alto a prescindere dalla coscienza 
                  dei soggetti. Non a caso Freinet è stato uno dei più 
                  grandi sostenitori dell'apprendimento cooperativo. 
                  È questa dunque, la diversa via alla sicurezza. Se costruiamo 
                  insieme una situazione come la vogliamo, seguendo i nostri desideri, 
                  tutti faranno del proprio meglio per sostenerla. Si comporteranno 
                  come meglio possono, con un'efficacia molto maggiore di quella 
                  che si otterrebbe con divieti e minacce. Dovreste vedere come 
                  lavorano bene i bambini – tutti, e anche nelle situazioni 
                  più caotiche – quando affrontano, magari in gruppo, 
                  un lavoro che a loro piace: costruire un libro disegnando grandi 
                  immagini degli ominidi, leggere un libro a scelta nel tempo 
                  libero, inventare un dialogo alternativo tra la Cicala e la 
                  Formica per sperimentare la differenza tra discorso diretto 
                  e narratore. 
                  Lo stesso per quanto riguarda la “sorveglianza” 
                  sui bambini (come da contratto): l'unica veramente efficace 
                  è quella che ciascuno fa su tutti gli altri, e la fa 
                  finché è convinto che rispettare le regole sia 
                  il modo migliore per difendere una situazione favorevole (il 
                  problema sta lì, casomai: che sia favorevole a tutti 
                  e non solo a qualcuno). 
                  Accadde un giorno che qualche bambino, non si sa di che classe, 
                  lanciasse fuori della rete noci selvatiche raccolte in giardino, 
                  che andavano a colpire case del vicinato. Cercai di spiegare 
                  ai bambini il motivo del divieto di lanciare noci: serviva a 
                  mantenere la possibilità di usufruire di quel giardino, 
                  che altrimenti ci sarebbe stata vietata (giustamente, visto 
                  che non potevamo rompere i vetri ai vicini). Non solo, ma arrivammo 
                  a mettere una regola altamente illiberale: non si poteva neanche 
                  fingere di lanciare le noci. Il primo motivo era che qualcuno 
                  poteva vedere il gesto e accusare il suo autore di aver fatto 
                  un danno che non aveva fatto; il secondo perché qualche 
                  bambino poteva imitare quel gesto senza accorgersi che era una 
                  finzione. Non è importante se fossero rigide o permissive: 
                  avevano un senso preciso, perciò furono accettate e rispettate. 
                  Ma come spiegare ai bambini che non possono andare in bagno 
                  da soli perché rischiano di scivolare? Sarebbe simile 
                  a proporre di non camminare con i propri piedi, casomai si inciampasse. 
                  L'unica possibilità che rimane in quei casi è 
                  di insegnare a rispettare degli standard (imposti con i divieti) 
                  senza chiedersi perché. Proprio così: un'educazione 
                  all'ignoranza. 
                  Le regole di comportamento dovrebbero solo esistere in funzione 
                  del senso che assumono. La libertà di agire e di sbagliare 
                  è l'unica strada per sviluppare la consapevolezza delle 
                  proprie azioni e dei loro risultati. La consapevolezza è 
                  più sicura dei divieti, perché aumentare l'auto-consapevolezza 
                  significa migliorare la capacità di scegliere tra le 
                  soluzioni alternative che riusciamo a immaginare. Si impara 
                  a discernere con maggiore esattezza, e con intelligenza, qual'è 
                  il comportamento più adatto in una determinata situazione, 
                  se si è pronti a valutarne le opportunità e i 
                  pericoli. È una via che forse sfugge agli ingegneri. 
                  Loro hanno tante altre cose importanti da fare. Ma, per favore, 
                  lasciamo che gli insegnanti possano insegnare.
                  Lucio Varriale
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