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                    Arbe 
                    Garbe   
                  Questa accozzaglia di friulani arrabbiati ha autoprodotto 
                    un cd sorprendente e bello. Sorprendente e bello in molti 
                    sensi, anche volendo limitare il discorso in ambiti strettamente 
                    musicali: sono piuttosto sospettoso e "prevenuto" 
                    nei confronti delle formazioni miste folk/rock/punk in voga 
                    di questi tempi, che spesso hanno nascosto dietro una fisarmonica 
                    obbligatoria, qualche rima da balera-rossa-la-trionferà 
                    e un tin whistle suonato approssimativamente uno spaventoso 
                    vuoto stellare, ma stavolta... 
                    Gli Arbe Garbe sembra riprendano in questo loro debutto discografico 
                    un cammino interrotto: esagero un po', lo so, ma stavolta 
                    è quasi come se "quella musica" d'una volta, 
                    quelle belle canzoni sociali e di lotta, quella bella musica 
                    popolare vitale e irriducibile, rimaste tutte sepolte sotto 
                    il frastuono di questi ultimi trent'anni di colonialismo sonoro 
                    anglosassone, si fossero improvvisamente e terribilmente risvegliate. 
                    "Jacume!", questo il titolo del cd, suona come se 
                    lo spirito puro e ribelle del punk qui in Italia, invece che 
                    dissolversi in discussioni a vuoto davanti ai negozi di dischi 
                    d'importazione come una scoreggia, fosse passato come nebbia 
                    appiccicosa rimanendo integro per le piazze di paese, per 
                    le osterie, per i vecchi circoli dell'ARCI dove neanche il 
                    vino, le partite a carte e a calcetto riuscivano a mandare 
                    via l'odore triste della guerra e neanche quello altrettanto 
                    triste del dopoguerra (...figuriamoci l'odore del punk). Così 
                    non è stato, e allora ci si contenta di sognare, di 
                    far festa con niente. 
                    E allora sia festa, e festa di piazza alla buona, con i bambini 
                    che si divertono a corrersi dietro in mezzo ai grandi che 
                    ballano e cantano. E chi vuol restare solo per guardare faccia 
                    pure, e chi vuole aggiungere alla filastrocca delle canzoni 
                    anche la propria voce la aggiunga, bella o stonata che sia. 
                    Arbe Garbe mica manda via nessuno: portate il vino e qualche 
                    cosa da mangiare, che alla musica ci pensano loro. 
                    Se da una parte la musica di Arbe Garbe è prevalentemente 
                    solare, ed orientata verso un'idea "leggera" (e 
                    non "scema", si badi bene) di ballo e divertimento, 
                    la visione del mondo offerta dal gruppo è disincantata 
                    e consapevole: e, per nostra enorme fortuna, non si tratta 
                    di un polpettone politicamente monolitico e indigesto, quanto 
                    di una composita e multicolorata coperta patchwork. In mezzo 
                    al casino c'è anche posto per qualche scivolone (1), 
                    ma alla fine non importa: ci si rialza e via di nuovo a saltare 
                    e a ballare. 
                    Per fare questo disco sono stati usati tutti ingredienti naturali, 
                    tutta roba buona cresciuta da sola senza additivi né 
                    pesticidi né manipolazioni di moda. E' un minestrone 
                    buono di musiche-e-basta prese qua e là ad est come 
                    ad ovest senza far caso al gusto corrente, fatte a pezzettini 
                    ma non maltrattate (e anzi trattate con cura e con un certo 
                    rispetto). Ne viene fuori una manciata di canzoni che parlano 
                    tutte dell'inaccettabilità della rassegnazione e della 
                    necessità di lottare, oggi come ieri, perché 
                    anche domani sarà questo il pane dell'esistenza. 
                    Tutt'altro che una raccolta uniforme, questa, eppure sento 
                    che sarebbe un esercizio vuoto descrivere i vari pezzi: la 
                    bellezza di queste canzoni è nello stare tutte insieme, 
                    una dietro l'altra come in una collana, a riempire la testa 
                    di fisarmonica e chitarre, clarinetto e mandolino a intrecciare 
                    le loro voci con quelle -che forse mai hanno smesso di cantare, 
                    in tutti questi anni- di qualche memoria lasciata a riposare 
                    da qualche parte, in fondo all'anima. 
                    Il cd è tecnicamente assai ben realizzato, ma il bello 
                    il gruppo deve offrirlo negli spettacoli dal vivo, che presumo 
                    trasformati in una gran bella cosa per le orecchie, per il 
                    cuore e per la testa. 
                    Ci voleva, davvero e finalmente, una voce libera (che canta 
                    ma che anche sbraita e bestemmia, sì, perché 
                    a volte serve, e come se serve...) come questa. Una voce che 
                    sapesse ridare nuova vita e nuovo senso e rinnovata dignità 
                    a quel modo di fare/mangiare/pensare/vivere quella "certa 
                    musica" che noi che abbiamo più di 40 anni s'immaginava 
                    ormai un ricordo del passato, o peggio ancora morta e destinata 
                    alla polvere delle rassegne culturali messe in piedi dagli 
                    amministratori interessati a mettere i denti, in tempo di 
                    perenni elezioni, anche su quel che resta del sessantotto 
                    e dei bei sogni e delle belle speranze di tanta gente. 
                    Sarebbe piaciuto a mio padre e mia madre, il lavoro degli 
                    Arbe Garbe, così come piace a me e fa ballare e saltare 
                    e ridere mia figlia. Il bello è proprio questo: che 
                    "Jacume!" è un disco di oggi, con lo sguardo 
                    alto e spavaldo e senza paura provocatoriamente rivolto verso 
                    il futuro. 
                    Il cd costa meno di 20mila lire ma non è diffuso commercialmente: 
                    lo si può trovare ai concerti del gruppo, o magari 
                    in qualche centro sociale (ad Udine e in giro per il Friuli 
                    con maggiore facilità). 
                  contatti: 
                    Arbe Garbe c/o Leo Virgili, via S. Francesco 10 33044 Manzano 
                    (Udine) 
                    e-mail: garp@triangolo.it 
                  (1) Nota: tra le note scritte che accompagnano 
                    il cd degli Arbe Garbe si sovrappone la questione SIAE (burocrazia, 
                    difficoltà di organizzare eventi culturali, ispezioni 
                    etc.) al groviglio ideologico tasse/stato/abusi/soprusi disgraziatamente 
                    tanto caro al popolo della lega. Le due cose secondo me sono 
                    ben diverse e vanno tenute ben lontane. Un cd, un disco o 
                    un libro non sono "più rivoluzionari" di 
                    altri solo perché non hanno appiccicato il famigerato 
                    bollino, e che cazzo... 
                    Riguardo al diritto d'autore: inventare musica alla fine è 
                    un lavoro come un altro. A volte se si ha fortuna può 
                    essere più divertente ma non è certo meno sporco 
                    e meno faticoso. Anche se non condivido questa pratica, né 
                    mai l'ho fatta mia, posso comunque comprendere l'esigenza 
                    che dei musicisti intenzionati a commercializzarla desiderino 
                    in qualche modo tutelare la propria produzione tramite copyright. 
                    Una pratica simile, più che impedire, tende a dissuadere 
                    eventuali furti... che comunque avvengono. Per fare nomi a 
                    noi vicini e noti, ne sono stati vittime anche i Crass: ci 
                    sono delle loro registrazioni non autorizzate recentemente 
                    ristampate su cd e spudoratamente commercializzate su internet. 
                    Potete trovarle, a prezzo "pieno", sui siti punk/anarcopacifisti 
                    CdNow ed Amazon.com... 
                    Parlo per assurdo, ma che effetto farebbe ritrovarsi con il 
                    vostro cd ristampato da qualcun altro che di voi se ne sbatte 
                    le palle e così pure dell'alternativa e dell'autogestione, 
                    e ne diffonde e vende qualche migliaio di copie? 
                    Parlo per assurdo, ma poi mica tanto: è successo per 
                    grande parte del nostro vecchio punk autoprodotto su cassette 
                    e vinile vent'anni fa, ridotto a reliquia per collezionisti 
                    e posto in vendita su cd (i gruppi mica ne sapevano qualcosa: 
                    si sono ritrovati a sorpresa sulle playlist di MRR anni dopo 
                    lo scioglimento, e dopo averci rimesso tempo, energie e soldi), 
                    quando allora vigeva la pratica dello scambio e della solidarietà... 
                    
                    
                    
                  
                  
                  
                   Filippo 
                    Gambetta  
                   Differente come percorso e storie, ma altrettanto superlativo 
                    nel risultato, l'approccio di Filippo Gambetta e del quartetto 
                    da lui capitanato che fa di nome Stria nei confronti ancora 
                    della musica popolare e tradizionale (dietro la copertina 
                    del cd si suggerisce di registrare questo cd nella categoria 
                    "world music, Italia", ma secondo me potrebbe essere 
                    un depistaggio). 
                    Dal Friuli degli Arbe Garbe qui si passa in Liguria, ed oltre 
                    che la terra diversi sono anche gli strumenti (un quartetto 
                    composto da 
                    organetto, violoncello, violino e chitarra, più qualche 
                    apporto esterno) e l'atteggiamento complessivo. 
                    Se gli Arbe Garbe (con tutta probabilità degli autodidatti 
                    di talento) sembrano degli scolari discoli che il sabato pomeriggio 
                    disertano il catechismo per il calcio autogestito, gli Stria 
                    (con tutta probabilità ragazzi che hanno passato ore 
                    e ore a studiare musica, magari sottraendo tempo al pallone 
                    giocato per strada) sembrano i primi della classe, quelli 
                    col quaderno e l'astuccio sempre in ordine. Non che questo 
                    ce li renda antipatici, per carità: è che sono 
                    così puliti, perfetti e bravi che... Dai, sto scherzando: 
                    resta il fatto che dimostrano una sorprendente abilità 
                    tecnica strumentistica, roba da far invidia ai sassi. 
                    Questo è un lavoro entusiasmante per molti motivi, 
                    non ultimo perché offre tre quarti d'ora di semplice 
                    ed autentica gioia sonora, musica gustosa ed accattivante 
                    molto ben suonata e altrettanto ben arrangiata. I quattro 
                    dimostrano di saperci fare senza esagerare col virtuosismo, 
                    e anzi schiacciano l'acceleratore sulla resa emotiva dei loro 
                    pezzi. 
                    La registrazione è di ottimo livello (dietro il banco, 
                    da qualche parte, il padre di Filippo: Beppe Gambetta, uno 
                    dei più straordinari chitarristi contemporanei), curata 
                    nei minimi particolari eppure mai leziosa ed autocompiaciuta. 
                    Questo è un bel disco perché chi ci suona dentro 
                    è gente giovane (dalla foto di copertina Filippo sembra 
                    non avere neanche vent'anni): chissà come saranno capaci 
                    di suonare lui e i suoi compagni tra cinque, dieci, vent'anni... 
                    Speriamo non emigrino come fanno i medici e i ricercatori, 
                    e che continuino a bazzicare, oltre che le sale dei conservatori 
                    e i posti seri, anche le nostre piazze, i palchi improvvisati 
                    dei piccoli centri sociali e i giri marginali dove si ascolta 
                    musica con altrettanta attenzione e fame. 
                    Stria offre suoni e forme sonore a cui non siamo abituati 
                    (l'organetto diatonico imbracciato da Filippo è protagonista 
                    di queste registrazioni, ed è uno strumento quantomeno 
                    poco diffuso), e perché ci riporta in mente cartoline 
                    italiane sì, ma anche di Francia e dell'Europa dell'Est: 
                    non succedeva in maniera così brillante dal tempo degli 
                    Area, coi quali c'è un sottile collegamento: Filippo 
                    propone una versione da brivido del tradizionale bulgaro "Gankino 
                    horo", da cui Demetrio & compagni avevano ritagliato 
                    alcuni frammenti per "L'elefante bianco". 
                    Nonostante si faccia strada a momenti un sottilissimo retrogusto 
                    "à la Windham Hill" che può anche 
                    non piacere (e che comunque non intacca l'atmosfera complessiva 
                    di questo loro lavoro), i nostri fortunatamente non dimenticano 
                    il brivido della sperimentazione: per tutto questo, alla fine 
                    l'album degli Stria non è un disco folk, né 
                    roba new-age, né d'altra etichetta e forma e odore 
                    conosciuto. 
                    E' una cosa del tutto nuova e gradita (anche per il prezzo 
                    corretto e popolare: io l'ho preso per meno di 20mila lire, 
                    un prezzo che può offrire una bella prospettiva sulla 
                    voglia di farsi ascoltare ed arrivare alla gente di questi 
                    ragazzi), e come le cose nuove e bellissime farà fatica 
                    a sopravvivere nella tempesta di immondizie che imperversa 
                    dalle nostre parti. Emblematica, purtroppo, l'immagine di 
                    copertina: i quattro Stria, col loro carico di strumenti, 
                    che percorrono una salita difficile. Mille auguri sinceri, 
                    perché il fiato e la voglia di camminare e cercare 
                    non vi manchino mai. 
                  contatti: 
                    Filippo Gambetta, via Fratelli Canale 6/3 16132 Genova 
                    e-mail: filgambetti@netscape.net 
                    
                    Marco Pandin 
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