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                 Due parole. Il lettore attento si sarà accorto 
                  di un particolare, nel titolo di questo articolo. Per vezzo 
                  e per abitudine, una delle lettere "A" che compare 
                  nel titolo viene in genere evidenziata. Questa volta no.  
                  Ci hanno già pensato i mass-media nelle ultime settimane 
                  - ci pensano da oltre un secolo - a collegare tra di loro i 
                  termini "anarchia" e "bomba", quasi fossero 
                  intimamente, geneticamente congiunti.  
                  Per noi anarchici, è un handicap pazzesco. Qualsiasi 
                  cosa si faccia, qualsiasi impegno si porti avanti in campo sociale 
                  - sindacale, culturale, nei centri sociali, artistico, ecc. 
                  - si ripresenta puntuale - gridata dai mass-media, interiorizzata 
                  dall' "opinione pubblica" - la solita equazione. E 
                  gli anarchici vengono schiacciati in un angolino, a difendersi, 
                  a precisare, a spiegare che... A volte, ci viene in mente la 
                  non certo esaltante esperienza di Sisifo. 
                  Noi di "A" siamo venuti sviluppando, nel corso dei 
                  decenni, una posizione sempre più critica verso qualsiasi 
                  forma di combattentismo e di violenza. Non da oggi, abbiamo 
                  sottolineato che la nostra concezione dell'anarchismo 
                  - la nostra, sottolineiamo - riconosce tra i filoni di pensiero 
                  cui fa riferimento anche la nonviolenza - intesa non solo come 
                  rifiuto "in negativo" della violenza (segnatamente 
                  sulle persone), ma "in positivo" come sforzo costante 
                  verso la comprensione, il dialogo, la risoluzione dei conflitti 
                  (a partire da quelli interpersonali fino a quelli sociali) con 
                  metodi, per quanto possibile, nonviolenti. 
                  Tre anni fa, per esempio, nell'editoriale del n. 230 (ottobre 
                  '96), tirando un bilancio della terza Fiera dell'Autogestione 
                  tenutasi a Pietrasanta (Lu), un nostro redattore scriveva, tra 
                  l'altro: 
                  Sentiamo sempre più forte l'esigenza di lasciarci 
                  alle spalle quella parte della tradizione che pesa - a nostro 
                  avviso - come una vera e propria zavorra. Pensiamo , per esempio, 
                  alla questione della violenza, alla mitizzazione di cui è 
                  stata spesso oggetto, ritenuta indispensabile elemento di rottura 
                  dell'esistente, mentre spesso non era altro che la continuazione, 
                  in campo "rivoluzionario", di una mentalità 
                  e di una pratica di sopraffazione e comunque di autoritarismo. 
                  L'esperienza storica delle rivoluzioni di questo secolo, con 
                  i loro esiti dittatoriali terribilmente logici, ci ha vaccinato 
                  e ci ha spinto a ripensare alla questione - e più in 
                  generale al possibile ruolo degli anarchici nei processi di 
                  trasformazione sociale - sotto nuova luce. 
                  Numerosi pensatori anarchici - pensiamo, tanto per fare solo 
                  un nome, a Luce Fabbri - hanno sviluppato questi temi, proponendo 
                  riflessioni di grande interesse, che permettono di innestare 
                  sul tronco storico dell'anarchismo, ripulito di molti rami secchi, 
                  nuovi germogli di pensiero e di azione. Ma è indubbio 
                  che la resistenza al "nuovo", anche in un ambiente 
                  come quello anarchico che per sua natura dovrebbe essere antidogmatico 
                  e aperto, pesa - in certi settori - non poco. 
                  Rifiuto della mitizzazione della violenza, confronto con le 
                  idee e le tecniche della nonviolenza (rifiutandone qualsiasi 
                  interpretazione misticheggiante), rivendicazione esplicita del 
                  pacifismo (inteso come lotta antistatale per la pace, considerata 
                  un valore primario, sulla quale solo può poggiare qualsiasi 
                  trasformazione di segno libertario ed umanitario), attenzione 
                  per la realtà del disagio, dell'handicap, dell'emarginazione 
                  e per chi in quei settori quotidianamente opera rifiutando la 
                  logica dell'assistenzialismo e della normalizzazione. E, alla 
                  base di tutto, una forte sottolineatura della centralità 
                  - nella nostra concezione libertaria - della tolleranza, del 
                  pluralismo, del diritto al dissenso, da contrapporre sia alla 
                  logica autoritaria e centralizzatrice del potere costituito 
                  sia a quella (speculare) di chi al potere costituito si oppone 
                  per imporre la propria visione ed i propri schemi. 
                  In queste settimane, tra solite bombe trovate nei cestini 
                  della spazzatura, improbabili "piste anarchiche" e 
                  trite riproposizioni della citata equazione, non ci é 
                  sembrato inutile riproporre queste modeste riflessioni, aperte 
                  - certo - ad ulteriori riflessioni, precisazioni, ecc., ma assolutamente 
                  chiare e fondanti per la redazione di "A". 
                 Questo numero. Sempre a proposito di bombe, ripubblichiamo 
                  (a pag. 9) dal primo numero di Libertaria l'articolo 
                  di Luciano Lanza (che fu redattore di "A" nel primo 
                  decennio 1971-1980), autore - tra l'altro - di un bel libro 
                  (Bombe e segreti, Eléuthera 1998) al quale rimandiamo 
                  per un sempre utile approfondimento (per i più giovani) 
                  o una rinfrescata (per i meno giovani) - che non fanno mai male. 
                  Anche alla luce di quanto scritto nel paragrafo precedente... 
                  Nell'ambito della valorizzazione di chi concretamente e quotidianamente 
                  opera ecc. ecc., ridiamo più che volentieri spazio (a 
                  pag. 13) agli amici di Emergency, in particolare al loro impegno 
                  in Cambogia, concretizzatosi nella realizzazione del Centro 
                  Chirurgico "Ilaria Alpi" a Battambang. Con la stessa 
                  attenzione libertaria, anche se il tema è certo molto 
                  diverso, affrontiamo anche un argomento come quello della bicicletta 
                  (il dossier è alle pagg. 24-32).  
                  Purtroppo l'anno che sta per iniziare è anche quello 
                  del Giubileo. L'articolo di Maria Matteo (pag. 5) e il saggio 
                  della nostra collaboratrice Francesca "Dada" Knorr, 
                  questa volta sul peccato originale (a pag. 38), dovrebbero aprire 
                  un anno di particolare attenzione - anche sulle nostre colonne 
                  - sul e contro il Giubileo.  
                  Infine due parole sull'intervista (a pag. 43) che Stefano d'Errico 
                  e Franco Iachetta hanno fatto al segretario generale della Confedaracion 
                  General del Trabajo (CGT) spagnola. Conosciamo bene la storia, 
                  anche recente, del sindacalismo libertario, dell'anarcosindacalismo 
                  e del movimento anarchico iberico e sappiamo che intervistare 
                  Tizio piuttosto che Caio - fuori di metafora, la CGT e non la 
                  CNT (una delle CNT) o altri ancora - può apparire una 
                  scelta di campo in un ambiente attraversato da polemiche al 
                  vetriolo. Errore: noi seguiamo con attenzione tutti quanti operano 
                  concretamente, non "sposiamo" nessuno, soprattutto 
                  cerchiamo di fornire ai nostri lettori informazioni valide - 
                  come hanno fatto, egregiamente a nostro avviso, Meritxell Bacardit 
                  e Andrea Dilemmi con il loro dossier Barcellona pubblicato sul 
                  numero estivo ("A" 256). E come cercheremo di fare 
                  ancora in futuro.  
                  
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