politica
È complicato (e va bene così)
di Carlotta Pedrazzini
A quasi ottant'anni di distanza, un'analisi di Maria Luisa Berneri ci sfida a non cadere nella tentazione di ridurre a uno slogan la complessità del pensiero anarchico. E a non tirarci indietro di fronte al difficile compito di analizzare criticamente ciò che accade intorno a noi.
In un articolo del dicembre 1940,
pubblicato sul giornale anarchico e anti-militarista “War
Commentary”, Maria Luisa Berneri sentì l'urgenza
di difendere l'anarchismo dalle accuse di non essere sufficientemente
orientato alla pratica: “Ci accusano spesso di non avere
una politica costruttiva. La gente ci concede di aver fatto
un'analisi preziosa della situazione attuale, e ammette che
il “nostro giornale ha un gran valore nello stimolare
le coscienze e il pensiero”. Ma ci chiedono di avanzare
soluzioni “pratiche” per la lotta al fascismo e
al capitalismo.
Inutile dirlo, non accettiamo queste accuse.”
Con quell'articolo, Maria Luisa Berneri respinse al mittente
le critiche rivolte alla presunta inconsistenza pratica dell'anarchismo
e al contempo volse l'attenzione sulla complessità delle
analisi prodotte dal pensiero anarchico: “Quello che alcuni
lettori vogliono sono evidentemente slogan, manifesti e programmi
che offrano in poche frasi alla classe operaia i mezzi per arrivare
non solo alla sconfitta del fascismo ma anche a un'era di felicità
per tutti i lavoratori.” Una pretesa insensata.
Come sottolineò Berneri nel suo scritto, non è
possibile pensare di ridurre la complessità del pensiero
anarchico a uno slogan, così come non è possibile
pensare di ridurre l'agire anarchico a un programma prêt-à-porter
in grado di risolvere “magicamente” le questioni
sociali, politiche ed economiche che ci troviamo ad affrontare.
Maria Luisa Berneri pronunciò quelle frasi in un momento
storico di estrema tragicità: il secondo conflitto mondiale
era iniziato; Hitler, Stalin e Mussolini si trovavano, da tempo,
saldamente al potere; il mondo era stretto nella morsa della
guerra, della povertà, degli stermini e dei totalitarismi.
Eppure, nonostante la drammatica difficoltà del momento
storico, Berneri invitava lettrici e lettori a mantenere alta
l'attenzione critica, a problematizzare e a scegliere con cura
i metodi dell'agire politico senza illudersi sull'esistenza
di scorciatoie. A quasi ottant'anni di distanza, le sue analisi
ci sfidano (ancora) a non cadere nella tentazione di ridurre
la complessità del pensiero anarchico a claim
o a programmi preconfezionati, e a non tirarci indietro di fronte
al compito (spinoso) di analizzare criticamente ciò che
accade intorno a noi.
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Un bambino curdo in un campo profughi |
Fuggire dagli slogan
L'anarchismo è, ed è sempre stato, un pensiero complesso e quella degli anarchici e delle anarchiche è, ed è sempre stata, la posizione più difficile all'interno dello spettro politico: non è facile conciliare libertà individuale e responsabilità sociale, antagonismo e rispetto, anti-autoritarismo e pluralismo, sovvertimento dell'ordine e umanità.
La complessità dell'anarchismo è data dal fatto che per sua natura, per la natura dell'etica che lo caratterizza, non si è mai accontentato di considerare giusto qualcosa di giustificato dalle circostanze o dai fini che persegue, così come non ha mai giustificato i mezzi utilizzati attraverso il criterio dell'indispensabilità o dell'utilità; per le anarchiche e gli anarchici, infatti, il fine non ha mai giustificato i mezzi.
Proprio la sua etica, l'insieme dei suoi valori, ha sempre imposto al pensiero anarchico di scegliere con cura i mezzi da usare e le strade da seguire in accordo con il fine da raggiungere e in accordo con se stesso – con quei principi di libertà, uguaglianza, rispetto e umanità che lo caratterizzano. Una posizione che limita chiaramente la scelta dei metodi, che devono sempre essere in accordo con il fine anti-autoritario, rispettoso della libertà, dell'uguaglianza e della vita che è proprio dell'agire anarchico.
Certo la complessità non deve essere un riparo dietro al quale nascondersi o una scusa per non agire affatto, ma nemmeno può essere intesa come un ostacolo da eliminare nel tentativo di risolvere più velocemente ogni questione.
Mantenere alta l'attenzione critica è un compito che, lungo l'arco della storia, le anarchiche e gli anarchici si sono sempre dati; un'attitudine che li ha resi storicamente antipatici e che ha portato alla loro marginalizzazione (quando è andata bene) e alla loro incarcerazione o uccisione (quando è andata male).
Problematizzare, dunque, non per vezzo o divertimento, ma come unica maniera per comprendere davvero, per non appiattirsi su verità di comodo, per dar conto e rispettare il fatto che l'anarchismo è un pensiero composito e arduo che richiede il perseguimento di un'etica precisa, oltre che impegno.
Fu così in Spagna dal 1936 al 1939, fu così in Russia a partire dal 1917, lo stesso accadde durante la seconda guerra mondiale e dovrebbe continuare ad accadere anche oggi, nei vari fronti di lotta politica e sociale, dalle battaglie dei lavoratori in sciopero, alle lotte delle donne, agli scenari di lotta e resistenza internazionali.
L'esempio del Rojava
Lasciamo da parte per un momento la storia e guardiamo al presente, ad esempio all'esperienza del Rojava. Proviamo a concentrare brevemente la nostra attenzione sulla maniera in cui il movimento anarchico sta affrontando ciò che sta accadendo nel nord della Siria: un'esperienza complessa che non si perde nelle pagine della storia ma che riguarda l'oggi, un'esperienza di guerra e di sofferenza, ma anche un laboratorio di pratiche concrete e di speranze.
In che modo, noi anarchiche e anarchici, stiamo affrontando la questione? Ci stiamo adoperando per mantenere alta l'attenzione critica su ciò che succede, tenendo conto dell'estrema difficoltà della situazione – un contesto di guerra in Medio Oriente – di ciò che è positivo e di ciò che è, invece, più problematico, oppure stiamo incappando in quella produzione di slogan e semplificazioni da cui, già nel 1940, Berneri ci metteva in guardia?
Stiamo, ad esempio, sufficientemente ponendo la nostra attenzione sulla negatività del mito del capo, del leaderismo, della presenza del viso di Öcalan su tutte le bandiere e in tutti gli ambienti, sul problema di un'organizzazione sociale che deriva, di fatto, dal pensiero di un'unica persona? Stiamo sufficientemente ponendo la nostra attenzione sulla mistica delle armi, sul modo in cui la guerra affligge la popolazione, sul martirologio, sull'esistenza della censura e sull'apparente assenza del dissenso?
Farlo non significa certo intraprendere un'opera di desolidarizzazione, ma contribuire a costruire un pensiero critico utile a chi oggi partecipa a quell'esperienza, a chi la sostiene con speranza, e anche a chi domani parteciperà ad esperienze diverse. Non farlo invece significa perdere un'occasione per lavorare alla messa in pratica del pensiero anarchico e alla sua evoluzione.
Certo non è facile esaminare le lotte in corso. Farlo criticamente, poi, è ancora più difficile. Ma anche in un contesto di guerra, di sofferenza, di emergenza, come sono state la Russia post-rivoluzionaria, la Spagna in lotta contro il fascismo, il secondo conflitto mondiale e come è ora il Rojava, non possiamo derogare al principio della critica.
Una maggiore consapevolezza
Dalle analisi prodotte da Maria Luisa Berneri il mondo non si è certo semplificato e la necessità di problematizzare le questioni politiche e sociali che si pongono di fronte a noi è rimasta la stessa, così come è rimasta invariata la tentazione di affidarsi a slogan e semplificazioni o di cercare scorciatoie per l'agire politico.
Intraprendere un cammino di analisi critica è sicuramente la scelta più difficile ed è possibile che il sentiero finisca col portarci esattamente nella posizione in cui siamo ora, a ricoprire le stesse posizioni che ricopriamo adesso. Sicuramente, però, lo faremo con una maggior chiarezza di pensiero e consapevolezza. Forse non è la soluzione “pratica” che molti si aspettano o pretendono, ma di sicuro è l'unica via percorribile. Almeno per chi si rifà a un pensiero complesso come l'anarchismo.
Carlotta Pedrazzini
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