Fra tutte le ideologie 
                    nate nel XIX secolo, l’anarchismo era la più 
                    improbabile. Questo secolo fu prodigo e prolifico nell’invenzione 
                    di idee e di organizzazione comunitaria: dal socialismo al 
                    nazionalismo e dal sindacalismo al suffragio femminista, le 
                    sue successive dimostrazioni non sono altro che germogli barocchi 
                    sbocciati da questi semi originali. 
                    E furono tutti storicamente necessari, rifugi dalla tormenta 
                    industriale o piuttosto muscoli disposti ad abbattere i resti 
                    dell’antico regime, o del nuovo. Ma l’anarchismo 
                    no. 
                    Fu un’apparizione impressionante, o piuttosto l’annuncio 
                    di un problema insolubile tanto nel contesto culturale dei 
                    regimi liberali e conservatori moderni quanto in quello del 
                    prossimo “mondo egualitario” del comunismo. Gli 
                    anarchici proposero alla considerazione pubblica la questione 
                    del potere separato, ossia, dell’ordine gerarchico, 
                    presentandosi a sua volta in società come la sua corrispettiva 
                    antipode. 
                    Si potrebbe parlare di un’anomalia politica spaventosa 
                    o una nostalgia del paradiso perduto, della cui efficacia 
                    si possono avere alcuni dubbi. Un ideale di distruzione di 
                    stati, carceri, polizie, eserciti, tutele religiose, matrimonio 
                    borghese, consumo della proteina animale, e del lucro. A pochi 
                    anni dalla prima apparizione europea dell’anarchismo, 
                    verso la fine del XIX secolo, era facile prevedere la sua 
                    difficile instaurazione pubblica, la sua crescita demografica 
                    con il contagocce e la sua successiva traversata del deserto. 
                    All’anarchismo venne diagnosticata una morte prematura, 
                    e anche se l’ultimatum non si verificò nella 
                    data prevista, è sicuro che la sua fertilità 
                    e la sua potenza calarono sensibilmente fin da poco prima 
                    della seconda Guerra Mondiale. 
                    Di modo che la sopravvivenza dei suoi obiettivi e la rinascita 
                    occasionale del suo nome di guerra risultano essere – 
                    per la filosofia o per la polizia politica – poco meno 
                    che un miracolo. “L’Idea” – in questo 
                    modo veniva chiamata – caduta in combattimento durante 
                    la guerra civile spagnola riapparve sotto altre vesti nelle 
                    giornate del maggio del 1968, osmotica ai bordi del femminismo 
                    o dell’ecologismo, condensata nella rabbia punk, spolverata 
                    tra i situazionisti e i profughi del marxismo, recuperata 
                    infine da bande migratorie di adolescenti. 
                    In politica si dice che i morti non contano, anche nelle occasioni 
                    in cui sono ugualmente riusciti a votare, e che le voci di 
                    testimonianza non sono altro che la poesia degli sconfitti. 
                    È allora una remora del passato, una scheggia incrostata 
                    e impossibile da togliere o un difetto di nascita delle democrazie 
                    moderne? 
                  
 Un mondo 
                    acefalo
 
                    Un mondo 
                    acefalo 
                  I segni d’identità divulgati corrispondono tra 
                    loro in modo mostruoso: la violenza, il radicalismo, l’attentato, 
                    il gesto anticlericale, le esigenze smisurate. E anche se 
                    qualcuno di questi attributi non gli è alieno, la storia 
                    degli anarchici non si riassume unicamente in un artiglio 
                    nervoso ma in molteplici opere e attività costruttive, 
                    e non poche di indole culturale. 
                    Erano spinti da un’ansia di redenzione e di urgenza, 
                    e questo mutuo incontro conferì loro un’aurea 
                    di giacobinismo intransigente. Si sommi a tutto ciò, 
                    inoltre, la pretesa di un mondo libero da ogni forma politica 
                    piramidale. 
                    Un mondo acefalo. Sorprende che le proposte anarchiche abbiano 
                    trovato dei lettori, dei simpatizzanti e perfino un attecchimento 
                    popolare, dato che un tale programma di trasformazione di 
                    simboli e istituzioni millenarie sembra essere carente di 
                    plausibilità fin dall’inizio. 
                    Ma a volte le sette religiose o politiche riescono a coronare 
                    la loro dama e altre volte una sola pietra in un burrone riesce 
                    a ostruire lo scorrere del torrente. L’anarchismo non 
                    fu il frutto più aspro maturato sull’albero del 
                    socialismo, non fu semplicemente un “massimalismo” 
                    o una setta purista, o piuttosto un’importante pietra 
                    miliare della storia della dissidenza umana. 
                    Era l’apodo di una speranza, quella della fine dell’oppressione 
                    e dell’indegnità, che fece vedere all’uomo 
                    moderno i limiti imposti alle sue possibilità antropologiche. 
                    La rivoluzione sociale che annunciavano presupponeva previamente 
                    una metamorfosi culturale, un sovvertimento del carattere, 
                    lo sprofondamento dell’io precedente per la conquistare 
                    dell’autarchia personale. E sempre per questo l’anarchico 
                    ha usato sempre il volto bifronte di Lazzaro risuscitato e 
                    quello di Spartaco. 
                    Il modello usuale della rappresentazione politica è 
                    inconciliabile con le ambizioni politiche, perché l’obiettivo 
                    anarchico è la critica e la distruzione del potere 
                    separato, in qualsiasi sua forma. Tale è il primo comandamento 
                    della sua filosofia politica e della sua filosofia pratica. 
                    
                    E non furono solamente i suoi atti impulsivi e le sue personalità 
                    irriducibili la causa dell’alone infernale che gli venne 
                    affibbiato; lo fu anche l’aver voluto abbattere il fossilizzato 
                    dio della gerarchia, che molte società hanno subito 
                    o a cui hanno resistito per molto tempo ma che non furono 
                    comunque mai capaci di immaginare acefalo, eccezion fatta 
                    per le utopie felici. 
                    Dove altri gettavano fondamenta per costruire verticalmente, 
                    gli anarchici scavavano sotto terra. In questo modo, sradicarono 
                    l’uso del denaro in Aragona, nel 1937, o abbatterono 
                    le carceri femminili di Barcellona a furia di picconate e 
                    mazzate, nel 1936, o si rifiutarono di rilasciare testimonianza 
                    durante i processi o disertarono di fronte alla chiamata alle 
                    armi o rifiutarono la fiscalizzazione centrale e religiosa 
                    in questioni emotive o rifiutarono di entrare a ingrossare 
                    le fila di partiti, anche quando non esitarono a schierarsi 
                    dalla parte degli oppressi e dei perseguitati. 
                    Non sono decisioni semplici da assumere e da portare a termine. 
                    È possibile intravedere uno slancio puritano nell’anarchismo, 
                    che lo portò tanto a ricacciare il potere quanto a 
                    mantenere una relazione distante con il denaro. Costanti sentieri 
                    storici risultavano essere equivalenti a Barcellona e a Babele, 
                    ossia, creazioni umane sbagliate e corruttive. 
                    Il loro contrario era il gruppo di affinità che, insieme 
                    all’associazione sindacale, fu la sua invenzione organizzativa 
                    specifica e durevole, uno spazio politico ed emotivo in cui 
                    venivano calibrate adeguatamente le relazioni tra mezzi e 
                    fini. Le loro organizzazioni non erano strumentali, centralizzate 
                    o univoche. Erano nidi di fratellanza. 
                    All’inizio non erano più di un pugno di persone 
                    sparse in giro per l’Europa attorno a vari padri fondatori 
                    le cui opere avrebbero nutrito la sua patristica: Bakunin, 
                    Kropotkin, Malatesta; poi diventeranno centinaia gli “apostoli 
                    dell’ideale” che l’avrebbero disperso oltremare, 
                    incluse Cina e Giappone: pubblicisti, conferenzieri, simpatizzanti 
                    e perseguitati; parallelamente erano migliaia gli anarcoindividualisti 
                    che osservavano un modo irriducibile di vivere le idee anarchiche; 
                    più tardi arrivarono gli organizzatori dei sindacati 
                    e degli scioperi: uomini della CNT, della FORA, wobblies; 
                    e insieme a loro gli indomiti e gli “indisciplinati”, 
                    quasi sempre al di fuori della legge ed attenti solo al cristo 
                    delle proprie convinzioni: le bande di espropriatori, i falsificatori 
                    di denaro, le milizie libertarie riluttanti a cedere la propria 
                    indipendenza a uno stato maggiore dell’esercito durante 
                    la guerra civile spagnola; e ci sarebbero, per continuare, 
                    le centinaia di guerriglieri antifranchisti e i partigiani 
                    già provati che si unirono alla macchia e alla resistenza 
                    contro il nazismo; c’erano degli acrati anche tra le 
                    migliaia di uomini delle Brigate Internazionali che andarono 
                    in Spagna; e infine c’erano le inflorescenze spinose 
                    o impreviste a cui diede vita l’anarchismo: i regicidi, 
                    le “mujeres libres”, i crotos; e più tardi 
                    gli anarcosituazionisti, i punk, gli squatters, e altri. 
                    Eppure furono sempre pochi, una specie in pericolo d’estinzione, 
                    l’araba fenice. La flora e la fauna anarchiche sono 
                    il frutto e il risultato di un’evoluzione plastica, 
                    i cui cambiamenti si combinarono tra di loro o si arroccarono 
                    con altre idee e pratiche tra il 1850 e i giorni d’oggi. 
                    L’emigrazione anarchica fu un processo capriccioso ma 
                    di successo, come le mosse di un cavallo su una scacchiera. 
                  
                   
 
                  
                    Il 
                    nome di una solitudine
 
                    Il 
                    nome di una solitudine 
                  Verso la fine del XX secolo, la caduta del mondo comunista 
                    sembrò dare ragione agli anarchici come sembrò 
                    anche aprirgli la porta dell’esilio politico in cui 
                    erano rimasti confinati, a volte per propria impotenza o per 
                    stupidità. 
                    Avevano messo in guardia, molto prima della rivoluzione russa, 
                    sulle tendenze autocratiche dei partiti bolscevichi; avevano 
                    denunciato instancabilmente gli opportunismi e i crimini degli 
                    stati socialisti; non avevano creduto al castrismo e avevano 
                    rifiutato le sue prigioni tropicali; non provarono mai entusiasmo 
                    per la buona novella del fochismo, e i nuovi governi impiantati 
                    negli enclavi decolonizzati dell’Asia e dell’Africa 
                    gli sembravano abietti, quando non bande di delinquenti. 
                    Avevano profetizzato il disastro giacobino, da cui non erano 
                    completamente scollegati. Ma il loro giusto pronostico non 
                    gli concitò rivendicazioni per la loro causa ne tanto 
                    meno attrasse a loro reclute liberate dalle loro personalità 
                    autoritarie. L’anarchismo continua a essere il nome 
                    di una solitudine, forse perché il suo futuro dipende 
                    meno dall’essere un lascito immacolato del socialismo 
                    quanto piuttosto dall’evidenziare di volta in volta 
                    il ritorno del represso in politica. 
                    Altrimenti non si capirebbe come dopo tante sconfitte, assassini, 
                    incarceramenti, fratture intestine e perdite sopravvivano 
                    ancora – e perfino in ottima forma – tanti nicchi 
                    anarchici in tutto il mondo. 
                    “Vivi ora nel modo in cui vuoi che si viva nel futuro”. 
                    Questo era il motto di un angolo dell’anarchismo che 
                    è stato appena studiato, quello in cui andarono a sfociare 
                    l’individualismo anarchico e l’élite culturale 
                    influenzata dal vitalismo e dalla psicoanalisi. Nella storia 
                    delle idee, i nomi di Max Stirner, Emile Armand, Otto Gross 
                    e María Lacerda de Moura sono solitamente menzionati 
                    – sempre nel caso in cui avvenga – come una nota 
                    a piè di pagina. 
                    Ciò nonostante, la corrente anarchica che postulava 
                    “il diritto naturale al piacere” godette di influenza 
                    durevole sulle idee che allora erano state chiamate “avanzate”, 
                    oltre ad aver promosso diverse esperienze comunitarie o sperimentali. 
                    
                    Amore libero, rispetto del criterio individuale, libertà 
                    sulle questioni sessuali, promozione della pianificazione 
                    familiare o “procreazione cosciente”, denuncia 
                    delle repressioni emozionali e dei tradizionalismi, anticlericalismo, 
                    femminismo. Mettendo a disposizione dell’opinione pubblica 
                    temi fino allora considerati dei tabù, gli anarchici 
                    anticiparono di molto l’irruzione delle domande di trasformazione 
                    di costume proprie degli anni Sessanta, che ora è nota 
                    come epoca della “rivoluzione sessuale”. 
                    Gli anarchici non pensarono mai che questi dovessero essere 
                    degli argomenti da posticipare, e una sorta di furia per la 
                    sincerità che sempre concesse un tono alto alle sue 
                    pubblicazioni rese sempre possibile che promuoverle in un 
                    piano prioritario. Insistendo sui drammi associabili all’alienazione 
                    esistenziale l’anarchismo seppe tastare l’insoddisfazione 
                    dell’uomo moderno. 
                    Modernamente, l’anarchismo è stato un elemento 
                    di fertile disordine sparso tanto ai bordi dell’esperienza 
                    sociale umana quanto sui centri di gravità dei drammi 
                    popolari. La fame e l’autocrazia erano le sue bestie 
                    grame, e non hanno smesso di esserlo, come nemmeno tutti quelli 
                    che raccomandano la forca di fronte a un mero dolore di ossa 
                    e che preferiscono i satrapi ai demagoghi e viceversa, dato 
                    che il principio orientativo dell’anarchismo in politica 
                    si condensa in questa frase: “non comanderai nessuno 
                    e non permetterai che altri comandino te”. È 
                    un motto impossibile, considerando che non è incorretto 
                    il comandamento ma la forma del mondo. 
                    Ed è per questo che gli epiteti scagliati sull’anarchismo 
                    quando riappare insolitamente e insolentemente sono sovente 
                    allarmisti. I suoi confutatori sanno che dietro a questi fuochi 
                    d’artificio battono pulsioni urgenti di malessere sociale 
                    con il potere separato, che né le democrazie né 
                    i comunismi hanno potuto scongiurare completamente. 
                    L’anarchia non è il nome di una testimonianza 
                    archeologica né quello di un’itterizia inoffensiva, 
                    ma piuttosto quello di un enigma irrisolto della politica. 
                    A un secolo e mezzo dalla sua nascita non è stata ancora 
                    inventata una critica al potere di qualità migliore.