|  Sulla storiografia “minore”
 Le fonti minori di natura politica Giornata di studi a Pisa
 La Biblioteca Franco Serantini ha organizzato sabato 7 maggio 
                  una giornata di studi dedicata alla discussione e all’approfondimento 
                  delle questioni legate alla tutela, al trattamento e all’accessibilità 
                  delle cosiddette “fonti minori": quei particolarissimi 
                  documenti - definiti anche “pubblicazioni minori", 
                  “materiali effimeri” o “letteratura grigia” 
                  – che costituiscono una parte importantissima del patrimonio 
                  conservato in tutti gli archivi, e specialmente nei centri di 
                  documentazione di natura politica. Queste fonti (manifesti, volantini, giornalini, bollettini, 
                  verbali di assemblee, tatze-bao), sono forse quelle che esprimono 
                  meglio l’eredità di una storia politica e profondamente 
                  sociale, di impegno attivo di singoli e gruppi, di formazioni 
                  piccole e piccolissime, legate a volte all’esperienza 
                  di un unico progetto comune (i comitati di quartiere pro o contro 
                  un’opera pubblica, ad esempio, oppure le mobilitazioni 
                  in occasione di eventi e ricorrenze), che pure trovavano imprescindibile 
                  il momento della produzione condivisa di documenti, preceduta 
                  dall’elaborazione comune dei concetti, degli obiettivi, 
                  della loro espressione, che era essa stessa parte integrante 
                  della pratica politica.
 È sulla base di questi presupposti che si definisce l’esigenza 
                  – maturata in seno a diversi tentativi di coordinamento 
                  fra archivi e centri di documentazione “di movimento” 
                  – di affrontare in qualche modo la sfida di pervenire 
                  ad un trattamento documentalistico quanto più possibile 
                  ortodosso, eppure adeguato alla natura specifica (e specificamente 
                  politica) dei soggetti depositari delle raccolte, alle caratteristiche 
                  di estrema ricchezza, varietà e frammentarietà 
                  delle raccolte stesse, nonché alle aspettative dell’utenza 
                  attuale e potenziale che fruisce di materiali comunque atipici 
                  rispetto a quelli delle raccolte librarie e più propriamente 
                  archivistiche. Nella misura in cui la storiografia riconosce 
                  ormai l’importanza e la valenza di questi documenti “minori", 
                  infatti, i diversi soggetti che ne sono depositari e custodi 
                  sono chiamati ad attrezzarsi, per garantirne non solo la conservazione 
                  e la tutela, ma anche una ampia fruibilità al pubblico.
 Il programma prevedeva interventi di A. Sardelli (Biblioteca 
                  Nazionale Centrale Firenze), E. Capannelli (Sovrintendenza Archvistica 
                  Toscana), F. Bertolucci (BFS), G. Romano (ISTI-CNR), R. Tamburrini 
                  (Servizio Bibliotecario Archivistico e Museale UniPI), C. Governali 
                  (Centro di documentazione della CGIL Toscana) e R. Niccolai 
                  (coop. soc. Pantagruel); a seguire interventi del pubblico su 
                  alcune esperienze dei centri di documentazione di carattere 
                  politico.
  Serena Vitale biblioteca@bfs.it
  
                    30.000 in marcia contro il TAV
 Una marea umana avvolta nelle bandiere NO TAV è sfilata 
                  da Susa a Venaus per manifestare per l’ennesima volta 
                  la propria opposizione ad un progetto destinato a devastare 
                  la Valle di Susa. Eravamo tanti, tantissimi, tra i trenta e i quarantamila. In 
                  testa al corteo bambini e studenti delle scuole, poi i sindaci 
                  dei paesi, i presidenti della comunità montana, i numerosissimi 
                  comitati antiTav che in questi anni sono stati i veri motori 
                  della lotta. C’era anche un nutrito spezzone anarchico 
                  aperto dallo striscione della Federazione Anarchica e chiuso 
                  da quello dell’Osservatorio Ecologico con lo striscione; 
                  “Sole e Baleno, suicidi ad alta velocità”.
 Una giornata di grande protesta popolare. Una protesta che, 
                  purtroppo, sono stati in molti a voler cavalcare: dalla sinistra 
                  DS a Rifondazione, dalla Margherita al PdCI.
 Si è trattato, inutile negarlo, di un segnale di debolezza 
                  del movimento e, in particolare, dei comitati antiTav, che da 
                  iniziali promotori dell’iniziativa sono finiti con l’occupare 
                  il mero ruolo di aderenti di seconda fila.
 Nell’ultimo mese, nel teatrino della politica si sono 
                  agitati in molti per conquistare il ruolo di protagonista.
 La partita sul TAV si è in parte spostata a Torino, dove 
                  l’amministrazione regionale ha aperto un tavolo di “trattativa”. 
                  All’inizio di maggio, quando lo scontro tra la popolazione, 
                  Lyon Turin Ferroviaire (il General Contractor incaricato della 
                  parte centrale dell’opera), e le amministrazioni regionale 
                  e provinciale stava per imboccare una strada senza ritorno, 
                  la neo presidente della Regione Piemonte, la “sinistra” 
                  Mercedes Bresso, ha convocato i sindaci valsusini e i presidenti 
                  delle due comunità montane per reperire un po’ 
                  di soldi con cui pagare la pace sociale.
 In questa partita si sono inseriti i consiglieri regionali di 
                  Rifondazione, PRC e Verdi che hanno minacciato di opporsi, “minaccia” 
                  presto rientrata di fronte alla promessa di tenere aperto il 
                  tavolo di trattativa. È stata una vergognosa pantomima 
                  in cui si è pesata la malafede e le promesse da mercanti 
                  elettorali di certa sinistra, pronta a svendere la salute della 
                  gente per mantenere le “poltrone” appena conquistate.
 È possibile che Bresso e suoi vogliano tener buona la 
                  gente con qualche rinvio tattico in cambio della pace “olimpica” 
                  necessaria alla grande kermesse del prossimo anno. È 
                  un gioco sporco che occorrerebbe sventare in modo netto.
 Nel volantino distribuito al corteo dalla FAI torinese era scritto 
                  a chiare lettere che “non si tratta sulla vita della gente!”
 Non basterà certo la promessa di qualche galleria in 
                  più, di un po’ di soldi per iniziative culturali, 
                  di una variante di percorso per trasformare un’opera devastante 
                  in un progetto ecocompatibile.
 E delle compatibilità della “politica” i 
                  valsusini, gli abitanti della Gronda Ovest e i torinesi schiacciati 
                  dalle olimpiadi hanno sinora dimostrato di infischiarsene.
 Sarebbe stato però opportuno che la denuncia dei tentativi 
                  di chiudere la partita con un tavolo di trattative istituzionale 
                  fosse fatta in modo più netto, prendendo chiaramente 
                  le distanze da chi, come Verdi, PdCI e Rifondazione ha dimostrato 
                  di tenere i piedi in due scarpe: un piede nell’Anti Tav 
                  e un altro, ben piantato, nelle istituzioni.
 Alla manifestazione del 4 giugno gli striscioni contro Bresso 
                  e la sua giunta non si contavano. La gente sa bene che non serve 
                  una proroga all’inizio dei lavori, non serve un Tav “dolce”, 
                  serve rispetto per una popolazione che ha detto in modo chiaro 
                  che il Tav non lo vuole, che le loro vite non sono in vendita, 
                  che quello che chiamano sviluppo è solo morte.
  
 Statale del Moncenisio, 4 giugno 
                  (foto di Maria Matteo)
                  Il progetto iniziale dei comitati Anti Tav prevedeva che la 
                  manifestazione terminasse all’interno dell’area 
                  in cui dovrebbe essere allestito il cantiere TAV. In quest’area 
                  si giocherà la partita vera. Quella della resistenza 
                  alle ruspe. In quest’area sarebbe stato opportuno marcare 
                  la volontà di un’altra non meno importante resistenza: 
                  quella contro i tentativi dei politici di imbalsamare la lotta, 
                  di anestetizzare l’impatto della manifestazione. Invece la marcia si è conclusa al campo sportivo con 
                  gli interventi dei sindaci, dei presidenti delle Comunità 
                  montane alta e bassa Valsusa, con quello di un’esponente 
                  dei comitati anti Tav. Davanti al cantiere si sono fermati solo 
                  gli anarchici che hanno preferito terminare lì il corteo, 
                  volantinando e spiegando al microfono le ragioni di questo presidio 
                  di fronte al cancello ben sprangato del cantiere. Solo più 
                  tardi, a comizi finiti, parte dei comitati si dirigeva al cantiere 
                  mentre il cancello finalmente si apriva e, con gli anarchici 
                  in prima fila, si occupava simbolicamente l’area. Peccato 
                  che a quel punto gran parte dei manifestanti fosse tornato alla 
                  partenza con i pullman messi a disposizione dalle amministrazioni.
 Il presidio al cantiere, annunciato da mesi, partiva comunque. 
                  Purtroppo in questo modo la maggioranza della gente non ha neppure 
                  assistito all’atto di nascita dell’iniziativa.
 La decisione di rimandare al dopo manifestazione l’entrata 
                  e l’occupazione simbolica dell’area destinata a 
                  cantiere TAV, ha di fatto creato una separazione tra gente ed 
                  attivisti politici, che sembra demandare a questi ultimi, “specialisti” 
                  della politica, la pratica dell’autogestione delle lotte. 
                  Quello che serve ora è rovesciare i tavoli di concertazione 
                  tra Bresso e presidenti delle Comunità Montane praticando 
                  l’azione diretta popolare! Un’azione che non può 
                  essere “delegata” ai “professionisti” 
                  ma necessita dell’impegno di tutti, perché anche 
                  in Val di Susa quella che è in ballo non è solo 
                  l’opposizione ad un progetto devastante ma la capacità 
                  di autonomia della gente.
 Solo agendo in prima persona è possibile fermare il treno 
                  della morte.
 Il 4 giugno eravamo tanti, tantissimi ad opporci e nonostante 
                  l’Alta Velocità veda il consenso sia del Polo che 
                  dell’Ulivo, nonostante gli enormi interessi in ballo siamo 
                  scesi in piazza a batterci per le nostre case, per la nostra 
                  salute, per il diritto dei nostri figli a crescere in un ambiente 
                  sano.
 Di fronte ai giganti è giusto ribellarsi.
  Maria Matteo
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