“Tutte le straniere 
                    sono sfruttate” è l’opinione unanime degli 
                    operatori delle ong intervistati. Contratti iniqui, lavoro 
                    forzato in condizioni di schiavitù fino a violenze 
                    e torture sono realtà diffuse tra le migranti che esercitano 
                    la prostituzione in Italia, dove arrivano senza un titolo 
                    regolare di soggiorno. È da più di un decennio 
                    che l’Italia è diventata la meta di immigrazione 
                    di migliaia di donne provenienti soprattutto dalla Nigeria 
                    e dall’Albania, e più di recente dalla Romania 
                    e dalla Moldavia, nonché da molti altri Paesi dell’Est 
                    Europa o del Sud del mondo, donne che finiscono a prostituirsi 
                    nelle strade soprattutto nel Nord e Centro Italia o in appartamenti-bordello 
                    soprattutto al Sud e in quei luoghi dove la repressione del 
                    commercio del sesso all’aperto non è solo sporadica. 
                    Molte di loro sono state ingannate sul tipo di lavoro che 
                    le attendeva, specialmente nella prima fase in cui la migrazione 
                    verso l’Italia rappresentava ancora una novità. 
                    Parecchie sono state rapite, in particolare dall’Albania. 
                    In una seconda fase si è invece diffusa nei Paesi di 
                    origine la consapevolezza che la prospettiva della migrante 
                    sarebbe stata quella del commercio del sesso, anche come risultato 
                    delle campagne informative che lo Stato italiano, come altri 
                    Paesi occidentali, ha intrapreso per diffondere questa coscienza. 
                    
                    Moltissime, cionondimeno, sono partite e partono ugualmente 
                    per sfuggire alla situazione di crisi nelle madrepatrie: dalla 
                    rovina economica del blocco dell’Est, a seguito della 
                    repentina sostituzione con il capitalismo più sfrenato 
                    del sistema economico socialista, alla crisi albanese, che 
                    ha toccato il fondo nel 1997 con il crollo delle piramidi 
                    finanziarie che hanno rapinato i risparmi di buona parte della 
                    nazione, alla crisi debitoria che a metà degli anni 
                    Ottanta ha colpito il gigante nigeriano (100 milioni di abitanti, 
                    un quarto della popolazione dell’Africa nera), seguita 
                    dall’introduzione dei programmi di aggiustamento strutturale 
                    del Fondo monetario internazionale con l’aumento vertiginoso 
                    dei prezzi dei generi di prima necessità che ha gettato 
                    sul lastrico buona parte della popolazione. Migliaia di donne 
                    hanno così deciso di partire, anche tra coloro che 
                    non appartenevano agli strati poverissimi della popolazione 
                    (anche perché il costo del viaggio richiede sempre 
                    un certo investimento) per sopravvivere o per cercare di mantenere 
                    il precedente tenore di vita per sé e per la propria 
                    famiglia. Persino donne laureate si recano in Italia per guadagnare 
                    e risparmiare prostituendosi. 
                  
                   Condizione di inferiorità sociale
 
                    Condizione di inferiorità sociale 
                    
                  L’insostenibilità della situazione in patria 
                    riguarda, oltre alla crisi economica, la condizione di inferiorità 
                    sociale del genere femminile. La migrazione femminile ha spesso 
                    all’origine l’insofferenza per le costrizioni 
                    sessiste: 
					
                  
                     Largo spazio è stato dato all’analisi del fattore 
                      economico considerato quale elemento decisivo dell’atto 
                      migratorio, che per le donne non costituisce quasi mai l’unico 
                      motivo. Oltre al bisogno economico, vi è nelle donne 
                      migranti anche un desiderio e la volontà di sfuggire 
                      dalla posizione sottomessa che la cultura e le tradizioni 
                      del Paese di origine riservano loro, nei confronti delle 
                      figure maschili. Frequentemente vi è il desiderio 
                      di sottrarsi alle violenze maschili e all’autorità 
                      parentale. Largo spazio è stato dato all’analisi del fattore 
                      economico considerato quale elemento decisivo dell’atto 
                      migratorio, che per le donne non costituisce quasi mai l’unico 
                      motivo. Oltre al bisogno economico, vi è nelle donne 
                      migranti anche un desiderio e la volontà di sfuggire 
                      dalla posizione sottomessa che la cultura e le tradizioni 
                      del Paese di origine riservano loro, nei confronti delle 
                      figure maschili. Frequentemente vi è il desiderio 
                      di sottrarsi alle violenze maschili e all’autorità 
                      parentale.
I principali motivi della migrazione risultanti da una ricerca 
                    della cooperativa Dedalus a Napoli sono stati il rifiuto da 
                    parte della comunità di provenienza, che riguarda le 
                    adultere e le divorziate, la marginalità e povertà, 
                    come quella di vedove con figli a carico, e anche «la 
                    volontà di scappare da condizioni di costante violenza 
                    fisica e psicologica subita all’interno del gruppo familiare». 
                    
                    Per quanto riguarda l’Albania, l’autrice di un 
                    reportage giornalistico così ne descrive la crisi profonda: 
                    «Le donne, specie le più giovani, cercano di 
                    salvarsi come possono, ‘fidanzandosi’ con qualche 
                    figuro che le porterà in Italia o in Europa, disposte 
                    se non a tutto a tanto, pur di avere una prospettiva di vita. 
                    È un desiderio di libertà femminile che viene 
                    paradossalmente intercettato dalla cosiddetta tratta. 
                  





                   Sintomo di grave disagio
 
                    Sintomo di grave disagio 
                  
                  Questi elementi di autodeterminazione minano la schematizzazione, 
                    criticata in particolare da Bimbi, che fa ritenere che le 
                    straniere non abbiano alcuna scelta nel ricorrere alla prostituzione 
                    e che è speculare al mito che tutte le italiane abbiano 
                    fatto una scelta e nessuna viva problematicamente la condizione 
                    di prostituta. Che ciò non sia vero appare chiaramente 
                    dalle drammatiche storie di vita di italiane raccolte da Tavoliere 
                    in un volume scritto, peraltro, allo scopo dichiarato di rivendicare 
                    una libera scelta all’atto di prostituirsi. Anche l’alto 
                    numero di connazionali che telefonano ai numeri che offrono 
                    aiuto alle prostitute straniere è un sintomo di grave 
                    disagio: il 14% delle telefonate di richiesta di aiuto sono 
                    state di o per conto di un’italiana. 
                    Assodato che è possibile sia un ingresso forzato nella 
                    prostituzione sia un ingresso per scelta, tale che migliori 
                    le condizioni di partenza di chi decide questo passo, nella 
                    letteratura qualitativa sulle prostitute italiane questo secondo 
                    polo emerge più chiaramente: 
					
                  
                    -   No, non è stato drammatico, le varie fasi sono scivolate 
                      così, dalla prima volta a dopo, con naturalezza. No, non è stato drammatico, le varie fasi sono scivolate 
                      così, dalla prima volta a dopo, con naturalezza.
 All’inizio può anche essere una decisione sofferta, 
                      però non come pensano gli altri; intanto non è 
                      sofferta fisicamente, perché la gente vuol sentirti 
                      dire che ti sei sentita violata, violentata, che hai messo 
                      in vendita la tua anima, invece non mi sono mai sentita 
                      così e nemmeno le altre donne che conosco e che fanno 
                      questo mestiere come me.
Viceversa, il caso paradigmatico di costrizione a entrare 
                    nella prostituzione appartiene invece alle straniere: 
					
                  
                     Appena sono stata portata qui a Torino ho capito che ero 
                      finita in un vicolo cieco: mi sono trovata con una «padrona» 
                      che mi ha mandato sul marciapiede e voleva da me 50 milioni. 
                      È stato un vero incubo, ho pianto tutte le lacrime 
                      che avevo, se ci ripenso adesso mi viene ancora da piangere. Appena sono stata portata qui a Torino ho capito che ero 
                      finita in un vicolo cieco: mi sono trovata con una «padrona» 
                      che mi ha mandato sul marciapiede e voleva da me 50 milioni. 
                      È stato un vero incubo, ho pianto tutte le lacrime 
                      che avevo, se ci ripenso adesso mi viene ancora da piangere.
Ancora più tragiche sono le storie di ragazze rapite 
                    e violentate così come vi sono casi in cui la stessa 
                    famiglia ha venduto la figlia agli sfruttatori, mentre in 
                    altri la famiglia di origine si limita ad avvantaggiarsi dei 
                    guadagni della donna. Spesso le migranti che si prostituiscono 
                    e mandano soldi alla famiglia trovano motivo di orgoglio in 
                    ciò che non rappresenta altro che l’usuale sfruttamento 
                    delle capacità lavorative delle donne per promuovere 
                    socialmente i membri maschi del clan, per esempio mantenendoli 
                    all’università mentre si passa la propria giovinezza 
                    sulla strada: 
					
                  
                     Mi fanno ridere quelli che pensano che non sono una donna 
                      onesta perché faccio questo mestiere. Certo, come 
                      mestiere è brutto, e non capisco perché in 
                      Italia non ci permettono di farlo nei posti organizzati; 
                      non capisco cosa c’è di male a vendere l’amore 
                      a pagamento... Comunque io con questo mestiere ho fatto 
                      studiare tutti i miei fratelli e ho mantenuto mia madre, 
                      perciò sono orgogliosa di fare la prostituta. Mi fanno ridere quelli che pensano che non sono una donna 
                      onesta perché faccio questo mestiere. Certo, come 
                      mestiere è brutto, e non capisco perché in 
                      Italia non ci permettono di farlo nei posti organizzati; 
                      non capisco cosa c’è di male a vendere l’amore 
                      a pagamento... Comunque io con questo mestiere ho fatto 
                      studiare tutti i miei fratelli e ho mantenuto mia madre, 
                      perciò sono orgogliosa di fare la prostituta.
Alla domanda, posta da due giornalisti danesi che hanno condotto 
                    un’approfondita inchiesta sulla tratta, se anche i ragazzi 
                    lettoni emigrassero, una giovane di diciassette anni ha risposto, 
                    sinceramente stupita: «No, i ragazzi non vanno all’estero. 
                    Sono le ragazze che devono preoccuparsi della famiglia e mantenerla». 
                    Gli stessi autori riferiscono che il guadagno di una sola 
                    prestazione per chi lavora in un club danese è pari 
                    a cinque volte lo stipendio mensile in Ucraina, che è 
                    di 15 dollari. E in questo Paese, che ha una popolazione di 
                    51 milioni di persone, poco meno dell’Italia, il 75% 
                    dei nuovi disoccupati della transizione all’economia 
                    di mercato sono donne. 
                    Moltissime donne inoltre decidono di fare questa vita per 
                    mantenere i propri figli: «Si trattava della mia sopravvivenza, 
                    di quella di mio figlio e di un’intera famiglia che 
                    attraverso me aveva ripreso a sperare. Non dovevo avere paura. 
                    La paura era un lusso che non mi potevo permettere», 
                    racconta una delle ragazze vittime di feroci violenze intervistate 
                    da Moroli e Sibona. «Sono donne forti che vogliono cambiare 
                    la propria vita e avere un po’ di soldi per i propri 
                    figli», dichiara Mirta Da Pra del Gruppo Abele; e una 
                    donna nigeriana che ora ha smesso di prostituirsi così 
                    racconta la sua decisione di partire: «Non c’era 
                    lavoro e io volevo essere indipendente. Ho una grande famiglia, 
                    ma non andavo d’accordo con loro. Volevo stare per conto 
                    mio. Vedi i vicini che stanno bene, che hanno soldi perché 
                    c’è qualcuno in Italia, e allora vai anche tu». 
                    Così sintetizza la situazione la studiosa argentina 
                    Laura Agustín: «Sempre più persone fanno 
                    il viaggio verso l’Europa. Per le donne più povere 
                    del Terzo Mondo i lavori disponibili in patria sono spesso 
                    quelli domestico e sessuale. Dal momento che entrambi i lavori 
                    sono richiesti in Europa e sono pagati molto meglio, viaggiare 
                    ha un senso». 
                  
                   Stereotipi innegabili
 
                    Stereotipi innegabili 
                  
                  Benché sia innegabile che lo stereotipo delle italiane 
                    libere e delle straniere costrette rifletta una situazione 
                    maggioritaria dall’una e dall’altra parte, lo 
                    stereotipo delle «straniere tutte schiave» si 
                    afferma soprattutto per il fatto che la stampa riporta immancabilmente 
                    soltanto i casi più atroci di sfruttamento delle migranti. 
                    
                    Nel periodo che va dal maggio 1999 al dicembre 2001, solo 
                    un articolo tra quelli apparsi sulle pagine locali di Milano 
                    del «Corriere della Sera», un’intervista 
                    con un’albanese, ha presentato una voce che non identifica 
                    la prostituta straniera con una vittima barbaramente sfruttata. 
                    Al contrario, il contatto diretto dà l’impressione 
                    opposta: le moltissime straniere che ho incontrato sulle strade 
                    di Milano e dintorni non avevano l’aria di vivere male 
                    la loro condizione. 
                    Parlavano dei loro progetti di vita, di figli da mantenere 
                    in patria, della casa che stavano facendo costruire al loro 
                    Paese e del problema principale di chi è clandestina, 
                    cioè quello dell’ottenimento del permesso di 
                    soggiorno. 
                    Il loro aspetto non era per niente tormentato o infelice, 
                    anche se non sarà mai chiaro quanta di questa leggerezza 
                    sia dovuta all’esigenza di mercato di presentarsi come 
                    «donnina allegra». Questa impressione di saldezza 
                    è confermata dalla ricerca che Sonia Bella ha svolto 
                    sempre sulle strade milanesi: «Tutte sembravano aver 
                    conquistato (e mantenere) una grossa autonomia decisionale, 
                    che per esempio non prevede la tradizionale figura del protettore». 
                    Bisogna d’altro canto tenere presente che si tratta 
                    di una valutazione che si basa solo sulle donne (albanesi 
                    e uruguayane) che raccontavano più facilmente di sé, 
                    mentre è chiaro che coloro che hanno paura dei loro 
                    sfruttatori difficilmente parlano. 
                    Scrive Antonio Roversi, autore di una ricerca sulla prostituzione 
                    a Modena: «Innanzi tutto le ragazze di questi Paesi 
                    [russe, ucraine, moldave] prendono liberamente e consapevolmente 
                    la decisione di venire a prostituirsi nel nostro Paese [...] 
                    una volta presa questa decisione, contattano esse stesse organizzazioni 
                    che le mettono in grado di raggiungere l’Italia, oppure 
                    vi giungono con un normale visto turistico, e una volta arrivate 
                    si mettono sul mercato. A questo punto stipulano, per così 
                    dire, una sorta di ‘contratto d’affari a termine 
                    con le organizzazioni locali dello sfruttamento della prostituzione», 
                    che consiste nel cedere loro il 60% dei guadagni, oltre a 
                    pagare il trasporto in Italia a caro prezzo, se è avvenuto 
                    tramite l’organizzazione. 
                  
                   Assuefazione alla prostituzione
 
                    Assuefazione alla prostituzione 
                  
                  La prospettiva di accumulare velocemente con la prostituzione 
                    quello che in patria, a causa della differenza di condizioni 
                    economiche dell’Italia con il Sud del mondo e i Paesi 
                    dell’Est, rappresenta un piccolo capitale può 
                    far sì che si scelga una strategia migratoria di questo 
                    tipo, decidendo che il periodo passato a prostituirsi sarà 
                    breve e che avverrà lontano da casa per evitare la 
                    stigmatizzazione nel luogo di vita. E l’assuefazione 
                    alla prostituzione fa sì che anche chi è stata 
                    costretta e sfruttata possa vedere nel commercio del sesso 
                    un modo accettabile di guadagnare: «Abbiamo avuto un 
                    processo in cui delle slave hanno denunciato l’organizzazione. 
                    Poi gli è stato chiesto: volete essere rimpatriate? 
                    Hanno fatto capire che sarebbero rimaste qualche tempo per 
                    fare soldi prostituendosi», racconta una poliziotta. 
                    
                    Gli operatori delle ong ritengono che sia molto difficile 
                    stare fuori dalla rete di sfruttamento: alcune ci riescono 
                    quando i protettori vengono arrestati, e allora le donne si 
                    auto-organizzano. Altre prostitute indipendenti scendono in 
                    strada solo saltuariamente, cambiando spesso di posto. 
                    Ma spesso il fatto stesso di essere costretta a venire a patti 
                    con chi può assicurare l’ingresso in Italia, 
                    dove le leggi sull’immigrazione diventano sempre più 
                    restrittive, mettendosi quindi interamente nelle mani di trafficanti 
                    per riuscire ad attraversare la frontiera, espone al rischio 
                    di perdere il controllo sulla propria sorte e di finire letteralmente 
                    comprata e venduta dai diversi anelli della catena del traffico 
                    di persone che vogliono emigrare. 
                    I trafficanti conoscono bene le possibilità di alti 
                    guadagni nel settore della prostituzione per donne giovani 
                    e attraenti, e le schiavizzano per sfruttarne il corpo come 
                    una forma di capitale. 
                    Infatti, nonostante il blocco dei prezzi da una decina di 
                    anni a questa parte, dovuto all’aumento spropositato 
                    dell’offerta di sesso sulle strade, in realtà 
                    è possibile fare ancora buoni guadagni: ci sono ragazze 
                    costrette a portare a casa da 500 a 750 euro a notte. 
                    La forma usuale di sfruttamento delle albanesi è la 
                    tipica dinamica del «pappone»: un connazionale 
                    si finge innamorato della ragazza e promette di sposarla nella 
                    ricca Italia, mentre intende sfruttarla costringendola a prostituirsi. 
                    Stupri di gruppo documentati da foto o filmati sono i mezzi 
                    con cui le ragazze sono costrette a piegarsi alla volontà 
                    dei «fidanzati». 
                    Il fatto che esistano le prove della perdita dell’onore 
                    è gravissimo: l’onore di un’albanese è 
                    legato alla verginità, e la sua perdita recide ogni 
                    legame con la famiglia di origine, ogni possibilità 
                    di ritorno. Il più delle volte conduce anche al disprezzo 
                    per se stessa, alla completa perdita di stima di sé. 
                    
                    Nel caso delle nigeriane lo sfruttamento assume la forma di 
                    un «debito» (loan, letteralmente: prestito) contratto 
                    per il viaggio in Italia, debito che onorano dando i soldi 
                    alle maman o inviandoli in Nigeria, cosa che rende il reato 
                    di sfruttamento difficile da provare, dal momento che, come 
                    tutti gli emigranti, esse inviano denaro anche alla famiglia 
                    d’origine. 
                    Agli inizi le nigeriane entravano in Italia grazie alla complicità 
                    che le organizzazioni criminali (pare che la tratta di donne 
                    sia stata iniziata dai trafficanti di droga nigeriani) si 
                    erano procurate presso l’ambasciata italiana di Lagos, 
                    che faceva commercio di visti di ingresso. L’ammontare 
                    della somma da pagare ai trafficanti è in crescita: 
                    dai 10 milioni di lire di cui si parlava per i primi arrivi 
                    alla fine degli anni Ottanta ai 30-40 milioni di lire che 
                    erano la cifra corrente qualche anno fa, mentre in Lombardia 
                    più recentemente sarebbe tra gli 80 e i 120 milioni. 
                    Tuttavia, attualmente tale debito è per lo più 
                    esauribile in uno-due anni di intenso lavoro: «Con una 
                    ragazza nigeriana abbiamo fatto il calcolo che alla maman 
                    ha dato 130 milioni in diciotto mesi: 500.000 lire per il 
                    marciapiede al mese, 50 o 100.000 a settimana per il vitto, 
                    400.000 per l’alloggio» [intervista con un’operatrice 
                    della Caritas, 2001]. Le persone maggiormente in soggezione, 
                    meno in grado di contrastare la volontà degli sfruttatori, 
                    finiscono per essere ricattate sempre di più e pagare 
                    molto più di chi gestisce il patto in modo non succube. 
                  
                   
 
                  
                   Matrimoni bianchi
 
                    Matrimoni bianchi 
                  «Le nigeriane sanno tutto sulla vita in Italia», 
                    dichiara un’operatrice della Lila di Milano, intervistata 
                    nel 2001:
					
                  
                     Non vedono l’ora di finire di pagare per tenersi i 
                      soldi. Poi non tornano perché nessuno le sposa, qui 
                      si sposano con un italiano. Ci sono anche molti matrimoni 
                      bianchi in cui gli uomini vengono pagati. Non accettano 
                      altri lavori, che sono più duri: chi sta con gli 
                      anziani ci vive anche assieme. Anche fare le pulizie è 
                      giudicato più duro. Molte bevono. Non te ne accorgi 
                      sul lavoro ma lo fanno a casa. Non vedono l’ora di finire di pagare per tenersi i 
                      soldi. Poi non tornano perché nessuno le sposa, qui 
                      si sposano con un italiano. Ci sono anche molti matrimoni 
                      bianchi in cui gli uomini vengono pagati. Non accettano 
                      altri lavori, che sono più duri: chi sta con gli 
                      anziani ci vive anche assieme. Anche fare le pulizie è 
                      giudicato più duro. Molte bevono. Non te ne accorgi 
                      sul lavoro ma lo fanno a casa.
- Le 
                      nigeriane sono terrorizzate, non escono di casa. Quando 
                      la polizia le spinge nelle zone più periferiche non 
                      trovano clienti, quindi l’unico che capita lo accettano 
                      senza preservativo. Abbiamo un alto tasso di sieroconversioni 
                      [infezioni da hiv]. Anche per altre malattie a trasmissione 
                      sessuale, è difficile convincerle ad andare dal medico. 
                      Hanno paura di essere espulse. Molti ospedali non curano 
                      chi è senza documenti, anche se c’è 
                      la circolare che impone di accettare tutti per le urgenze. 
                      Sono torturate dalla polizia, mentre i trans sudamericani 
                      senza documenti non sono trattati così male. 
                  
Particolarmente problematico è visto il rapporto con 
                    la salute di molte migranti: «Non imparano a curarsi, 
                    e non lo fanno», racconta ancora l’intervistata, 
                    e altre operatrici confermano, come un’operatrice del 
                    cip di Firenze: «Cerchiamo di far prendere loro cura 
                    del proprio corpo. Nessuna usa la contraccezione. Le nigeriane 
                    dicono che la pillola fa male e fa ingrassare». 
                   Gerarchia di 
                    arrivo
 
                    Gerarchia di 
                    arrivo 
                  Gli spostamenti sul territorio delle prostitute nigeriane 
                    sono organizzati in obbedienza alla gerarchia di arrivo: le 
                    più inesperte vengono messe a imparare sulla strada 
                    in zone più marginali, ovvero con minori possibilità 
                    di guadagno, per poi essere trasferite, se si rivelano affidabili, 
                    nelle città, luoghi più redditizi. È 
                    stato notato anche il passaggio delle prostitute più 
                    anziane, quelle con cinque-sei anni di permanenza, alla prostituzione 
                    negli hotel, un mutamento stimolato dall’intensificazione 
                    delle retate nelle strade negli ultimi anni. 
                    La sottrazione del passaporto è un modo per assoggettare 
                    queste donne, dato che senza documenti validi, senza il visto 
                    per turismo di chi è entrata legalmente, al primo incontro 
                    con la polizia non hanno altra prospettiva che un disonorevole 
                    rimpatrio. 
                    La sottomissione delle nigeriane è comunque per lo 
                    più volontaria: hanno infatti accettato di rimborsare 
                    il loan (il famoso rito vudù cui si sottopongono 
                    è la formalizzazione del loro impegno) e dunque girano 
                    liberamente per l’Italia, a differenza delle donne dell’Est 
                    che sono sottoposte a un controllo strettissimo, in cui il 
                    riscontro sulle somme guadagnate avviene contando i preservativi 
                    rimasti a fine serata, un vero e proprio incentivo a venire 
                    incontro alle richieste dei clienti e lavorare senza condom 
                    per tenere dei soldi da parte. 
                    Sia che sappiano di dover pagare un debito, sia che il conto 
                    venga loro presentato una volta arrivate in Italia, e anche 
                    quando (come in genere accade) accettano di rimborsarlo attraverso 
                    la prostituzione, le nigeriane e le donne di altra nazionalità 
                    che si trovano in tale situazione generalmente ignorano le 
                    condizioni di estremo disagio del lavoro in strada in Italia. 
                    
                    Queste sono modalità diversissime da quelle del Paese 
                    di origine, dove il commercio del sesso è integrato 
                    nel tessuto sociale e si svolge in bar e alberghetti dove 
                    è previsto l’intrattenimento dei clienti e non 
                    solo il rapporto sessuale. Invece dello scenario consueto, 
                    si trovano a battere in strada, in luoghi spesso isolati e 
                    pericolosi, poco vestite in qualunque condizione atmosferica, 
                    con orari lunghissimi e praticamente senza giorni di riposo: 
                  
                     In molti Paesi una prostituta può sopravvivere servendo 
                      uno o due clienti al giorno in lavori che includono bere, 
                      ballare e conversare; in alternativa il lavoro può 
                      significare «avere una relazione» con un cliente 
                      per una settimana o più. Per questa lavoratrice, 
                      passare dodici ore al giorno seminuda in una vetrina o sulla 
                      soglia di una porta, servendo fino a venti clienti con nessun 
                      contatto, o pochissimo, che non sia sessuale può 
                      essere un grave choc. In molti Paesi una prostituta può sopravvivere servendo 
                      uno o due clienti al giorno in lavori che includono bere, 
                      ballare e conversare; in alternativa il lavoro può 
                      significare «avere una relazione» con un cliente 
                      per una settimana o più. Per questa lavoratrice, 
                      passare dodici ore al giorno seminuda in una vetrina o sulla 
                      soglia di una porta, servendo fino a venti clienti con nessun 
                      contatto, o pochissimo, che non sia sessuale può 
                      essere un grave choc.
Gli orari di lavoro in strada sono veramente estenuanti. 
                    Nella ricerca di Roversi le intervistate hanno dichiarato 
                    di scendere in strada ogni giorno dalle sei alle otto ore, 
                    cioè dalle 8 o 9 di sera alle 3 o 5 di mattina, mentre 
                    alcune dichiaravano anche dieci ore di permanenza. Gli unici 
                    rallentamenti in questo ritmo quotidiano avvenivano dopo le 
                    operazioni di polizia: per qualche giorno non lavoravano. 
                    Le lunghe ore di lavoro caratterizzano entrambi i modelli 
                    di sfruttamento, sia la pura costrizione sia il desiderio 
                    di liberarsi dal debito il prima possibile. 
                    Porpora Marcasciano, nel corso di un seminario di operatori 
                    di ong che fanno lavoro di strada, ha dato la definizione 
                    più pregnante del cambiamento che il mondo della prostituzione 
                    ha subìto nell’ultimo decennio: «Ora c’è 
                    una massa di persone senza dignità ed extraterritoriali, 
                    perché non entrano nel tessuto sociale. Salta agli 
                    occhi questo muro invisibile tra queste donne e ciò 
                    che le circonda». 
                    Dalla prostituta di strada come figura familiare, conosciuta 
                    per nome (o meglio, per pseudonimo: l’adozione di un 
                    nome falso fa parte delle strategie di distanziamento dal 
                    ruolo di prostituta), «siamo passate a una massa di 
                    persone che non hanno più nome». 
                    Uno dei problemi dibattuti al seminario era appunto quello 
                    di riuscire a creare un punto di contatto: «Per loro 
                    tutto è estraneo, tutto è ostile». Le 
                    trans invece, è stato notato dalla responsabile dell’unità 
                    di strada della Lila, sono più intraprendenti, più 
                    difficilmente si trovano in una simile condizione di smarrimento: 
                    «Le trans conoscono di più la città, sono 
                    più sicure. Le migranti albanesi dicono: io non so 
                    dove sto». 
                  
                   Sessismo diffuso
 
                    Sessismo diffuso 
                    
                  Il fatto di mantenere le ragazze in una situazione di ignoranza 
                    è parte della violenza fisica, psicologica, economica 
                    esercitata su di loro, che comincia con il sessismo diffuso 
                    nei Paesi di provenienza, molto più feroce di quello 
                    italiano ed esasperato dalle crisi economiche. 
                    Gli operatori di Milano notano che nelle situazioni più 
                    miserevoli si trovano le albanesi sfruttate da fidanzati e 
                    mariti, mentre le ragazze ucraine e moldave riescono a cavarsela 
                    meglio: queste ultime, conferma una mediatrice culturale moldava, 
                    provengono da società in cui le donne hanno ruoli più 
                    importanti. 
                    Lo sono sicuramente se confrontati con quelli cui la cultura 
                    tradizionale albanese relega il sesso femminile. Secondo il 
                    Kanun, il codice tribale albanese che è ancora in vigore 
                    nelle montagne del Nord, la donna è completamente priva 
                    di personalità giuridica. Si legge all’articolo 
                    29 che «finché si trova in casa del marito è 
                    considerata un piccolo otre che sopporta pesi e fatiche». 
                    In questa legge tradizionale è codificata l’inferiorità 
                    spirituale e biologica della donna, con il disprezzo che ne 
                    consegue. 
                    Il fatto che le albanesi sopportino più spesso rapporti 
                    di sfruttamento, che frequentemente sono mescolati all’affettività, 
                    è una spia di quanto questi rapporti in patria siano 
                    normali. «Questa sarebbe schiavitù? E, se lo 
                    è, in cosa differisce da altri centinaia di migliaia, 
                    se non milioni, di rapporti affettivi, tra uomini e donne, 
                    ‘normalmente’ simili a questi, che finiscono anch’essi 
                    col matrimonio?» domanda Maylinda, ragazza di vita albanese, 
                    a proposito delle relazioni, che appunto sovente sfociano 
                    nel matrimonio, tra le ragazze che condividono la sua vita 
                    e «i loro presunti padroni», come chiama i fidanzati-sfruttatori. 
                    
                    Il tipo di scelta che devono fare le albanesi viene esemplificato 
                    in modo chiarissimo nella sua lunga intervista (sicuramente 
                    romanzata ma esemplare): 
                  
                     Nessuna delle altre ragazze dell’Est, albanesi comprese, 
                      che battono e che non legano con i propri uomini e che tantomeno 
                      li sposano, dopo qualche mese, una volta imparato il mestiere 
                      e visti i guadagni, anche se rapite, comprate, vendute e 
                      maltrattate, vorrebbe tornare indietro. Nessuna. Indietro 
                      dove, poi? A una vita di miseria e di sfruttamento spesso 
                      peggiore della strada? A tornare di nuovo a carico della 
                      famiglia?. Nessuna delle altre ragazze dell’Est, albanesi comprese, 
                      che battono e che non legano con i propri uomini e che tantomeno 
                      li sposano, dopo qualche mese, una volta imparato il mestiere 
                      e visti i guadagni, anche se rapite, comprate, vendute e 
                      maltrattate, vorrebbe tornare indietro. Nessuna. Indietro 
                      dove, poi? A una vita di miseria e di sfruttamento spesso 
                      peggiore della strada? A tornare di nuovo a carico della 
                      famiglia?.
- Per 
                      di più una ragazza non più vergine è 
                      una donna perduta, per la quale il ritorno in famiglia è 
                      impossibile: farebbe ricadere il suo disonore su tutti i 
                      parenti.  
                  
Anche negli altri Paesi dell’Est vi è una diffusione 
                    della violenza fisica degli uomini contro le donne che va 
                    molto al di là del livello pur grave del problema in 
                    Italia. Dalle interviste a donne moldave, ucraine, russe effettuate 
                    da Roversi a Modena emerge che la violenza fisica dei genitori 
                    nei confronti dei figli e dei mariti nei confronti delle mogli 
                    «sembra essere la modalità di relazione interpersonale 
                    preponderante». 
                    Nelle società dell’Est Europa è fallita 
                    la via all’emancipazione femminile attraverso il lavoro, 
                    nonostante gli sforzi fatti verso questo traguardo dai partiti 
                    socialisti: anche Ehnver Hoxa cercò di migliorare la 
                    posizione sociale delle donne albanesi permettendo loro di 
                    studiare e di lavorare fuori casa. Il tempo ha rivelato che 
                    si trattò in definitiva solamente di una «doppia 
                    presenza», di un doppio sfruttamento che non ha portato 
                    mutamenti sostanziali di status. Le interviste a prostitute 
                    svolte a Genova hanno dato questo quadro del Paese balcanico: 
                  
                     Così, se nelle campagne e sui monti i maltrattamenti 
                      e la fatica sono il quotidiano, nelle città, comunque, 
                      le donne non possono recarsi al lavoro con vestiti «succinti» 
                      (gonne al ginocchio, vestiti privi di maniche...) e possono 
                      truccarsi soltanto a patto di accettare di essere immediatamente 
                      considerate «di facili costumi». Così, se nelle campagne e sui monti i maltrattamenti 
                      e la fatica sono il quotidiano, nelle città, comunque, 
                      le donne non possono recarsi al lavoro con vestiti «succinti» 
                      (gonne al ginocchio, vestiti privi di maniche...) e possono 
                      truccarsi soltanto a patto di accettare di essere immediatamente 
                      considerate «di facili costumi».
- L’educazione 
                      sessuale non esiste, i rapporti prematrimoniali ritenuti 
                      immorali, la prostituzione e quanto in occidente va sotto 
                      la definizione di «industria del sesso» assolutamente 
                      sconosciuti. 
                  
 Casini negli 
                    orfanotrofi
 
                    Casini negli 
                    orfanotrofi 
                  Ovviamente non è vero che la prostituzione in Albania 
                    non esiste: «La domanda è internazionale, uomini 
                    d’affari, funzionari di agenzie internazionali e militari, 
                    che si rivolgono alle studentesse. Gli albanesi non hanno 
                    altrettanti soldi e quindi vanno con le rom, che sono in fondo 
                    alla scala sociale. Sono stati scoperti anche casini dentro 
                    gli orfanotrofi», racconta un operatore dell’ics, 
                    che conferma anche l’emarginazione di coloro delle quali 
                    si sa che si sono prostituite in Italia: per loro vi sono 
                    speciali case di accoglienza in tre città. 
                    Gli standard di moralità per le albanesi sono strettissimi: 
                  
                     Una donna è una puttana se beve una birra al bar 
                      o fuma. Al bar ci va se accompagnata da un uomo. A Valona 
                      c’è un unico caso di studentesse che vivono 
                      tra loro lontano dalle famiglie, mentre a Tirana ce ne sono 
                      di più. Nelle campagne i matrimoni sono combinati, 
                      c’è un controllo feroce sulle ragazze. Addirittura 
                      ho sentito una leader delle donne dire di chi diventa prostituta 
                      che è perché la famiglia non la tutela, non 
                      se ne prende cura [intervista a un operatore dell’Ics]. Una donna è una puttana se beve una birra al bar 
                      o fuma. Al bar ci va se accompagnata da un uomo. A Valona 
                      c’è un unico caso di studentesse che vivono 
                      tra loro lontano dalle famiglie, mentre a Tirana ce ne sono 
                      di più. Nelle campagne i matrimoni sono combinati, 
                      c’è un controllo feroce sulle ragazze. Addirittura 
                      ho sentito una leader delle donne dire di chi diventa prostituta 
                      che è perché la famiglia non la tutela, non 
                      se ne prende cura [intervista a un operatore dell’Ics].
A onor del vero, la proibizione dei bar per le donne non 
                    è affatto sparita in Italia: ancora una decina di anni 
                    fa, per esempio, nei paesi vicino ai quali si trova il campus 
                    dell’Università della Calabria, alle ragazze 
                    non era consentito andare al bar e le studentesse venivano 
                    viste come ragazze di malaffare. Vi era, scrive Renate Siebert, 
                    un’«ostilità diffusa del territorio 
                    circostante, il quale, anche dopo tanti anni, si ostina a 
                    rimandare alle studentesse un’immagine di estranee, 
                    di ragazze facili, di ‘puttane’. Non possiamo 
                    uscire dall’ambito universitario, perché siamo 
                    considerate... quando usciamo per andare a fare la spesa ci 
                    guardano come se fossimo delle bestie rare». 
                    Ma tornando ai Paesi dell’Est, non solo in nessuno di 
                    questi ha attecchito un movimento neo-femminista forte (né 
                    vi è stata la rivoluzione culturale del Sessantotto) 
                    ma non sono mai accadute mobilitazioni delle stesse prostitute: 
                    sicuramente non in Albania, Paese comunque economicamente 
                    arretrato e con uno stile di vita da società tradizionale, 
                    ma nemmeno nei Paesi più industrializzati dell’ex 
                    blocco sovietico, e ciò a causa della repressione fortissima 
                    sulla prostituzione e delle restrizioni alla libertà 
                    di espressione e organizzazione politica nei regimi del socialismo 
                    reale. Tuttavia ci sono delle differenze: le donne moldave 
                    in particolare sono per cultura più forti e determinate, 
                    e negoziano con maggior successo i rapporti con i protettori. 
                    
                    Il sociologo Sandro Segre ha indagato i processi di costruzione 
                    e di percezione dello status di prostituta da parte delle 
                    donne straniere che esercitano questo mestiere a Genova, trovando 
                    differenze nello status che le diverse comunità attribuiscono 
                    alle lavoratrici del sesso: 
                  
                     Le prostitute nigeriane, marocchine e forse anche quelle 
                      di altre nazionalità sono stigmatizzate ed ostracizzate 
                      dai connazionali che vivono in Italia e sanno della loro 
                      attività. L’ostracismo verso le nigeriane non 
                      impedisce tuttavia la loro partecipazione ad attività, 
                      come feste, organizzate da connazionali, mentre non si registra 
                      ostracismo da parte di connazionali verso prostitute ecuadoriane 
                      e forse altre latino-americane. Le prostitute nigeriane, marocchine e forse anche quelle 
                      di altre nazionalità sono stigmatizzate ed ostracizzate 
                      dai connazionali che vivono in Italia e sanno della loro 
                      attività. L’ostracismo verso le nigeriane non 
                      impedisce tuttavia la loro partecipazione ad attività, 
                      come feste, organizzate da connazionali, mentre non si registra 
                      ostracismo da parte di connazionali verso prostitute ecuadoriane 
                      e forse altre latino-americane.
Segre ricava dalle interviste l’impressione di una 
                    scarsa stigmatizzazione della prostituzione in Nigeria. Se 
                    questo è vero – ma le mie fonti indicano il contrario 
                    – ciò è probabilmente dovuto al successo 
                    economico di chi ha fatto questa «carriera» in 
                    Italia, non a una diretta e franca accettazione del commercio 
                    del sesso. 
                    Infatti coloro che vengono rimpatriate dalle forze dell’ordine 
                    italiane sono schedate, esposte al pubblico ludibrio come 
                    misura di prevenzione, sottoposte forzatamente a esami medici 
                    e rinchiuse in carcere se risultano sieropositive. 
                    Segre riferisce anche la pratica degli albanesi di divulgare 
                    ai familiari in patria l’attività della giovane 
                    per impedirne il ritorno. 
                    Ha trovato che la stessa minaccia di perdita totale della 
                    reputazione incombe sulle marocchine intervistate: «Per 
                    le prostitute marocchine invece la forte stigmatizzazione 
                    da parte dei connazionali, ed anzi di tutti i correligionari, 
                    sia nella madrepatria sia in Italia, obbliga a una rigida 
                    segmentazione dei pubblici di fronte ai quali è assunto 
                    lo status di prostituta». 
                    Questa stigmatizzazione delle lavoratrici del sesso da parte 
                    dei musulmani si riflette anche nel frequentissimo rifiuto 
                    da parte di chi si prostituisce di accettare come clienti 
                    gli arabi (e spesso anche gli africani neri), sulla base del 
                    fatto che sono violenti e pericolosi. Certamente è 
                    questo il copione standard per interagire con una donna ai 
                    loro occhi completamente priva di status sociale come la prostituta. 
                  
                   
 
                  
                   Brutale sfruttamento economico
 
                    Brutale sfruttamento economico 
                  Dalle fonti appare che la quasi totalità di chi lavora 
                    in strada prima o poi subisce atti di violenza e rapine (peraltro 
                    alcune prostitute non rifuggono dal derubare a loro volta 
                    i clienti, se ne hanno l’occasione), anche se altre 
                    testimonianze di operatori delle ong indicano che la violenza 
                    più grande è quella che subiscono dagli sfruttatori, 
                    lontano dalla strada. 
                    Esiste anche una ragione strutturale per l’uso palese 
                    della violenza nell’appropriarsi dei guadagni della 
                    prostituzione di strada da parte di protettori o organizzatori 
                    della stessa: il denaro deve essere letteralmente preso dalle 
                    mani delle donne, cosa che rende molto evidente lo sfruttamento 
                    economico e gli fa assumere forme più brutali di quanto 
                    non accada in altri lavori in cui si è assunti alle 
                    dipendenze di qualcuno e non si maneggia denaro. 
                    Questa violenza è a volte evitata da patti stretti 
                    con le organizzazioni criminali. Si tratta spesso di patti 
                    leonini: alle donne dell’Est, scrive Mirta Da Pra Pocchiesa, 
                    vengono promessi 1.000 euro al mese: «Una volta in Italia, 
                    però, si rendono conto che è ben poco rispetto 
                    ai guadagni che portano allo sfruttatore». Non mancano 
                    le donne ingannate anche su questi accordi e che dei compensi 
                    promessi non riescono a vedere una lira (euro? N.d.R.). 
                    
                    Infatti i contratti che stipulano con gli organizzatori della 
                    prostituzione non possono essere garantiti in nessun modo. 
                    Addirittura i proventi sequestrati agli sfruttatori non vengono 
                    mai restituiti alle donne, per ragioni che riguardano la posizione 
                    di chi si prostituisce di fronte alle leggi abolizioniste, 
                    che non la considerano parte lesa dallo sfruttamento della 
                    prostituzione e neppure vittima di un’estorsione (lo 
                    vedremo meglio più avanti). 
                   I ricatti dei 
                    poliziotti
 
                    I ricatti dei 
                    poliziotti 
                  Le ricerche e la mia stessa esperienza di uscite notturne 
                    e pomeridiane nell’estate del 2001 a bordo del camper 
                    Priscilla (Lila) e nell’inverno 2004 sull’unità 
                    di strada Avenida (Caritas) concordano nel riferire testimonianze 
                    di brutalità subite persino dalle forze dell’ordine 
                    (e anche qui il disprezzo sociale per ciò che fa la 
                    prostituta incide nel modo di trattare con lei) e ricatti 
                    di poliziotti e carabinieri per ottenere prestazioni gratuite 
                    o appropriarsi dei guadagni. Ma gli abusi avvengono anche 
                    durante operazioni legali: «Mi hanno tenuta in questura 
                    due giorni senza mangiare né bere, non ho potuto prendere 
                    le medicine per il cuore e mi hanno preso dalla borsetta 300 
                    euro e il cellulare. Sono stata in Bulgaria, in Turchia: nessuno 
                    ti tratta così», racconta una donna rumena in 
                    Italia con un visto turistico. 
                    Il documento Verbale workshop clienti, distribuito 
                    al convegno della Lila «I progetti per la tutela della 
                    salute delle persone che si prostituiscono: le strategie di 
                    collaborazione con le Forze dell’Ordine, i Clienti, 
                    i Servizi Sanitari» (Milano, giugno 2001), riporta le 
                    testimonianze di cinque nigeriane e due trans peruviane, che 
                    denunciano pestaggi della polizia e distruzione dei preservativi. 
                    Alla prima domanda che era stata loro posta: «Quali 
                    sono i principali problemi che incontrate nel vostro lavoro?», 
                    la risposta è stata: «La polizia». Parla 
                    una prostituta nigeriana: 
                  
                     Qualche volta mi è capitato di finire in mezzo alle 
                      retate; è anche capitato che i poliziotti in cambio 
                      di sesso gratis non ci hanno portato in Questura. Ci sono 
                      perfino gli incaricati dell’elettricità e del 
                      gas che quando vengono a casa per i controlli chiedono almeno 
                      di palparti... Qualche volta mi è capitato di finire in mezzo alle 
                      retate; è anche capitato che i poliziotti in cambio 
                      di sesso gratis non ci hanno portato in Questura. Ci sono 
                      perfino gli incaricati dell’elettricità e del 
                      gas che quando vengono a casa per i controlli chiedono almeno 
                      di palparti...
                  «È un enorme giro di denaro su cui tutti vogliono 
                  mettere le mani», dice un operatore della Lila. Le clandestine 
                  senza diritti sono alla mercé di tutti anche perché 
                  spesso non sanno che la prostituzione in Italia non è 
                  un atto contrario alla legge, e gli sfruttatori creano un clima 
                  di sfiducia nei confronti dei clienti, della polizia (che spesso 
                  nei Paesi di origine è ancora più brutale), di 
                  tutti gli italiani e le italiane. 
                    Solo in Italia, in Belgio e in Spagna, tra tutti i Paesi della 
                    Ue, è stato posto un rimedio al fatto che i «clandestini» 
                    non possono denunciare gli abusi che subiscono, dal momento 
                    che verrebbero espulsi. Esiste infatti una via d’uscita 
                    nel Testo unico sull’immigrazione (L. 286/98, art. 18): 
                    affidarsi a una ong iscritta a un elenco ufficiale, rinunciare 
                    a prostituirsi e intraprendere un «programma di assistenza 
                    e integrazione sociale» (così nella legge) ottenendo 
                    in cambio un permesso di soggiorno detto di protezione sociale, 
                    che attualmente è stato concesso a più di 2.000 
                    donne. Questa norma non riguarda solo il settore della prostituzione 
                    ma tutte le «situazioni di violenza e di grave sfruttamento», 
                    benché sia di fatto utilizzata solo da ex prostitute. 
                    
                  Concludendo, rimane pur vero che anche oggi, non solo in passato, 
                  la prostituta, anche straniera, può essere una figura 
                  della libertà, anche se rappresenta una libertà 
                  da ostracizzata. Questo scrive Carla Corso, ricordando i suoi 
                  inizi: 
                  
                     Le prostitute per me erano persone capaci di conquistarsi 
                      un’indipendenza economica, le consideravo emancipate 
                      rispetto alle altre donne asfissiate dai loro ménages 
                      casalinghi. Non erano dall’altra parte della barricata, 
                      come le considerava la gente. Per me erano persone vincenti, 
                      né vittime né donne da esorcizzare. Pia mi 
                      appariva forte, sicura di sé e del suo lavoro... 
                      e io, che dovevo fare? Stare lì come una scema ad 
                      aspettare che lei tornasse con i soldi per tutt’e 
                      due? No, lo trovavo ignobile. Le prostitute per me erano persone capaci di conquistarsi 
                      un’indipendenza economica, le consideravo emancipate 
                      rispetto alle altre donne asfissiate dai loro ménages 
                      casalinghi. Non erano dall’altra parte della barricata, 
                      come le considerava la gente. Per me erano persone vincenti, 
                      né vittime né donne da esorcizzare. Pia mi 
                      appariva forte, sicura di sé e del suo lavoro... 
                      e io, che dovevo fare? Stare lì come una scema ad 
                      aspettare che lei tornasse con i soldi per tutt’e 
                      due? No, lo trovavo ignobile.
Anche le straniere attraverso il denaro della prostituzione 
                    si costruiscono un percorso di ascesa sociale: 
                    - Io faccio 
                      la prostituta perché fra un paio d’anni mi 
                      rimetterò a studiare e non dovrò chiedere 
                      niente a nessuno, sono una donna indipendente che non vuole 
                      chiedere niente a nessuno.