| Questa l’invocazione 
                  più “à la page”, quella più 
                  “politicamente corretta”, questo il necessario passaporto 
                  ideologico per essere credibili nella logica della Politica. 
                  Ma ad un anarchico, per quanto pragmatico, poco ideologico e 
                  per nulla dogmatico come il sottoscritto, che cosa interessa 
                  l’Europa?
 Ma soprattutto che cosa pensa dell’idea di Europa, della 
                  sua natura, delle sue radici, del suo futuro?
 Domande non facili da soddisfare soprattutto se, appunto, non 
                  ci si accontenta di slogan e di pregiudiziali vetero-ideologiche 
                  o di affermazioni rassicuranti che spesso servono solo a non 
                  vedere e a non capire.
 La storia, il tentativo di dare senso ad un continente geografico, 
                  riconosce simbolicamente in Atene, Gerusalemme e Roma, le città-cultura 
                  della genesi dell’Europa. Democrazia, religione giudaico-cristiana, 
                  forza e diritto, sono le radici più profonde di questo 
                  continente. Ma queste si sono imposte su altre culture, altre 
                  religioni, altre organizzazioni sociali e si sono affermate 
                  in virtù della loro forza economica, politica, culturale, 
                  simbolica.
 All’inizio di questa Europa vi è dunque un atto 
                  di imperio totale che, nel corso dei secoli, ha unificato un 
                  continente, dapprima con la contrapposizione sud-nord, poi con 
                  quella ovest-est, usate come l’altro da sconfiggere, da 
                  colonizzare, da penetrare.
 Perché altrimenti si parlerebbe oggi di “allargamento” 
                  ai nuovi dieci paesi e non si parla di riunificazione?
 Mai, in nessun luogo, in nessun tempo, i trattati o le costituzioni 
                  hanno creato una comunità, al massimo ne sono stati il 
                  risultato giuridico, simbolico, politico.
 Infatti quello che vediamo oggi è un intervento politico, 
                  economico, ma non certamente una ricomposizione sociale. Non 
                  è altro che l’estensione di un modello simbolico, 
                  di un’ideologia, ad altri stati che, per ragioni di sopravvivenza, 
                  necessitano di questa egemonia.
 La costruzione di una “casa comune” dipende dalla 
                  possibilità di identificare un uomo europeo, e poi un 
                  cittadino europeo. Questa sovrapposizione che la Politica ha 
                  fatto e farà (non dimentichiamoci di Turchia, Romania 
                  e Bulgaria, e magari della Russia, ecc., ecc.), dimostra esattamente 
                  che si tratta di un’operazione egemonica, di un allargamento 
                  e non certo di una ricomposizione, come qualche sprovveduto 
                  cerca di farci intendere.
 
   Riequilibrio geo-strategico Questo significa che noi dobbiamo forse osteggiare la caduta 
                  dei muri, la scomparsa dei confini, la libera circolazione di 
                  merci e persone? Certamente no! Ma dobbiamo, dal mio punto di 
                  vista, essere consapevoli che quello che accade fa parte del 
                  necessario sviluppo dell’ideologia dominante, è 
                  il risultato del superamento dell’idea di stato nazionale 
                  a favore di uno Stato europeo, non si tratta certo di una neppure 
                  pallida limitazione del Potere. Quanto avviene e avverrà con un’Europa politica 
                  ed economica sempre più ampia, non è che un tentativo 
                  di riequilibrio in termini geo-strategici nel mondo industrializzato, 
                  un assestamento di poteri e di spazi economici all’interno 
                  dell’occidente. Il fine è comunque quello di trovare 
                  più energie e risorse, economiche e politiche, ma anche 
                  culturali e sociali, per arrivare in tempo utile ad occupare 
                  altri spazi e altri margini di mercato e di sviluppo (Cina, 
                  sud-est asiatico, Medioriente, Africa del nord in primis).
 Detto questo mi pare però indispensabile capire anche 
                  che questa Europa è anche un’operazione culturale 
                  non di poco conto. Non è più pensabile costruire 
                  un impero, senza far leva sulla disponibilità dei sudditi 
                  a prestare il loro immaginario a questa operazione. Ecco allora 
                  che i chierici del potere, di destra e di sinistra, gli intellettuali 
                  euro-scettici e ottimistici, nonostante le sfumature condizionate 
                  da interessi di elettorato locale, marciare uniti nell’esaltazione 
                  di questa Europa. Così possiamo apprendere che per i 
                  liberal-socialisti come Dahrendorf, la nuova costituzione europea 
                  segna la composizione di ciò che il 1989 ha finalmente 
                  liberato, oppure, come sostiene Prodi, questo traguardo dimostra 
                  come l’Europa esporti, in modo pacifico, la democrazia. 
                  Oppure come l’Europa sequestrata sia stata vittima degli 
                  orrori del ’900 e del secolo dei Lumi, come sostiene Barbara 
                  Spinelli, infine come sia difficile scovare ed identificare 
                  il baricentro costituzionale in un’Europa così 
                  diversificata, ma inevitabile, secondo quanto sostiene Ronchey 
                  (tutti sui quotidiani del 1° maggio).
 Insomma tutti ad invocare questa nuova dimensione spaziale, 
                  per ingigantire, anche simbolicamente, le nuove aspirazioni 
                  dei nuovi cittadini del postmoderno Stato europeo. Ma nessuna 
                  voce di dissenso, nessuna esplicita preoccupazione, per le sorti 
                  degli uomini e delle donne, dei giovani e degli anziani, che 
                  vivono un’altra realtà. Nessuna rivendicazione 
                  di autonomia, di dimensione a portata di controllo individuale, 
                  nessuna obiezione allo straripante potere culturale degli europeisti.
 Ancora una volta l’incontro tra le persone, la meticizzazione 
                  delle diversità, lo scambio diretto e libero, il confronto 
                  egualitario tra esperienze e storie diversificate, è 
                  sostituito da logiche extra-individuali appaltate, o meglio 
                  imposte, a enti, progetti, poteri, simboli, che non favoriscono 
                  una maggiore libertà nella diversità.
 Dov’è finito il fantomatico federalismo, quello 
                  più pulito di Altiero Spinelli, quello più becero 
                  di Umberto Bossi?
   Europa sociale Ma esiste un’Europa sociale, un insieme di cittadini 
                  che, seppur diversi tra loro, si riconoscano reciprocamente 
                  come interlocutori, come possibili partner, che pur abitanti 
                  di un continente, cercano, in mille modi onesti e sinceri, di 
                  meticizzarsi tra di loro e di mescolarsi con gli altri degli 
                  altri continenti, senza volontà egemoniche, ma solo in 
                  nome della ricchezza che solo la diversità garantisce? 
                  Questo insieme di uomini e donne, siano essi figli del cristianesimo, 
                  dell’illuminismo, dell’ebraismo, o figli di nessuno 
                  in particolare, quando sveleranno la nudità del nuovo 
                  sovrano?
 Occorre sempre più, nel cercare le proprie radici, voler 
                  scoprire e accettare che non vi è mai una unica verità, 
                  che Socrate è diventato grande perché prima di 
                  lui, altri pensieri hanno illuminato gli uomini del tempo e 
                  che Voltaire non basta a garantire una vera libertà, 
                  occorre anche la spiritualità di Shelley e delle radici 
                  libertarie del Romanticismo, che Darwin è stato indispensabile 
                  per svelare l’inconsistenza delle teorie creazioniste, 
                  ma che senza Kropotkin le sue idee si sarebbero risolte solo 
                  nel darwinismo sociale. È indispensabile capire che senza 
                  Zenone e i sofisti non si sarebbe potuto pensare un’alternativa 
                  alla repubblica degli illuminati di Platone, senza le tragedie 
                  greche e quelle di Shakespeare, senza le città medievali 
                  e i comuni italiani, le comunità contadine russe, non 
                  vi sarebbe questa tensione ideale verso una società degli 
                  individui liberi ed autonomi che, ancora una volta, come seme 
                  sotto la neve, resiste alle intemperie del dominio e della sopraffazione.
 Insomma è nel pluralismo e nella diversità che 
                  noi possiamo trovare le vere radici della libertà e dell’uguaglianza 
                  sociale, non nella foga identitaria alla quale si sottomettono 
                  oggi i popoli europei.
 Non nell’esportazione di qualche cosa, non nell’allargamento 
                  di ciò che c’è già, ma nella comune 
                  ricerca di ciò che ancora non c’è, ma che 
                  esiste in potenza dentro ognuno di noi.
 Infine essere consapevoli che l’Europa è ciò 
                  che è, noi siamo ciò che siamo, anche grazie alla 
                  penetrazione, all’assemblamento, al mescolamento che civiltà 
                  diverse, non ultima quella islamica, hanno prodotto in secoli 
                  e secoli di storia. La nostra debolezza, che deriva dal riconoscimento 
                  della nostra precarietà culturale, diventi la nostra 
                  forza, la nostra orgogliosa identità, libera da ogni 
                  forma di potere, di superiorità, di arroganza
  Francesco Codello
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