|  Ricordando Valerio Cacucci
 Sabato, 13 marzo 2004, mio padre ha smesso di soffrire, al 
                  termine di una lunga malattia. Sento di dovere molto anche a 
                  lui, per i miei ideali libertari. A lui, metalmeccanico della 
                  Fit Ferrotubi di Sestri, che si sdraiava sui binari all’ennesima 
                  cassa integrazione, i carabinieri a dirgli “Cacucci, guarda 
                  che stavolta ti arrestiamo...”, fino al licenziamento 
                  per chiusura da neoliberismo, sconfitto tutta la vita ma mai 
                  vinto.  
 Valerio 
                  Cacucci  Voglio raccontarvi un pezzetto di storia paterna. Il 2 dicembre 1943 mio padre Valerio aveva 15 anni e si trovava 
                  nel porto di Bari, dove faceva il garzone di bottega per un 
                  barbiere. Il contrattacco tedesco colpì varie navi statunitensi 
                  alla fonda. Tra queste, la John Harvey, carica di migliaia 
                  di bombe all’iprite.
 Gli Usa non hanno mai dato spiegazioni del loro crimine di guerra, 
                  bombe all’iprite messe al bando dalla convenzione di Ginevra 
                  fin dal 1925. Nessuno poteva saperlo. Migliaia di morti per 
                  le esalazioni e le ustioni. Mio padre, come tutti, si mise ad 
                  aiutare a tirare fuori i soldati e i pescatori da quella melma 
                  di nafta e iprite.
 La pelle dei feriti si staccava a brandelli, e toccandone i 
                  panni, ci si ustionava le mani. Chissà come ha fatto 
                  il mio vecchio – ragazzo – a sopravvivere. Ci ha 
                  rimediato problemi alla pelle incurabili, e un enfisema polmonare. 
                  75 anni. Meno 15, come dire che i successivi 60 sono stati un 
                  regalo dell’iprite che lo risparmiò, come pochi 
                  altri, grazie solo al vento forte da ponente a levante che spostò 
                  in mare i fumi delle esplosioni.
 Ancor oggi molti di quegli ordigni giacciono in fondo all’Adriatico 
                  pugliese, sparpagliati da un criminoso tentativo dello stato 
                  italiano di occultare la questione, rigettando al largo tutte 
                  le bombe recuperate nella rada. L’ultimo caso di pescatore 
                  che tirando a bordo le reti si è ustionato mani e braccia 
                  risale a non molto tempo fa... e ne hanno registrato almeno 
                  250 dal ’43 a oggi.
 Fino a qualche anno fa me lo raccontava ancora, quel giorno 
                  di inferno nel porto di Bari, il 2 dicembre del 1943. Io sono 
                  nato l’8 dicembre e lui era nato il 15 dicembre. Un mese 
                  fatidico, in famiglia. Il mese che lo vide restare vivo a dispetto 
                  dell’orrore.
 In fondo, è anche per narrare la storia dei dimenticati 
                  come lui, che hanno fatto “del proprio meglio” nei 
                  momenti di tragedia, che scrivo i libri che scrivo.
 Vi abbraccio forte
  Pino Cacucci
      Convegno su Malatesta a Livorno
 Organizzato dalla Federazione Anarchica Livornese (aderente 
                  alla FAI), sabato 6 marzo 2004 si è svolto a Livorno 
                  un Convegno su “Anarchia e movimento operaio. L’azione 
                  e la riflessione di Errico Malatesta a 150 anni dalla nascita”. 
                  Come è noto, nell’arco degli ultimi mesi l’anniversario 
                  della nascita di Malatesta (S. Maria Capua Vetere, 4 dicembre 
                  1853 – Roma, 22 luglio 1932) ha costituito l’occasione 
                  per una serie di iniziative editoriali e di incontri che hanno 
                  interessato diverse città italiane. La giornata di studi 
                  di Livorno si colloca all’interno di questo ciclo di iniziative, 
                  caratterizzandosi peraltro per un taglio suo proprio originale. 
                  La scelta degli organizzatori, come ha chiarito nella sua breve 
                  introduzione Tiziano Antonelli a nome della FAL, è stata 
                  infatti quella di concentrare l’attenzione su un tema 
                  specifico ma di grande rilevanza, quale è quello dell’influenza 
                  di Malatesta sul movimento operaio, analizzato sotto il duplice 
                  profilo della riflessione teorica e della ricostruzione storiografica 
                  di alcuni aspetti e momenti tra i più significativi. 
                  La relazione introduttiva (Errico Malatesta e il movimento 
                  anarchico tra speranze rivoluzionarie e sconfitte del movimento 
                  dei lavoratori) è stata affidata a Giampietro “Nico” 
                  Berti, autore di una recente monumentale biografia del più 
                  famoso anarchico italiano. Richiamandosi esplicitamente ad alcuni 
                  temi trattati nella sua monografia, Berti ha sottolineato come 
                  in tutta la lunga vita di Malatesta esista un nesso inscindibile 
                  – di derivazione mazziniana – tra pensiero e azione. 
                  Studiare Malatesta vuol dire essenzialmente confrontarsi con 
                  tutti i tentativi di dare vita a una rivoluzione socialista 
                  in Italia, dai moti internazionalisti del 1874 e 1877 (che si 
                  innestano in una tradizione risorgimentale mazziniana e pisacaniana) 
                  ai tentativi insurrezionali dell’ultimo decennio dell’Ottocento, 
                  dalla “Settimana rossa” del giugno 1914 fino al 
                  “Biennio rosso” (1919-20) nel primo dopoguerra. 
                  In riferimento soprattutto a quest’ultimo periodo, Berti 
                  ha mosso una dura critica all’inconcludenza dei socialisti 
                  massimalisti, che proclamando in continuazione la loro volontà 
                  di fare una rivoluzione senza mai effettivamente prepararla 
                  e realizzarla, ottennero il solo risultato di spaventare la 
                  borghesia favorendo così l’avvento al potere del 
                  fascismo. Molto più concreta appare in confronto l’azione 
                  sviluppata in quel periodo da Malatesta e dagli anarchici, rivoluzionari 
                  sul serio ma minoritari e consapevoli della impossibilità 
                  di dare avvio al processo rivoluzionario senza la partecipazione 
                  delle masse orientate dal PSI.
 
 All'epoca della Prima Internazionale  La settimana rossa Roberto Giulianelli (La Camera del Lavoro di Ancona) 
                  ha ricostruito brillantemente i rapporti tra Malatesta, gli 
                  anarchici e il movimento operaio nel capoluogo marchigiano. 
                  L’arrivo del rivoluzionario campano ad Ancona nei primi 
                  mesi del 1897 galvanizza il movimento libertario locale (in 
                  poco tempo nascono decine di gruppi) e lo orienta su posizioni 
                  organizzatrici. L’influenza malatestiana sul movimento 
                  anconetano si rivelerà profonda e duratura. Coadiuvato 
                  da alcuni compagni e collaboratori di notevole spessore (Cesare 
                  Agostinelli, Adelmo Smorti, Rodolfo Felicioli, Emidio Recchioni 
                  e altri), Malatesta dà vita al settimanale “L’Agitazione” 
                  che proseguirà per qualche anno anche dopo il suo arresto 
                  nel 1898. L’appello di Malatesta affinché gli anarchici 
                  ritornino ad occuparsi delle condizioni dei lavoratori viene 
                  raccolto in ambito locale, e i libertari partecipano alla fondazione 
                  nel 1900 della Camera del Lavoro di Ancona, alternandosi con 
                  i repubblicani per i primi anni alla sua direzione, prima che 
                  subentrino i sindacalisti rivoluzionari. Autonome resteranno 
                  le leghe mezzadrili della provincia, egemonizzate dai socialisti 
                  riformisti (l’anarchismo ad Ancona si presenta come fenomeno 
                  prettamente urbano, sostanzialmente estraneo resta il mondo 
                  delle campagne, come del resto avviene con poche eccezioni nel 
                  resto d’Italia). La presenza di un ambiente particolarmente 
                  favorevole spiega perché, al suo rientro in Italia nel 
                  1913, Malatesta scelga di nuovo proprio Ancona come luogo di 
                  residenza. Nel giugno dell’anno successivo, non a caso, 
                  il capoluogo marchigiano sarà l’epicentro dei moti 
                  della “Settimana rossa”, in cui Malatesta avrà 
                  un ruolo di assoluto rilievo. Dopo il nuovo esilio londinese, 
                  al rientro in Italia nel dicembre 1919, il vecchio rivoluzionario 
                  preferirà stabilirsi invece a Milano, anche per assumere 
                  la direzione del quotidiano “Umanità Nova”.
 Maurizio Antonioli (L’anarchismo fra socialismo e 
                  individualismo alla fine dell’Ottocento), ha analizzato 
                  le varie tendenze dell’anarchismo italiano dagli ultimi 
                  decenni del XIX secolo fino all’avvento del fascismo. 
                  La corrente organizzatrice malatestiana, che aveva i suoi punti 
                  di forza soprattutto ad Ancona e a Roma, per lungo tempo è 
                  stata costretta a competere e polemizzare con le correnti antiorganizzatrici 
                  e poi, a partire dai primi anni del Novecento (dopo la pubblicazione 
                  in traduzione italiana degli scritti di Max Stirner) con varie 
                  forme di individualismo. Fondamentale in questo dibattito appare 
                  il ruolo di Luigi Fabbri, il più attivo e culturalmente 
                  attrezzato tra i discepoli di Malatesta, fedele interprete e 
                  diffusore del suo pensiero anche durante gli anni in cui il 
                  maestro, esule all’estero, riduce notevolmente i suoi 
                  interventi sulla stampa. È interessante notare come gli 
                  antiorganizzatori e gli stessi individualisti, avversari dichiarati 
                  della organizzazione politica degli anarchici, spesso non manifestassero 
                  alcuna preclusione nei confronti dell’organizzazione sindacale 
                  dei lavoratori (emblematico il caso di Camillo Signorini, individualista 
                  e dirigente di rilievo del Sindacato Ferrovieri Italiani). In 
                  conclusione, si può sostenere con qualche plausibilità 
                  che la corrente organizzatrice sia stata minoritaria per una 
                  lunga fase nell’anarchismo italiano (aldilà dell’indiscutibile 
                  prestigio personale e della autorevolezza di Malatesta), e che 
                  solo nel primo dopoguerra, con la nascita dell’Unione 
                  Anarchica Italiana, si modifichi in modo significativo e duraturo 
                  il peso rispettivo delle varie tendenze.
 
 Errico Malatesta a Paterson (USA) 
                  nel 1900  Sul sindacalismo Guido Barroero (L’eredità di Malatesta nel 
                  secondo dopoguerra: la presenza degli anarchici nel movimento 
                  operaio) è partito da un’analisi delle concezioni 
                  malatestiane riguardo il sindacalismo, come emergono soprattutto 
                  nel corso della polemica con Monatte durante il Congresso anarchico 
                  internazionale di Amsterdam del 1907. Malatesta si mostra critico 
                  nei confronti della teoria sindacalista rivoluzionaria che identifica 
                  la rivoluzione con lo sciopero generale, e rifiuta anche la 
                  concezione del sindacato operaio visto come organo autosufficiente 
                  in grado di guidare da solo il proletariato verso la trasformazione 
                  rivoluzionaria della società. Pur auspicando un impegno 
                  dei libertari nelle lotte operaie, Malatesta crede sempre nell’importanza 
                  fondamentale della organizzazione specifica degli anarchici. 
                  Ritiene anzi che il sindacato sia per sua natura sempre riformista 
                  e portato al compromesso. Non facendosi illusioni sulle potenzialità 
                  rivoluzionarie di questo organismo,
 Malatesta propende per un sindacato politicamente “neutro”, 
                  in cui possano convivere tutti i lavoratori (anarchici, socialisti, 
                  repubblicani e di altre tendenze), accumunati dalla necessità 
                  di difendere i medesimi interessi. Per questa ragione sarà 
                  inizialmente contrario alla nascita dell’USI, ritenendo 
                  più opportuna la presenza degli anarchici e dei sindacalisti 
                  rivoluzionari nella CGdL (ci sarà per questo una divergenza 
                  di opinioni con Armando Borghi). Dopo l’interruzione rappresentata 
                  dal fascismo, nell’immediato secondo dopoguerra il movimento 
                  anarchico italiano praticamente nella sua interezza (compreso 
                  lo stesso Borghi) farà proprie le concezioni malatestiane 
                  in campo sindacale, rinunciando alla ricostituzione dell’USI 
                  e aderendo alla CGIL unitaria. Solo dopo la rottura dell’unità 
                  sindacale a opera dei cattolici, dei repubblicani e dei socialdemocratici, 
                  con la nascita rispettivamente della CISL e della UIL, anche 
                  alcuni anarchici a partire dal 1949 decideranno di riattivare 
                  l’USI. Il loro tentativo all’epoca non avrà 
                  successo e si esaurirà nell’arco di pochi anni, 
                  anche per il disinteresse e il mancato sostegno di gran parte 
                  del movimento libertario.
  I rapporti con Armando Borghi Riallacciandosi almeno in parte ad alcuni temi della relazione 
                  precedente, Luigi Di Lembo (Errico Malatesta e Armando Borghi) 
                  ha messo a confronto le concezioni malatestiane con quelle espresse 
                  da Borghi, che per circa un quindicennio – nel periodo 
                  a cavallo della prima guerra mondiale – fu il più 
                  noto esponente del sindacalismo anarchico in Italia. Per quanto 
                  Borghi abbia cercato nel secondo dopoguerra (in particolare 
                  in Mezzo secolo di anarchia) di accreditare un’immagine 
                  di sé come discepolo di Malatesta e interprete più 
                  o meno fedele della sua concezione politica nel movimento operaio, 
                  le divergenze ci furono e non di poco conto. Anarchico antiorganizzatore 
                  in gioventù (come attestano il periodo di sua direzione 
                  del settimanale “L’Aurora” di Ravenna e l’opuscolo 
                  Il nostro e l’altrui individualismo del 1907), Borghi 
                  si avvicina poi al sindacalismo “d’azione diretta” 
                  e attraversa, soprattutto nel 1913-14, una fase che lui stesso 
                  definirà di “empietà operaista”. Senza 
                  mai cessare di definirsi anarchico, le sue concezioni sono in 
                  quegli anni distanti da quelle di Malatesta, col quale polemizza 
                  in alcune occasioni, e vicine piuttosto a quelle di Pelloutier, 
                  Monatte, Guillaume. Riscoprirà integralmente il proprio 
                  anarchismo, depurato da ogni incrostazione sindacalista, nella 
                  battaglia politica contro l’interventismo – a cui 
                  aderiscono molti sindacalisti rivoluzionari – e di fronte 
                  all’esperienza traumatica della Grande guerra.
 Grazie proprio alla sua netta contrapposizione ad Alceste De 
                  Ambris e agli altri leader sindacalisti passati all’interventismo, 
                  nel settembre 1914 Borghi viene nominato Segretario generale 
                  dell’USI, mantenendo tale incarico fino alle sue dimissioni 
                  nel 1921. Si riavvicina in questo periodo a Malatesta, col quale 
                  collabora strettamente per tutto il “Biennio rosso”. 
                  La corrispondenza tra i due continuerà anche dopo l’espatrio 
                  di Borghi alla fine del 1922, ed è anche grazie ad alcune 
                  di quelle lettere che è possibile documentare una persistente 
                  diversità di opinioni su questioni non trascurabili. 
                  In particolare, mentre Malatesta ritiene che soprattutto dopo 
                  l’avvento del fascismo l’USI dovrebbe confluire 
                  nella CGdL, Borghi continua ad attribuire ancora una valenza 
                  positiva all’esistenza di una struttura sindacale autonoma 
                  di tendenza libertaria. Del resto, in quegli anni Borghi è 
                  attivissimo nel promuovere l’AIT, l’internazionale 
                  anarcosindacalista e libertaria nata al Congresso sindacalista 
                  di Berlino (25 dic. 1922 – 2 gen. 1923) in contrapposizione 
                  all’internazionale sindacale socialdemocratica di Amsterdam 
                  e a quella comunista di Mosca.
 Solo dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti, avvenuto alla 
                  fine del 1926, l’anarchico romagnolo comincerà 
                  a rivedere radicalmente le sue posizioni, influenzato dal contatto 
                  con la realtà americana. Secondo Di Lembo, sull’evoluzione 
                  di Borghi avrebbe pesato con molta probabilità anche 
                  l’allarme suscitato dai diversi tentativi di revisione 
                  dell’anarchismo divenuti oggetto di accesi dibattiti in 
                  quegli anni, sia di taglio classista e iperorganizzatore (come 
                  la celebre “Piattaforma di Archinov”) sia democraticisti. 
                  Fatto sta che ritornato in Italia nell’ottobre 1945, Borghi 
                  sembra avere fatto propria la concezione del sindacato di Malatesta 
                  (morto nel frattempo nel 1932) e si oppone a ogni tentativo 
                  di riattivazione dell’USI. Va oltre, peraltro, lo stesso 
                  Malatesta, e dimostra un sostanziale disinteresse per l’attività 
                  sindacale in genere. Per il Borghi della maturità il 
                  sindacato è divenuto ormai, nel mondo contemporaneo, 
                  solo un organo per la statalizzazione delle masse. Del resto, 
                  più in generale, tutta l’impostazione dell’ultimo 
                  Borghi è di tipo antiorganizzatore. Si può dire 
                  che si assiste a un suo sostanziale ritorno alle origini, alle 
                  posizioni espresse nei primi anni del Novecento.
 
 Errico Malatesta con Amedeo Boschi 
                  nel 1913  L’arresto di Malatesta Di un certo interesse, ma più legati a una dimensione 
                  locale, anche i contributi di Fabio Bertini (Anarchici livornesi 
                  e toscani nelle carte di polizia), e di Marco Rossi (Livorno 
                  in sciopero per la libertà di Malatesta). Il primo, 
                  utilizzando anche recenti ricerche effettuate per compilare 
                  schede per il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, 
                  ha messo in luce la continuità che esiste in Toscana 
                  tra la tradizione democratica e rivoluzionaria risorgimentale 
                  e la nascita poi dei gruppi internazionalisti e anarchici. Il 
                  secondo ha ricostruito l’episodio dello sciopero generale 
                  svoltosi a Livorno il 3 febbraio 1920 in seguito all’arresto 
                  di Malatesta (avvenuto a Tombolo il giorno prima), inquadrandolo 
                  nelle vicende del movimento operaio della città labronica 
                  nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale.
 Concludendo, per la qualità delle relazioni il Convegno 
                  può essere considerato sicuramente un successo. Complessivamente 
                  ridotta invece la presenza del pubblico, forse scoraggiato anche 
                  dalle avverse condizioni meteorologiche. Considerati i temi 
                  trattati e i nomi dei relatori, tra i quali vi erano alcuni 
                  tra gli storici più autorevoli dell’anarchismo 
                  italiano affiancati da ricercatori in qualche caso più 
                  giovani ma promettenti, ci si poteva aspettare un’affluenza 
                  maggiore.
   Gianpiero Landi |