| Quali 
                  sono le cause delle rivoluzioni? Perché i sistemi di 
                  valori cambiano? In che modo lopinione pubblica influenza 
                  gli avvenimenti?. A questi interrogativi, con riferimento 
                  alla Francia della seconda metà del XVIII secolo, cerca 
                  di dare una risposta, in un interessantissimo libro, lo storico 
                  francese Robert Darnton (Libri proibiti. Pornografia, satira 
                  e utopia allorigine della rivoluzione francese , Mondadori, 
                  Milano 1997). I temi e le risposte suggerite da questo pregevole 
                  lavoro credo possano essere di qualche interesse per la cultura 
                  libertaria contemporanea, attenta tanto ai meccanismi di riproduzione 
                  simbolica del dominio quanto ai mezzi utili alla sua delegittimazione. 
                  Alcuni dei più significativi contributi del pensiero 
                  libertario nella seconda metà del XX secolo  penso, 
                  in particolare, agli studi di Pierre Clastres, Cornelius Castoriadis, 
                  Murray Bookchin (1 )  hanno messo 
                  in luce il ruolo fondamentale che luniverso simbolico, 
                  limmaginario istituito, ricopre nel consenso e nella legittimazione 
                  politica su cui si fonda luniverso materiale delle relazioni 
                  sociali, mettendo così in seria discussione il paradigma 
                  marxista secondo il quale la sovrastruttura simbolica della 
                  società è, più o meno univocamente, determinata 
                  dalla sua struttura materiale (2 ). Nella 
                  loro diversità, le ricerche degli autori suddetti confermano 
                  e approfondiscono, in poche parole, una delle tesi centrali 
                  del pensiero anarchico classico, secondo la quale, se è 
                  vero che esiste una interdipendenza tra luniverso simbolico 
                  e quello materiale della società, è altrettanto 
                  vero che la «sovrastruttura» politica e culturale 
                  gode di una certa autonomia e in molti casi è essa stessa 
                  la causa dei mutamenti che avvengono nella dimensione «strutturale» 
                  (3 ).   Delegittimazione della cultura dominante
 Lo studio di Darnton si occupa di chiarire in che modo sia 
                  avvenuto il processo di delegittimazione della cultura dominante 
                  nella Francia del Settecento, individuando in questo processo 
                  uno  non certo lunico  dei fattori più 
                  importanti che hanno prodotto il rovesciamento rivoluzionario 
                  del regime assolutistico nel 1789. Per rispondere ad uno degli 
                  interrogativi che più ha assillato la storiografia francese 
                  sul XVIII secolo negli ultimi settantanni, a partire dalla 
                  pubblicazione del noto studio di Daniel Mornet (4). 
                  Possono i libri provocare le rivoluzioni?  Darnton ha 
                  cercato anzitutto, nella prima parte del suo lavoro, di capire 
                  cosa leggessero i francesi del Settecento, studiando una mole 
                  impressionante di fonti archivistiche  carte di polizia, 
                  corrispondenze editoriali, ecc.  ed in particolare gli 
                  archivi di una importante tipografia svizzera della seconda 
                  metà del XVIII secolo, la Société Tipographique 
                  di Neuchâtel (dora in avanti: STN), che tra 
                  il 1769  anno dinizio delle sue attività 
                   e il 1785  anno in cui rinunciò a fare affari 
                  in Francia, a causa della stretta repressiva della censura  
                  inondò il mercato librario francese di una notevole quantità 
                  di libri proibiti. Gli archivi della STN sono gli unici, tra 
                  quelli delle decine di tipografie che sorgevano «appena 
                  al di là delle frontiere francesi» e da cui «fuoriuscivano 
                  le opere appartenenti ad una letteratura libertina che minava 
                  i valori fondamentali dellAncien régime» 
                  (5), ad essersi conservati pressoché 
                  integralmente, ed hanno pertanto un valore imprescindibile per 
                  comprendere la qualità e la diffusione della letteratura 
                  clandestina nella Francia pre-rivoluzionaria. Occorre poi specificare 
                  che la STN, come altre grandi tipografie del periodo, non stampava 
                  in proprio i libri proibiti: con una politica editoriale di 
                  scambi, si riforniva di questa richiestissima merce da piccole, 
                  spesso piccolissime, tipografie clandestine, per poi riversarla 
                  sul mercato francese. Ai più fidati distributori che 
                  ne facevano esplicita richiesta, la STN provvedeva a fare avere 
                  i propri cataloghi (clandestini anchessi, evidentemente) 
                  di libri proibiti, che erano naturalmente assai diversi da quelli 
                  che contenevano i titoli della produzione ufficiale e consentita.
 Ma quali erano, precisamente, i libri proibiti nella Francia 
                  della seconda metà del Settecento? I libri proibiti, 
                  chiamati mauvais livres dalle autorità e livres 
                  philosophiques da tipografi e distributori, comprendevano 
                  in verità una gamma assai ampia di letteratura, non del 
                  tutto coincidente con quello che ancor oggi siamo soliti ascrivere 
                  al filone illuministico: essa spaziava dalla letteratura libellistica 
                  e scandalosa alla saggistica politico-filosofica, dalla letteratura 
                  utopistica a quella «pornografica» (6). 
                  Nellimpossibilità di controllare e reprimere quel 
                  vasto fenomeno letterario che squassò la cultura francese 
                  ed europea del XVIII secolo e che, in un modo o nellaltro, 
                  era espressione di una cultura laica e illuministica, le autorità 
                  francesi concentrarono la propria attenzione sulle opere che, 
                  senza ombra di dubbio, mettevano in discussione i valori dominanti: 
                  molti libri, pure figli della cultura dei lumi, erano in qualche 
                  misura tollerati, anche se non avevano ottenuto lautorizzazione 
                  a stampa.
  Letteratura clandestina
 Confrontando i cataloghi di libri proibiti della STN, quelli 
                  di altre sei tipografie svizzere, i registri delle confische 
                  di libri proibiti effettuate alla dogana di Parigi e infine 
                  i cataloghi dei libri confiscati dalla polizia parigina nelle 
                  irruzioni nelle librerie, Darnton è stato in grado di 
                  stilare un elenco pressoché completo dellintero 
                  corpus della letteratura clandestina, che comprende 
                  ben 720 titoli (7), e un elenco delle 
                  opere più richieste, cioè dei best-seller: 
                  questultimo rende palese «lesistenza di un 
                  pubblico avido di letteratura oscena, diffamatoria e sovversiva» 
                  (8), tale per cui appare corretto, per 
                  lepoca, rilevare che «libertà e libertinismo 
                  appaiono strettamente intrecciati» (9). 
                  Ai primi posti della classifica dei best-seller vi sono opere 
                  di autori noti del movimento illuministico (Voltaire, dHolbach, 
                  Raynal) e di scrittori oggi pressoché sconosciuti (Mercier, 
                  Linguet, dArgens, Pidasant de Mairobert). Molto richieste 
                  dal pubblico di lettori francesi erano i saggi antireligiosi 
                  e anticristiani: «Per la prima volta, durante gli ultimi 
                  tre decenni dellAncien régime il lettore comune 
                  poteva accedere allateismo in forma di libro» (10). 
                  Più in generale, si può osservare come i best-seller 
                  di maggior successo  Lan 2440 di Louis-Sebastien-Mercier, 
                  lHistoire philosophique et politique des établissements 
                  et du commerce des européeens dans les deux Indes, 
                  di Guillaume-Thomas-François Raynal, le Questions 
                  sur lencyclopédie di Voltaire  «attaccavano 
                  in pratica ogni autorità costituita» (11). 
                  Sarebbe sbagliato, tuttavia  osserva Darnton  pensare 
                  a questo processo di erosione della morale e della cultura politica 
                  dominanti come al prodotto di un disegno consapevole: «I 
                  libri proibiti hanno probabilmente indebolito il regime, minandone 
                  la legittimità, ma non avevano lo scopo di rovesciarlo» 
                  (12), tesi, questultima, sostenuta 
                  invece da scrittori reazionari come Augustin Barruel, secondo 
                  il quale la rivoluzione francese sarebbe stata il frutto di 
                  un complotto massonico e illuministico (13). 
                  Nessuno in Francia, fino al 1787, presagì o auspicò 
                  la rivoluzione; tuttavia, si può dire che i libri proibiti 
                  abbiano preparato il terreno, inintenzionalmente, al crollo 
                  violento dellAntico regime. Nella seconda parte del libro, lautore analizza tre best-seller, 
                  rappresentativi di tre generi più richiesti di libri 
                  proibiti: la «pornografia» filosofica, la visione 
                  utopica, la diffamazione politica. Il primo genere, cui appartengono 
                  opere come Les Bijoux indiscrets di Denis Diderot, 
                  certo il più libertario dei grandi illuministi francesi, 
                  la Pulcelle dOrleans di Voltaire o Ma conversion, 
                  ou le libertin de qualité di Honoré-Gabriel 
                  Riqueti, conte di Mirabeau, è ben rappresentato dal romanzo 
                  Therese philosophe (1748), opera probabilmente di Jean-Baptiste 
                  de Boyer, marchese dArgens. Nonostante i ripetuti inviti 
                  al conformismo politico, tipica espressione della cultura libertina 
                  di cui Therese philosophe è figlia, questo romanzo 
                  può essere ritenuto un testo rivoluzionario: anzitutto, 
                  perché questo libro è un trattato sulla contraccezione, 
                  e poi perché la protagonista è una donna che rifiuta 
                  il ruolo stereotipico di moglie e madre per accedere a quello, 
                  sino ad allora riservato ai maschi, di libertina e filosofa: 
                  «Sesso e metafisica: nulla è più lontano 
                  dalla nostra mentalità, ma nulla è più 
                  conforme allo spirito libertino del Settecento» (14). 
                  Therese philosophe rappresenta, se vogliamo, una volgarizzazione 
                  della filosofia materialistica e meccanicistica di La Mettrie: 
                  «In tutte le scene di sesso il corpo è descritto 
                  come una macchina. Fluidi, fibre, pompe, pressione idraulica: 
                  questa sembra essere la natura profonda dellattività 
                  sessuale» (15).
  Letteratura utopica
 Al genere della letteratura utopica va invece ascritto un altro 
                  romanzo, Lan 2440 di Mercier, opera che, dal 
                  1771, anno della editio princeps, ebbe ben 25 edizioni. 
                  Si tratta di uno scritto, ai nostri occhi, per molti aspetti 
                  inquietante, intriso di moralismo rousseauiano, addirittura 
                  protototalitario. Del resto, come acutamente notava Maria Luisa 
                  Berneri nel suo bellissimo lavoro sullutopia, il genere 
                  utopistico ha rare volte assunto connotazioni libertarie (16), 
                  e certo lopera di Mercier, così influenzata dalle 
                  tesi di Jean-Jacques Rousseau, filosofo certo complesso ma che 
                  tuttavia sembra indubbiamente un anticipatore delle dottrine 
                  totalitarie (17), non fa certo eccezione, 
                  da questo punto di vista. Lan 2440 è una 
                  u-cronia: lisola felice non è un posto tropicale, 
                  fuori dal tempo e dalla storia, ma la Parigi del 2440, nella 
                  quale il protagonista si risveglia dopo un sonno durato 700 
                  anni. La Parigi del futuro è costruita, come già 
                  lUtopia di Thomas More, sulla negazione: è 
                  una città senza preti, mendicanti, prostitute, eserciti 
                  permanenti, schiavitù, commercio estero e, soprattutto, 
                  vizi. Il cristianesimo nel 2440 è scomparso: vige una 
                  religione civile incentrata sul culto razionalistico dellEssere 
                  supremo. LEncyclopédie di Diderot e dAlembert 
                  è divenuta il sussidiario degli studenti e lo stesso 
                  papa è un convinto razionalista. Non esistono, certo, 
                  galere, ma gli omicidi, dopo aver fatto pubblica autocritica, 
                  sono fucilati pubblicamente. È pur vero che lAn 
                  2440 è un atto daccusa contro il dispotismo 
                  dei re e dei preti: tuttavia, il carattere totalitario dellopera 
                  emerge dal fatto che nella Parigi del futuro vige un orwelliano 
                  controllo della cultura del passato: solo pochi libri e poche 
                  opere hanno passato il vaglio critico della censura razionalistica, 
                  e la libertà di stampa, di cui si fregia la Parigi del 
                  2440 abitata da un popolo di scrittori, è vanificata 
                  dal fatto che al posto della censura esiste una pubblica autocritica 
                  nella quale incorrono gli scrittori eterodossi.   Diffamazione politica
 Il terzo best-seller analizzato da Darnton, anchesso 
                  rappresentativo di un genere, quello della diffamazione politica, 
                  che aveva una lunga tradizione come la letteratura erotica, 
                  ma che, come quella, subì nel Settecento una metamorfosi 
                  quantitativa e qualitativa, è intitolato Anecdotes 
                  sur Mme la Comtesse Du Barry (1775), opera forse del libelliste 
                  parigino Matthieu-François Pidansat de Mairobert, autore, 
                  insieme ad un gruppo di nouvellistes, di una gazzetta 
                  manoscritta, poi stampata in 36 volumi, le Mémoires 
                  secrets pur servir à lhistoire de la République 
                  des lettres en France. Gli Anecdotes narrano lirresistibile 
                  ascesa di Marie-Jeanne Béen, contessa Du Barry, che, 
                  da prostituta di bordelli, finisce per entrare stabilmente, 
                  dopo un percorso di perversione e libertinaggio, nel letto del 
                  re e nella stanza dei bottoni. La morale degli Anecdotes 
                  non potrebbe essere più chiara: «Una masnada di 
                  farabutti si era impadronita dello stato, aveva dissanguato 
                  il paese e trasformato la monarchia in dispotismo» (18). 
                  Non importa che la ricostruzione storica degli Anecdotes, 
                  come osserva Darnton, sia assai distante delle ricostruzioni 
                  della vita politica effettuate, nei secoli successivi, dagli 
                  storici: quel che conta mettere in luce è che la Du Barry 
                  degli Anecdotes, lungi dal costituire un segno della 
                  virilità del sovrano, divenne, agli occhi di molti francesi 
                  dellepoca, il simbolo «dellavvilimento della 
                  monarchia stessa», perché essa veniva rappresentata 
                  come «uno strumento per risvegliare le declinanti energie 
                  di un vecchio depravato» (19). 
                  «Lo scettro», negli Anecdotes, «non 
                  sembra più solido del pene del re», e questo per 
                  i francesi del Settecento era un fatto gravissimo, dal momento 
                  che «il corpo del sovrano continuava ad essere qualcosa 
                  di sacro» (20). Il potere, allora, 
                  si fondava soprattutto sulla reputazione personale di chi lo 
                  deteneva: «Per imporre la propria autorità al popolo, 
                  i sovrani dovevano metterla in scena, in occasione delle incoronazioni, 
                  dei funerali, delle processioni, delle esecuzioni pubbliche 
                  [
]. Tuttavia questa versione drammaturgia del potere era 
                  vulnerabile. Uningiuria che colpiva nel segno poteva distruggere 
                  una reputazione e mandare a monte ogni progetto» (21). 
                  Negli Anecdotes, in conclusione, si può osservare 
                  come la Du Barry abbia «privato il re del suo carisma 
                  regale e [
] spogliato la monarchia del suo potere simbolico» 
                  (22). Nella terza parte del libro, significativamente intitolata I 
                  libri provocano le rivoluzioni?, lautore ritorna 
                  agli interrogativi posti allinizio del suo lavoro ed esplicita 
                  così le sue conclusioni: «Le nostre fonti ci consentono 
                  di stabilire un nesso tra la circolazione della letteratura 
                  illegale da un lato, e la radicalizzazione dellopinione 
                  pubblica dallaltro» (23). 
                  Una radicalizzazione che coinvolgeva non solo la borghesia ma 
                  le stesse classi aristocratiche: come già aveva profondamente 
                  colto Alexis de Tocqueville nel suo monumentale Lantico 
                  regime e la rivoluzione, nobili e borghesi nel settecento 
                  francese, anche come paradosso effetto dellopera centralizzatrice 
                  della monarchia assoluta, avevano finito per nutrirsi della 
                  medesima cultura (24): una cultura spesso 
                  di fatto, anche se non intenzionalmente, sovversiva. Le élites 
                  aristocratiche, anche a causa dellazione corrosiva dei 
                  livres philosophiques, «avevano perso la fede 
                  nel regime prima che esso crollasse», e niente, in fondo, 
                  è più temibile per un sistema politico del fatto 
                  che le sue élite cessino «di credere nella 
                  sua legittimità» (25). I 
                  livres philosophiques, emancipando «la letteratura 
                  dai suoi legami con lo Stato» e separando «la cultura 
                  dal potere» (26), giocarono un 
                  ruolo decisivo nella delegittimazione dellimmaginario 
                  istituito, preparando così il terreno alla rivoluzione. 
                  Tutta la copiosa letteratura aneddotica, alla fine del regno 
                  di Luigi XVI, convergeva su un unico tema: «A causa degli 
                  eccessi dellassolutismo di Luigi XV, si era aperto un 
                  periodo di decadenza e la monarchia era degenerata in dispotismo» 
                  (27), come nelle più cupe previsioni 
                  di Montesquieu. E così, quando, tra il 1787 e il 1788, 
                  Luigi XVI tentò un ultimo, disperato tentativo di riorganizzazione 
                  fiscale dello Stato, la sorte del suo potere era già, 
                  in qualche modo, segnata: «Il regime era condannato: aveva 
                  perso la mano decisiva della lunga partita per il controllo 
                  dellopinione pubblica, perdendo così la propria 
                  legittimità» (28).
  Tramonto della parola scritta?
 Da allora, moltissime cose sono mutate: quel che rimane centrale 
                  è il ruolo dellimmaginario nei processi di legittimazione 
                  e delegittimazione del dominio. Limmaginario sovversivo, tuttavia, dopo due secoli di 
                  rivoluzioni, appare forse più logoro dello stesso immaginario 
                  costituito. Il potere della parola scritta, nella società 
                  dello spettacolo e dellimmagine, sembra, se non definitivamente 
                  tramontato, quanto meno assai declinante. Se la vita del lettore 
                  del XVIII secolo poteva essere trasformata da libri come quelli 
                  di Rousseau e Voltaire, lo stesso non si può dire per 
                  lo smaliziato e disincantato lettore di oggi. Lutopia 
                  di Mercier si è, in qualche misura, avverata, trasformandosi 
                  in una distopia, perché non ha sancito il trionfo della 
                  civiltà della ragione: loccidente è divenuto 
                  un popolo di scrittori, che però scrivono per lo più 
                  cose insulse e inutili. Il sesso non è più un 
                  tabù, è diventato tabù il suo freudianamente 
                  uguale-contrario: la morte. Il trionfo schizofrenico di una 
                  società razionalistica nella forma ma del tutto irrazionale, 
                  spesso, nei contenuti, sta segnando il grande ritorno di maghi, 
                  astrologi, indovini, sette e quanto di più stupidamente 
                  contrario ai valori dellilluminismo, credenze che albergano 
                  e fanno proseliti, occorre dirlo, anche nelle sub-culture che 
                  si vogliono antagonistiche  vedi le mode per le filosofie 
                  e le religioni orientali e, più in generale, per ciò 
                  che è antioccidentale, antimoderno, antiindividualistico 
                  e antiliberale . Il declino della civiltà cristiana, 
                  una civiltà che in qualche maniera era venuta a patti 
                  con la tradizione razionalistica classica, sembra aver decretato 
                  la fine dellateismo militante (29) 
                  e, più in generale, dei progetti rivoluzionari. Nelle 
                  secolarizzate società odierne, la gente non solo non 
                  crede generalmente più nel dio cristiano: non crede più 
                  in nulla, e questo potrebbe essere molto pericoloso, perché 
                  chi non crede a niente è nella condizione psicologica 
                  di credere a tutto. Il re è nudo, ma, ahimè, sono 
                  nudi anche i suoi oppositori.
  Francesco Berti
 
                   
                    |  1. 
                      Cfr. ad esempio: Clastres P., La società contro 
                      lo Stato. Ricerche di antropologia politica, Feltrinelli, 
                      Milano 1977; Id., I marxisti e la loro antropologia, 
                      «An.Archos», 1979 n. 2, pp. 87-96; Bookchin 
                      M., Lecologia della libertà. Emergenza 
                      e dissoluzione della gerarchia, Elèuthera, Milano 
                      1995; Castoriadis C., Listituzione immaginaria 
                      della società, Bollati Boringhieri, Torino 1995; 
                      Id., Potere, politica, autonomia, «Volontà», 
                      1989 n. 4, pp. 59-89. Ma vedi anche Colombo E. (a cura di), 
                      Limmaginario capovolto, Elèuthera, 
                      Milano 1987; Lourau R., Lo Stato incosciente, Elèuthera, 
                      Milano 1988; Bertolo A., Utopia e immaginario sociale, 
                      «A Rivista Anarchica», 191, maggio 1992, pp. 
                      25-27. 2. «Lo spirito di rivolta», ha osservato Amedeo 
                      Bertolo, «non nasce di per sé dalle condizioni 
                      materiali, neppure da quelle più terribili, tanto 
                      meno nel relativo benessere del mondo occidentale. Nasce 
                      sì da condizioni vissute come intollerabili, ma appunto, 
                      vissute come tali. Lintollerabilità 
                      non è categoria oggettiva. È categoria soggettiva. 
                      Un salario miserabile, un tugurio come casa
non sono 
                      di per sé intollerabili. Centinaia di milioni, miliardi 
                      di uomini e di donne lhanno tollerato e lo tollerano. 
                      Ciò che determina la tollerabilità e lintollerabilità 
                      sono le aspettative, i valori, le speranze, la rappresentazione 
                      immaginaria, cioè, che un individuo o un gruppo sociale 
                      ha di sé o del mondo». (Bertolo, Utopia 
                      e immaginario sociale, cit., p. 27). Sul potere dellimmaginario 
                      cfr. anche questo eloquente passo di Castoriadis: «La 
                      quarta compagnia del reggimento Pavlosky (guardie del corpo 
                      di Sua Maestà) e il reggimento Semenovsky, sono i 
                      più solidi sostegni del trono dello Zar fino al 26 
                      e 27 febbraio del 1917, giorno in cui essi fraternizzeranno 
                      con la folla e rivolgeranno le armi contro i propri ufficiali. 
                      Larmata più fedele del mondo non vi proteggerà 
                      se non vi resta fedele. E il fondamento ultimo della sua 
                      fedeltà è la credenza immaginaria nella vostra 
                      legittimità immaginaria». (Castoriadis, Potere, 
                      politica, autonomia, cit., p. 71).
 3. Per quanto riguarda almeno le società primitive, 
                      puntualizzava Pierre Clastres, «il cambiamento al 
                      livello di quella che i marxisti chiamano linfrastruttura 
                      economica non determina affatto, come suo riflesso e corollario, 
                      la sovrastruttura politica, poiché questa appare 
                      indipendente dalla sua base materiale». Nel continente 
                      americano, infatti, «gruppi di cacciatori-pescatori-raccoglitori, 
                      nomadi o non, presentano le medesime caratteristiche socio-politiche 
                      che i loro vicini agricoltori sedentari: «infrastrutture» 
                      diverse, «sovrastrutture» identiche. Inversamente, 
                      le società centro-americane  imperiali, statuali 
                       dipendevano da unagricoltura che, più 
                      intensiva che altrove, restava nondimeno, quanto al suo 
                      livello tecnico, molto simile allagricoltura delle 
                      tribù «selvagge» della Foresta Tropicale: 
                      identica «infrastruttura», «sovrastrutture» 
                      differenti, poiché nellun caso si tratta di 
                      società senza Stato; nellaltro di Stati nel 
                      vero senso della parola. Non il mutamento economico, ma 
                      lorganizzazione politica è, dunque, il fattore 
                      decisivo». (Clastres, La società contro 
                      lo Stato, cit., pp. 148-49).
 4. Cfr. Mornet D., Les Origines intellectuelles de la 
                      Révolution française (1715-1787), Paris 
                      1933 (tr. it.: Milano 1992).
 5. Darnton, Libri proibiti, cit., p. 6.
 6. Il concetto di pornografia, puntualizza Darnton, è 
                      di origine ottocentesca: «È frutto del moralismo 
                      censorio che la prima età vittoriana si studiò 
                      di imporre su scala universale». (Ivi, p. 
                      94).
 7. Cfr. ivi, p. 66.
 8. Ivi, p. 47.
 9. Ivi, p. 30.
 10. Ivi, p. 76.
 11. Ivi, p. 80.
 12. Ivi, p. 87.
 13. Si tratta della nota tesi esposta da Barruel nella sua 
                      opera del 1793 Mémoires pour servir à 
                      lhistoire du jacobinisme.
 14. Darnton, Libri proibiti, cit., p. 96.
 15. Ivi, p. 108.
 16. Cfr. Berneri M. L., Viaggio attraverso Utopia, 
                      Edizione a cura del Movimento Anarchico Italiano, Pistoia 
                      1981, sopr. pp. 19-27.
 17. Sebbene vi sia stato chi ha voluto vedere nel pensiero 
                      di Rousseau una anticipazione di tematiche anarchiche (Cfr., 
                      ad esempio, Rota Ghibaudi S., Proudhon e Rousseau, Milano 
                      1965 e Metelli di Lallo C., Componenti anarchiche nel 
                      pensiero di J.-J. Rousseau, La Nuova Italia, Firenze 
                      1970), mi sembra più convincente la tesi opposta, 
                      che individua nella dottrina del ginevrino i germi della 
                      democrazia di tipo totalitario (Cfr. tra tutti Talmon J. 
                      L., Le origini della democrazia totalitaria, Il 
                      Mulino, Bologna 1952, pp. 57-72). Non bisogna dimenticare 
                      che sia Proudhon che Bakunin, due dei padri storici dellanarchismo, 
                      accusarono Rousseau, avvicinandosi su questo punto alla 
                      storiografia liberale, di aver elaborato un pensiero dispotico 
                      poi confluito nel terrorismo giacobino (Cfr. Berti G., Il 
                      pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Lacaita, 
                      Manduria-Bari-Roma 1998, p. 189 e Id., Michail Aleksandrovi? 
                      Bakunin, in Bongiovanni B., Guerci L. (a cura di), 
                      Lalbero della rivoluzione. Le interpretazioni 
                      della rivoluzione francese, Einaudi, Torino 1989, p. 
                      32). Quanto a Kropotkin, ho limpressione che il grande 
                      anarchico russo, in virtù di una mitizzazione dello 
                      spontaneismo popolare, abbia capito poco della cause della 
                      rivoluzione francese e delle dinamiche politiche che ne 
                      attraversarono la genesi e lo sviluppo, come emerge del 
                      resto dalla sua assai poco libertaria difesa del giacobinismo. 
                      (Cfr., a questo proposito, Berti, Il pensiero anarchico, 
                      cit., pp. 341-49).
 18. Darnton, Libri proibiti, cit., p. 157.
 19. Ivi, p. 165.
 20. Ivi, p. 167.
 21. Ivi, p. 201.
 22. Ivi, p. 212.
 23. Ivi, p. 190.
 24. Cfr. Tocqueville, A. de, Lantico regime e 
                      la rivoluzione, a cura di G. Candeloro, BUR, Milano 
                      1989, pp. 121-25.
 25. Darnton, Libri proibiti, cit., pp. 196 e 194.
 26. Ivi, p. 197.
 27. Ivi, p. 240.
 28. Ivi, p. 244.
 29. Mi sembrano condivisibili e suggestive le conclusioni 
                      cui è giunto Gerges Minois nella sua Storia dellateismo 
                      (Riuniti, Roma 2000), dove si sostiene che «la tecnologia 
                      parcellare ha preso sopravvento sullintelligenza, 
                      sulla morale, sulla comprensione globale del mondo. In questo 
                      naufragio della razionalità, anche la questione Dio 
                      ha perso il suo significato. Il fatto è di capitale 
                      importanza. È la prima volta che si verifica nella 
                      storia, ed è per questo che il futuro è imprevedibile. 
                      Se non si vede più oggi il bisogno di affermare o 
                      di negare lesistenza di Dio, significa che lintelletto 
                      umano è sulla strada di cedere davanti alle forze 
                      della dispersione. Lidea di Dio era un modo di apprendere 
                      luniverso intero e di dargli un senso, ponendosi in 
                      rapporto a questo Essere: il teista gli attribuiva la direzione 
                      di tutto; lateo glielha tolta e ha incaricato 
                      luomo di dare un senso al mondo. Luno e laltro 
                      sembrano oggi superati dallatomizzazione del sapere 
                      [
]. Lateismo e la fede appaiono come due questioni 
                      più che mai connesse, in quanto hanno in comune la 
                      capacità di affermare qualcosa di globale a proposito 
                      del mondo. Si perpetueranno insieme, o periranno insieme» 
                      (pp. 604-05).
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