| A giudicare con il respiro corto 
                  della breve durata, ci sarebbe di che rallegrarsi: neppure il 
                  più ottimista tra i critici dellamministrazione 
                  Bush avrebbe giurato di poter raccogliere così in fretta 
                  i cocci di un disegno imperiale tanto ambizioso e arrogante 
                  quanto maldestramente condotto. In Iraq gli americani, con gli alleati inglesi, hanno perduto 
                  tutte le mani di una partita che avevano baldanzosamente iniziato 
                  a giocare, ritenendo di poter gettare sul tavolo la posta più 
                  rilevante. La dura realtà delle cose, più che 
                  la lungimiranza degli altri giocatori, ha scoperto il bluff 
                  e adesso tutti i protagonisti di questa vicenda sono chiamati 
                  a fare il conto dei danni. Che sono enormi, sia in termini di 
                  risorse bruciate e di mancato sviluppo, sia in termini strettamente 
                  politici.
 È vero: lonere maggiore dellavventura militare 
                  ricade su americani e inglesi, ma laver precarizzato lintero 
                  scenario delleconomia mondiale ha reso ancora più 
                  difficile la soluzione dei molti problemi di assetto e di sviluppo 
                  che si erano posti per lOccidente ben prima della crisi 
                  irachena e addirittura prima che crollassero le due torri di 
                  New York.
 In uneconomia così densa di interconnessioni, ogni 
                  conflitto, in qualunque latitudine sorga, crea sommovimenti 
                  e bolle speculative che rendono i mercati instabili, i corsi 
                  borsistici più incerti di quanto normalmente non siano, 
                  meno attendibili le politiche congiunturali che ogni nazione 
                  assume per rendere stabili i propri assetti interni.
 Questo è tanto più vero per il gioco perverso 
                  che le grandi potenze  tutte le grandi potenze hanno 
                  avviato in unarea nevralgica, quella mediorientale, nella 
                  quale confluiscono e si scontrano non soltanto interessi economici, 
                  per quanto rilevanti, ma tattiche e strategie politiche ciascuna 
                  delle quali riconducibile ad una ben determinata visione del 
                  mondo e ad un altrettanto ben definita aspettativa di futuro.
  Equilibri saltati 
 Così le grandi difficoltà che americani ed inglesi 
                  trovano sul percorso di una favorevole evoluzione della situazione 
                  irachena non debbono illuderci sullesito finale di un 
                  conflitto  quello che oppone i paesi ricchi al resto del 
                  mondo  molto più vasto di quanto non sia il terreno 
                  sul quale si attua lo scontro militare.. A ben guardare, infatti, malgrado le «chiusure» 
                  verbali, le minacce di veto e gli improvvisati giri di valzer, 
                  nessun paese delloccidente industrializzato ha interesse 
                  a condurre sino alle estreme conseguenze lopposizione 
                  alla politica americana. Certo, indebolire lo strapotere attuale 
                  del gigante a stelle e strisce è un imperativo che si 
                  pone con forza per tentare di ristabilire equilibri che sono 
                  saltati. Ma tutti gli altri paesi capitalistici sanno bene che, 
                  senza la locomotiva americana, non cè futuro; che 
                  il petrolio iracheno, come quello dellArabia Saudita, 
                  del Kuwait e degli altri stati dellarea è indispensabile 
                  per alimentare la produzione industriale e per fornire denergia 
                  lintero mondo del capitalismo avanzato. Il problema vero 
                  è, quindi, quello di assicurarsi un posto nella mangiatoia, 
                  un posto congruo, che non faccia perdere posizioni nella competizione 
                  con gli altri membri della comunità del benessere.
 Ma cè un altro motivo che induce a non estremizzare 
                  i conflitti attuali tra i paesi della vecchia Europa, Francia 
                  e Germania in testa, e la coalizione angloamericana, ed è 
                  un motivo cruciale, che attiene la sfera dei futuri assetti 
                  eurasiatici, allinterno del quale la sorte dellUnione 
                  Europea è fattore determinante.
 Basta guardare con attenzione una cartina politica aggiornata 
                  del continente europeo per rendersi conto che il baricentro 
                  degli interessi e delle aree strategicamente influenti si è 
                  decisamente spostato ad est.
 La caduta del muro di Berlino e limplosione del blocco 
                  sovietico hanno obiettivamente diminuito limportanza strategica 
                  delle nazioni che costituirono il nucleo fondante dellUnione 
                  Europea a vantaggio di quei Paesi dellest che si apprestano 
                  ad entrarvi. Ed è qui che si gioca la vera partita dellegemonia 
                  americana sul pianeta.
 Come ha dimostrato lo schieramento a favore dellintervento 
                  americano in Iraq, le nazioni che già fecero parte del 
                  blocco sovietico hanno mostrato tutta la loro riluttanza ad 
                  appoggiare la posizione franco-tedesca di opposizione allAmerica, 
                  e la Polonia, addirittura, si è affrettata a fornire 
                  uomini e mezzi per sostenere lavventura angloamericana.
 Le ragioni di questa decisa presa di posizione sono molteplici 
                  ma le principali riguardano, intanto la preoccupazione di fare 
                  la fine dei proverbiali vasi di coccio, entrando a far parte 
                  di un consesso egemonizzato da economie forti che, alla fine 
                  dei conti, cristallizzerebbe una situazione di discrimine tra 
                  nazioni di serie A (poche) e nazioni di serie B (tutte le altre); 
                  poi la certezza che lo schierarsi decisamente a favore di una 
                  logica aggregativa che, in una prospettiva neppure troppo lontana, 
                  si porrebbe inevitabilmente in competizione con lAmerica, 
                  indurrebbe questultima a tirare, da subito, i cordoni 
                  della borsa, ponendo così questi paesi nella incresciosa 
                  situazione di doversi cercare altri protettori, oggi ritenuti 
                  o troppo deboli, come lUnione Europea, in uno scenario 
                  apocalittico di scontri tra giganti, oppure più vicini 
                  e assai più pericolosi, come la Russia di Putin, la cui 
                  conversione alla democrazia è ancora tutta da provare. 
                  Così si spiega la disponibilità più volte 
                  esplicitata dalla stessa Polonia, ad ospitare sui propri territori 
                  le basi militari che gli USA stanno già smantellando 
                  in Germania.
  Continente dilaniato da conflitti interni 
 E qui, in questa propensione di un intero vecchio continente 
                  ad essere altro da sé, dilaniato da conflitti interni 
                  e da terrori incrociati, sta la quadratura del cerchio per lAmerica 
                  di Bush. Avere già accerchiato le più forti economie 
                  europee, quelle di Francia e Germania. Con un nugolo di paesi 
                  favorevoli alla sua politica è già un condizionamento 
                  forte allo sviluppo di una reale autonomia del Vecchio Continente. 
                  Lessersi assicurati i presidi militari alle frontiere 
                  di una vasta area in continuo sommovimento, quella mediorientale 
                  (con le basi in Turchia), il Nord Africa (con le basi in Italia 
                  e in Spagna), i Balcani (con le basi in Italia) e la Russia 
                  autonoma e secessionista (con le basi in Polonia) significa, 
                  per i falchi dellattuale amministrazione americana aver 
                  costruito un solido presidio dal quale coordinare le successive 
                  fasi della preconizzata espansione imperiale. Non è facile ipotizzare adesso quali possano essere le 
                  contromosse di un Continente Europeo che non intende lasciarsi 
                  colonizzare. Intanto occorre attendere levoluzione politica 
                  di paesi come la Spagna, il Portogallo e la stessa Italia che 
                  non sembrano aver capito qual è la vera posta in gioco. 
                  In un sistema imperiale esiste un Centro, e solo uno, che determina 
                  lesistenza dellintero contesto e non vi saranno 
                  differenze significative nello status delle diverse periferie.
 In effetti, alcune carte contro questo disegno egemonico USA 
                  si possono ancora giocare.
 A partire proprio dallIraq.
 Gli errori commessi dagli americani in quella regione, infatti, 
                  non riguardano soltanto il non aver valutato correttamente i 
                  problemi che, in termini di ordine pubblico e di assestamento 
                  politico, sarebbero emersi dopo la guerra guerreggiata. Ma, 
                  soprattutto, quello di aver sottostimato in misura clamorosa 
                  i costi della ricostruzione.
 I tecnici delle multinazionali, alle quali Bush, a licitazione 
                  privata, aveva assegnato gli appalti per la riabilitazione del 
                  territorio, si sono trovati di fronte ad unimpresa assai 
                  più ampia e complessa di quella prevista. Per di più, 
                  a ricoprire i costi della ricostruzione avrebbero dovuto essere 
                  i proventi del petrolio iracheno, quei 3,5 milioni di barili 
                  al giorno, che si sono rivelati una pura chimera. I pozzi, poi, 
                  vuoi per gli effetti della guerra, vuoi per lembargo, 
                  sono in gran parte fuori uso e occorreranno almeno tre anni 
                  e investimenti enormi per riattivarli con i più moderni 
                  sistemi di estrazione, e ciò sempre che non vi siano 
                  nel frattempo sabotaggi degli impianti e degli oleodotti. Quindi 
                  le imprese amiche di Bush e del Pentagono  alcune delle 
                  quali riconducibili agli interessi del vice presidente Cheney 
                  e di altri membri del governo americano  sono chiamati 
                  ad anticipare i fondi necessari. Ecco perché, ad esempio, 
                  limpresa che aveva vinto lappalto per la riattivazione 
                  del sistema stradale, della rete idrica, degli impianti aeroportuali, 
                  per una commessa di oltre 380 milioni di dollari, la Bechtel 
                  dellex segretario di stato ai tempi di Reagan, è 
                  assai in ritardo con i lavori ed ecco perché gli iracheni 
                  stanno assai peggio oggi di quanto non lo siano stati ai tempi 
                  di Saddam.
  Rallentare il processo espansionista 
 Orbene, questa situazione  che ha creato crescenti malumori 
                  nellopinione pubblica americana, chiamata a diverso titolo 
                  a sopportare lonere dellimpresa  ha indotto 
                  Bush a modificare il suo atteggiamento e nei riguardi dellONU 
                  e dei più importanti paesi dellarea occidentale, 
                  ai quali chiede adesso di condividere con gli Stati Uniti i 
                  costi del dopoguerra iracheno. Ovviamente questa condivisione 
                  di oneri non può essere gratuita, tanto più che 
                  restano aperte le questioni delle concessioni petrolifere che 
                  Saddam aveva assicurato alla russa Lukojl e alla francese Total-Fina-Elf. 
                  Ecco, quindi, che si apre un terreno di contrattazione che può, 
                  se non arginare, almeno rallentare il processo espansionista 
                  vagheggiato da Donald Rumsfeld e compagni.
 Ma vi è unaltra carta che lEuropa può 
                  giocare per interdire la deriva imperiale degli Stati Uniti, 
                  ed è quella di imporre leuro come moneta di contrattazione 
                  per il petrolio mediorientale: Gli effetti sul mercato dei cambi 
                  sarebbero imponenti. Il più immediato quello di disaffezionare 
                  al dollaro i paesi arabi, disincentivando i loro investimenti 
                  sul mercato USA a favore di quello europeo. Ma qui il discorso 
                  si fa assai complesso, intanto per valutare correttamente tutte 
                  le implicazioni (e le incognite) delloperazione; poi perché 
                  lattuazione di una simile strategia finanziaria richiederebbe 
                  lesistenza di una cultura economico-politica e di ununità 
                  di intenti che lEuropa è ben lungi dal possedere.
 Questo è il quadro sintetico, certamente parziale, ma, 
                  ritengo, attendibile dei conflitti, delle contraddizioni e delle 
                  imprevedibili emergenze che le aspirazioni della Casa Bianca 
                  e la guerra in Iraq hanno scatenato, in uno scenario geopolitico 
                  che era già in crisi, intanto, per una debolezza (congiunturale?) 
                  del sistema produttivo e finanziario dellintero Occidente 
                  industrializzato; poi per lattentato alle due Torri e 
                  il conseguente conflitto afgano; infine per linadeguatezza 
                  degli organismi internazionali (ONU, FMI, WTO, ecc.) quasi sempre 
                  a rimorchio di avvenimenti che non avevano saputo prevedere 
                  e che meno che mai riescono a controllare.
 Ma  e qui ci riallacciamo allassunto iniziale  
                  tutto ciò che abbiamo descritto non basta a decretare 
                  la cristallizzazione degli antagonismi e lirreversibilità 
                  dei conflitti. Si tratta pur sempre di antagonismi e conflitti 
                  che sorgono in un contesto i cui principali protagonisti condividono 
                  tutti le scelte di fondo del capitalismo avanzato e convergono 
                  tutti sulla necessità di perpetuarlo.
 Non è difficile, quindi prevedere che, alla lunga, gli 
                  accomodamenti si troveranno.
 Ma gli avvenimenti che hanno preceduto e seguito la guerra in 
                  Iraq almeno una cosa ci hanno suggerito con chiarezza ed è 
                  che il vecchio Continente ancora una volta è il terreno 
                  sul quale si affronteranno le potenze che pretendono di dominare 
                  il pianeta.
 È bene che tutti coloro che intendono opporsi, ad ogni 
                  logica di dominio, ne tengano conto.
  Antonio Cardella
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