| Ricordare Illich, per me e per 
                  coloro che appartengono alla mia generazione (che è appunto 
                  quella di Illich), significa ritrovare, attraverso la memoria, 
                  le tracce del percorso che ci ha condotto al giudizio che noi 
                  oggi diamo della realtà che ci circonda e alla presa 
                  di coscienza il più lucida possibile dellalternativa 
                  storica dinanzi alla quale noi ci troviamo. Proiettiamo forse 
                  il nostro pensiero su una posizione datata facendola apparire 
                  anticipatrice e straordinariamente profetica? Certamente, ma 
                  il senso di questa proiezione sta proprio nella possibilità 
                  di assumere Illich come nostro interlocutore attuale: come per 
                  tutti i grandi pensatori la sua storicità non è 
                  un limite che lo costringe prima o poi allobsolescenza, 
                  ma lo straordinario contributo, concreto e ad un tempo universale, 
                  metatemporale, alla formulazione di un giudizio che non si riduca 
                  allinterpretazione di fatti che, con il loro superamento, 
                  travolgano con sé il pensiero che ne ha preso atto, ma 
                  che è destinato a rimanere elemento di una rappresentazione 
                  dinamica grazie alla quale chi pensa e agisce nel mondo gli 
                  può essere consapevolmente, appunto lucidamente presente 
                  e attivamente attento alle sue necessità. È proprio questo il merito fondamentale di Illich, il 
                  suo contributo allelaborazione di un giudizio grazie allidentificazione 
                  dei criteri che lo costituiscono come una vera e propria presa 
                  di coscienza radicale. Leggendolo, o ascoltandolo per chi ha 
                  potuto farlo, si ha immediatamente limpressione di essere 
                  posti in grado di vedere le cose con una partecipazione e ad 
                  un tempo una distanza che permettono di coglierle nel loro significato 
                  non contingente, di avere cioè a disposizione delle argomentazioni 
                  grazie alle quali si può ripigliare dallinizio, 
                  dalla radice semplice ed elementare, ma per questo non parziale 
                  e già compromessa, ogni percorso costruttivo che ci è 
                  dato di dover affrontare. Per questo il destino di Illich, al 
                  quale si alludeva sopra, è pure oggi in qualche modo 
                  cinico e baro: il suo ricordo è schivato, 
                  rimosso, perché ben pericoloso in un momento storico 
                  in cui la difesa strenua ed estrema dei pregiudizi consolidati 
                  e deleteri è affidata allignoranza, allobnubilazione 
                  delle coscienze, al rifiuto di ricominciare dal principio, pazientemente, 
                  a tessere i fili del nostro sapere e del nostro fare. È 
                  questa la già tanto denunziata morte (uccisione) della 
                  filosofia. Bisogna dire che questa sorte è toccata anche 
                  fin dallinizio ad un pensiero così radicale da 
                  essere interpretato, anche a sinistra, mettendo avanti, come 
                  si direbbe ora, una serie di se e di ma, a cui si appende sempre 
                  il realismo teorico e pratico di chi è portato a identificare 
                  la realtà con i fatti e a considerare in qualche modo, 
                  per diritto o per traverso, il risultato storico come insuperabile 
                  se non dal suo interno, cioè tenendo fermi appunto, come 
                  criteri di giudizio, quelle stesse prospettive attraverso le 
                  quali si è giunti a quei risultati. Come se la continuità 
                  della storia non includesse anche continuamente discontinuità 
                  introdotte dal pensiero e dallazione guidata dal pensiero, 
                  che dispongono, per loro costituzione, di un distacco critico 
                  che permette alluomo di fare, in qualche modo, la storia. 
                  Altrimenti la libertà sarebbe poca cosa.
  Listituzionalizzazione 
 Ricordare Illich è dunque riscoprire un criterio di 
                  giudizio che permette di vedere la realtà storica, che 
                  ci riguarda, nel suo insieme; ed è il criterio della 
                  deistituzionalizzazione. E per istituzione si intenda la realtà 
                  e il simbolo di quella storicizzazione assoluta che va sotto 
                  il nome di realismo. Listituzione è la risposta 
                  organizzata a bisogni ovvero a domande che lindividuo 
                  rivolge alla società nella convinzione che essa possa 
                  supplire alla sua impotenza ad esercitare un diritto e quindi 
                  trasferendo questa necessità soggettiva ad un meccanismo 
                  oggettivo che via via si costituisce in logica oggettiva e diventa 
                  così pretesa esclusiva di disporre degli strumenti necessari 
                  a soddisfare quei bisogni e quelle richieste. Il diritto si 
                  trasforma così, a sua volta, in dovere e lobbligo 
                  sociale di intervenire e di provvedere passa al soggetto individuale 
                  come dipendenza assoluta e appunto obbligo di rivolgersi senza 
                  alternativa allistituito ed autorizzato fornitore di servizi. 
                  Così si costituisce il monopolio istituzionale e il rapporto 
                  tra individuo e società si rovescia perfettamente, poiché 
                  non è più lattività del soggetto 
                  individuale che associandosi fonda e controlla continuamente 
                  lorganizzazione delle risposte sociali e quindi della 
                  società intesa come soggetto collettivo e dialogante 
                  tra di sé, ma è la società organizzata, 
                  tendente alla conservazione della propria figura definita una 
                  volta per tutte, ad imporre le proprie regole ed i propri procedimenti 
                  e quindi assumendo nella propria oggettività tutta la 
                  soggettività degli associati espropriandoli proprio di 
                  ciò che essa sarebbe invece chiamata a sostenere e a 
                  garantire realmente. Loriginaria giustificazione dellistituzione 
                  si perde con la trasformazione di questa in interlocutore obbligatorio 
                  e assolutamente autoreferenziale. Attraverso questa autoreferenzialità 
                  passano tutte le regole di comportamento che invece di mettere 
                  in grado gli associati, cioè la comunità, di esercitare 
                  la propria libertà creativa trasferiscono direttamente 
                  quel potere a chi, in un modo o in un altro, cioè con 
                  la forza o con il consenso, è incaricato o si incarica 
                  di esercitarlo concentrandolo in sé per il bene 
                  e al servizio di tutti. Ogni istituzione è a rischio 
                  di questa ambiguità, dalla famiglia alla scuola, dal 
                  luogo di lavoro alla società tutta. La società 
                  organizzata tende a sostituire monopolisticamente ogni processo 
                  di realizzazione della relazionalità che è un 
                  aspetto dellindividualità di ciascun soggetto umano 
                  e che per essere mantenuta nella sua verità deve poter 
                  fare riferimento continuo a se stessa ed alla propria formazione 
                  progressiva. La società deve fare liberi, 
                  come la società deve essere fatta dalla libertà 
                  effettiva degli associati.   Il monopolio espropriante 
 Contestare listituzione significa per Illich contestare 
                  questo monopolio espropriante che mantiene in uno stato di inferiorità 
                  e di dipendenza permanente ed anzi progressiva gli individui 
                  che compongono la società e che invece di maturare attraverso 
                  e grazie ad essa sono costretti sempre più e in ogni 
                  campo ad obbedire a chi comanda con una giustificazione che 
                  riduce di molto la differenza tra metodi violenti e metodi democratici 
                  quando questi si avvalgono di mezzi di persuasione che fanno 
                  del consenso una vera e propria abdicazione alla libertà 
                  di giudizio e cioè allesercizio effettivo della 
                  coscienza. La società dei consumi interiorizza semplicemente 
                  la costrizione sociale, trasformando la paura della repressione 
                  in vergogna della emarginazione. Il paradosso è che la 
                  libertà circolante nella democrazia dei consumi libera 
                  tutte le forme di licenza corruttrice ed oltretutto miope e 
                  contraddittoria in funzione di un unico scopo, quello dellinteresse 
                  esclusivamente individuale che, per corrispondenza allabrasione 
                  sociale dellindividualità, elimina semplicemente 
                  la relazionalità come condizione e partecipazione allumanità 
                  comune.   La convivialità 
 Lalternativa? Illich la indica nella convivialità. 
                  Si tratta di recuperare, senza i salti e i rovesciamenti della 
                  mediazione artificiale che invece di essere tramite di sviluppo 
                  sostituisce e cancella i passaggi naturali, i processi 
                  attraverso i quali la razionalità costitutiva di ogni 
                  soggetto costruisce via via i rapporti reali, li esercita e 
                  li sperimenta in continuazione, attribuendo alla società 
                  il connotato e le dimensioni autentiche di un soggetto collettivo 
                  che non estrania né espropria i singoli ma li immerge 
                  in un dialogo fecondo che, mentre li fa uscire dalla solitudine, 
                  riversa su di loro, a sua volta, la propria acquisita e crescente 
                  forza inventiva, smontando ogni volta la tentazione istituzionale 
                  e mantenendo linsieme in perenne attenzione cosciente, 
                  giudicante, partecipe, creativa. Convivialità significa prima di tutto condivisione, gioiosa 
                  partecipazione reciproca: il che non vuol dire beota negazione 
                  delle difficoltà e dei triboli dellesistenza, ma 
                  attivazione continua, gli uni per gli altri, della meraviglia 
                  che fa risuonare in noi la bellezza della realtà e permette 
                  di affrontare la sofferenza come una dimensione interna, mai 
                  catastrofica, di un percorso che si manifesta sempre come bene 
                  se è costruito insieme in uno scambio generoso di ciò 
                  che ciascuno scopre e realizza per sé.
 Questo stare vitalmente intorno ad un tavolo circolare, che 
                  la parola convivialità evoca, annulla le differenze gerarchiche 
                  mentre riconosce e attiva le differenze grazie alle quali ciascun 
                  uomo è al principio e alla fine di ogni processo, connota 
                  in qualche modo di sé la storia che nasce dal discorso 
                  comune (dalla conversazione) e realizza quella reciprocità 
                  di fondo tra individualità e relazionalità che 
                  costituisce lo straordinario paradosso di un soggetto collettivo 
                  che non sopprime i soggetti singoli poiché è grazie 
                  alla loro realtà attiva che esso esiste e compie a sua 
                  volta la sua insostituibile funzione vitale.
  La demistificazione del potere 
 Con questo Illich è in pieno nel processo di demistificazione 
                  del potere e dellautorità, quella clamorosa scoperta, 
                  o riscoperta se si fa attenzione a tutte le anticipazioni dellumanità 
                  cosciente e pensante, che sfugge sempre, ed è addirittura 
                  sfuggita a molta parte della contestazione rivoluzionaria dellultima 
                  storia, che leguaglianza tra gli uomini è sì 
                  un diritto strutturale ma non si attiva realmente se non attraverso 
                  una effettiva eguaglianza di partecipazione sociale, non contraddetta 
                  dal rientro per la finestra, cioè sul piano dei fatti, 
                  del monopolio organizzativo, scacciato dalla porta, cioè 
                  dalle parole dichiarative grazie a cui si finge la definitiva 
                  eliminazione di uno schema metodologico di differenze qualitative 
                  e quantitative che si riaffacciano poi con tutta la forza (ahimè) 
                  necessaria, cioè dellextrema ratio quando si passa 
                  poi davvero alloperatività. Anche questo rapporto tra le parole non è semplice e 
                  ovvio: le parole sono astratte, inefficaci, ingannevoli quando 
                  i fatti pretendono una loro logica autonoma, uno sbrigativo 
                  passaggio espresso dallimperativo basta con le parole, 
                  vogliamo i fatti. Ma quali fatti se non quelli guidati 
                  dalle parole, dalle idee elaborate e confrontate, dalle parole 
                  come discorso conviviale: ecco la conversazione.
 Quali connotati positivi può avere allora listituzione 
                  se non quelli che le possono derivare dalle condizioni che ne 
                  fanno un principio attivo di presa di coscienza, di capacità 
                  di disporre delle idee e delle parole da parte di tutti coloro 
                  che attraverso il dialogo sociale scoprono la propria umanità 
                  e sono messi in grado di esercitarla? Il problema della scuola, 
                  il primo che Illich affronta con clamorosa e radicale denuncia, 
                  è per questo esemplare.
  La descolarizzazione 
 La descolarizzazione non è il rifiuto o leliminazione 
                  della dimensione educativa ma la sua restituzione alla trasversalità 
                  universale; ogni azione ha, lo si voglia o no, un versante pedagogico 
                  ed è alla restituzione di questo aspetto di strutturale 
                  reciprocità dinamica dellazione umana che bisogna 
                  porre esplicita attenzione. Ogni istituzione come oggettiavazione 
                  operativa deve avere questo carattere della dinamicità 
                  e quindi della provvisorietà strumentale che esalta esclusivamente 
                  il potere derivante dallo stare insieme, potere dunque evidentemente 
                  condiviso e da condividersi sempre più (questa è 
                  la politica come pedagogia). La scuola come istituzione definitiva 
                  e sclerotizzata, cioè autoritaria, impedisce questo processo 
                  generale di coeducazione, sostituendolo con un indottrinamento 
                  istruttivo che trasforma ogni uomo che vi passa (ogni alfabetizzato) 
                  in tecnico a vari livelli, anche minimi, da cui è estromessa 
                  come destabilizzante proprio quella competenza grazie alla quale 
                  ogni uomo si riconosce appartenente ad una comune umanità, 
                  la cui figura storica è via via attrezzata sì 
                  di competenze particolari e strumentali ma soprattutto di una 
                  coscienza di sé che le deriva dalla cultura intesa come 
                  giudizio, come approssimazione alla verità, come ininterrotta 
                  meraviglia di fronte allesistenza. Quando Illich parla di descolarizzazione della società 
                  denunzia lesito espropriante di una mediazione che, intrapresa 
                  per rispondere a domande e richieste tese a sapere, cioè 
                  a conoscere in qualche modo la realtà secondo verità, 
                  si costituisce poi come oggetto definitivo essa stessa di sapere, 
                  una nuova realtà non più giustificata dalla ricerca 
                  ma termine organizzato di un sistema di affermazioni e dunque 
                  di informazioni che con le domande proposte non hanno più 
                  niente a che fare o che, meglio, sostituiscono le risposte come 
                  referenti dialettici intendibili soltanto appunto come risposte, 
                  con un sistema di dati che tendono per loro natura, cioè 
                  per forza di autonomia, a mantenersi, crescere e giustificarsi 
                  secondo una logica tutta interna ed autoreferenziale. Questa 
                  è la confusione, indotta dalla scolarizzazione, tra processo 
                  e sostanza: chi vi approda ha modo poi di entrare, essendone 
                  autorizzato ma per questo costretto senza alternativa se non 
                  lemarginazione, nel meccanismo sociale costituito come 
                  un o dentro o fuori, una realtà forte che 
                  mentre nutre e supporta i suoi associati, li obbliga ad una 
                  fedeltà accecante poiché impedisce loro di vedere 
                  lartificio fittizio di unoperazione che sostituisce 
                  il sapere e dunque il giudizio riducendosi alla funzione di 
                  giustificazione dellapparato di mantenimento di una società 
                  data a cui viene meno lo strumento della giustizia, cioè 
                  ogni momento critico del rapporto tra domanda e risposta. Un 
                  vero e proprio cogito interruptus poiché, invece di attrezzare 
                  il bisogno del singolo soggetto pensante degli strumenti necessari 
                  ad un giudizio autonomo interno alla realtà (la verità 
                  soggettiva verificata mediante procedimenti in qualche modo 
                  oggettivi), la cultura prodotta e distribuita scolasticamente 
                  trae pedissequamente dalla storia risposte storiche date per 
                  definitive, veri e propri pregiudizi che impediscono, oltre 
                  che lo sviluppo del sapere, laccesso personale dei singoli, 
                  mediante lapprendimento, ai vari processi di presa di 
                  coscienza della realtà. È qui che deve valere 
                  la distinzione tra processo e sostanza (il mezzo non deve essere 
                  il messaggio, ciò che avviene in una società alienata, 
                  come osserverà Mac Luhan), il che comporta una infinita 
                  variazione di procedure grazie alle quali il sapere è 
                  appropriato, e dunque accessibile, nelle infinite situazioni 
                  e alle infinite sensibilità esperienziali che connotano 
                  la personalità di ciascun uomo.
  Universalità della dimensione pedagogica 
 Lapprendimento viene così liberato dalla dipendenza 
                  esclusiva dallinsegnamento: la dimensione pedagogica si 
                  ritrova come un aspetto del sapere e dellagire di chiunque, 
                  anche del più modesto uomo la cui esperienza ha una potenzialità 
                  di comunicazione conoscitiva che è infinitamente e imprevedibilmente 
                  superiore al riconoscimento formalizzato che la codificazione 
                  sociale ne può dare. Illich segnala i casi e i successi 
                  dellapprendimento cogestito da partners di cui 
                  uno dispone semplicemente di un sapere che ne costituisce la 
                  capacità comunicativa e relazionale (vedi una lingua, 
                  una capacità tecnica) e laltro ha bisogno di acquisire 
                  quegli strumenti per comunicare a sua volta con la realtà 
                  che lo circonda. La scuola manca assolutamente di questa condizione 
                  concreta e perciò insegna in modo statico, vale a dire 
                  ciò che non serve e a chi non ne ha bisogno (avendo in 
                  realtà altri bisogni e dunque altre attese che, disattese, 
                  lo disgustano e lo rendono ormai irrimediabilmente ignorante). 
                  E questo avviene con un dispendio enorme di denaro, di risorse, 
                  di energie e di organizzazione che si potrebbero risparmiare 
                  soltanto se si desse ascolto alla figura reale della richiesta 
                  di sapere ed alla presenza nella realtà sociale di ogni 
                  epoca e di ogni situazione di una straordinaria ricchezza di 
                  elementi educativi che non attendono altro che di essere attivati 
                  con pochissima spesa e con una reale partecipazione di tutti 
                  coloro che vogliono sapere. È evidente che una prospettiva di questo genere scardina 
                  completamente un sistema di potere cioè una forma sociale 
                  fondata sul potere, sulla sua elaborazione concentrata e sul 
                  suo esercizio e richiede la costruzione (la restituzione) di 
                  una alternativa cioè della cogestione come autogestione. 
                  È ciò che Illich chiama convivialità.
  La società vivente 
 Le persone di una tale società a cui pensa Illich non 
                  sono il risultato ma il principio stesso, il fondamento di una 
                  operatività che deriva direttamente dalle doti che le 
                  costituiscono nella loro semplice esistenza. Il rapporto reale 
                  attiva queste doti il cui esercizio incrociato e molteplice 
                  costruisce via via una società che non è già 
                  costituita a priori rispetto a ciascuno dei suoi membri: egli 
                  non vi si deve inserire, ma è piuttosto in grado di attribuirle 
                  i connotati viventi che egli elabora semplicemente vivendo. 
                  Il segreto di questo passaggio, dalla vita di ciascuno alla 
                  realtà sociale, sta nellattivazione di quella dimensione 
                  che si è chiamata pedagogica, lutilizzazione della 
                  forza comunicativa come istituzione di un rapporto creativo 
                  di risultati, cioè di una crescita comune. Si tratta 
                  di una istituzione la cui oggettività non è altro 
                  che lesercizio reale della soggettività attivata 
                  dalla reciprocità. Il rischio di sclerosi espropriante 
                  è evaso continuamente dalla possibilità di appropriarsi 
                  in ogni momento della iniziativa, e questo coincide con la libertà. 
                  Sostanzialmente la funzione sociale è liberatoria, e 
                  il suo principio sta nella libertà stessa dei singoli 
                  attivata dalla relazione. Convivialità richiama il convivere, una cerimonia di 
                  fruizione in comune della vita, con tutta la gioia del riscontrare 
                  nellaltro, negli altri, per sorpresa, la risposta possibile 
                  alle proprie domande, un fare comunicativo che passa dagli uni 
                  agli altri e fornisce ciascuno di ciò che ha bisogno 
                  per vivere da uomo. Questa è una società che coincide 
                  con la reale attività di relazione dei suoi membri, sta 
                  e cade con la loro vita: vivendo essi elaborano, definiscono, 
                  sviluppano gli strumenti che permettono loro, sia praticamente 
                  che a livello di coscienza, di fabbricarsi le condizioni necessarie 
                  e sufficienti per la propria umanità. Nellhomo 
                  faber/sapiens cè già tutta levoluzione 
                  ulteriore e interna alla sua costituzione: da quel momento il 
                  suo problema è quello di sventare, continuamente e con 
                  precisa attenzione, lambiguità che gli strumenti 
                  che via via egli elabora portano con sé, trasformando 
                  in espropriazione unattività il cui senso sta tutto 
                  nellappropriarsi della vita e che dunque richiede una 
                  misura, un giudizio, la consapevolezza del rischio di ogni possibile 
                  e temibile esagerazione.
  La scolarizzazione come principio 
 Illich identifica nella scolarizzazione il principio invasivo 
                  dellistituzionalizzazione sociale generale: è lì 
                  che i processi significativi vengono requisiti e il bambino 
                  si abitua a rivolgersi ad una serie di protesi che, mentre lo 
                  attrezzano artificialmente ad ogni bisogna, lo privano della 
                  possibilità, cioè della capacità di fruire 
                  direttamente delle indicazioni di un ambiente significativo. 
                  Lalternativa è proprio una società come 
                  ambiente significativo, in cui le istituzioni, invece di manipolare 
                  le indicazioni della realtà varia e dinamica ordinandola 
                  in pacchetti la cui logica di mantenimento sostituirà 
                  totalmente la funzione vitale in coloro che da quel momento 
                  da quel mantenimento dipenderanno, non avranno altro compito 
                  ed altra giustificazione che quella di mettere in grado gli 
                  utenti di essere autonomamente attivi, giudicanti 
                  e liberi. Una sorta di ossimoro fecondo che demitizza la necessità 
                  dellistituzione, la cui provvisorietà funzionale 
                  consisterà nelloperazione di autoeliminazione, 
                  di sostituzione progressiva della propria necessità con 
                  la maturazione comunitaria. Una maturazione che ha sì 
                  una progressività, uno sviluppo (e questa è la 
                  storia come presa di coscienza successiva crescente) ma che 
                  richiede sin dallinizio limpostazione del rapporto 
                  istituzione/comunità in termini tali che la prima valga 
                  come strumento interno della seconda e non come referente dialettico 
                  assoluto definitivamente ineliminabile in nessuna occasione. 
                  Questa versione statica dellistituzione reintrodurrebbe, 
                  come di fatto reintroduce, unaltro concetto di storia, 
                  la ricorrente dialettica tra positivo e negativo, tra buoni 
                  istinti e cattivi istinti umani, alla cui neutralizzazione sarebbe 
                  addetta insostituibilmente listituzione. Controllo, contenimento, 
                  repressione: questo è il compito della legge. Il corretto 
                  processo di umanizzazione dellumanità punta invece 
                  sulla presa di coscienza, che a questo punto è evidente 
                  come sia impedita invece che favorita da istituzioni che si 
                  fondano sul presupposto dellincapacità originaria 
                  delluomo di organizzarsi i percorsi per la propria realizzazione. 
                  Non alluomo singolo associato ma ad un mitico fantasma 
                  delegato (formalmente o no) spetterebbe questa liberazione dallimpotenza, 
                  che però paradossalmente rimarrebbe eternamente tale 
                  a giustificare lesistenza necessaria di un referente dialettico 
                  fattosi a tutti gli effetti potere. Assolutamente diseducativo 
                  poiché estraniante, interruzione, sbarramento di quei 
                  processi grazie ai quali, come dimostrano i primi anni di vita 
                  dei bambini, si esercita laspetto dinamico della natura 
                  delluomo, cioè il suo statuto di apprendista, 
                  di persona che si fa persona. Perché ciò accada 
                  bisogna restituire al rapporto sociale la sua forza educativa, 
                  quel passaggio osmotico di capacità e di virtù 
                  che sta alla base di ogni invenzione civile e culturale. La 
                  legge sta forse alla base dellarte, della solidarietà, 
                  del riconoscimento reciproco o non è piuttosto lestremo 
                  e disperato rimedio alla constatazione della loro assenza, cioè 
                  del loro bisogno insoddisfatto? Dove non cè giustizia 
                  si ricorre alla legge, e questo ricorso sostituisce definitivamente 
                  la giustizia ed il suo bisogno. Così la scuola si pretende 
                  cultura: ma quale invenzione culturale è mai nata dalla 
                  scuola e non piuttosto dalla sua contestazione (o addirittura 
                  dallindifferenza nei suo confronti)? Ecco dunque in che senso la descolarizzazione è centrale 
                  nella prospettiva della deistituzionalizzazione: poiché 
                  la scuola impedisce leducazione, il ricasco 
                  reciproco sociale della maturazione di ciascuno, la formazione 
                  stessa della società come soggetto collettivo vivente 
                  dellattività di ciascun soggetto singolo che la 
                  compone e che anche grazie ad essa, come fatto unitario, trae 
                  da sé il meglio che lo riguarda e riguarda il rapporto 
                  con i suoi simili.
  La restituzione sociale 
 Il testo principale di Illich Descolarizzare la società 
                  è scritto negli anni della contestazione (60/70) 
                  in cui è attribuito e quindi richiesto alla stessa istituzione 
                  di autoriformarsi, cioè di trasformarsi radicalmente 
                  grazie alla riappropriazione, da parte di tutti i suoi fruitori, 
                  insieme ai suoi operatori, delle condizioni originarie e giustificative 
                  in vista delle quali esse sono nate. Il che comporta a volte, 
                  e allestremo, la propria autodemolizione come premessa 
                  alla restituzione sociale dei processi di soddisfazione di un 
                  bisogno. Il secondo passo è proprio quello educativo, 
                  leducarsi collettivamente cioè reciprocamente a 
                  identificare con esattezza bisogni e procedimenti adatti a soddisfarli, 
                  demistificando le induzioni generate dalla confusione del bisogno 
                  con limpotenza; confusione che produce il proliferare 
                  di una serie di altri bisogni artificiali che prendono il posto 
                  di quello originario e lo trasformano appunto nellincapacità 
                  del soggetto di provvedere in qualche modo a sé e lo 
                  consegnano mani e piedi ad una organizzazione che provvede, 
                  con lapparenza e dunque lalibi della soddisfazione 
                  del bisogno, a privarlo di ogni autorizzazione e di ogni energia 
                  autonoma. Così il cittadino non esce dalla condizione 
                  di suddito, e lo Stato sociale non è altro che il rafforzamento 
                  del Potere concentrato. Non si è mai sentito parlare 
                  di una politica sociale di destra? molti esiti delle rivoluzioni 
                  sociali del secolo ventesimo fanno capo a questo equivoco. In questa denunzia della trasformazione di autorità, 
                  e quindi autorizzazione, in potere si mette in rilievo che quello 
                  che conta non è il più o il meno della disponibilità 
                  dellistituzione ad essere partecipata e quindi ad assumere 
                  i bisogni reali nella propria logica prospettica ed operativa, 
                  ma è limpossibilità dellistituzione 
                  di non porsi come filtro, come imbuto attraverso cui deve passare 
                  ogni processo costruttivo umano per farsi sensato. Questa centralità 
                  dellistituzione taglia corto ed impedisce ogni sforzo 
                  del soggetto umano di realizzare di fatto le premesse della 
                  propria soggettività: invece che potersi rivolgere alle 
                  cose, a modelli, ai coetanei e compagni di strada e ad anziani 
                  saggi capaci di comunicare la propria esperienza, come ad interlocutori 
                  del proprio apprendimento, il giovane, o comunque lapprendista 
                  è costretto a fare i conti con tutto questo come con 
                  un patrimonio indiscutibile che egli deve semplicemente introiettare 
                  per non interrompere uno sviluppo non di sé ma di una 
                  storia che riguarderebbe, come forme di una fantastica umanità, 
                  di volta in volta, aggregazioni mitiche che attraverso appunto 
                  linsegnamento/apprendimento dovrebbero plasmare i singoli 
                  soggetti alla propria immagine e somiglianza, integrandoli nel 
                  proprio percorso definitorio. Illich tocca qui la radice del 
                  problema e si figura un rovesciamento radicale di prospettiva: 
                  deve essere restituita ai soggetti la propria capacità 
                  di iniziativa dialettica nei confronti di un contesto, quello 
                  sociale, che contiene in sé, come suo aspetto didattico, 
                  gli elementi dinamici della costruzione comune, che possono 
                  essere attivati solo da una attività comune, dallattivazione 
                  permanente di una azione/prassi che non si identifica con la 
                  fabbricazione, cioè con la produzione di oggetti, ma 
                  attraverso questa, anche attraverso questa, si realizza come 
                  permanente esercizio dellumanità di ciascun soggetto. 
                  È questa la vera attività politica, come in questi 
                  anni di contestazione radicale verrà messo in rilievo 
                  anche da altri pensatori (vedi ad esempio Hannah Arendt) e che 
                  Illich, con un richiamo non solo implicito allesperienza 
                  greca e alla cultura medievale, identifica con lattività 
                  educativa. Con lautoeducazione collettiva ovvero attraverso 
                  la collettività. Per questo la descolarizzazione assume 
                  la centrale importanza del disarmo dellistituzione sociale 
                  e descolarizzare la società significa restituirle le 
                  condizioni della propria essenziale soggettività. In 
                  questa prospettiva si inscriveranno gli straordinari studi di 
                  Illich sulla lettura come interiorizzazione dei significati 
                  oggettivati dalla scrittura che i medievali inaugureranno superando 
                  la lettura pubblica ad alta voce come rituale quasi esclusivamente 
                  sociale, promotore di una cultura tendenzialmente oggettiva, 
                  attraverso laccumulazione ripetitiva di suoni orientati 
                  alla produzione di una uniformità unisona.
  Scuola e cultura 
 Leggere Illich vuol dire respirare contemporaneamente le origini 
                  di una cultura che per poter manifestare la propria essenzialità 
                  deve essere liberata dalla sua ambiguità che la fa pretendere, 
                  e così spesso nella storia la trasforma, come principio 
                  del dominio, e insieme identificare esattamente lantidoto 
                  di questo rovesciamento, cioè il ritrovamento del significato 
                  di quelle origini nel riferimento alle dimensioni elementari, 
                  naturali delluomo che si scopre come soggetto 
                  ed esercita per tutta la vita le conseguenze, che sono anche 
                  le condizioni, di questa scoperta. È questo ritrovamento 
                  che la scuola impedisce, emarginando i più con lesclusione, 
                  o con un pesante giudizio di inadeguatezza, dal processo di 
                  apprendimento requisito in termini di sistema tutto precostituito, 
                  cioè affatto indipendente e previo rispetto allesercizio 
                  stesso dellapprendimento, che dovrebbe invece avere principio 
                  in se stesso. Cosicché lautoeducazione che non 
                  abbisogna di altro che dellattivazione dellaspetto 
                  didattico/comunicativo delle doti di ciascun vivente, è 
                  sostituita e dunque resa impotente dai dettami elaborati da 
                  un sapere che fa riferimento a se stesso (ai propri metodi, 
                  e fini, e privilegi) e affatto alle richieste reali e sensate 
                  di chi vuole sapere. Così i più sono esclusi, 
                  e la curiosità naturale e generale lascia il posto alla 
                  logica di una costruzione maneggiabile da coloro che hanno il 
                  coltello per il manico, cioè da coloro che possiedono 
                  ed esercitano il sapere come privilegio discriminatorio. Ovvero 
                  come lo strumento principale della discriminazione. Per questo la deistituzionalizzazione scolastica è prioritaria, 
                  poiché è nella scuola che si elaborano e si comunicano 
                  i criteri di questa discriminazione, lobbedienza, laccettazione 
                  dei dati di fatto. «La scuola è lagenzia 
                  pubblicitaria che ti fa credere di aver bisogno della società 
                  così comè». Illich sa qual è 
                  il formidabile valore rivoluzionario della cultura come progressivo 
                  processo di autocoscienza e quindi di acquisizione del giudizio 
                  critico, e per questo denunzia la scuola come altrettanto formidabile 
                  disarmo di questo potenziale esplosivo. Un esplosivo, se così 
                  lo si può chiamare metaforicamente, finalmente pacifico 
                  che rappresenta cioè le condizioni della trasformazione 
                  sociale come normale procedura di costruzione della storia invece 
                  che costretto esercizio della violenza clonata sulla violenza 
                  del potere da cui ci si deve difendere. Interrompiamo il normale 
                  processo di alienazione e ci affrancheremo dalla necessità 
                  del ricorso alla violenza come strumento di liberazione dalla 
                  violenza.
 Questo significa restituire la speranza che è stata sostituita 
                  storicamente dalle aspettative: la speranza, come apertura alla 
                  vita di ciascun uomo, che è stata vanificata dalla costruzione 
                  artificiale di aspettative in un gioco oggettivo di rimandi 
                  tra possibilità operative e creazioni di bisogni che 
                  le rendano concretamente reali e indefinitamente superabili. 
                  Così si chiude il saggio sulla descolarizzazione, con 
                  un richiamo allunico dono positivo che Pandora ha tenuto 
                  ben chiuso nel suo vaso dopo essersi lasciati sfuggire tutti 
                  i mali disperdendoli nel mondo, lunico bene divino che 
                  ella ha riservato allumanità, la speranza come 
                  respiro della soggettività.
  Pietro M. Toesca
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