|    Ma chère liberté 
 Un gatto randagio
 fra Alessandria d'Egitto e Parigi
 
 Molti italiani, che hanno solo vagamente sentito nominare Georges 
                  Brassens o Jacques Brel, e non sanno assolutamente nulla di 
                  Barbara o di Nougaro, si illuminano quando si fa il nome di 
                  Georges Moustaki, il merito è di una canzone: «Lo 
                  Straniero» («Le Meteque»), questo pezzo, uscito 
                  subito dopo il 68, ebbe nel mondo un enorme successo, 
                  con un incalcolabile numero di copie vendute (un milione solo 
                  in Italia).
 «Le Meteque» deve la sua fama al fatto di essere 
                  una canzone estremamente ben confezionata, oltre che giunta 
                  al momento giusto: si tratta di una miscela perfetta di «poesia 
                  per tutte le tasche» (non è una definizione denigratoria: 
                  la usava Brassens per i suoi stessi versi) e melodia di accattivante 
                  semplicità, tinta nellarrangiamento dalle reminiscenze 
                  mediterranee del bouzouki, oggi piuttosto inflazionato, ma allepoca 
                  appena riconducibile al Teodorakis di Zorba il greco.
 La gradevolezza, anticonformista ma non aggressiva, del personaggio, 
                  unite alla voce poco stentorea (per non dire afona) ma dal timbro 
                  estremamente sensuale integravano, come ingredienti fondamentali, 
                  la ricetta di questo successo.
 Moustaki però non è soltanto «Lo straniero», 
                  come si potrebbe pensare in Italia, dove solo questa canzone 
                  ebbe notorietà; non era allora, né sarebbe mai 
                  stato, il prodotto pensato a tavolino, adatto a una sola stagione, 
                  di scaltri discografici: veniva da lontano e sarebbe andato 
                  ben più lontano! Oltre venti dischi, carichi di suoni 
                  e di poesia, una enorme quantità di concerti che lo hanno 
                  portato a suonare al Carnegie Hall di New York, come nelle fabbriche 
                  occupate del maggio, lo stanno a testimoniare senzombra 
                  di dubbio.
 Daltronde al successo di «Le Meteque» Moustaki 
                  ci arrivò perfettamente maturo e dopo una lunghissima 
                  gavetta: era sbarcato a Parigi pressoché ventenne nel 
                  1951, con lintenzione di occuparsi di giornalismo; la 
                  musica era una passione secondaria con cui pensava appena di 
                  arrotondare le entrate.
 Allepoca di quella bohème gloriosa in cui sandava 
                  formando il meglio della seconda generazione della grande canzone 
                  francofona (Barbara, Ferrat, Fanon
), ebbe a un certo punto 
                  loccasione dincontrare quel fenomenale talent scout 
                  che  oltre a tutto il resto  fu Edith Piaf.
 Lei fece rapidamente di quel bel ragazzo dai riccioli neri il 
                  suo amante, nonché lautore di una delle sue canzoni 
                  di culto: già a 24 anni Moustaki conobbe il successo 
                  internazionale della strepitosa Milord, che gli fruttò 
                  enormi guadagni, anche se non favorì in alcun modo il 
                  suo lancio personale, Moustaki, finita la storia con la Piaf, 
                  rientrò in un beato anonimato.
 Circa dieci anni dopo tornava in auge come autore di alcune 
                  delle più belle canzoni dei primi dischi di Serge Reggiani, 
                  il grande attore, che in quegli anni cominciò una fortunata 
                  carriera dinterprete di canzoni poetiche (con testi di 
                  autori del calibro di Vian, Gougoud, ecc. 
); fra queste 
                  grandi canzoni io trovo di struggente e particolare bellezza 
                  Sarah (ispirata a una poesia di Baudelaire) «La donna 
                  che dorme con me/non ha ventanni da tanti anni
».
 I tempi intanto erano diventati maturi per Georges, la cui figura 
                  prematuramente incanutita, come anche laria da profeta 
                  dai modi misurati e dalla voce calma («tu sussurri le 
                  stesse cose che io grido» diceva di lui Ferré), 
                  unita al portamento elegante e trasandato al contempo, seppero 
                  fare breccia nel cuore di molti, non meno della raggiunta maturità 
                  artistica.
 In effetti Moustaki aveva, col passare degli anni, trovato una 
                  sua propria voce, un tono di scrittura perfettamente adatto 
                  allopaca chiarezza della sua ricerca, una specie di piccola 
                  filosofia che ben si adattava sia alla forma che alle idee di 
                  queste canzoni; lottimo autore, il grande viaggiatore, 
                  luomo affascinante e continuamente affascinato da tutte 
                  le forme della vita e della comunicazione si erano fusi in una 
                  bella figura di artista, che da allora non ha mai deluso la 
                  nutrita schiera di appassionati che continua a seguirlo.
  
 Le sue idee, per quanto non strombazzate in proclami roboanti, 
                  sono chiare e inequivocabili: «In effetti ho una spiccata 
                  simpatia per lanarchia in senso etimologico, per un potere 
                  con una «a» privativa, un non-potere staccato da 
                  ogni compromissione, da ogni gerarchia. Lanarchia non 
                  è il disordine, ma lordine di ciascuno. Troppa gente usa questa parola caricaturalizzandola, semplificandola 
                  o snaturalizzandola, associandole il casino e la violenza. I 
                  tentativi di gestione anarchica in alcuni paesi denotavano maturità 
                  e senso dellassoluta equità.
 Ho trovato, presso gli anarchici, un ideale alto e nobile. [
]
 Da Paul Lafargue, genero di Karl Marx, autore del «diritto 
                  alla pigrizia» e emulo di Proudhon, a Jacques Prevert 
                  o Bakunin, il discorso della contestazione anarchica riflette 
                  unaspirazione alla felicità, a una vita migliore, 
                  più rispettosa, mentre il capitalismo, che si definisce 
                  liberale, non libera proprio nulla.» (Queste dichiarazioni 
                  sono tratte da Un chat dAlexandrie recentissimo 
                  libro intervista a Georges Moustaki).
 Moustaki ha maturato questo suo anarchismo personalissimo forse 
                  proprio per aver vissuto sulla pelle molte delle grandi contraddizioni 
                  dei nostri tempi.
 Egiziano per nascita, ebreo per religione (i suoi genitori restarono 
                  ad Alessandria, ma alcuni suoi cugini nellimmediato dopoguerra 
                  si trasferirono in Israele) ha dovuto vedere spesso contrapporsi 
                  Arabi e Israeliani in sanguinosi conflitti. Frequentatore e 
                  amico di molti Libanesi ha dovuto interrompere la sua consuetudine 
                  con quel paese in seguito alla guerra. Per anni ha subito un 
                  ostracismo da Israele in seguito al suo rapporto sentimentale 
                  con una Palestinese arrestata e considerata dal governo sionista 
                  una terrorista.
 Moustaki, proprio per reazione, si fa portatore di una cultura 
                  vissuta come la filosofia del confronto, del confine che non 
                  lacera. Questuomo, inquieto ma non dilaniato, è 
                  luomo degli incontri, delle commistioni. Le porte del 
                  mondo sono per lui aperte, le sue chiavi sono le otto lingue 
                  che si è trovato a parlare: Francese, Arabo, Ebraico, 
                  Italiano, Spagnolo, Portoghese, Inglese e Greco. La nona, forse 
                  la più importante di tutte, è la musica.
 Ebreo (anche se personalmente ateo) greco, della folta comunità 
                  greca di Alessandria dEgitto, la stessa nella quale era 
                  nato e aveva vissuto il sommo poeta Kavafis, francese per formazione 
                  culturale, poi per aver passato lintera vita in Francia, 
                  buon e frequente ospite della lingua e della terra italiana 
                  e spagnola, «fratello di sangue» dello scrittore 
                  simbolo del Brasile Jorge Amado (che di lui diceva «Georges 
                  ha la sua vera casa a Bahia, solo che spesso è assente. 
                  Allora ci vivo io!»), Moustaki interpreta il lavoro culturale 
                   «il mestiere di cantante» , e il suo 
                  in particolare, come un eterno vagare alla ricerca di incontri 
                  e confronti, pur rimanendo cosciente di quanto dolore e rimpianto 
                  possano procurare le separazioni.
 È stato per questo uno dei pionieri delle contaminazioni 
                  musicali, collezionando unimpressionante serie di collaborazioni 
                  artistiche con musicisti delle più diverse provenienze: 
                  Astor Piazzola, Manos Hadjidakis, Mikis Theodorakis, Antonio 
                  Carlos Jobim, Henry Salvador, Chico Buarque de Hollanda, Francesco 
                  Guccini, Bruno Lauzi, Ennio Morricone, e poi chitarristi di 
                  flamenco come José Pisa, flautisti malesi come Kimpoh 
                  Cheah, ricercatori di suoni come il percussionista Areski Belkacem, 
                  o jazzisti classici come Hubert Rostaing, ecc.
 Oggi, con alle spalle una carriera di grande coerenza etica 
                  ed estetica, il trovatore è ancora per strada, passando 
                  solo di rado un mese intero nel medesimo paese, per raccontarci 
                  le sue storie, cercando di imparare qualcosa e di fare canzoni 
                  da tutto, piccole gioie e grandi tormenti, come un vecchio allievo 
                  della vita.
  Alessio Lega amoreanarchia@tiscalinet.it
  
                  
 Georges 
                    Moustaki 
                     
                      | Dichiarazione 
                           Io 
                          dichiaro lo stato di felicità permanente E il diritto di ciascuno ad ogni privilegio
 Dico che il dolore è cosa sacrilega
 Quando cè abbondanza di rose e di pane
 Io 
                          contesto la legittimità delle guerre La giustizia che uccide, la morte che punisce
 Le coscienze che dormono rimboccate a letto
 La civilizzazione portata dai mercenari
 Guardo 
                          morire questo secolo vecchio Un mondo diverso nascerà dalle sue ceneri
 Ma non basta più solamente aspettare
 Ho aspettato già troppo, lo voglio ora
 Che 
                          la mia donna sia bella ogni ora del giorno Senza doversi nascondere nel fard
 Che nessuno mi obblighi a rimandare a più tardi
 La voglia che ho adesso di fare lamore
 Che 
                          i nostri figli siano uomini e non adulti E che siano quello che volevamo essere
 Che ci siano fratelli, compagni e complici
 E non due generazioni che sinsultano
 Che 
                          i nostri padri alla fine si emancipino E che trovino il tempo di carezzare le loro donne
 Dopo tutta una vita di sudore e di pianto
 E due «dopoguerra» che non erano «la 
                          pace»
 Io 
                          dichiaro lo stato di felicità permanente Non per mettere parole assieme alla musica
 Senza dove aspettare tempi messianici
 Senza che sia votato in alcun parlamento
 Io 
                          dico che è tempo di essere responsabili Senza rendere conto a niente e a nessuno
 Per trasformare il caso in destino
 Soli a bordo, senza padroni, senza dio e senza diavolo.
 E 
                          se vuoi venire passa la passerella Cè posto per tutti e per ognuno
 Dobbiamo ancora fare tanta strada
 Per andare a veder brillare una nuova stella
 Io 
                          dichiaro lo stato di felicità permanente. |    
                     
                      | Canzone-sirena 
                            Voglio 
                          che la mia canzone sia una sirena dallarme Fra una melodia di moda e un cantante confidenziale
 E anche se non urlo
 Statemi ad ascoltare ancora tre minuti
 Quando 
                          si sente parlare di donne violentate Per molti di noi sono solo parole
 Si discute, ci si indigna, si richiude il giornale
 E si finisce per trovare tutto quasi normale
 Ieri 
                          ho incontrato una di queste vittime Per la polizia è affare di routine
 E per gli altri non è che un fatto come un altro
 Io ho visto la disperazione in fondo a quello sguardo
 Ho 
                          lavato il suo corpo coperto di sperma e di sangue Il violentatore era quasi un adolescente
 Ha fatto in fretta senza amore ne piacere
 E sembra che abbia anche pianto prima di scappare
 Mio 
                          dio, che abbiamo fatto per arrivare a questo punto? 
                          Che cosa si può fare per fermarsi?
 La mia testa si rivolta, il mio cuore stramazza
 Ed ho male per lei e vergogna per lui
 Ma 
                          chi fra noi non ha mai violato qualcuno? Per non parlare che di quelle piccole violenze meschine
 Che fanno parte della vita dogni giorno
 E affogano nelle lacrime la nostra sete damore
 Il 
                          potere, i soldi, la forza e il disprezzo Lautorità del padre, quella del marito
 Il rigore imbecille dei fautori dellordine
 Che crea gli arrabbiati mettendo museruole
 Perché 
                          sono i nostri figli quelli che chiamiamo piaghe Rivoltosi, emarginati, drogati e altri negri
 Tutti quelli che per sopravvivere cercano di sognare
 Quelli che cercano le spiagge sotto i mattoni
 E 
                          se mi vedete cantare alla televisione Nel codice stabilito del consumo
 Con lapprovazione del principe e della corte
 Non è certo per indottrinarvi
 Nemmeno 
                          in fondo per convincervi o piacervi O cantare le idee che sono già nellaria
 Ma per chiedere un oggi migliore
 Facendo semplicemente il mio mestiere di cantante
 Vi 
                          dico che la barca fa acqua da tutte le parti Ed è tempo di cercare di ripararla
 Vittime o criminali siamo tutti coinvolti
 E se cè un solo colpevole siamo tutti condannati.
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