| Il sig. Berlusconi 
                  che, oltre ad essere come il dio dei cristiani uno e trino (presidente 
                  di Mediaset, del Milan e del Consiglio nellordine), purtroppo 
                  ci rappresenta agli occhi del mondo intero, se nè 
                  uscito con unaltra delle sue tradizionali boutade. Secondo 
                  il di lui pensiero la dittatura di Saddam sarebbe stata peggiore 
                  di quella di Mussolini perché questultimo non avrebbe 
                  ucciso nessuno, anzi i suoi oppositori lui li mandava in vacanza 
                  al mare. Sapevamo da molto tempo che lui e la cultura sono due cose incompatibili, 
                  e che la sua non va più in là della semplice conoscenza 
                  di alcune operazioni matematiche. La moltiplicazione (dei propri 
                  averi), laddizione (di capitali a capitali), la sottrazione 
                  (ai meno abbienti) e la divisione (del bottino con i suoi compari). 
                  E quindi che non conosca la storia del proprio Paese non ci 
                  scombussola più di tanto. O sarebbe forse meglio dire 
                  che un po la conosce e quel che dice ha più un 
                  significato di nostalgia per «un bel tempo che fu»!
 Tecnicamente penso abbia ragione, i delitti e le nefandezze 
                  di cui si è macchiato il fascismo, in effetti, non sono 
                  stati commessi da Mussolini bensì dai suoi sgherri prima 
                  e dalla macchina statale fascistizzata poi, lui si è 
                  solo limitato a emanare ordini. Per cui il nano (inteso qui 
                  non tanto per la sua statura fisica bensì per quella 
                  morale) di Arcore ha detto una cosa abbastanza vera.
 Probabilmente il malvagio Saddam usava strangolare, dopo averli 
                  personalmente torturati, i propri oppositori altro che mandarli 
                  al mare! A volte questi satrapi orientali hanno delle strane 
                  perversioni.
 Per ritornare invece ai morti che Mussolini non ha fatto 
                  si potrebbe, lasciando a parte i morti negli scontri che contrapposero 
                  gli antifascisti ai fascisti, citare una lista abbastanza lunga 
                  di persone che non sarebbero morte a causa della dittatura 
                  «buona» di Mussolini.
  Linciaggi, sequestri e omicidi 
 Cominciamo con il ricordare Anteo Zamboni, di famiglia anarchica 
                  e presunto attentatore del duce, massacrato in piazza dalla 
                  canaglia fascista. Ricordiamo la morte di don Minzoni, di Piero 
                  Gobetti, di Giovanni Amendola e di Pietro Ferrero (anarchico 
                  e segretario della FIOM di Torino), solo per citarne alcuni. 
                  Ricordiamo il rapimento e luccisione di Giacomo Matteotti. 
                  Il rapimento fu eseguito dalla Ceka, una specie di polizia 
                  segreta (che aveva mutuato il proprio nome da quella sovietica!), 
                  capeggiata dal delinquente comune Dumini.
 Ricordiamo i fucilati su sentenza del tribunale speciale, due 
                  nomi per tutti: gli anarchici Michele Schirru e Angelo Sbardellotto. 
                  Gente che nella maggior parte dei casi aveva solo avuto lintenzione 
                  di attentare alla vita del tiranno.
 Ricordiamo i fratelli Nello e Carlo Rosselli rapiti e uccisi 
                  dai cagoulards francesi su istruzione del regime fascista 
                  e la morte di Antonio Gramsci nelle carceri italiane.
 Ricordiamo la guerra dAbissinia in cui venne lanciata 
                  sui soldati abissini, male armati e male equipaggiati, una quantità 
                  enorme di iprite (gas vescicante messo al bando dalla Società 
                  delle Nazioni).
 Ricordiamo lintervento nella guerra civile spagnola a 
                  fianco del futuro dittatore e fucilatore (con buona pace del 
                  sig. Sergio Romano) Francisco Franco.
 Ricordiamo le leggi razziali del 1938 che emarginarono e resero 
                  la vita difficile allintera comunità ebraica. E 
                  ricordiamo lentrata, di unItalia male armata, nella 
                  Seconda Guerra Mondiale. Tutti avvenimenti che colpirono duramente 
                  le popolazioni civili e non solo gli oppositori al regime.
 Quanto poi alle vacanze fatte fare agli oppositori politici 
                  augurerei al lillipuziano di passare un periodo vacanziero in 
                  una colonia del tipo di quelle che venivano usate per il confino 
                  di polizia, invece di spassarsela nella sua villa di Porto Cervo.
  Mordere o sputare? 
 Per finire mi torna alla mente un altro presidente, Pertini, 
                  un Gulliver al cospetto del lillipuziano arcorese. Il ricordo 
                  non va tanto a quando fu presidente della Repubblica ma al 1969 
                  quando era, se non erro, presidente della Camera. A seguito 
                  della strage di piazza Fontana egli venne a Milano e quando 
                  il questore fascista Marcello Guida, che era stato direttore 
                  del confino di Ventotene (cioè di quel confino in cui 
                  Pertini era stato «villeggiante»), gli si fece incontro 
                  per stringergli la mano egli chiese se dovesse mordergliela 
                  o sputarci sopra. Altre paste duomini e altre epoche! 
                  Per concludere non è tanto per rispondere alle farneticazioni 
                  fascistoidi del lillipuziano, ma per ricordare e ricordarci 
                  di ciò che è stato il fascismo, che pubblichiamo 
                  di seguito un articolo di Alfonso Failla (che «villeggiò» 
                  per ben tredici anni), originariamente apparso su «Almanacco 
                  Socialista» del 1962, e ripreso nel libro curato da Paolo 
                  Finzi, Insuscettibile di ravvedimento, La Fiaccola, Catania, 
                  1993. In questo articolo Failla racconta di quanto fosse tranquilla 
                  e riposante la vita dei «villeggianti».
  Patrizio Biagi
   Ricordi 
                  dal confino di Alfonso Failla
 Nel 1937 la guerra di Spagna aveva moltiplicato il numero degli 
                  antifascisti attivi. Lisola di Tremiti, che allora ospitava 
                  ancora una colonia di confinati comuni, veniva riaperta ai politici. 
                  Dallisola di Ponza, in Luglio, un gruppo di confinati 
                  sospettati di mantenere relazioni clandestine in Italia e allestero 
                  tramite cittadini ponzesi, furono trasferiti a Tremiti. Lisola 
                  adriatica era piena di ricordi cari, specie agli anarchici. 
                  Tra gli abitanti era vivo leroico comportamento del compagno 
                  Argante Salucci di Santa Croce sullArno che nel 1898 era 
                  stato assassinato dalle guardie carcerarie, allora adibite alla 
                  sorveglianza dei coatti politici, per essersi ribellato alle 
                  loro imposizioni. Una vecchietta isolana di origine umbra, la 
                  «Regina», volle regalarci alcune nostre vecchie 
                  stampe, come La conquista del pane di Kropotkin, che 
                  lei aveva avuto dai nostri compagni che erano stati al domicilio 
                  coatto nel 1894 e nel 98 e dei quali serbava, insieme 
                  ai vecchi isolani, vivo e rispettoso ricordo. A Tremiti erano 
                  arrivati ottimi e combattivi compagni che, come Stefano Vatteroni, 
                  compagno di processo di Gino Lucetti e Bernardo Melacci di Foiana 
                  della Chiana, erano stati da poco dimessi dal carcere dopo avere 
                  scontato lunghi anni ed inviati direttamente al confino invece 
                  che in libertà come era già accaduto a Paolo Schicchi 
                  e Filippo Gramignano. Grande fu il nostro sdegno quando dopo 
                  alcuni giorni dal nostro arrivo leggemmo, affissa alle porte 
                  dei cameroni, una ordinanza, che imponeva a tutti i confinati 
                  lobbligo del saluto romano «durante gli appelli, 
                  quando si entrava negli uffici e tutte le volte che si incontravano 
                  persone rivestite di autorità». Non era la prima 
                  volta che in carcere e al confino avevamo dovuto affrontare 
                  simile oltraggiosa pretesa degli aguzzini fascisti, in camicia 
                  nera o no. Nellisola di Lampedusa il compagno Rossi di 
                  Roma si era persino buscato una pugnalata. Tutte le volte, però, 
                  la resistenza decisa dei confinati e dei carcerati politici 
                  aveva vinto. Credeva davvero il signor Fusco, commissario di polizia e direttore 
                  della colonia di Tremiti, di riuscire a piegare i veterani delle 
                  carceri e delle isole? Erano ordini venuti direttamente da Mussolini 
                  per avviare il sistema di vita al confino sul modello dei campi 
                  di concentramento tedeschi? Oppure, come si diceva nellisola, 
                  il direttore succube dei capricci della moglie e della figlia, 
                  voleva guadagnare prestigio pubblico e privato emettendo «grida» 
                  di manzoniana memoria?
 
                  
                  Alfonso 
                    Failla, visitato dalla madre, nel villaggio vacanze di Ventotene 
                    (1942)  Il fosso 
 Era fresco lepisodio di Ustica. In quellisola, allora destinata ai confinati comuni, erano 
                  stati condotti mesi prima Vincenzo Capuana, anarchico spezzino 
                  e Menghestù, un giovane antifascista eritreo studente 
                  di ingegneria a Roma. Vi avevano incontrato il compagno Antonio 
                  Sicilia di Agrigento.
 La Direzione di Ustica non tollerava che Sicilia rifiutasse 
                  di fare il saluto romano come i confinati comuni e perciò 
                  lo condannava a lunghissimi periodi di permanenza al «Fosso», 
                  una cella sotterranea di dolorosa memoria per quanti soggiornarono 
                  in quellisola. Ma Antonio Sicilia teneva duro, come fece 
                  fino alla fine, con grave e irreparabile danno della sua salute. 
                  Allarrivo di Capuana e Menghestù, Sicilia non fu 
                  più solo a rifiutare di salutare fascisticamente ma dopo 
                  alcuni mesi di sacrifici Capuana e Menghestù vennero 
                  trasferiti a Tremiti.
 Qui noi politici eravamo già oltre cinquecento tra antifascisti 
                  generici che la guerra di Spagna aveva entusiasmato alla resistenza 
                  al fascismo, soprattutto giovanissimi, e veterani delle carceri 
                  e delle isole, anarchici, comunisti, socialisti, repubblicani, 
                  giellisti, ecc.
 La sera dellaffissione dellordinanza si discusse 
                  animatamente in tutti i dormitori, i vari gruppi politici decisero 
                  unanimemente di respingere limposizione e furono esaminate 
                  le possibilità di fuga dallisola in sede di comitato 
                  ristretto di azione. Il piroscafo che collegava lisola 
                  alla terraferma, proveniente da Manfredonia, gettava lancora 
                  nella rada non essendoci porto a Tremiti. Nellisoletta 
                  di Capraia del gruppo di Tremiti cera una stazione radio 
                  della Marina da Guerra perciò si scartò lidea 
                  di impossessarsi del piroscafo e di fuggire in massa e si decise 
                  la resistenza ad oltranza. Lindomani allappello 
                  delle ore 9 che coincideva con la distribuzione della «mazzetta» 
                   come era chiamato il sussidio giornaliero di lire 5  
                  accaddero i primi e più gravi incidenti. La guardia Varia, 
                  addetta alla chiamata, mal sopportava che i confinati rispondessero 
                  solo «presente» come al solito. Così ad un 
                  certo momento, innervosito, scese dal tavolo da cui faceva lappello, 
                  afferrò il confinato Andrini, che alla sua ingiunzione 
                  aveva sarcasticamente risposto nel nativo dialetto lombardo 
                  di non sapere salutare «romanamente», e cercò 
                  di condurlo in camera di sicurezza per intimorire gli altri 
                  confinati. Anzi ci mise tanto zelo che cominciò ad alzare 
                  le mani sullAndrini: fu la goccia che fece traboccare 
                  il vaso. Dopo loltraggio morale, del tentativo di mortificarci 
                  nei nostri sentimenti, anche la violenza fisica! Per primo fu 
                  il nostro caro e compianto compagno Bernardo Melacci a lanciarsi 
                  in difesa di Andrini, gli agenti presenti intervennero a dare 
                  man forte al loro collega e la mischia divenne generale. In 
                  pochi momenti il grande piazzale prospiciente la Direzione del 
                  confino di Tremiti diventò campo di battaglia; da una 
                  parte carabinieri e agenti correvano ad allinearsi caoticamente 
                  per fronteggiare i confinati dei quali alcuni gruppi avevano 
                  bloccato la casermetta dove si sapeva essere depositate armi 
                  leggere, casse di bombe a mano e alcune mitragliatrici. In linea 
                  di massima i confinati controllavano la situazione. Il direttore 
                  Fusco non aveva certamente previsto gli effetti della sua provocazione 
                  perché quando scese in piazza dai suoi uffici era in 
                  preda ad orgasmo e non sapeva fare altro che implorare la calma.
  Quotidiane provocazioni 
 A complicare la situazione un gruppo di confinati fascisti 
                  e provocatori comparve al fianco degli agenti. Ne presero da 
                  ricordarsene per leternità; uno di essi, certo 
                  Evangelisti, stava in aria in posizione orizzontale senza un 
                  punto fisso di appoggio. Essi con le loro quotidiane provocazioni 
                  rendevano più amaro il nostro soggiorno nellisola 
                  e quel giorno raccolsero ciò che avevano seminato. Dopo 
                  qualche ora di colluttazione fummo invitati a ritirarci nei 
                  cameroni con la promessa che non ci sarebbero state rappresaglie. 
                  Invece tanto più avevano tremato durante la mischia, 
                  i provocatori della sommossa, più cattivi furono nella 
                  repressione. A varie riprese un centinaio di confinati vennero arrestati 
                  e nei giorni seguenti furono condotti nelle carceri di Foggia 
                  e di Lucera.
 Lordinanza non venne ritirata e la polizia organizzò 
                  squadre, armate di nervi di bue, per terrorizzare i recalcitranti. 
                  Come in tutti gli agglomerati umani una parte cedette e accettò 
                  la vergogna di salutare gli aguzzini, e per giunta col gesto 
                  degli schiavi. Dopo la partenza degli arrestati denunziati per 
                  incitamento alla resistenza e ribellione, a non salutare romanamente 
                  restammo un centinaio. Ebbe inizio così un lungo periodo 
                  di resistenza passiva dopo lopposizione violenta della 
                  sommossa. La tattica che porta il nome di Gandhi è stata 
                  largamente usata alternativamente nelle lotte dellantifascismo. 
                  La ribellione violenta può essere causata dallo sdegno 
                  per la provocazione immediata ma lopposizione continuata 
                  richiede forza morale indubbiamente superiore.
 Anche la Direzione cambiò tattica. Non appena un confinato 
                  rifiutava di fare il saluto romano veniva rinchiuso insieme 
                  agli altri resistenti in cameroni isolati dal resto degli obbedienti 
                  e deferito al Consiglio di disciplina, dopo che un pretore di 
                  Manfredonia mandò assolti a Tremiti i primi confinati 
                  che gli furono mandati in stato di arresto con limputazione 
                  di «rifiuto a un ordine della Direzione». Quel coraggioso 
                  pretore sentenziò che non si poteva imporre ai confinati 
                  atti che ripugnavano alle loro coscienze. In pratica però 
                  la situazione nostra peggiorò perché la Direzione 
                  dapprima ci consegnava per 10 giorni dopo ci mandava, a gruppi, 
                  a scontare mesi di isolamento nelle varie carceri senza più 
                  disturbare la magistratura. Di tanto in tanto alcuni venivano 
                  trasferiti nelle altre isole dove non esisteva lobbligo 
                  del saluto romano mentre a qualcuno che aveva già terminato 
                  il periodo di confino fu regalato un supplemento di anni di 
                  permanenza nelle isole senza averlo fatto passare davanti ad 
                  alcuna commissione provinciale per il confino. Per vincere la 
                  resistenza di quel forte gruppo di valorosi si negò loro 
                  perfino la razione di acqua potabile. Il comunista Ferrari di 
                  Reggio Emilia ammalatosi di tifo, condotto allospedale 
                  di Foggia morì in corsia dopo alcuni giorni dallarrivo 
                  senza essere stato nemmeno visitato. Lanarchico veneto 
                  Ferdinando Perencin ammalato di gravissima forma di ulcera gastrica 
                  segnò in quellagitazione, con la sua resistenza, 
                  la sua condanna ad una morte prematura. Per circa due anni restarono 
                  in una dozzina a fare la spola tra le carceri della provincia 
                  di Foggia e lisola di Tremiti.
  Vitto ridotto per inasprire la punizione 
 In carcere venivano inviati in punizione amministrativa ordinata 
                  dalla Direzione del confino per periodi fino a tre mesi durante 
                  i quali il vitto, già scarsissimo per il carcerato di 
                  allora, veniva maggiormente ridotto per inasprire la punizione. 
                  Debilitati nel fisico ma inflessibili nel morale i componenti 
                  di quella pattuglia appena sbarcati a Tremiti ogni volta che 
                  tornavano dal carcere, invitati a salutare romanamente tornavano 
                  a rifiutarsi e venivano ricondotti nuovamente in carcere. Un 
                  giorno però la solita scorta di carabinieri sbarcò 
                  a Tremiti lanarchico tarantino Giuseppe Messinese, confinato 
                  fin dal 1926. Siccome era ammalato di tbc e arrivò febbricitante 
                  venne condotto direttamente allinfermeria dellisola. 
                  Il direttore Fusco andò a trovarlo subito come faceva 
                  ad ogni arrivo da quando aveva emessa lordinanza del saluto. 
                  Dopo alcuni ipocriti convenevoli pretese che Messinese si alzasse 
                  dalla branda e lo salutasse romanamente. Ne ricevette schiaffi 
                  sul viso di aguzzino ed una mezza persiana sulle spalle. La 
                  resistenza del gruppo dei dodici durata due anni aveva reso 
                  impopolare il commissario Fusco anche tra gli isolani di Tremiti 
                  che gli avevano detto: «Se tra i politici che oggi sono 
                  confinati a Tremiti ci sono dei compagni di Argante Salucci 
                  non li sottometterete». La lezione inflittagli dal compagno Messinese lo mise in condizioni 
                  di non comparire più in pubblico. Così venne trasferito 
                  mentre Messinese fu deferito in stato di arresto al Tribunale 
                  e condannato a due anni di carcere. Il gruppetto di valorosi 
                  tra i quali ricordo i compagni Antonio Vari e Olivieri, romani, 
                  venne trasferito a Ventotene dove non si parlava di saluto romano. 
                  A Roma dovettero tirare le conclusioni e, al posto di Fusco, 
                  a Tremiti fu mandato a dirigere la Colonia il commissario Coviello 
                  che altre macchinazioni governative aveva eseguite contro i 
                  confinati a Ponza negli anni precedenti. Nello stesso tempo, 
                  agosto 1939, un forte gruppo di confinati fummo da Ponza e Ventotene 
                  di nuovo trasferiti a Tremiti. Qui arrivati, davanti al piazzale 
                  che guarda le spiagge adriatiche e la Majella, il signor Coviello 
                  ad uno dei nuovi arrivati che due anni prima, proprio nei giorni 
                  che fu emessa lordinanza del saluto romano doveva essere 
                  liberato dal confino dopo avere scontati sette anni e aveva 
                  avuto altri due anni per il rifiuto di salutare romanamente, 
                  disse: «Allora questa volta si va a casa, basta non continuare 
                  a rifiutarsi di fare il saluto». Ebbe la risposta che 
                  meritava.
 Da vecchio poliziotto capì che con i nuovi arrivati, 
                  in gran parte ospiti di Tremiti di due anni prima, e trasferiti 
                  altrove per la questione dellordinanza non cera 
                  da aspettarsi tentennamenti. E replicò: «Andate 
                  a dire ai vostri compagni che per il saluto romano non sarete 
                  più disturbati». E da allora, 1939, alla fine del 
                  confino, agosto 1943, non ci furono più imposizioni del 
                  genere.
  Alfonso Failla
   
 
 
 
 Alcune 
                  ville di Confino di Berlusconi: Certosa, Montalcino e Porto 
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