|  Da Trieste a Baghdad 
 La missione di Aiutiamoli a Vivere ha coinvolto in una esperienza 
                  comune di solidarietà varie persone provenienti da ambienti 
                  diversi. Dal sacerdote no-global don Vitaliano della Sala al 
                  pediatra triestino Marino Andolina, da «il manifesto» 
                  allArena di Verona, dal poeta Edvino Ugolini alla cantante 
                  rock Gianna Nannini. E da collante fungeva il presidente dellAssociazione 
                  Tusio de Iuliis che ringrazio vivamente per avermi offerto la 
                  possibilità di fare questa esperienza. Limpatto 
                  con un paese reduce da una breve ma devastante guerra, portata 
                  avanti da un esercito militarmente e tecnicamente di gran lunga 
                  superiore a quello iracheno, sulla pelle di un popolo già 
                  stremato da dodici anni di embargo, non è facile da descrivere. 
                  Innanzitutto la scena irreale di un paesaggio seminato da carcasse 
                  di veicoli militari e non di ogni tipo. La notte passata alladdiaccio 
                  perché non è consigliabile girare di notte, a 
                  detta della nostra guida, ma poi alla luce del giorno ti trovi 
                  davanti a bambini sorridenti e gente che tutto sembra meno dei 
                  briganti. Lentrata a Baghdad è stata accompagnata 
                  da un caos infernale di traffico urbano. Tutte le macchine sembravano 
                  alla ricerca di qualcosa che sfuggiva alla nostra comprensione. 
                  Poi le lunghe file davanti alle pompe di benzina. La benzina 
                  cè ma le pompe scarseggiano, per cui tutti a caccia 
                  del liquido prezioso che viene anche venduto ai lati delle strade 
                  in taniche di fortuna. Il litro costa ancora venti dinari iracheni, 
                  un centesimo di euro circa, ma chissà per quanto ancora. 
                  Ogni tanto si affaccia sulla strada un venditore ambulante, 
                  poche cose essenziali. Si nota la pochezza di uneconomia 
                  ridotta allosso dallembargo e dalla guerra. Arriviamo 
                  allalbergo Palestine, dimora dei giornalisti di tutto 
                  il mondo, intenti a descrivere una guerra senza storia, protetti 
                  dai carri armati americani che non fanno entrare gli estranei. 
                  Noi alloggiamo in un albergo più piccolo nelle vicinanze, 
                  sempre però allinterno dellisola felice. 
                  Subito facciamo una ricognizione per le vie del centro. Negozi 
                  chiusi dappertutto, molto traffico e anche molta gente per le 
                  strade. Tutti ci guardano con laria interrogativa tra 
                  lo stupore e la diffidenza. Qualcuno ci chiede da dove veniamo 
                  e alla risposta «From Italy» i volti si illuminano 
                  con un sorriso. Non uno dei palazzi che ospitavano uffici e 
                  ministeri è rimasto illeso. Alcuni portano i segni delle 
                  bombe, altri sono semplicemente incendiati dallinterno. 
                  Dopo due ore di vagabondaggio attraverso la città assistiamo 
                  ad una delle tante scene di ordinaria prassi che ha imposto 
                  le sue regole in questi giorni di caos generalizzato. Un carro 
                  armato sta stazionando davanti ad una banca e dopo alcuni minuti 
                  escono dei militari americani che scortano e poi fanno sdraiare 
                  a terra alcuni giovani iracheni sotto la minaccia delle armi. 
                  La folla si stringe minacciosamente intorno ai militari e allora 
                  parte una coltre fumogena dal carro armato, una via di mezzo 
                  tra gas lacrimogeno e fumo bianco. Ci allontaniamo, mentre i 
                  militari trascinano i fermati allinterno delledificio. 
                  Purtroppo non ho con me la videocamera per filmare la scena. 
                  Continuiamo il nostro giro tra cumuli di rifiuti ed edifici 
                  devastati. Pian piano si fa sera e le strade cominciano a svuotarsi. 
                  Anche noi decidiamo di tornare alla base perché qui la 
                  notte non porta consiglio e comunque dopo le undici di sera 
                  vige il coprifuoco in tutta la città. Questo il resoconto della prima giornata a Baghdad. Le seguenti 
                  giornate ci hanno dato altre emozioni, come quella di aver visitato 
                  lospedale di Bakuba a nord-est di Baghdad, dove abbiamo 
                  consegnato le medicine e con cui abbiamo iniziato un rapporto 
                  di gemellaggio solidale. Unaltra esperienza importante 
                  è stata lincontro con gli artisti di Baghdad che 
                  tuttora si incontrano in un ritrovo nei pressi dellAccademia 
                  delle Belle Arti, anchessa saccheggiata e in parte distrutta 
                  dalle fiamme. La stessa sorte è toccata anche alla vecchia 
                  Università e al Museo Nazionale.
 Ripartiamo accompagnati dal boato del deposito di munizioni 
                  che, come apprendiamo più tardi, è stato fatto 
                  saltare in aria, con le conseguenze che tutti conosciamo. Un 
                  triste congedo da una città ferita nellorgoglio 
                  e nella sua dignità di centro culturale e di sede di 
                  una delle civiltà più antiche nella storia dellumanità. 
                  Partiamo con la promessa di tornare al più presto con 
                  un altro carico di medicine e di aiuti umanitari.
  Edvino Ugolini per Aiutiamoli a Vivere
    Ciao Augustina! 
 
 Augusta 
                  Farvo «Ai morti ci stringiamo E senza impallidire
 Per lanarchia pugnamo
 O vincere o morire»
 (Figli dellofficina)
 «Hai fame?», «vuoi fare un bagno?», 
                  «vuoi dormire?»
 Arrivavi dallAugusta 
                  ed era come entrare in porto. Da qualunque viaggio, o corsa, 
                  o tempesta venissi, cera una compagna, unAmica che 
                  ti aspettava. Prediligeva i «cani sperduti», cui 
                  non imponeva nessun collare
 Davide si lanciava abbaiando 
                  a salutarti e dietro vedevi il corpo esile (sempre più 
                  piccolo e lento negli anni) e gli occhi immensi di Augusta. 
                  Lavevo conosciuta nellautunno del 67, credo 
                  il giorno dopo il mio incontro con Pinelli. Lui stesso mi aveva 
                  portato allultimo piano di passaggio degli Osii 1, in 
                  pieno centro. Una stanza lillipuziana e magica, che dava su 
                  via Torino e che laggiù, nel traffico, non avresti neanche 
                  potuto immaginare. Pinelli, lAugusta
 e tramite loro 
                  (molto spesso, la prima volta, in quella casa tra le nuvole) 
                  quasi tutti i compagni che avrei amato di più, «vecchi» 
                  e giovani: da suo fratello Renzo, a Valpreda, a Leggio, a Del 
                  Grosso, a Steve, a Lello
 Non era una «teorica» Augusta Farvo, piuttosto una 
                  donna di cuore e di azione  staffetta partigiana, così 
                  nella resistenza come in seguito , ma aveva (fino allultimo) 
                  una memoria meravigliosa e un giudizio sugli uomini sempre centrato 
                  e saggio e sapeva bene quanto contasse, per gli sfruttati, la 
                  conoscenza. Autodidatta, come gli altri magnifici «vecchi», 
                  critica, libera, non conformista, da lei trovavi tutta la stampa 
                  anarchica (compresa «Ladunata dei refrattari»), 
                  e i libri, gli opuscoli
 Franco Leggio i suoi stupendi 
                  testi della collana «Anteo» e della «Rivolta» 
                  glieli portava di persona
 Penso che la sua edicola-casa 
                  sia stata anche la prima libreria libertaria del dopoguerra 
                  a Milano, ben prima della Vecchia Talpa, della Calusca, dellUtopia
 
                  Lo rivedo Franco, ma anche Pino o Pietro o Fernando, lì 
                  a giocare a scopa con lei, accanto a un bicchiere mai vuoto
 
                  Non cera verso
 Era quasi impossibile batterla. Anche 
                  Facerias, lanarchico spagnolo che aveva scelto di non 
                  arrendersi, quando passava da Milano, andava a trovarla e
 
                  a perdere!
 Decisa, coraggiosa, indomita  «insuscettibile di 
                  ravvedimento», come il suo amico Failla , Augusta 
                  era stata in prima fila nella difesa ardente della memoria di 
                  Pino e della vita e libertà di Valpreda. Per un lungo 
                  periodo aveva tenuto, ricordo, nascosti da qualche parte nella 
                  sua camera da letto i dischi de «La ballata del Pinelli», 
                  per impedire che li sequestrassero
 Rivedo zia Rachele, 
                  salda come una roccia, seduta al tavolo a parlare con lei degli 
                  ultimi sviluppi, di quel che si poteva e doveva fare
 o 
                  la moglie, dignitosissima, di Pino che passava a trovarla con 
                  le bimbe. E poi la solidarietà senza mezze misure verso 
                  Pulsinelli, Braschi, Faccioli
 manifestazioni, sit-in davanti 
                  a San Vittore (nella sera eccola arrivare con un pentolone fumante 
                  di minestra!), scioperi della fame
 Indipendente e fiera, ma anche affettuosissima, senza smancerie 
                  o sentimentalismi, gli uomini lAugusta li amava, e li 
                  sceglieva lei  e li lasciava
 Sette «mariti» 
                  o forse più
 e nessun figlio, per non dare carne 
                  da esercito allo Stato. I figli, del resto, non le mancavano, 
                  eravamo tutti noi.
 Riposa Augustina, dormi in pace compagna.
  Joe Fallisi
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