| Il bicchiere mezzo 
                  pieno   Laddove il giornalismo (e la politica, e il senso comune) non 
                  arrivano, arriverà la letteratura. Prendendo la cosa 
                  per il lato buono, come se la metà del bicchiere fosse 
                  quella piena, la recente uscita di un paio di romanzi dedicati 
                   in tutto o in parte  al G8 genovese è quasi 
                  una consolazione, o meglio ancora uno sprone a non mollare. 
                  È la morale che si può trarre dalla pubblicazione 
                  di Il giro di boa di Andrea Camilleri (editore Sellerio) 
                  e I segni sulla pelle di Stefano Tassinari (Tropea). 
                  I media hanno dimenticato il G8? I politici non hanno mai ritenuto 
                  la sospensione dei diritti civili avvenuta a Genova nel luglio 
                  2001 (notata e segnalata da Amnesty International e Parlamento 
                  europeo) una cosa degna del massimo impegno? La società 
                  italiana, in larghissima parte, ha scelto di dimenticare tutto 
                  nel più breve tempo possibile? Consoliamoci con gli scrittori.
 Il caso Camilleri è particolarmente interessante, perché 
                  porta la contraddizione nellambito di un popolo 
                  di lettori che si ritiene trasversale. Il giro di boa, 
                  che è in testa alle classifiche di vendite, si apre con 
                  un moto di rabbia e indignazione del commissario Montalbano, 
                  il popolare eroe dello scrittore siciliano. Montalbano ascolta 
                  alla tv le notizie riguardanti linchiesta sulla violenta 
                  irruzione alla scuola Diaz: è stato accertato  
                  dice il telegiornale  che gli stessi poliziotti hanno 
                  costruito le prove (le due bombe molotov) per giustificare larresto 
                  dei 93 malcapitati subito dopo il pestaggio, e che laccoltellamento 
                  denunciato da un agente è anchesso probabilmente 
                  falso. Montalbano saccascia sulla poltrona. Annuncia alla 
                  fidanzata che vuole dimettersi: «Io non mi sento tradito. 
                  Io sono stato tradito [
] Ad assaltare quella scuola e 
                  a fabbricare prove false non è stato qualche agente ignorante 
                  e violento, cerano questori e vice questori, capi della 
                  mobile e compagnia bella!».
 Salvo Montalbano reagisce da poliziotto onesto, da democratico 
                  che crede nella legalità e nella costituzione, e si ritiene 
                  leso nella sua dignità di uomo e di tutore della legge. 
                  «Siamo stati manovrati come pupi nellopera dei pupi, 
                  da persone che volevano fare una specie di test su come avrebbe 
                  reagito la gente ad unazione di forza, quanti consensi, 
                  quanti dissensi. Fortunatamente non gli è andata bene».
 Ci sarà qualcuno disposto ad aprire gli occhi e a riflettere 
                  seriamente su queste cose, fra i tanti italiani, lettori di 
                  Camilleri, che avevano mentalmente archiviato i fatti di Genova 
                  senza pensare a ciò che rappresentano per il futuro della 
                  democrazia e dei diritti civili?
 Stefano Tassinari, dal canto suo, ha costruito un intero romanzo 
                  sui fatti del G8 e vi ripercorre i passaggi salienti, tutti 
                  ampiamente dimenticati dallopinione pubblica, dalla quasi 
                  totalità dei politici, dai maggiori commentatori di tutte 
                  le tendenze. Ossia laggressione ai cortei autorizzati, 
                  i maltrattamenti nella caserma di Bolzaneto, luso indiscriminato 
                  del gas CS (usato in dosi massicce a Genova per quanto sia vietato 
                  dalla convenzione internazionale sulle armi da guerra): la protagonista 
                  del romanzo, una giovane giornalista free lance, si ammala gravemente, 
                  forse a causa del gas. Tassinari, grazie alla libertà 
                  che gli consente la fiction, tratta anche una vicenda misteriosa, 
                  alimentata per mesi da indizi e voci però mai provata: 
                  la morte nelle strade di Genova, oltre a Carlo Giuliani, di 
                  unaltra persona. Una ragazza, nel libro, viene uccisa 
                  e portata via poco prima dei fatti di piazza Alimonda, in una 
                  strada adiacente: non se ne saprà mai nulla perché 
                  si trattava di una giovane agente infiltrata in un gruppo basco. 
                  «Questa è unopera di fantasia. Ogni riferimento 
                  a fatti accaduti o a persone esistenti è puramente casuale»: 
                  è una noticina che Tassinari ha messo allinizio 
                  del libro e che consegna la sua ricostruzione alla dimensione 
                  letteraria. Heidi Giuliani, la mamma di Carlo, ha commentato 
                  amaramente che «cè più verità 
                  in questopera di fantasia che nelle ricostruzioni ufficiali 
                  dei fatti». Potremmo aggiungere che in alcune circostanze 
                  vale anche il contrario: cè più fantasia 
                  in certe perizie e ordinanze (ad esempio proprio su piazza Alimonda) 
                  che nelle versioni romanzesche dei fatti.
 Se il bicchiere è mezzo pieno, le opere di Camilleri 
                  e Tassinari hanno il merito di mettere nero su bianco alcune 
                  verità sui fatti di Genova e di portarle nel cuore della 
                  narrativa nazionale. In questo modo i due romanzi vanno a colmare 
                  almeno in parte i paurosi vuoti lasciati dalla politica e dal 
                  giornalismo, da chi dovrebbe controllare e censurare  
                  quando necessario  i poteri costituiti: un ruolo che in 
                  Italia è sempre piaciuto poco e che sui fatti di Genova 
                  è stato esercitato da gruppi sparuti, in grande isolamento. 
                  In questa chiave il sostegno della letteratura, e in particolare 
                  di uno scrittore popolare come Camilleri, è una buona 
                  notizia.
 Agli occhi di chi vede il bicchiere mezzo vuoto, è però 
                  lennesima beffa: per raccontare i pestaggi di piazza Manin 
                  (contro Lilliput e i pacifisti) e le torture di Bolzaneto cè 
                  voluto un romanziere con la sua «opera di fantasia». 
                  E per vedere un poliziotto conosciuto in grado dindignarsi 
                  cè voluto un commissario immaginario.
  Lorenzo Guadagnucci
 
 Stefano 
                  Tassinari   Lepidemia libro 
                   Vi è da augurarsi che questa parca recensione abbia 
                  soltanto in parte leffetto morboso che il libro di Mauro 
                  Giancaspro, Il morbo di Gutenberg, lancora del 
                  mediterraneo, Napoli 2003, pp. 160, € 12,50  attuale 
                  direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli  provoca 
                  in chi si sottopone alla sua lettura. Perché alcuna profilassi 
                  può purtroppo funzionare, in quanto che Il morbo di 
                  Gutenberg è immediatamente contagioso al solo sguardo 
                  delle succinte righe che accompagnano la quarta di copertina 
                  di questo libro, la cui illustrazione in prima non lascia per 
                  giunta scampo, tanti sono i volumi posti in bella mostra sui 
                  ripiani di una libreria fotografata di sguincio. Cosicché 
                  viene immediatamente la voglia di sfogliarlo per capire di che 
                  si tratta, e a quel punto si è invischiati nel vortice 
                  di una lettura che parla dellamore per la lettura
Di 
                  più: dellamore per il libro
 ben strano oggetto 
                  del desiderio il cui prezzo non cè alcun mercato 
                  che possa stabilirne il vero valore. Già
 il libro: un semplice oggetto, o piuttosto 
                  un soggetto
anzi più soggetti, dal momento che la 
                  sua stessa lettura è una riscrittura che varia da persona 
                  a persona
macché
da stato danimo a stato 
                  danimo? A pensarci bene la stessa lettura di un libro 
                  è transitiva: si crede di leggere un libro e si finisce 
                  per essere letti dal libro, e forse proprio per questo il libro 
                   più e più volte letto  suscita sempre 
                  diverse sensazioni, emozioni, passioni. Ma, allora, quando un 
                  libro cessa di essere scritto? E chi  soprattutto 
                   gli dà vita? Lautore? Leditore? 
                  Il distributore? Il recensore? Il libraio? Il bibliotecario? 
                  Il lettore?
 Qui sta la felice intuizione di Mauro Giancaspro: il libro è 
                  il vettore di uninfezione, una gravissima malattia che 
                  a differenza di quelle che prendono il nome dagli scienziati 
                  che le hanno individuate e studiate come, per fare qualche esempio, 
                  i morbi di Bürger, di Basedow, di Recklinghausen, deve 
                  la sua denominazione a colui che lha inconsapevolmente 
                  determinata. (p. 39) Perché dal 1456, ossia da 
                  quando Gutenberg stampò la Bibbia delle famose 42 linee 
                  a caratteri mobili, il morbo si diffuse come una vera e propria 
                  epidemia che si è propagata e ha moltiplicato i 
                  suoi nefasti effetti nel corso dei secoli, trasferendo i suoi 
                  germi da libro a libro, dal libro alluomo, da uomo a uomo, 
                  trasmettendo per contagio, per infezione, per via ereditaria, 
                  infilandosi perfino nel computer, e da questo in tutte le reti 
                  di comunicazione.
 Chi, dunque, meglio di un bibliotecario avrebbe potuto analizzare 
                  i sintomi del morbo di Gutenberg, e  al pari di 
                  un patologo  classificarli? E così  di pagina 
                  in pagina  scopriamo che tre sono le forme in cui esso 
                  si manifesta. Tre, come le tre prime lettere dellalfabeto 
                  latino: la Gutenberg A, con i suoi tre stadi: bibliofilia, 
                  bibliomania, bibliofollia; la Gutenberg B con 
                  due tipologie: grafomania, grafofollia; ed infine 
                  la Gutenberg C che provoca la nota reazione detta bibliofobia.
 Fin qui tutto bene (si fa per dire), se non fosse che le prime 
                  due forme del morbo, invece di mantenersi distinte e differenziarsi, 
                   ci illustra il patologo Giancaspro  recentemente 
                  hanno iniziato a frammischiarsi favorendo una vera e propria 
                  promiscuità tra lettori e scrittori, tra oratori e ascoltatori 
                  tra venditori e acquirenti di libri, causando lassoluta 
                  mancanza di profilassi culturale, il mancato rispetto per qualsivoglia 
                  forma di igiene dellerudizione, spesso lassenza 
                  di pudore mentale (p. 41), con la grave conseguenza  
                  tipica di tutte le malattie  di diffondere sia forme benigne 
                  del morbo, riscontrabili in chi sa leggere e scrivere, sia forme 
                  devastanti e maligne, presenti soprattutto in chi crede di saper 
                  leggere e saper scrivere, determinando financo forme più 
                  gravi, e peggio, di voler dare a credere di saper leggere e 
                  voler far sapere agli altri di saper scrivere. (ib.)
 A questo punto della lettura puntuale è il riscontrare 
                  alcuni sintomi descritti dallautore nel noi lettori 
                  che stiamo leggendo febbricitanti il libro. Sì, 
                  è vero
 ho tenuto un diario
ho scritto poesie
ho 
                  un romanzo nel cassetto
 che aspetta di essere pubblicato 
                  se trovo leditore giusto
. E se no, lo 
                  pubblico io
a mie spese
e poi
e poi, lo distribuisco
lo 
                  diffondo su Internet
 lo regalo alle Biblioteche
alle 
                  Associazioni
 agli amici. Sennò a che servono
gli 
                  amici?
 Vuoi vedere che  più o meno  siamo tutti 
                  contagiati dal morbo di Gutenberg? Ma cosa possiamo farci: 
                  ci piace! In fondo, è na passione chiu forte 
                  dna catena
 E Mauro Giancaspro ha saputo descriverla 
                  così bene che vien voglia  al pari suo  di 
                  essere tacciati quali untori.
  Gianfranco Marelli
     Parma 1922 
                   «Lindifferenza è il peso morto 
                  della storia. Lindifferenza opera potentemente nella storia. 
                  Opera passivamente ma opera. [
] Ciò che succede, 
                  il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa 
                  degli uomini abdica alla sua volontà». Con queste 
                  parole inquietanti e sempre attuali scritte da Gramsci nel 1917, 
                  Pino Cacucci decide di aprire un nuovo capitolo del suo percorso 
                  narrativo dedicato ai ribelli; sovente sconfitti ma grandiosamente 
                  intenti a fare la storia e a non subirla. In questa tessitura di recupero di una memoria collettiva, non 
                  può mancare una visita nelle vicende parmensi dellagosto 
                  1922: quando la resistenza popolare organizzata riuscì 
                  a spezzare lattacco squadrista e a creare il primo serio 
                  intoppo nellinarrestabile ascesa di Mussolini verso Roma.
 Oggi, camminando per le strette vie dellOltretorrente 
                  di Parma (il quartiere tradizionalmente popolare e turbolento, 
                  diviso dalla città clericale e nobiliare dal torrente 
                  Parma), sembra impossibile che sia stato abitato da gente disposta 
                  a tutto pur di difendere la propria libertà. Le piazze 
                  rifatte in stile piene di caffè e tavolini, 
                  rispecchiano una città che ha lasciato alle proprie spalle 
                  le radici sociali e, oramai satolla e bottegaia, si guarda melanconicamente 
                  indietro rimpiangendo i bei tempi del ducato dei Farnese e di 
                  Maria Luigia.
 Invece Cacucci ha il merito di recuperare unaltra anima: 
                  non quella della Barilla e degli stati pre-unitari ma quando 
                  Parma era lepicentro del sovversivismo italiano. Mai come 
                  nei trentanni a cavallo tra otto e novecento la città 
                  è stata viva, creativa e ribelle: snodo vitale della 
                  mappa politica italiana.
 Bastione delle lotte contadine, dellUnione sindacale Italiana, 
                  dei seguaci di Corridoni e De Ambris la città si trova 
                  ad affrontare la crescente marea fascista: lisola felice 
                  si trasforma in cittadella assediata.
 Mussolini e Farinacci sanno bene che Parma rappresenta un obiettivo 
                  ambizioso e imprescindibile: un baluardo da espugnare con la 
                  tattica di sempre. Concentrare da altre province il maggior 
                  numero di squadristi, garantirsi lappoggio delle istituzioni 
                  e dellesercito, operare con vandalica determinazione la 
                  distruzione di sedi, camere del lavoro e quantaltro di 
                  rappresentativo del movimento operaio e contadino.
 Ma le cose non vanno per il verso giusto: il prefetto e lesercito 
                  scelgono di rimanere neutrali e le diecimila camicie nere si 
                  trovano ad affrontare i ceti popolari guidati dagli arditi del 
                  popolo (organizzazione decisa a rispondere colpo su colpo alla 
                  violenza fascista).
 I fascisti, abituati a sopraffare si trovano in difficoltà 
                  malgrado siano comandati dal loro ras più prestigioso: 
                  Italo Balbo. Il solito copione non si ripete; in questoccasione 
                  si trovano davanti gente motivata a resistere, guidata da personaggi 
                  determinati come Guido Picelli e lanarchico Antonio Cieri: 
                  uomini e donne che, a dispetto delle decisioni quietiste della 
                  CGL, PSI e Partito comunista, decidono di dar battaglia mettendo 
                  in rotta dopo giorni di scontri sanguinosi la velleitaria armata 
                  fascista.
 Nel libro Oltretorrente (Feltrinelli, Milano, 2003, pagg. 
                  188, euro 13,00) la vicenda viene narrata con rigore storico 
                  da Cacucci, anzi, più che un romanzo a sfondo storico, 
                  lautore costruisce una storia a sfondo romanzesco, con 
                  un filo conduttore: non accettare lineluttabile. Il futuro 
                  non è scritto. Forse il fascismo sarebbe arrivato al 
                  potere comunque ma è un fatto che casi come Parma, Sarzana 
                  o Bari dove si decise di non essere vittime sacrificali, misero 
                  seriamente in difficoltà il cammino verso la dittatura.
 Questo spirito dOltretorrente rimane la migliore eredità 
                  di una città che oggi ha voluto dimenticare i suoi umori 
                  profondi, capace però di ricordare molti anni dopo al 
                  trasvolatore Balbo che: Tè pasé lAtlantic 
                  mo miga la Perma.
  Dino Taddei
 
     Lintenzione di 
                  giustiziare Mussolini  Quando lo intervistammo per il n. 
                  266, Giuseppe Galzerano ci disse che, dopo la biografia 
                  dedicata a Gaetano Bresci, si sarebbe occupato degli attentati 
                  degli anarchici contro Mussolini. Lo troviamo nella campagna di Casalvelino Scalo (Sa), nel suo 
                  studio, in mezzo a libri, carte, fotocopie e ritagli di giornali. 
                  Ha mantenuto fede al suo impegno e il suo nuovo libro, fresco 
                  di stampa, stavolta ricostruisce, in 560 pagine, la vita e la 
                  tragedia di un giovane anarchico veneto, Angelo Pellegrino Sbardellotto, 
                  che il 4 giugno del 1932 venne casualmente fermato e arrestato 
                  a Piazza Venezia a Roma. Dopo aver ricostruito gli attentati 
                  di Giovanni Passannante e di Gaetano Bresci, è al terzo 
                  attentato nel quale scava  ancora una volta  una 
                  storia sconosciuta dellaltra Italia.
 Allora un nuovo lavoro?  Sì, ma più che un lavoro il libro 
                  è il risultato di una passione per lo studio, per le 
                  storie sconosciute e minori del nostro paese, per le storie 
                  delle quali la storia ufficiale non si occupa, le trascura, 
                  le dimentica volutamente per la loro carica dirompente e sovversiva. 
                  La ricerca mi offre loccasione per ridare voce e volto 
                  ad un dimenticato dellaltra Italia, quella 
                  che non ha piegato mai la schiena al potere, ad un giovane e 
                  coraggioso combattente del fascismo. È una storia anarchica 
                  dellItalia antifascista, non di quella parolaia e vuota, 
                  ma di quella dellazione e del sacrificio personale per 
                  ridare la dignità e la libertà ad un popolo calpestato 
                  e annullato dal tallone della dittatura mussoliniana. Di fronte 
                  alle masse che non insorgono cè un giovane che 
                  si sacrifica.  Diciamo di chi si tratta...  Angelo Sbardellotto, originario di Mel (Bl), aveva appena venticinque 
                  anni. Veniva dal Belgio, dove era emigrato per sfuggire alla 
                  miseria e alla fame. Qui aveva avuto la possibilità di 
                  maturare la sua coscienza politica leggendo la stampa anarchica 
                  pubblicata in esilio. Si era convinto della necessità 
                  di abbattere il fascismo, che non si poteva abbattere con le 
                  chiacchiere, ma con i fatti e allora decise di venire in Italia 
                  per realizzare il suo obiettivo. Quando il pomeriggio del 4 
                  giugno 1932 fu arrestato era al suo terzo viaggio ed era riuscito, 
                  servendosi di un falso passaporto intestato a certo Angelo Galvini, 
                  ad attraversare le frontiere italiane senza problemi. Aveva 
                  una pistola e due bombe a panciera, che erano state sagomate 
                  alla sua conformazione fisica. Appena arrestato non nascose 
                  la sua intenzione di far fuori il duce. Sottoposto 
                  a tortura fu costretto a confessare un presunto complotto che 
                  sarebbe stato ordito in tre capitali europee: a Parigi, dove 
                  cera Alberto Tarchiani, ex giornalista liberale del Corriere 
                  della Sera, a Bruxelles, dove cera Vittorio Cantarelli, 
                  calzolaio anarchico e a Londra, dove cera Emidio Recchioni, 
                  negoziante anarchico che aveva fatto una certa fortuna con i 
                  prodotti italiani. Nessuno degli accusati rivendicherà 
                  mai la propria partecipazione a questo complotto. Anzi un tribunale 
                  inglese condannerà pesantemente il maggiore quotidiano 
                  londinese, il Daily Telegraph a risarcire Emidio 
                  Recchioni con 1.750 sterline, corrispondenti ad oltre 175 mila 
                  euro, che furono generosamente messi a disposizione dellattività 
                  antifascista. La stampa fascista gridò al complotto, 
                  anche se Sbardellotto aveva in tasca appena 843 lire, corrispondenti 
                  attualmente a 704 euro. Se non si è motivati da una forte 
                  esigenza politica di libertà, si può rischiare 
                  la propria vita per così poco? 
 Cosa successe a Sbardellotto?  Dopo larresto il 16 giugno 1932 venne processato dal 
                  Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e, dopo appena 
                  due ore di processo-farsa, fu condannato a morte solo per aver 
                  avuto lintenzione di uccidere Mussolini. Fu 
                  uninfamia e allo stesso tempo una barbarie giudiziaria 
                  e politica. Lintenzione non può essere 
                  assolutamente equiparata al reato, reato, che non aveva ancora 
                  messo in atto. Per poter realizzare unintenzione 
                  occorre il contributo di tante altre situazioni favorevoli. 
                  La condanna di Sbardellotto fu una terribile mostruosità 
                  giuridica, alla quale la milizia fascista, quando lo fucilò 
                  la mattina dopo, aggiunse una nuova pena: quella di fargli assistere 
                   ventinove minuti prima  alla fucilazione di Domenico 
                  Bovone, un antifascista genovese che era stato condannato ugualmente 
                  a morte. Il suo corpo non fu reso alla famiglia e fu seppellito 
                  di nascosto a testimoniare che Mussolini aveva paura anche degli 
                  anarchici morti!  
 Angelo Sbardellotto Dove hai trovato la necessaria documentazione?  In Italia e allestero. Naturalmente molto materiale si 
                  trova allArchivio Centrale dello Stato di Roma, dove sono 
                  riuscito a consultare anche documentazione riservata. Per quanto 
                  riguarda la ricerca sulla stampa anarchica del tempo ho trovato 
                  materiale allArchivio Famiglia Berneri di Reggio Emilia, 
                  al CIRA di Losanna, allIstituto per la Storia Sociale 
                  di Amsterdam. Ho trovato sempre la massima collaborazione e 
                  disponibilità, che mi ha aiutato ad andare avanti per 
                  documentare e ricostruire, con rigore storico e politico, la 
                  breve vita del giovane tirannicida e tutte le vicende legate 
                  al suo tentativo, insieme allammirazione e alle simpatie 
                  che il fallito attentato suscita in Italia e allestero. 
                  Nella minuziosa ricostruzione viene utilizzata per la prima 
                  volta unampia e inedita documentazione archivistica, tenendo 
                  conto anche degli articoli pubblicati sui giornali del tempo, 
                  dalla stampa fascista italiana e agli introvabili periodici 
                  pubblicati dagli anarchici e dagli antifascisti in esilio.  Il prossimo lavoro?  In genere alterno i libri, occupandomi anche delle rivolte 
                  della mia terra e a breve uscirà un saggio su una rivolta 
                  del Cilento avvenuta nel 1828 e poi subito dopo mi occuperò 
                  di altri attentati a Mussolini: o di Michele Schirru del 1931 
                  o di quello del 1926 attribuito al giovane Anteo Zamboni. Nel 
                  frattempo preparo la ristampa anastatica del volume di Virgilia 
                  DAndrea Torce nella notte.  Il volume di Giuseppe Galzerano, Angelo Sbardellotto. Vita, 
                  processo e morte dellemigrante anarchico fucilato per 
                  lintenzione di uccidere Mussolini, pag. 
                  560 con 40 foto, può essere richiesto direttamente alleditore 
                  Galzerano versando limporto di euro 25,00 a copia (per 
                  richieste di almeno 5 copie sconto del 30%) sul conto corrente 
                  postale n. 16551798 intestato a Giuseppe Galzerano 84040 Casalvelino 
                  Scalo/Sa o telefonando al telefax 0974 62028.   M. S.
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