| Noi anarchici siamo sempre stati  
                  e siamo  contro la guerra, non soltanto per le vittime 
                  e le immani sofferenze che procura, ma anche perché, 
                  armando la propria mano, luomo cede alle ragioni della 
                  violenza, rinuncia a esercitare la propria razionalità, 
                  soffoca la carica umana che gli è (o dovrebbe essergli) 
                  connaturata, acquisisce infine la cattiva coscienza di chi misura 
                  le forze non per aiutare i propri simili ma per entrare con 
                  loro in una competizione che, spesso, purtroppo, comporta leliminazione 
                  di chi è ritenuto avversario. Ma se ripudiamo la guerra, non siamo mai stati e non siamo neutrali, 
                  nel senso che ci siamo sempre schierati dalla parte dei popoli, 
                  che, da qualsiasi versante militino, sono gli unici a soffrire 
                  le conseguenze dei conflitti e rimangono di norma estranei alle 
                  ragioni che li provocano.
 Questa bussola che non abbiamo mai cessato di orientare correttamente, 
                  ci è di ausilio anche oggi, sebbene la dimensione dello 
                  scontro e la radicalità delle motivazioni che lo innescano 
                  sembrano trascendere le logiche tradizionali delle guerre tra 
                  stati.
  Ottusa e armata planetizzazione 
 Il fatto del tutto nuovo e rischiosissimo è che si tenta 
                  di coinvolgerci nellottusa, e armata, planetizzazione 
                  dei valori del mondo occidentale, nella presunzione speciosa 
                  che siano gli unici a garantire progresso e libertà per 
                  tutti. Nella realtà, almeno su alcuni di questi valori esiste 
                  un dibattito assai serio e serrato allinterno stesso del 
                  mondo occidentale e tocca innanzitutto lequa distribuzione 
                  delle risorse naturali, e di quelle prodotte, tra tutti gli 
                  abitanti del pianeta, i cui quattro quinti sono attualmente 
                  o vittime del sottosviluppo, o addirittura languono al di sotto 
                  della soglia di povertà.
 È  come tutti avrete capito  il problema 
                  della globalizzazione che, così come è impostato 
                  dai paesi delloccidente, passa, come la guerra, al di 
                  sopra della testa delle genti e, come la guerra, produce vittime 
                  e miseria diffusa.
 Vista con gli occhi di alcuni osservatori, anche assai qualificati, 
                  i processi e le istituzioni che regolano lespansione del 
                  modello economico occidentale hanno imboccato una strada senza 
                  uscita, che non risolve (anzi, non affronta neppure) i problemi 
                  della povertà e per ciò stesso innesca conflitti 
                  a catena, che coinvolgeranno, nel tempo, tutte le aree del pianeta.
 Nel mio piccolissimo, sono daccordo con questa visione 
                  pessimistica della situazione e cercherò di spiegarne 
                  le ragioni.
  Danni incalcolabili 
 Come modello teorico, la globalizzazione prospetta luniversalizzazione 
                  delle leggi del mercato, della libera circolazione dei capitali 
                  e della concorrenza. A presiedere e a guidare la globalizzazione sono tre istituzioni 
                  principali: il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca 
                  Mondiale e lOrganizzazione mondiale del commercio (WTO), 
                  tutti organismi da sempre egemonizzati dagli USA, anzi, dalle 
                  lobby economiche finanziarie americane.
 Ebbene, queste istituzioni sino adesso hanno provocato danni 
                  incalcolabili e non soltanto nei paesi in cui sono intervenuti 
                  per modificare situazioni di collasso economico-politico pericolose 
                  per lOccidente, ma nellOccidente stesso, incapace 
                  di pararne i contraccolpi.
 Le ragioni di questi disastri possono efficacemente sintetizzarsi 
                  nella pretesa di esportare modelli economico-finanziari del 
                  capitalismo maturo in contesti assolutamente impreparati ad 
                  applicarli.
 Cerchiamo di capire meglio.
 Il processo di formazione e di espansione del libero mercato 
                  ha impiegato circa due secoli per consolidarsi e per produrre, 
                  sia pure in un numero ristretto di paesi e a costi sociali elevatissimi, 
                  il sistema attuale vigente nei paesi a più alto tasso 
                  di industrializzazione.
 Il lento evolversi delle teorie della concorrenza, della funzione 
                  del denaro e della struttura della produzione ha proceduto di 
                  pari passo con la creazione ed il costante adeguamento degli 
                  strumenti economico-finanziari e legislativi che assicurassero 
                  equilibrio allintero sistema.
 Così le banche hanno a poco a poco articolato meglio 
                  i loro servizi alla clientela, il sistema borsistico si è 
                  adeguato al volume della richiesta di finanziamento del settore 
                  produttivo ed i mercati hanno via via risposto meglio alle esigenze 
                  dei consumatori. Parallelamente si arricchivano la normativa 
                  che presiedeva alle transazioni, le leggi che perseguivano lusura 
                  e laggiotaggio, le regole che tutelavano il lavoro e che 
                  assicuravano un sistema di sostegno per i più bisognosi
 Ma vi erano soprattutto strumenti di compensazione dei flussi 
                  economici che consentivano agli Stati di attenuare i dirompenti 
                  effetti della concorrenza nei periodi di crisi che ciclicamente 
                  investivano ora luno ora laltro paese del sistema: 
                  la flessibilità della parità tra le monete era 
                  uno di questi strumenti, ma non era il solo. Cerano anche 
                  il controllo dei prezzi delle materie prime, le misure antinflazionistiche 
                  e unattenzione particolare ai livelli delloccupazione.
 Ripetiamo: siamo lontanissimi dallesaltare il sistema 
                  di produzione capitalistico, ma gli riconosciamo una logica 
                  coerente ed il merito di aver comunque innalzato il livello 
                  di vita di intere aree geografiche, anche se spesso, imperdonabilmente, 
                  a spese di altre aree più lontane e meno privilegiate.
 Cosa avviene adesso con la globalizzazione perseguita dal capitalismo 
                  internazionale e progettata ed attuata dagli istituti, di cui 
                  si è detto sopra: il FMI, la BM ed il WTO?
 Avviene che lOccidente, nel momento in cui ritiene esportabile 
                  il proprio modello di sviluppo, si trova a dover risolvere in 
                  paesi terzi, ad economie, regole di vita e culture assai diverse 
                  dalle proprie, problemi che furono della sua preistoria industriale, 
                  e tutto questo in tempi limitatissimi, per renderli compatibili 
                  con gli equilibri del proprio sistema.
 E qui casca lasino.
  Il mito del mercato libero 
 Nel momento in cui si trovò ad affrontare la prima grande 
                  crisi dei nostri tempi, limplosione dellimpero sovietico 
                  (1989), lOccidente e le sue istituzioni economico-finanziarie 
                  sovranazionali mostrarono tutti i limiti della propria strategia 
                  di espansione. Il mito del mercato libero, della liberalizzazione 
                  dei prezzi e della circolazione senza regole dei capitali, tutte 
                  misure imposte al nuovo regime perché ottenesse aiuti 
                  dal FMI e dalla Banca Mondiale, crearono un disastro che sta 
                  ancora sotto i nostri occhi. In un paese in cui tutte le attività 
                  erano burocratizzate (cioè senza responsabilità 
                  dirette che non fossero quelle di attuare le decisioni del partito) 
                  e finalizzate prevalentemente allindustria bellica, liberalizzare 
                  i prezzi significò innescare un processo inflativo (a 
                  due cifre mensili) difficilmente controllabile se non con misure 
                  di alti tassi e di rivalutazione artificiale del rublo, che 
                  impoverirono ulteriormente il paese, mentre favorirono le speculazioni 
                  del capitale internazionale. I dollari finirono nelle mani degli 
                  alti burocrati, per lo più corrotti, che li portavano 
                  allestero il più delle volte, o che alimentavano 
                  un mercato interno  parallelo a quello ufficiale cui forzatamente 
                  accedeva la povera gente  delle merci e dei servizi acquistabili 
                  in dollari. Miseria e disoccupazione, uneconomia che non 
                  riesce a decollare sono i risultati più evidenti di quella 
                  che doveva essere la trionfale transizione del paese dalleconomia 
                  pianificata a quella di mercato. Né le cose andarono meglio quando il FMI e la Banca Mondiale 
                  si trovarono ad affrontare la grande crisi del sudest asiatico.
 I paesi che insistevano in questarea (la Malaysia, lIndonesia, 
                  la Corea, le Filippine) erano riusciti ad attuare politiche 
                  di piano che consentirono di creare e consolidare strutture 
                  produttive avanzate, utilizzando al meglio le risorse derivanti 
                  dal risparmio interno e dagli aiuti esteri. I tempi furono quelli, 
                  fisiologici, di uneconomia in crescita, che proteggeva 
                  adeguatamente le proprie realizzazioni, con il controllo rigoroso 
                  del mercato dei capitali, del tasso di cambio della moneta e 
                  con politiche che favorivano, con il decollo del PIL, la crescita 
                  generalizzata dei redditi.
 Limprovviso crollo della moneta thailandese nel luglio 
                  del 1997 e il deflusso massiccio dei capitali (prevalentemente 
                  speculativi) dalle borse dellarea innescarono una crisi 
                  che coinvolse direttamente il Giappone e lAmerica Latina, 
                  finendo con il lambire le economie nord americane e, di riflesso, 
                  lEuropa.
 Anche in questa circostanza lintervento del FMI fu ispirato 
                  a motivi di ordine politico, condizionando ancora una volta 
                  i suoi sostegni finanziari alladozione di misure liberistiche, 
                  controindicate per la soluzione dei problemi reali di quei paesi, 
                  alcuni dei quali, come lIndonesia, continuano a pagare 
                  i costi delloperazione.
 
  Perversa visione 
 Non insisterò sui guasti provocati da questa perversa 
                  visione del processo di globalizzazione imposto dallopulento 
                  Occidente ai paesi poveri o in via di sviluppo, perché, 
                  intanto, occorrerebbe ben altro spazio che non quello di un 
                  articolo per fornirne prove esaurienti, e poi perché, 
                  chi voglia davvero documentarsi su questi fatti, può 
                  accedere ad unampia bibliografia, che comprende, tra laltro, 
                  autori niente affatto critici nei riguardi del principio generale 
                  del mercato globale. A mio giudizio, lequivoco in cui incorrono questi ultimi 
                  è quello di attribuire i guasti ad errori di natura tecnica 
                  del FMI, oltre che a ragioni di carattere ideologico ed a scarsa 
                  conoscenza dei problemi reali dei paesi in soccorso dei quali 
                  è chiamato ad intervenire.
 La realtà di cui ci si rifiuta di prendere coscienza 
                  è che lOccidente non riesce ad elaborare progetti 
                  credibili che rendano compatibili, pacificamente, le velocità 
                  dei processi economici dellarea del capitalismo maturo, 
                  con la velocità dei processi di unarea, assai più 
                  vasta e dolente, che vede uninfinità di popoli 
                  arrancare alla ricerca di modelli di sviluppo sostenibili dalle 
                  loro, svantaggiate, condizioni di partenza.
 E tutto ciò in un contesto che vede alcuni di questi 
                  popoli detenere gran parte delle risorse energetiche, di cui 
                  lOccidente ha estremo bisogno.
 La scorciatoia che sembra avere imboccato il vertice del capitalismo 
                  mondiale è quella di scatenare guerre regionali per imporre 
                  protettorati in grado, non solo di garantirsi gli approvvigionamenti, 
                  ma di fare avanzare il più possibile i propri confini 
                  per fronteggiare i probabili conflitti mondiali futuri, del 
                  resto già scadenzati dal Pentagono: quello con la Cina, 
                  in primo luogo, previsto a metà del secolo in corso.
 Per queste ragioni la guerra allIraq è inevitabile 
                  e inevitabili appariranno le guerre che ad essa seguiranno. 
                  Le conseguenze per tutti noi sono difficilmente valutabili, 
                  anche perché, nellimmaginario collettivo dellOccidente, 
                  coloro che tenteranno di opporsi allescalation 
                  con le armi che sono proprie dei diseredati, assumeranno sempre 
                  più le fattezze di mostri riottosi, incapaci di 
                  comprendere che la loro unica speranza sta nella benevolenza 
                  dei più ricchi e nellaccogliere acriticamente i 
                  loro modelli di sviluppo.
 Posta così la questione, non si tratterà, per 
                  lottica occidentale, di fronteggiare conflitti di civiltà 
                  o di religione o anche soltanto di natura economica o strategica, 
                  ma di retrocedere alla logica che presiedette allo sterminio 
                  dei selvaggi popoli primitivi, al tempo della 
                  Conquista e, successivamente, alleliminazione degli indiani 
                  del continente americano.
 Tutto ciò è naturalmente insopportabile e cresce 
                  il numero dei mostri riottosi che popolano laltra 
                  metà del cielo delle società opulente, i quali 
                  avranno ulteriori motivi di riflessione nel momento in cui il 
                  ricatto economico porta dalla parte dei guerrafondai popoli 
                  di grande civiltà e di natura assai mite, quali gli ungheresi, 
                  i polacchi, i cechi e gli slovacchi.
 Infine, si parva licet..., due parole alla sinistra italiana.
 Dal momento in cui, con lacqua sporca della dittatura 
                  del proletariato, hanno buttato a mare anche il bambino dellinternazionalismo 
                  dei poveri e dei bisognosi, i politici di questarea si 
                  trovano oggi appiattiti sulle logiche di una democrazia rappresentativa, 
                  che non rappresenta, nel suo complesso, se non interessi di 
                  bottega mentre è sorda ai problemi generali che riguardano 
                  il resto del mondo.
 A testimoniare questo stato di torpore autarchico è la 
                  diffidenza verso tutto ciò che si muove al di fuori delle 
                  istituzioni consolidate, cioè la parte più vitale 
                  dei popoli dei cinque continenti.
 Stiano attenti, perché questi sono segni di un tramonto, 
                  senza speranza di una nuova alba!
  Antonio Cardella
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