| 
 In una società 
                  in cui il commercio è parte preponderante delle relazioni, 
                  spesso le azioni compiute dai singoli sono dettate dagli interessi 
                  che altri vi ripongono. Più le merci sono inutili e più è richiesta 
                  la loro promozione, e nella società occidentale contemporanea 
                  la stragrande quantità di oggetti e di servizi in commercio 
                  non è necessaria.
 Anche un piccolo artigiano ha interesse a vendere la sua merce. 
                  Se egli è consapevole che il suo lavoro è importante 
                  per la comunità in cui vive non ha necessità di 
                  promuovere il suo prodotto; le persone andranno direttamente 
                  da lui, senza bisogno di essere stimolate, in quanto il suo 
                  lavoro è utile.
 Il modello sociale contemporaneo è lontano da questo. 
                  Da una parte preleva risorse naturali e sociali e dallaltra 
                  immette nel mercato e stimola al consumo di una quantità 
                  enorme di merci spesso inutili.
 Il modello è governato da una continua proposizione di 
                  merci, come se attraverso di esse si possa acquisire una nuova 
                  condizione di vita inspiegabilmente migliore della precedente.
 La felicità è una questione individuale ma la 
                  condizione per esser felici dovrebbe essere la rimozione delle 
                  comuni ragioni di infelicità. E troppi sono i motivi 
                  per constatare che insieme non vi sono ragioni di felicità. 
                  Troppi gli interessi che impongono altre priorità, troppa 
                  lattenzione alle merci, troppo scarso limpegno nella 
                  ricerca di un benessere individuale e collettivo.
 Per lasciare libero lo spazio alla concretezza delle merci, 
                  lattenzione è indirizzata su valori alienati, estranei 
                  alla comune soddisfazione.
 Forse è opportuno ritrovare il senso della propria esistenza 
                  in comportamenti di cui conosciamo il significato e la finalità, 
                  nelladoprarsi con mezzi che siano omogenei al fine, nel 
                  recuperare un senso della società in cui ciascuno non 
                  sia rappresentazione di interessi o di ruolo, ma di utilità, 
                  per quello che sa effettivamente fare, di cultura, di tecnica, 
                  di esperienza, di creatività.
 Forse è opportuno consumare meno merci, per produrre 
                  meno merci, per lavorare di meno; perché ad ogni azione 
                  inutile, ogni merce inutile, corrisponde, da qualche parte, 
                  miseria e devastazione.
 Queste riflessioni si rivolgono a coloro che, nei paesi ricchi, 
                  possono dire di non conoscere la povertà. Coloro i quali 
                  hanno a disposizione una notevole quantità denaro (enorme 
                  rispetto ai 4/5 del mondo, infinitesimale rispetto ai veri ricchi) 
                  che spesso non risulta sufficiente per landamento del 
                  quotidiano, proprio in ragione dello sperpero di merci a cui 
                  partecipano.
 Essi sono, anche inconsapevolmente, le colonne di sostegno del 
                  mercato, coloro che acquisiscono maggiori quantità di 
                  merci, quelli che manifestano maggiori necessità.
 Essi possono, con i loro comportamenti, contribuire a rallentare 
                  questo aberrante meccanismo produttore di infelicità, 
                  limitandone il potere, riducendone lambito operativo, 
                  sottoponendolo a visione critica.
 Sfilandosi da esso, uscendo dalle sue consuetudini. Seppure 
                  impercettibilmente, seppure con piccole azioni, ognuno di essi, 
                  attraverso il proprio comportamento, attraverso la limitazione 
                  delle inutilità, può ridurre la potenza del modello.
 Comprando meno merci, dedicando più tempo al mantenimento 
                  degli oggetti, alla preparazione del cibo, se possibile alla 
                  sua produzione, muovendosi di meno.
 Piccole azioni che non risolvono completamente i nodi del problema 
                  ma che aiutano a ritrovare una consapevolezza sulla base della 
                  quale conservare la propria autonomia culturale e permettere 
                  una pratica meno infelice per noi dei paesi ricchi e per gli 
                  altri poveri e dei paesi poveri.
 Riflessioni che possono essere utili per cambiare atteggiamenti 
                  e abitudini di cui si sono sottovalutati i negativi effetti 
                  ambientali e sociali.
 Molti sono i sostenitori inconsapevoli di un modello ingiusto, 
                  incongruo, inefficiente che ogni giorno produce milioni di vittime, 
                  che ogni giorno annulla cultura e valori di intere comunità 
                  e ogni giorno porta violenza sugli oppositori, su coloro che 
                  esprimono un giudizio critico.
 Sostenitori per pregiudizio o per pigrizia più che per 
                  convinzione.
 Ma per coloro i quali non ritengono la sofferenza degli altri 
                  un indispensabile corollario del proprio benessere allora per 
                  costoro è possibile che sia stata solo una svista il 
                  fatto di aderire indiscriminatamente a questo modello.
 Spesso non si considera quanto attraverso le nostre azioni, 
                  quelle quotidiane, quelle consuete, abitudinarie, apparentemente 
                  innocue si sostengano interessi precisi, nocivi per lambiente 
                  e lumanità. E ciò avviene principalmente 
                  perché le scelte quotidiane sono poste come non scelte, 
                  ovvero come soluzioni normali senza alternative, perché 
                  sono sottovalutate nella loro importanza. I consumatori, così 
                  come possono creare un mercato lo possono distruggere. Ma questo 
                  i consumatori sembrano non saperlo.
 Non è necessario rimandare la ricerca e il raggiungimento 
                  del benessere ad un mondo tutto da realizzare, diverso, successivo. 
                  Un mondo cambiato dallacquisizione del potere, dalla vittoria 
                  elettorale, dalla rivoluzione sociale.
 Un altro mondo è possibile anche oggi, anche comportandosi 
                  in maniera diversa, dando così continuità tra 
                  loggi e il domani, lavorando così nel presente, 
                  per il presente e non solo per il futuro.
 Un altro mondo già esiste nellinfinita diversità 
                  degli uomini, nellenorme capacità mostrata da parte 
                  di popoli e individui di mantenere la propria cultura, la propria 
                  autonomia dal modello vigente.
 Molti sono i popoli che vivono al di fuori di esso, allontanati 
                  o non raggiunti, ma molte sono le comunità e gli individui 
                  che consapevolmente hanno preso le distanza da un modello fagocitatore 
                  e vivono secondo criteri più appropriati al proprio piacere, 
                  al benessere dalla comunità, alla gravità dei 
                  problemi ambientali e sociali del pianeta.
 E un altro mondo già esiste in queste persone che per 
                  scelta e con lucidità hanno intrapreso esistenze demercificate 
                  e stanno costruendo relazioni sociali, produttive, di scambio 
                  fondate sulla maggiore qualità ambientale, culturale 
                  e sociale.
 Il modello che viene praticato nei paesi occidentali tende costantemente 
                  a indurre la convinzione che questo criterio garantisce leliminazione 
                  della fatica: ma, accanto a strumenti che oggettivamente e utilmente 
                  eliminano la fatica (la lavatrice, p.es) ne introduce una mole 
                  enorme che solo apparentemente produce questo risultato (v. 
                  scopa elettrica, premiagrumi elettrico casalingo ecc.), ma che 
                  risultano appaiati nella presentazione delle meraviglie della 
                  tecnica. Il preteso riscatto dalla fatica, ognuno di noi può 
                  dirlo, non ci ha riscattati dalla stanchezza.
 Ognuna delle riflessioni che seguiranno suggerisce una piccola 
                  variazione dei comportamenti e implica una piccola fatica 
                  nel compiere azioni che abitualmente attuiamo e nel definire 
                  comportamenti diversi dagli abituali.
 È il recupero di questa piccola fatica che riduce il 
                  campo del mercato sostituendo le merci prefabbricate con la 
                  nostra diretta attività autogestita e non retribuita.
 Questa piccola fatica (v.s.) diviene il parametro di giudizio 
                  della convenienza a compiere azioni e ci aiuta a discernere 
                  tra i bisogni effettivi e quelli indotti tra i piaceri veri 
                  e quelli fittizi.
 Essa diviene metro temporale su cui misurare quanto è 
                  possibile fare in una giornata e quindi selezionare le azioni 
                  e porre loro dei limiti, limiti che il solo consumo pone molto 
                  lontano.
 Ma questa piccola fatica (v.s.) è anche lo strumento 
                  per mantenere la propria autonomia culturale e tecnica sia a 
                  livello individuale che di comunità ed è dunque 
                  mezzo per mantenere ciò che già cè 
                  e per contribuire nel presente ad un possibile altro mondo.
 Sbucciarsi le patate 
                  
 Prendere le patate, pelarle, lavarle, tagliarle, asciugarle, 
                  cuocerle. Unazione semplice. Che occupa poco tempo. Un 
                  momento in cui le mani agiscono, si riconoscono le parti buone 
                  e quelle cattive, si seleziona, se ne comprende e valuta lappropriatezza 
                  rispetto a quello che serve. La conoscenza avrà ripercussioni sul nostro acquisto 
                  al mercato dove selezioneremo le patate che ci soddisfano maggiormente 
                  e avrà ripercussioni sul nostro cucinare scegliendo il 
                  tipo di patata appropriato ai cibi.
 Unazione, sbucciare le patate, che mette a frutto la nostra 
                  capacità creativa nella modalità, nella forma, 
                  nelle dimensioni del taglio.
 Unazione che è tecnica e quindi culturale e che 
                  lascia il tempo di pensare: sgombera uno spazio temporale dal 
                  consumo e dalla produzione di lavoro e ci abitua a produrre 
                  per noi direttamente.
 La sostanza del cucinare è la capacità, creativa 
                  e tecnica, di predisporre autonomamente prodotti direttamente 
                  gestiti e consumati.
 I cibi prepuliti, precotti, eliminano tutto questo. Riducono 
                  il tempo di preparazione per lasciare tempo solo alla produzione 
                  o al consumo di merci e di servizi.
 Un atto piccolo, sbucciare le patate, preparare il proprio cibo, 
                  casomai insieme con altri, per fare prima, per dividerlo, per 
                  risparmiare.
 È difficile da fare? Poco moderno?
 Eppure
   Un sorso dacqua
 
 Gran parte delle città del nord del mondo è fornita 
                  di una rete di distribuzione dellacqua potabile. Negli anni passati ciascun cittadino ha sostenuto, civilmente 
                  ed economicamente, il peso della creazione di questo servizio 
                  che consente alla quasi totalità degli abitanti di questi 
                  paesi di avere a disposizione acqua potabile a basso costo nelle 
                  proprie abitazioni.
 Un diritto, più che un servizio, che conduceva fuori 
                  la società dalla sudditanza ai venditori di acque e al 
                  controllo da parte di pochi di un bene appartenente a tutti.
 Eppure in pochi anni, volontariamente, i cittadini hanno preferito 
                  lacqua minerale in bottiglia a quella del rubinetto. File 
                  al mercato, grandi pesi da portare, molti soldi da pagare, limitatezza 
                  delle risorsa, rifiuti incontrollati, aumento del traffico di 
                  veicoli commerciali, aumento del numero di incidenti stradali, 
                  accumulo di profitti, privatizzazione dei beni comuni, nuova 
                  sudditanza nei confronti di chi gestisce le acque. Nulla di 
                  tutto ciò pare interessare lacquirente delle acque 
                  minerali, che guarda con disprezzo scorrere lacqua dal 
                  rubinetto perché ha un sapore non buono.
 Lacqua, dallessere risorsa e bene comune inalienabile 
                  degli uomini, torna ad essere terreno di appropriazione, diventa 
                  merce, rappresenta il segnale di un interesse del mercato verso 
                  il controllo delle risorse primarie, quelle comuni, che comporta 
                  di fatto la limitazione dellautonomia degli individui 
                  e delle comunità.
 Sarebbe dunque giusto esigerne la buona qualità, insieme 
                  con la consapevolezza che la gestione di questa risorsa primaria 
                  è anche affidata a noi, alla nostra maniera di consumarne 
                  e di utilizzarne: riducendone gli sprechi, aumentandone il recupero, 
                  utilizzandola appropriatamente.
 Un atto piccolo: non comprare lacqua minerale, ma ambientalmente 
                  e socialmente importante.
 È difficile da fare? Imbarazza?
 Eppure
 
 Una vecchia 
                  automobile 
 Già questo: mantenere la vecchia automobile. Poi vecchia quanto? Un po. Un po di più di 
                  quanto il piacere di avere un nuovo modello ci imporebbe. Basterebbe 
                  questo per uscire da una dipendenza.
 Con la nostra vecchia auto risparmieremmo dei soldi, potremmo 
                  lavorare di meno, potremmo fare lavorare di più i meccanici, 
                  ripartire quindi la ricchezza nel tessuto sociale, sottraendola 
                  alla concentrazione del grande monopolio industriale.
 Lindustria delle automobili ha due obiettivi: vendere 
                  nuove auto e fare consumare benzina. Per raggiungere il primo 
                  obiettivo sostiene sia la dipendenza del modello insediativo 
                  dalla mobilità privata su gomma, che facendo percorrere 
                  più chilometri consuma le auto, sia il ricorso allintroduzione 
                  sul mercato di modelli sempre nuovi, accattivanti, che inducano 
                  allacquisto. Per il secondo obiettivo produce macchine 
                  che consumano molta benzina, aumentando (inutilmente, visti 
                  i limiti di velocità imposti e la ragionevolezza delluomo) 
                  le prestazioni in velocità e in potenza e aumentando 
                  la grandezza e il peso del veicolo.
 Per sostenere questi obiettivi organizza campagne di promozione 
                  enormi che suggeriscono modelli di vita: è possibile 
                  che ci siano alcuni che hanno fatto più figli solo per 
                  comprare automobili più grandi?
 Per lindustria dellauto il risultato è soddisfacente, 
                  tanto che nei paesi ricchi il capitolo di spesa afferente le 
                  auto è il secondo dopo lalimentazione come incidenza 
                  sul bilancio della famiglia media; e non per un anno, ma per 
                  una vita.
 Ripetendo con insistenza che dallindustria dellauto 
                  dipendeva la sorte delloccupazione di interi paesi, hanno 
                  indotto a credere che lesborso di denaro che veniva regolarmente 
                  richiesto ai consumatori fosse anche una sorta di partecipazione 
                  solidale alle sorti dei lavoratori.
 Ma oggi non vi è relazione tra merce e occupazione: pochi 
                  occupati possono fare molte merci e oggi non possiamo vantarci 
                  di non avere disoccupati nonostante siamo abboffati di auto. 
                  Comunque in Italia vi sono più forestali che addetti 
                  al settore auto, eppure nessuno ci ha mai invitato a piantare 
                  alberi per mantenere gli occupati.
 Mantenersi la macchina vecchia, ridurre i chilometri percorsi.
 È difficile farlo? È una libidine irrinunciabile?
 Eppure
 Il mercato dei figli
 
 I figli sono merce. Sono merce in gran parte del mondo perché 
                  vendibili e acquisibili, ma sono merce nei paesi ricchi perché 
                  ampliano il mercato e le sue potenzialità. Ridurre il numero degli individui implica di fatto ridurre il 
                  numero dei consumatori, e questo diviene preoccupante per il 
                  mercato quando si raggiunge il massimo degli acquisti possibile 
                  pro-capite.
 Ma i figli, nei paesi ricchi, sono una delle condizioni di massima 
                  concentrazione della domanda di merci: crescono, e quindi anno 
                  per anno cambiano abitudini e quindi prodotti necessari, sono 
                  sottoposti in modo massiccio alle pressioni delle mode e della 
                  pubblicità, e quindi spessissimo diventano veicoli tenaci 
                  della richiesta di prodotti di consumo.
 La pubblicità stimola oggi più delle chiese e 
                  degli stati alla procreazione. Maggiore è il numero di 
                  figli e maggiore è il mercato, maggiore il numero dei 
                  figli e più forte è uno stato, più grande 
                  una chiesa, più potente un esercito. In questo si rilegge 
                  la brama quantitativa che è alla base della nostra società: 
                  di più è meglio che di meno.
 Non è vero.
 Tenere i figli fuori dal mercato, pensare al pianeta come una 
                  collettività unica, diversa ma con alcuni grandi problemi 
                  comuni.
 È difficile farlo? Avere tanti figli è troppo 
                  appagante? Com-prare merci per i propri figli e fare dei propri 
                  figli una merce è soddisfacente? Sentirsi genitori solo 
                  dei propri figli carnali è indiscutibile?
 Eppure
    
 Un mondo che 
                  non cè 
 I settimanali, le riviste di moda, di costume, di critica, 
                  i rotocalchi, sono pieni di immagini di uomini e di donne che 
                  non corrispondono certo ai cittadini del mondo, ma neppure a 
                  quelli dei paesi ricchi. In una piazza, in un bar, in una stazione, al nord, al sud, 
                  non ci sono gli uomini e le donne presenti nelle riviste, non 
                  ci sono le loro espressioni, i loro usi, i loro problemi. Quello 
                  che cè dentro quelle pagine non cè 
                  fuori, e quello che cè fuori non cè 
                  dentro.
 Fuori di quelle pagine altra è la bellezza, altre le 
                  attività, altra la ricchezza, altri i problemi, altro 
                  il fascino.
 Un mondo che non cè ben separato da quello esistente 
                  e di cui si testimonia la possibile realtà attraverso 
                  le immagini costruite negli studi fotografici.
 La concretezza paradossale è data dalla tendenza da parte 
                  degli individui di apparire come quelle immagini e di uniformarsi 
                  ad esse.
 Sono infatti immagini a cui tendere, che servono a commercializzare 
                  merci.
 Gran parte dei rotocalchi è fatta di pubblicità, 
                  a cui viene assegnata la pagina di destra, quella maggiormente 
                  visibile, supportata da articoli di costume che non fanno che 
                  confermare il messaggio indotto dalla pubblicità.
 Dicono questi settimanali ben oltre quello che sostengono a 
                  parole, dicono quanto essi siano strumento di supporto al mondo 
                  delle merci. Dicono quando mostrano, dicono quando regalano 
                  oggetti inutili, dicono quando vendono la pubblicità.
 Non comprarle, non comprarne tante, leggerle usate riduce il 
                  consumo di carta, non alimenta il mondo delle merci, riduce. 
                  Si possono selezionare altre riviste, senza pubblicità, 
                  o si possono stimolare gli editori a una maggiore attenzione.
 È difficile da fare? È un passatempo irrinunciabile?
 Eppure
 Un panino da casa
 
 Un panino fatto giorni prima (fatto mesi prima?), con prosciutto 
                  o formaggio addizionato, conservato, farcito con crema di ignoto, 
                  immerso in un gas, chiuso in un contenitore di plastica etichettato, 
                  presentato come per alimenti, riscaldato da un forno a microonde. 
                  Decine di milioni di panini così invadono le stazioni 
                  ferroviarie, gli aeroporti, alcuni grandi nodi dove si concentrano 
                  grandi quantità di potenziali fruitori distratti, indaffarati, 
                  affamati, rapidi.
 Anni addietro nei treni passavano venditori abusivi di panini. 
                  Panini di giornata, con formaggio o salame, avvolti in carta. 
                  Furono nel tempo guardati, panini e venditori, come segno di 
                  sottosviluppo. Non garantivano la qualità. Erano plebei. 
                  Certamente la sera riciclavano il formaggio non venduto. Ora 
                  la qualità industriale è garantita.
 Comprate le concessioni, perseguiti in termini di legge gli 
                  abusivi (nelle stazioni hanno tolto anche le fontanelle per 
                  evitare di ridurre il mercato delle acque minerali), vinta la 
                  concorrenza di piccoli bar ed alimentari, lalimentazione 
                  nel mondo del viaggio è in mano a pochi gestori.
 Ma lalimentazione esterna alla residenza è in gran 
                  parte gestione e quindi proprietà di pochi, che garantiscono 
                  igiene ed efficienza ma non la qualità, né relativamente 
                  ai cibi né per quanto riguarda gli effetti che questi 
                  possono comportare.
 Non andare nelle grandi catene di ristorazione, preferire il 
                  piccolo artigiano.
 Portarsi un panino da casa con la frittata (che ha un peso ambientale 
                  minore del prosciutto) o con gli avanzi del giorno prima.
 Portarsi lacqua da casa, così da fare intendere 
                  che togliere le fontanelle non vuol dire aumentare automaticamente 
                  il mercato.
 È difficile farlo? È troppo imbarazzante?
 Eppure
  
 Una vacanza a casa 
                  
 Le vacanze: altro modo di consumare merci, merci naturali. 
                  Le vacanze vendono luoghi, paesaggi, ambienti intatti, società 
                  ospitali. Vendono i luoghi trasformandoli in quello a cui servono: 
                  infrastrutture, alberghi, autoveicoli, banche, impianti di risalita, 
                  piste da sci, pontili, ombrelloni, bar, ristoranti, windsurf, 
                  moto dacqua, piscine, gatti delle nevi, negozi, trampolini, 
                  piste su ghiaccio, residenze.
 Ogni volta che un luogo diviene turistico si trasforma, perde 
                  la sua naturalità, che è quello che lo ha reso 
                  di interesse, e viene adattato allimmagine standard del 
                  turismo globale.
 Ogni volta che una persona va da turista in un luogo conferma 
                  la necessità di quelle infrastrutture.
 Per il proprio piacere destruttura, danneggia ambiti pregiati, 
                  aumenta la dipendenza di quei luoghi da fattori esterni alla 
                  sua caratteristica, esporta un modello la cui limitatezza è 
                  evidente anche nei paesi più ricchi.
 Attua una razzia.
 E più il soggiorno è breve, più è 
                  attuato in strutture organizzate ed aliene dal contesto, più 
                  è lontano e maggiore è il peso ambientale e sociale 
                  della sua presenza.
 Ci si muove sempre di più. Sempre più breve la 
                  permanenza, sempre più lungo il tempo della percorrenza.
 Allungare le vacanze, stare nei luoghi più a lungo, conoscerli, 
                  partecipare ad essi, contribuire alla comunità.
 Non andare in paesi lontani, in luoghi incontaminati, in strutture 
                  organizzate, per poco tempo.
 È difficile farlo? È troppo angosciante lo stare?
 Eppure
 Immersi negli oggetti
 
 Un indiano Lakota non possedeva più di 200 oggetti, 
                  inclusi gli attrezzi, componenti dellabitazione, armi 
                  e vestiti. Noi viviamo immersi negli oggetti. Alcuni di questi hanno una 
                  funzione, altri sono assolutamente inutili.
 Il decimo orologio, il ventesimo accendino, la centesima penna 
                  a sfera, il quarto cellulare, la terza televisione, il diciottesimo 
                  elettrodomestico, le bomboniere, i pensierini affettuosi, i 
                  ricordi di viaggio, i soprammobili, i servizi da caffè, 
                  le attrezzature per i numerosi sport, le riviste, gli impianti 
                  per la musica, le radio, i computer, gli attrezzi per i mille 
                  passatempi, etc.
 Tutti oggetti che noi compriamo, ci facciamo regalare, ci regalano, 
                  mossi dal piacere di un attimo, dallo sfizio, del gusto irrefrenabile 
                  del bambino viziato che vuole un gioco nuovo, lo usa pochi minuti 
                  e ne cerca subito un altro.
 A questi si aggiungono le promozioni commerciali, le merci 
                  gratis: giornali, riviste, hamburger, salvagenti, pareo, 
                  cd, film, libri, formaggini, etc.
 Le case diventano sempre più piccole e il numero degli 
                  oggetti diventa sempre maggiore, in una sorta di parossismo 
                  collettivo.
 Scegliere quegli oggetti che effettivamente rappresentano qualche 
                  cosa, che ci possono accompagnare nel ricordo o nel piacere, 
                  in un numero limitato. Lasciare le offerte e i regali. Andare 
                  nei luoghi per vedere, capire, sentire ma non comprare.
 È difficile farlo? Non vi sono antidoti al morbo dellacquisto?
 Eppure
 Uno strumento appropriato 
                  
 Il grande sviluppo delle tecniche è sicuramente uno 
                  dei dati caratterizzanti il nostro tempo. Gran parte delle innovazioni sono dettate dalle caratteristiche 
                  del mercato e dalla necessità di immettervi nuove merci 
                  competitive, gran parte di queste merci è predisposta 
                  per il consumo individuale. Telefoni cellulari, che nelle successive 
                  evoluzioni divengono anche telecamere, registratori, strumenti 
                  di scrittura, computer che trasmettono musica e immagini; computer 
                  e televisioni sempre più connessi in una unica rete, 
                  sistemi per ascoltare la musica sempre più sofisticati, 
                  elettrodomestici elettronici, etc. sono alcuni esempi di un 
                  apparato in cui la tecnologia è lo strumento principale 
                  per fare vendere la merce.
 Il computer con cui si scrive ha una potenza pari o forse minore 
                  a quella che fu necessaria per mandare nello spazio i primi 
                  satelliti, eppure per gran parte delluso che se ne fa 
                  essi sono solo macchine da scrivere, calcolatrici o motori per 
                  videogiochi.
 Coglie serio il dubbio che lo strumento sia leggermente sovradimensionato 
                  rispetto a quello a cui realmente serve.
 Un autoveicolo di cinquemila di cilindrata che supera i 270 
                  chilometri allora e raggiunge i 100 km in tre secondi 
                  non è appropriato alla nostra necessità di movimento 
                  urbano, dove la media è 15km allora; una grande 
                  automobile fuoristrada, lunga più di cinque metri, con 
                  delle ruote alte un metro e spesse quaranta centimetri, pesante 
                  una tonnellata e mezza e con una portata di quasi una tonnellata 
                  non è appropriata per andare a comprare una spesa di 
                  venti chili; uno spremiagrumi elettrico di acciaio e plastica 
                  che consuma un kw, che ha bisogno di essere montato e smontato, 
                  pulito e ripulito prima e dopo luso, non è appropriato 
                  a spremere un limone.
 Forse non è necessario cambiare il nostro computer, lautomobile, 
                  il cellulare, il lettore ogni tre anni per comprare il modello 
                  più recente, più potente, con maggiore adattabilità 
                  perché già quello che abbiamo non lo usiamo completamente.
 Non solo la tecnologia è una merce ma i prodotti non 
                  sono appropriati.
 Rallentiamo la sostituzione. Manteniamo gli strumenti che possediamo, 
                  facciamoli invecchiare, innoviamoli in ritardo. Rallentando 
                  non diverremo noi stessi promotori del processo. Il mercato 
                  è sensibile e rallenta linnovazione delle merci 
                  se non incontra un adeguato riscontro.
 È difficile farlo? Non possiamo aspettare un po 
                  e vedere se possiamo farne a meno?
 Eppure
   
 Un bicchiere di plastica 
                  
 Un oggetto semplice, apparentemente inoffensivo ma che lentamente 
                  sta sostituendosi ai bicchieri di vetro. È più comodo, ovvero evita al gestore del bar 
                  di utilizzare la lavastoviglie, al barista di pulire i bicchieri. 
                  È più comodo, ovvero evita a casa di lavare i 
                  bicchieri, si mantiene la cucina più ordinata e si rigoverna 
                  con facilità.
 Ma quanti miliardi lanno di bicchieri di plastica si consumano? 
                  Quante migliaia di tonnellate di plastica vanno a discarica 
                  dopo un uso di qualche secondo: un sorso dacqua, al massimo 
                  un pasto.
 E quantè il costo ambientale del processo produttivo 
                  e dello smaltimento del rifiuto?
 Quanti operai ci vogliono per produrre questi miliardi di bicchieri? 
                  Pochi, pochissimi, enormemente meno di quelli necessari a fare 
                  altrettanti bicchieri in vetro.
 E quanti baristi in meno servono visto che non hanno nulla da 
                  lavare? Tanti, tantissimi.
 Ed allora questo oggetto semplice, apparentemente inoffensivo, 
                  comporta in realtà significativi effetti negativi nellambiente 
                  e nella società.
 Ed allora che cosa ci vuole a sciacquare un bicchiere di vetro, 
                  usandolo per una decina di anni, e dovè la difficoltà 
                  a chiedere al bar una tazzina di ceramica, che si usa per decenni, 
                  sapendo che si sta agendo per salvare il posto di lavoro forse 
                  proprio allinfastidito barista? Che cosa ci vuole a non 
                  consumare nei luoghi dove si serve solo nella plastica o in 
                  contenitori monouso?
 È difficile farlo? È troppo impegnativo?
 Eppure...
 Un gran caldo 
                  
 Tra auto di cilindrata sempre più elevata e facendo 
                  sempre più chilometri, utilizzando una quantità 
                  di energia di origine fossile enorme e scaricando inquinanti 
                  a tutto spiano, ansimiamo dal caldo. È possibile che non si riesca a collegare luso 
                  degli autoveicoli e dellenergia fossile al riscaldamento 
                  del pianeta?
 Una volta fatta questa connessione, fulminati dalla consapevolezza, 
                  dovremmo scendere dalle nostre auto e abbandonatole dove sono, 
                  muoverci a piedi, in bicicletta, sui pattini, a cavallo.
 Ma ciò non avviene. Persone del tutto normali, pur consapevoli 
                  del problema, nel momento in cui scelgono il loro autoveicolo 
                  guardano la forma, la velocità, il prezzo, gli accessori, 
                  la dimensione.
 Gli autoveicoli con i loro motori a scoppio ma anche, seppur 
                  in maniera molto minore, con le lamiere, sono dei riscaldamenti 
                  mobili.
 Eppure persone ragionevoli comprano autoveicoli di cilindrata 
                  sempre maggiore, eppure persone ragionevoli ogni anno fanno 
                  migliaia di ore in fila in macchina per andare a lavoro o peggio 
                  per andare in vacanza, senza un dubbio, senza unidea di 
                  mezzo alternativo, eppure persone ragionevoli consumano energia 
                  elettrica come se la sua produzione non avesse alcun effetto 
                  nellambiente e poi sulla loro salute.
 Fare meno chilometri con le auto, scegliere le cilindrate piccole 
                  a maggiore efficienza, andare più piano (per consumare 
                  meno), andare a piedi per piccoli percorsi, ridurre luso 
                  degli elettrodomestici.
 È difficile farlo? Siamo troppo dipendenti?
 Eppure
 
  
 La conoscenza indotta 
 Il televisore è una macchina fantastica. Attraverso 
                  di esso si vedono cose mai viste, ci si può rilassare, 
                  distrarre. Meravigliosa e incantatrice, la televisione ci mostra il mondo 
                  e ce lo racconta senza che noi ci si debba muovere dalla nostra 
                  poltrona; in realtà altera la nostra conoscenza e la 
                  nostra capacità di relazione, modificandoci la cultura 
                  e i criteri di osservazione, presentandoci contesti ignoti e 
                  con i quali non possiamo relazionarci.
 Definisce la nostra cultura impregnandola di fattori estranei 
                  e arbitrari, non connessi alla nostra esistenza se non attraverso 
                  la sua mediazione.
 Passivi, persi in una quantità di immagini paurosamente 
                  grande, delocalizzati, ci componiamo una conoscenza del mondo 
                  attuata con una specie di settimo senso: una visione 
                  molto più ridotta come estensione ottica dellimmagine 
                  oggettiva, ma incui ci immedesimiamo di più che in qualunque 
                  situazione oggettiva che comprenda tutti gli altri nostri sensi.
 Alienati, in sintesi. Inquinati di immagini.
 E proprio per questo la meraviglia e lo stupore, qualità 
                  elette delluomo di fronte al mondo, sono quasi esclusivamente 
                  utilizzati dalla televisione per veicolare merci e per sostenere 
                  e normalizzare un modello insostenibile.
 È possibile immaginare che non si comprino i prodotti 
                  pubblicizzati?
 È possibile immaginare che non si guardino programmi 
                  e reti che si comportano in maniera ambientalmente e socialmente 
                  scorretta, sostenendo o facendosi sostenere da merci e da comportamenti 
                  aberranti e dannosi?
 È difficile farlo? Siamo troppo assuefatti?
 Eppure
   
 Un vestito usato 
                  
 Il livello di spreco di un popolo si può desumere da 
                  quanto le merci che esso butta sono ancora interessanti per 
                  altri. In gran parte del mondo una moltitudine di persone setaccia 
                  le discariche alla ricerca di cibo e merci utilizzabili.
 Anche noi bisogna incominciare a cercare nelle nostre discariche. 
                  In primo luogo in quelle di casa, evitando di buttare materiali 
                  ancora utilizzabili e prima ancora di acquisire merci che già 
                  sappiamo non utilizzeremo a lungo. In secondo luogo mettendoci 
                  nella condizione di essere disponibili alluso di merci 
                  che altri hanno buttato ma che rispondono alle nostre esigenze.
 Queste non saranno forse esattamente uguali a quelle che avremmo 
                  comprato ma adattarle alle nostre esigenze ed adattare le nostre 
                  esigenze ad esse fa parte di una intelligenza operativa che 
                  ha caratterizzato da sempre lagire umano.
 Armadi, specchi, automobili, libri, riviste, vestiti.
 Nei numerosi mercatini domenicali affluiscono vestiti usati 
                  dei paesi più ricchi di noi e di persone maggiormente 
                  avvezze allo spreco.
 Maglioni, camice, calzoni nuovi o praticamente nuovi colpevoli 
                  di avere, al massimo, piccole macchie asportabili, scuciture 
                  ricucibili, bottoni mancanti sostituibili, minuscoli buchi rammendabili. 
                  Spesso merce di grande qualità che mantiene immutata 
                  la sua efficienza ma è considerata importabile.
 Forse è opportuno tralasciare i mercati dei prodotti 
                  della nuova moda (chi sa perché la moda cambia di stagione 
                  in stagione?) e recuperare almeno parzialmente mercati meno 
                  frenetici connotati da quella capacita di adattare e di adattarsi 
                  che rende minimo lo spreco.
 Mantenere i proprio vestiti a lungo, comprare anche vestiti 
                  usati e usare le merci smesse da altri.
 È difficile farlo? È troppo da poveracci?
 Eppure
 Condizionarsi laria
 
 Laria è il primo bene comune degli uomini, indispensabile 
                  e uniformemente diffuso su tutto il pianeta. La disabitudine della nostra civiltà a provvedere con 
                  mezzi semplici alle diverse condizioni poste alluomo dal 
                  clima (scegliere abiti più idonei, isolare adeguatamente 
                  le abitazioni, adattare i tempi del lavoro alle condizioni esterne) 
                  e laffidamento sempre più esteso alla tecnologia 
                  per la risoluzione dei problemi, hanno fatto sì che anche 
                  laria, in qualche modo, sia divenuta merce: riscaldata, 
                  raffreddata, depurata, in una parola: condizionata.
 Le temperature sono aumentate mediamente di pochissimo, un pochissimo 
                  sufficiente ad alterare i sistemi naturali ma non ancora a danneggiare 
                  gli uomini, specialmente quelli residenti nelle zone temperate.
 Laumento della temperatura ha fatto sì che in alcuni 
                  giorni dellanno essa sia pesante da sostenere. Ma questo 
                  disagio, in realtà riferito a un periodo brevissimo, 
                  ha indotto la collettività a ritenere che lunica 
                  soluzione sia linstallazione di impianti di condizionamento, 
                  che però procedono a funzionare con il calendario, e 
                  non con il termometro. E si assiste allassurdo per cui, 
                  per entrare in un supermercato o in un negozio, bisogna coprirsi, 
                  mentre fuori cè una temperatura invidiabilmente 
                  mite.
 La presenza diffusa di questi impianti fa sì che intere 
                  zone, luoghi e strade prima vissute regolarmente, si siano trasformate 
                  in fornaci insopportabili grazie alle emissioni dei condizionatori, 
                  che, notoriamente, freddano dentro e scaldano fuori. Per di 
                  più la fornace è rumorosissima e niente affatto 
                  discreta visivamente.
 La risposta ad un esteso disagio, ma ridotto nel tempo, invece 
                  di portare ad una riduzione dei movimenti e quindi del lavoro 
                  e dei consumi, invece di essere volta alla messa in opera di 
                  sistemi passivi, ambedue soluzioni che riducono le emissioni 
                  e il riscaldamento globale, per difendersi in quei pochi giorni, 
                  è di acquisire apparecchi di condizionamento.
 Milioni. Decine di milioni.
 Ciascuno di questi rinfresca laria interna ma sputa fuori 
                  calore: consuma energia e aumenta leffetto serra, cioè 
                  il maggiore responsabile dei disagi climatici.
 Una risposta imbecille. Senza scusanti.
 Rappresentazione del benessere fittizio individuale e menefreghista 
                  che questo mercato produce.
 Chiudere gli impianti di aria condizionata, ingegnarsi, per 
                  esempio, con tende, vegetazione, aumento della coibentazione 
                  di pareti e superfici vetrate per eliminare questa nuova e indotta 
                  sudditanza.
 È difficile farlo? Non riusciamo più ad adattarci 
                  al variare delle condizioni ambientali?
 Eppure
    
 Un amico coltivatore 
 Quando si mangia un pomodoro fa piacere sapere che esso è 
                  stato coltivato senza luso di sostanze chimiche dannose 
                  alla nostra salute, vicino al luogo dove noi lo consumiamo, 
                  senza quindi essere trasportato con grande consumo di energia, 
                  che è stato coltivato senza sfruttare nessuno, che è 
                  stato colto al tempo giusto senza svernare nelle 
                  celle frigorifere o negli impianti di maturazione a gas. Fa piacere sapere che non è stato pompato di acqua e 
                  di ormoni, che è cresciuto nel luogo adatto alla sua 
                  crescita usando lenergia del sole, non forzato da serre 
                  né da impianti per lanticipazione della maturazione. 
                  Fa piacere mangiare un pomodoro nel tempo dei pomodori e fa 
                  piacere mangiare un pomodoro che è stato coltivato con 
                  cura sapendo che chi lo mangerà avrà piacere a 
                  mangiarlo perché riconoscerà la qualità 
                  del lavoro svolto ed il piacere che un pomodoro, quel pomodoro, 
                  sa dare alla nostra esistenza.
 La merce pomodoro industrializzato questo non lo potrà 
                  mai garantire.
 Essa al massimo ci assicurerà di non avvelenarci immediatamente 
                  ma non chenon abbia usato nei processi produttivi sostanze che 
                  con il tempo ci danneggeranno. Tutto il resto è estraneo 
                  al pomodoro industrializzato.
 Allora per noi è importante connettersi a chi direttamente 
                  produce per noi con la qualità che richiediamo e che 
                  solo conoscendoci egli potrà garantirci.
 Un amico che fa i pomodori.
 Cercarli, sostenere le piccole produzioni. Fuori dal mercato 
                  industrializzato, costruendo relazione dirette.
 È difficile farlo? Non abbiamo più il piacere 
                  di quel pomodoro?
 Eppure
  
 Soldi da soldi 
                  
 Cè chi fa soldi sui soldi. In una società di merci il denaro assume unimportanza 
                  smisurata. Il denaro stesso diventa una merce e il guadagno 
                  maggiore è il guadagno sul denaro.
 Perché investire nelle borse e cercare di arricchirsi 
                  con esse? Non da un senso di irrequietezza leventuale 
                  aumento dei capitali? Non ci viene in mente che proprio a quei 
                  soldi possano corrispondere prelievi indiscriminati di risorse, 
                  speculazioni scorrette con popolazioni, ed impoverimenti di 
                  qualcun altro?
 Per aumentare il totale del mercato hanno privatizzato e quindi 
                  immesso nel mercato elettricità, acque, gas, petrolio, 
                  foreste, pascoli, proprietà comuni, tutti beni dellumanità 
                  prima che di chiunque altro e solo attraverso di essi la quantità 
                  delle transazioni è aumentata. E poi è aumentata 
                  fittiziamente sullaumento ottenuto.
 Attraverso questo meccanismo si sono arricchiti i ricchi e impoveriti 
                  i poveri, si sono svendute le risorse naturali e culturali, 
                  si è speculato sul benessere immettendo sul mercato quelli 
                  che erano servizi comuni.
 Che ha a che fare con questo mondo un impiegato, un artigiano, 
                  un piccolo imprenditore? Non lo governa, sa solo quello che 
                  alcuni vogliono che si sappia e, attenzione, quando vogliono 
                  che si sappia. Che abbiamo a che fare con questo mondo che si 
                  astrae dalle necessità e dal piacere degli uomini per 
                  traslare ogni interesse su un oggetto convenzionale come il 
                  denaro e che pone a ragione fondante di ogni decisione la capacità 
                  di produrre denaro?
 Ma sono i ricchi a possedere il denaro e a produrre denaro con 
                  il denaro, e applicare questo unico parametro è una iattura 
                  per tutta lumanità.
 Ridurre il gioco sul denaro. Non utilizzare le carte di credito, 
                  ridurre i servizi bancari, controllare dove vanno a finire i 
                  nostri soldi (per esempio sarebbe bello che non finanziassero 
                  le armi e le guerre), porre i risparmi in banca etica o in cooperative 
                  sociali, non speculare in borsa.
 È difficile farlo? Il nostro patrimonio finanziario ne 
                  trarrebbe nocumento?
 Eppure
 La panacea delle norme
 
 Nello scombinamento prodotto dalla grandezza e dalla penetrazione 
                  del mercato unico e dalla stravolgente quantità e tipologia 
                  di merci, di azioni, di servizi in vendita, le norme divengono 
                  una panacea. Si regolamenta tutto e gli utilizzatori sono garantiti dallapplicazione 
                  delle norme.
 Ma le norme possono essere sbagliate. In particolare quelle 
                  che riguardano le merci sono sbagliate in quanto definite appositamente 
                  per garantire gli interessi delle grandi compagnie.
 Così, ad esempio, in campo alimentare il fatto che i 
                  cetriolini in salamoia debbano tutti essere dritti e simili 
                  per peso e forma per rispondere alle norme di qualità 
                  europee ha tolto di mezzo i produttori non industrializzati 
                  che nonriescono a garantire quel livello di uguaglianza tra 
                  i cetrioli. Così il gelato artigianale, o il salame tagliato 
                  a mano, o il famoso lardo di Colonnata (per cui è stata 
                  cambiata la norma) sono tutte merci fuori legge.
 Le norme che afferiscono le merci hanno favorito e favoriscono 
                  una visione del mondo, industrializzata e omogenea, che elimina 
                  le tecniche locali e la cultura produttiva sostituendo tutto 
                  con prodotti uguali, asettici, ma non per questo salubri. In 
                  questo vengono favorite le grandi produzioni e il modello praticato 
                  dalla concentrazione della produzione e dalla distribuzione 
                  capillare dello stesso tipo di prodotto.
 Questo apparato normativo non garantisce i cittadini. Bisogna 
                  dunque controllare al di là delle norme ed essere critici, 
                  diffidando, comprendendo le motivazioni da cui le scelte normative 
                  sono derivate, cercando di sostenere le merci che mantengono 
                  caratteri ambientali e sociali corretti.
 È difficile farlo? È unulteriore fatica?
 Eppure
  
 Il mito del progresso 
                  
 Nella nostra cultura contemporanea il mito del progresso esercita 
                  una grande capacità di attrazione. Forse limpulso dato dai movimenti sociali nati nellottocento 
                  verso una fiducia nelle armi del progresso per il miglioramento 
                  delle condizioni delluomo (fiducia che a tratti si è 
                  radicalizzata in fede), forse il retaggio dellilluminismo 
                  che costruisce pragmaticamente laffidamento alla scienza 
                  e alla tecnologia per costruire un futuro migliore per luomo, 
                  sono i motivi che hanno fatto sì che la nostra società 
                  costruisse la sua immagine proiettata nel futuro: tutto ciò 
                  che è nuovo è automaticamente buono, tutto ciò 
                  che è moderno è di fatto migliore e preferibile 
                  allantico.
 Questo dogma, mai palesemente espresso ma del tutto implicito 
                  nel costume sociale, fa sì che il mercato, che è 
                  lespressione principale della nostra società, si 
                  avvalga di continui e imprescindibili richiami al nuovo, 
                  al moderno, al tecnologicamente avanzato 
                  per incrementare le vendite e i consumi.
 Il futuro, identificato con il progresso, viene anticipato anche 
                  come immagine di riferimento, e la maggior parte delle persone 
                  sembra adeguarsi a questa proiezione, cercando di somigliare 
                  a quella immagine, come se essa fosse lineluttabile condizione 
                  del futuro. Lade-guamento passa, ovviamente, per lacquisizione 
                  di merci che di quella proiezione sono i tratti identificanti. 
                  Sicché ci si sente moderni e anticipatori del futuro 
                  se si possiede lultimo modello tecnologico di una certa 
                  cosa. Sentirsi così equivale a sentirsi adeguati. 
                  Limmagine del nostro futuro viene costruita nei laboratori 
                  della pubblicità.
 Naturalmente non ci viene detto, per esempio, che lultimo 
                  modello di televisore in realtà è già ampiamente 
                  superato dalla tecnologia, e che non ci daranno in pasto lultimo 
                  modello finché tutti non avremo acquistato quello già 
                  vecchio.
 Potrebbe essere più interessante costruirci da soli la 
                  nostra immagine del futuro, scoprire che potrebbe 
                  non somigliare per niente a quella della pubblicità, 
                  scoprire che potrebbe essere infinitamente più bella 
                  e affascinante.
 Rifiutare di assomigliare agli androidi della pubblicità, 
                  sottrarsi alla mercificazione, sottrarsi ai comportamenti teleguidati, 
                  scegliere unaltra via in cui riconoscersi e riconoscere 
                  gli altri, esercitarsi ad inventare quello che potremmo essere.
 È difficile farlo? È talmente gratificante sentirsi 
                  adeguati al mondo che ci propongono? È quello il mondo 
                  futuro che vorremmo?
 Eppure
   
 Eppure
 
                  
 sembrano atti alla nostra portata. E lo sono. Piccole azioni 
                  quasi quotidiane che potrebbero modificare le relazioni tra 
                  il sistema delle merci e gli utilizzatori e quindi modificare 
                  il mercato con tutte le implicazioni ambientali e sociali che 
                  ciò comporterebbe. Il sistema di mercato è il tallone dAchille della 
                  nostra società, il punto di maggiore vulnerabilità. 
                  Se i criteri che ci vengono proposti come modelli sociali ci 
                  appaiono insostenibili, è necessario pensare che la loro 
                  modificazione non è necessariamente affidata ad una titanica 
                  ricostituzione di un modello diverso, ma potrebbe essere validamente 
                  e concretamente avviata dallacquisizione di comportamenti 
                  diversi dai previsti, e che vadano ad incidere proprio sul lato 
                  debole della struttura: il mercato. E riappropriarsi 
                  così della dignità delle proprie scelte e della 
                  libertà di compierle.
 Per un gruppo di persone di un villaggio africano basta una 
                  capra per modificare integralmente la propria esistenza, e non 
                  per un tempo determinato ma per sempre. Forse per noi, abitanti 
                  dei paesi ricchi, non basta così poco, ma sicuramente 
                  abbiamo anche noi la nostra capra che modifica il 
                  grande sistema in cui siamo inseriti e che oggi appare a molti 
                  unico, insuperabile e come tale fagocitatore e senza alternative.
 Oppure si ritiene che comunque ce la caveremo, che la specie 
                  umana, grazie alla tecnologia, riuscirà a trovare soluzioni 
                  atte a farci continuare questo cammino basato sullo sfruttamento 
                  insensato di uomini e natura, per permettere a pochi privilegiati 
                  di continuare il proprio standard di vita?
 È possibile. Ma è proprio questo cammino, indipendentemente 
                  dalle sue possibilità, che si vuole evitare di percorrere, 
                  costituendo oggi, e non in un imprecisato e sempre posticipato 
                  futuro, le condizioni per permettere la vita (e non solo la 
                  nascita) delle persone.
 E per fare questo non è possibile delegare ad altri o 
                  al futuro il compito ma bisogna divenire parte attiva attraverso 
                  il nostro corretto agire.
 Vogliamo credere che si sia in molti a pensare che questo modo 
                  non è possibile, che non è giusto, che non può 
                  essere condiviso. Per questo abbiamo voluto con semplicità 
                  riflettere criticamente sulla possibilità, attraverso 
                  comportamenti più attenti, di non essere strumenti di 
                  sostegno ad un modello che porta nel mondo miseria, sopraffazione, 
                  danni allambiente, alle comunità e alla salute.
 Perché non dovremmo esser attenti? Attenti come lo siamo 
                  stati per millenni ai segnali della natura, attenti agli altri 
                  uomini, attenti ai luoghi. Perché oggi dovremmo deporre 
                  questa capacità di discernimento ed attenzione sulla 
                  quale abbiamo sviluppato la nostra intelligenza e la nostra 
                  tecnica? Porre attenzione alle cose che si fanno, capirne il 
                  senso, considerarne gli effetti, lefficienza, la correttezza.
 La correttezza rispetto ad alcuni criteri sulla base dei quali 
                  discernere quello che è congruo fare e quello che può 
                  essere evitato. Criteri sulla base dei quali è possibile 
                  esprimere un giudizio sui comportamenti.
 Allora, ogni qual volta ci viene presentata una merce, sia essa 
                  nuova o innovativa, sia essa necessaria o utile, le domande 
                  che bisogna porci sono: qual è il suo impatto nellambiente?
 Riduce lurto imposto alla natura e al territorio rispetto 
                  alla soluzione precedentemente adottata? Quanto la sua fabbricazione, 
                  il suo uso, la sua dismissione migliora le condizioni dellambiente 
                  rispetto a quelle attuali?
 quante persone fa lavorare?
 Si è ricorso a processi industrializzati a basso uso 
                  di manodopera? Se è una merce prodotta in grandissime 
                  quantità, quale è stata lincidenza del lavoro 
                  umano e quanto sarebbe stato possibile trovare soluzioni alternative?
 quanti sono i beneficiari economici?
 I profitti della produzione, distribuzione e commercializzazione 
                  sono concentrati in pochi soggetti o sono distribuiti equamente 
                  nella comunità?
 Quanto esprime la cultura di una comunità?
 Quanta tecnica specifica è conservata nella merce? Quanto 
                  loggetto contribuisce a far permanere la conoscenza tecnica 
                  nella comunità e la sua autonomia produttiva?
 Ben sapendo che i problemi maggiori del nostro pianeta sono 
                  collegati ad un ambiente depredato, alterato e distrutto, alla 
                  mancanza di lavoro, alla concentrazione dei profitti, al depauperamento 
                  culturale ed asservimento delle comunità, se una merce 
                  ha un peso ambientale elevato, se la sua produzione fa lavorare 
                  poche persone, se aumenta la concentrazione dei profitti, se 
                  non esprime la cultura e la capacità propria di una comunità 
                  non è una merce che ci possa interessare.
 Essa è una merce che fa male, fa male ad altri uomini, 
                  induce povertà e asservimento, fa male allambiente, 
                  distruggendo gli ecosistemi, e proprio per questo non va utilizzata.
 E proprio in questo non utilizzo è anche richiesto il 
                  nostro discernimento.
 Un altro modo è possibile.
 
                   
                    |  Questo 
                        opuscolo 
                        è stato prodotto da Antiglo 
                        - antiglo@email.it 
 Le 
                        attività svolte da @ntiglo si propongono di contribuire 
                        alla diffusione di alcuni temi, secondo noi importanti 
                        per lelaborazione di un modello critico nei confronti 
                        dellattuale momento storico, temi che, seppure fortemente 
                        presenti in vasti ambiti della coscienza critica internazionale 
                        e vivamente trattati e dibattuti, non sono ancora patrimonio 
                        esteso della comunità. La forma che abbiamo scelto di seguire nellesporre 
                        queste tematiche tende a sottolineare limportanza 
                        del comportamento individuale allinterno di una 
                        dinamica più generale che mira ad opporsi ad un 
                        modello globale di società quale è 
                        quello che ci viene proposto o imposto, convinti che il 
                        carico di iniquità, pericolosità e arbitrio 
                        che implica per gli uomini e lambiente non può 
                        trovarci in nessun modo concordi.
 Azioni e comportamenti che suggeriamo sono caratterizzati 
                        dal desiderio condiviso di non subire un modello ingiusto 
                        e di ricercare soluzioni praticabili oggi, in presenza 
                        del modello, senza rimandare il buon vivere a momenti 
                        futuri. Per quanto possibile. Senza forzare le convinzioni 
                        ma con la forza delle convinzioni, senza uso della violenza, 
                        senza martiri né martirii. Fin quando sussiste 
                        anche una minima possibilità di operare sul convincimento.
 I materiali di @ntiglo sono fuori dal mercato. Sono, fin 
                        quando rimangono copie, gratuiti, sono scaricabili dal 
                        sito, sono riutilizzabili fin quando si vuole con la sola 
                        richiesta di citare la fonte e gentilmente comunicare 
                        dove si sono utilizzati.
 Per contattare antiglo@email.it
 
 Un 
                        altro modo è possibile Testi di Adriano Paolella e Zelinda 
                        Carloni
 Grafica di Paola Venturini
 Supplemento 
                        al n. 287 (febbraio 2003) della rivista mensile anarchica 
                        A, direttrice responsabile Fausta Bizzozzero, registrazione 
                        al tribunale di Milano n. 72 in data 24.2.1971, stampa 
                        e legatoria Sap s.n.c. (Vigano di Gaggiano - Mi). 
 Editrice A, cas. post. 17120, I - 20170 Milano
 tel. (+ 39) 02 28 96 627,
 fax (+ 39) 02 28 00 12 71
 e-mail arivista@tin.it
 sito web www.anarca-bolo.ch/a-rivista
 conto corrente postale 12 55 22 04
 conto corrente bancario n. 107397 presso Banca Etica
 filiale di Milano (abi 05018, cab 01600)
 |  |