|  Rizzi 
                  antisemita?
 Sullultimo numero di «A rivista anarchica» 
                  (n. 9, dicembre 2002/gennaio 2003, pp. 24-28), Gianpiero Landi 
                  si è profuso in una lunga recensione della prima edizione 
                  integrale de La Burocratizzazione del Mondo, da noi curata 
                  per i tipi delle Edizioni Colibrì. Poiché però, 
                  oltre ad un innegabile tentativo di comprensione storica, vi 
                  sono anche una serie di affermazioni che ci tirano direttamente 
                  in causa, mi pare doveroso precisare alcune cose. Tanto per 
                  cominciare, ci pare giusto dire, senza alcuna reticenza, che 
                  già dal momento in cui decidemmo di intraprendere la 
                  cura di questa prima edizione mondiale del libro di Rizzi, prevedevamo 
                  che lattenzione si sarebbe immediatamente concentrata 
                  sulla questione più eclatante, e cioè sulle poche 
                  pagine che Rizzi dedica alla questione ebraica. 
                  Più tardi, ci dicevamo, forse si entrerà nel merito 
                  dei problemi teorici e storici sollevati nel libro. Problemi 
                  che, sia detto per inciso, rimangono ancora oggi questioni tuttaltro 
                  che irrilevanti. Dunque, da questo punto di vista, nessuno stupore 
                  da parte nostra per quella che, ragionevolmente, prevedevamo 
                  essere laccoglienza che il libro avrebbe avuto. Ci sembrava 
                   e ci sembra  infatti fuori discussione censurare 
                  detto capitolo, anche perché, se lo avessimo fatto, certi 
                  sepolcri imbiancati non avrebbero sicuramente mancato 
                  di esecrare un simile gesto oscurantista. E neppure si poteva 
                  fare finta che non esistesse, nascondendo la testa sotto terra 
                  come gli struzzi. Il nostro compito, perciò, come curatori 
                  del volume, si doveva limitare a una precisa contestualizzazione 
                  storica di quello che Rizzi definì sempre come un film 
                  di pensiero. Contestualizzazione storica tanto più 
                  necessaria, in quanto tutto lo svolgimento del libro è 
                  indissolubilmente incistato negli eventi di quella tragica epoca. 
                  Con lealtà, Gianpiero Landi ammette infatti che «il 
                  capitolo sulla questione ebraica è costituito 
                  da poche pagine e per di più è confinato in unappendice, 
                  del tutto marginale nelleconomia del libro, e poco ha 
                  a che vedere con le idee fondamentali dibattute nel volume» 
                  (p. 26). Ciò che ci stupisce invece, stando a quanto scrive Landi, 
                  è il volerci coinvolgere nella questione, 
                  come se pure noi fossimo responsabili di quanto affermato dal 
                  Rizzi. Scrive infatti Landi: «Pur riconoscendo la validità 
                  di molte affermazioni, dissentiamo in buona misura dalle considerazioni 
                  sviluppate da Sensini nella sua introduzione, a nostro avviso 
                  troppo giustificazionista. Abbiamo limpressione che la 
                  simpatia per il suo autore, in questo caso, abbia fatto velo 
                  alla chiarezza del giudizio critico, che avrebbe dovuto essere 
                  più duro» (p. 26).
 A Landi non basta che noi, nellaffrontare tale vicenda 
                  nel nostro saggio introduttivo, «non abbiamo alcuna 
                  intenzione di sminuire la gravità delle sue affermazioni 
                  [di Rizzi]» (p. CXIX), e neppure si accontenta che «deploriamo 
                  fermamente [
] luso di generalizzazioni discutibili 
                  e sbrigative utilizzate dal Rizzi nel capitolo sulla questione 
                  ebraica» (p. CXXXVII). Ciò di cui Landi non 
                  si dà ragione (lui la chiama simpatia) è 
                  il fatto che, oltre a ciò, «ci preme fornire con 
                  precisione tutti gli elementi possibili, in modo che ciascuno 
                  possa giudicare col massimo di obiettività» (p. 
                  CXIX). E quali sono gli «elementi» che ci siamo 
                  sforzati di fornire, senza con ciò voler minimamente 
                  sminuire le affermazioni di Rizzi?
 In primo luogo, una precisazione di fatto: e cioè che 
                  allepoca in cui Rizzi scriveva (fine 1938, inizi 1939) 
                  non vi era alcuna avvisaglia della cosiddetta soluzione 
                  finale. Precisazione che non vuole giustificare alcunché, 
                  ma che comunque non è assolutamente da sottovalutare, 
                  vista la perentorietà delle affermazioni di Landi. Forse 
                  che nella ricostruzione storica della genesi di un libro non 
                  era giusto ricordare questo piccolo particolare, ma tuttaltro 
                  che irrilevante? A leggere quanto scrive Landi, sembrerebbe 
                  che i campi di concentramento fossero stati aperti appositamente 
                  per gli ebrei, cosa che non risponde affatto a verità. 
                  Diversi anni prima, vi avevano già trovato ospitalità 
                  anarchici, comunisti, omosessuali, handicappati, zingari ed 
                  altre categorie sociali invise ai nazisti o refrattari al regime. 
                  I campi, per la precisione, non sono neppure uninvenzione 
                  di Hitler, ma erano già stati sperimentati molto prima, 
                  con grande successo (si fa per dire!) nella patria del 
                  socialismo, cioè in Unione Sovietica. Anche in 
                  Francia, del resto, il governo che fece requisire il libro di 
                  Rizzi, era lo stesso che aveva fatto aprire, nel 1939, i campi 
                  di concentramento per accogliere i rivoluzionari 
                  che fuggivano dalla Spagna controrivoluzionaria e franchista.
 In secondo luogo, ciò che ci si rimprovera è laver 
                  dato conto di quello che fu lapproccio alla questione 
                  ebraica allinterno del movimento rivoluzionario 
                  moderno, e non solo dei punti di vista di Fourier, Proudhon, 
                  Bakunin e dello stesso Marx, già di per sé assai 
                  significativi. Mi rendo conto che ciò non sia politically 
                  correct, ma perché tante difficoltà e inibizioni 
                  a voler analizzare con ratio e senza anatemi questo futuro 
                  alle spalle che ci riguarda così da vicino? Forse 
                  perché è giustificazionista? Non prendiamoci 
                  in giro!
 Infine, e qui ravviso la maggiore difficoltà di Landi 
                  a seguire le nostre considerazioni, è laver 
                  dato conto dei collateralismi  se non dellaperta 
                  complicità  che, in taluni casi, eminenti personalità 
                  della comunità israelitica tedesca e non solo, hanno 
                  fornito al nazionalsocialismo, sia al momento della sua affermazione 
                  politica, sia nel prosieguo della sua tragica ecatombe. Anche 
                  in questo caso, lo ripetiamo ancora una volta, non cè 
                  alcuna volontà giustificazionista delle considerazioni 
                  rizziane, ma il tentativo di documentare, in sede storica, tutte 
                  le ambiguità e le sottovalutazioni che vi sono state 
                  nel periodo in oggetto. La storia non è, come certa storiografia 
                  vorrebbe farci credere, una semplice sequela di coppie del genere: 
                  bianco o nero, buono o cattivo, bello o brutto, ma una panòplia 
                  di situazioni che solo il giudizio critico e retrospettivo può 
                  afferrare con ragionevole prospettiva. Dunque, per quale strano 
                  ukase dovremmo interdirci dallindagare a fondo 
                  le turbinose correnti che attraversano anche la storia recente?
 Cosa direbbe, per esempio, il lettore doggi nel sentire 
                  frasi come quelle pronunciate nel 1934 da una delle più 
                  importanti personalità del sionismo mondiale come il 
                  rabbino Joachim Prinz, secondo il quale «il significato 
                  della Rivoluzione tedesca per la Nazione germanica si rivelerà 
                  in tutta la sua chiarezza a coloro che lhanno creata e 
                  le hanno dato limmagine. Per noi  continuava Prinz 
                  nel suo libro Wir Juden (1934)  il significato 
                  è che il liberalismo è morto. Sono finite le fortune 
                  dellunica forma politica che ha contribuito allassimilazione 
                  degli ebrei», avallando con ciò la satrapia nazista. 
                  Oppure sapere che, tra i finanziatori di Hitler, vanno annoverati 
                  importantissimi banchieri ebrei? O che, ancora, terroristi come 
                  Yitzhak Shamir e Menahem Begin (divenuti nel dopoguerra Primi 
                  ministri di Israele), trattarono ripetutamente con i nazisti 
                  importanti questioni geopolitiche?
 Ciò significa che costoro sono responsabili di quanto 
                  poi è successo? Niente affatto. Significa solamente che 
                  le cose sono molto più intricate e sfaccettate di quanto 
                  oggi, certa pubblicistica, vorrebbe far credere.
 Ci fermiamo qui, per non tediare ulteriormente il lettore con 
                  argomentazioni che, se vorrà, potrà ritrovare 
                  in modo più ampio e articolato nel nostro saggio introduttivo. 
                  Qui, ci interessava solo dare conto dello spirito con cui è 
                  nostra abitudine affrontare le questioni, spirito alieno le 
                  mille miglia da tutto ciò che può, anche indirettamente, 
                  alimentare cacce alle streghe. Per noi, prima viene 
                  la comprensione storica di un problema, e poi il giudizio critico 
                  su di esso, non il contrario. Lemotività, per quanto 
                  ineliminabile, deve stare il più lontano possibile dalla 
                  ricerca storica.
 Infine, unultimissima notazione. In esergo alla 
                  sua recensione, Landi pone una citazione di Guy Debord che, 
                  ci pare, può però ingenerare qualche fraintendimento 
                  viste poi le argomentazioni che fa seguire poco dopo. La citazione 
                  è questa: «Ecco il libro più sconosciuto 
                  del secolo, e si tratta appunto del libro che, fin dal 1939, 
                  ha risolto uno dei principali problemi in cui questo secolo 
                  si è imbattuto
». Ma qual è il problema 
                  di cui parla Debord, cioè il soggetto della frase? Non 
                  la questione ebraica od altro, come si potrebbe 
                  forse erroneamente inferire, ma «la natura della nuova 
                  società russa, la critica marxista della forma di dominio 
                  che vi è apparso».
 Paolo Sensini(Milano)
    ... 
                  Direi proprio di sì!
 Paolo Sensini non è rimasto del tutto soddisfatto dalla 
                  mia recensione al libro di Bruno Rizzi da lui curato. Me ne 
                  rammarico, ma devo dire che non trovo nella sua lettera nulla 
                  che mi possa portare a modificare, anche solo in qualche dettaglio 
                  marginale, ciò che ho scritto. Prima di entrare nel merito delle argomentazioni contenute nella 
                  lettera di Sensini, ritengo opportuno fare una precisazione. 
                  Credo che chiunque abbia letto la mia recensione si sia reso 
                  conto del fatto che i miei rilievi critici nei suoi confronti, 
                  pochi e circoscritti, si appuntavano esclusivamente al modo 
                  in cui egli ha trattato, nella sua introduzione, le pagine di 
                  Rizzi sulla questione ebraica. (Pagine  osservo en 
                  passant  che non ho mai pensato dovessero essere censurate: 
                  i testi e i documenti storici, anche discutibili, vanno pubblicati 
                  nella loro interezza. Semmai, il problema è contestualizzarli 
                  nel modo giusto). Questo non toglie nulla al valore delloperazione 
                  culturale portata avanti da Sensini, che giudico di notevole 
                  interesse e ampiamente apprezzabile. Avere recuperato un testo 
                  importante ma introvabile e poco conosciuto come La Bureaucratisation 
                  du Monde, averlo pubblicato per la prima volta in assoluto 
                  nella sua integralità con un lavoro filologicamente corretto, 
                  avere contestualizzato e arricchito il testo con una lunga e 
                  informata introduzione e con un ricco apparato di note e di 
                  appendici di documenti, costituiscono un merito rilevante di 
                  cui qualunque studioso dovrebbe andare fiero. Sensini ci ha 
                  restituito un capitolo, fino ad oggi trascurato e misconosciuto, 
                  della storia della cultura politica e sociologica del Novecento, 
                  e tutti dovremmo essergli grati di questo. Tra laltro, 
                  mi risulta che Sensini abbia intenzione di andare avanti sulla 
                  strada iniziata, ripubblicando nel prossimo futuro anche tutte 
                  le altre opere di Rizzi in edizione critica. Il progetto è 
                  apprezzabile e merita di essere incoraggiato, perché 
                  Rizzi è sicuramente un autore interessante. Per certi 
                  aspetti anche affascinante.
 Tra gli studiosi che si sono occupati di lui qualcuno lo considera 
                  un genio, altri sono più cauti e invitano a non sopravvalutarlo. 
                  Tutti, in ogni caso, riconoscono che merita di essere studiato 
                  e conosciuto meglio di quanto non sia avvenuto fino ad oggi. 
                  Per quanto mi riguarda, nella mia recensione credo di avere 
                  valorizzato nella giusta misura lanalisi condotta da Rizzi 
                  sulla natura sociale dellURSS e la sua innovativa teoria 
                  del collettivismo burocratico (a questo si riferiva con ogni 
                  evidenza la citazione iniziale di Guy Debord, e ritengo che 
                  nessun lettore possa avere avuto dubbi in proposito). Era questo, 
                  del resto, largomento centrale del suo libro del 1939, 
                  ora ripubblicato da Sensini completo anche delle parti che lautore 
                  allepoca aveva deciso di non inserire.
 Ma Rizzi non era sempre rimasto al tema, aveva inserito nel 
                  suo libro anche la famigerata appendice sulla questione ebraica. 
                  Con affermazioni francamente ignobili, che non sto qui a ripetere. 
                  Chi legge il libro, e a maggior ragione chi ne scrive, non può 
                  fare finta di niente. Il fascino intellettuale e la genialità 
                  non sono sempre incompatibili con le concezioni politiche più 
                  aberranti e con il razzismo, come talvolta ci piacerebbe pensare. 
                  Ezra Pound e Louis-Ferdinand Céline possono essere considerati 
                  tra i più grandi scrittori del secolo da poco trascorso, 
                  ma sono stati notoriamente antisemiti e filonazisti. La qualità 
                  delle loro opere letterarie non è in discussione, e personalmente 
                  le leggo con piacere e interesse, ma le loro scelte politiche 
                  mi fanno vomitare. So che alcuni non riescono a distinguere 
                  tra i due piani, ma non è il mio caso.
 Sensini non può stupirsi del fatto che io abbia parlato 
                  dellantisemitismo di Rizzi. Del resto, lui stesso riconosce 
                  di avere ampiamente previsto che alluscita del libro lattenzione 
                  si sarebbe immediatamente concentrata sulla questione più 
                  eclatante, e cioè sulle poche pagine che Rizzi dedica 
                  alla questione ebraica. Che Sensini ne fosse 
                  consapevole, lo dimostra anche il fatto che abbia dedicato a 
                  questo aspetto (che entrambi riteniamo marginale nella struttura 
                  del libro) almeno 20 pagine della sua introduzione. Proporzionalmente 
                  uno spazio superiore a quello che vi ho dedicato io nella mia 
                  recensione. Sensini dunque non si stupisce (perché non 
                  potrebbe) del fatto che io ne abbia parlato. Si stupisce invece 
                  di come ne ho parlato. Secondo lui lo avrei voluto coinvolgere 
                  nella questione, come se anchegli fosse responsabile di 
                  quanto affermato da Rizzi.
 Su questo punto, particolarmente delicato, voglio essere molto 
                  chiaro. Personalmente non ho mai scritto, e neanche pensato, 
                  che Sensini condivida le affermazioni antisemite di Rizzi. Ho 
                  scritto però, e lo ribadisco, che la sua introduzione 
                  appare troppo giustificazionista, e che avrebbe dovuto prendere 
                  maggiormente le distanze da quelle affermazioni. Proprio perché 
                  non penso che ciò si debba a una condivisione delle idee 
                  di Rizzi da parte di Sensini, ho ipotizzato che la ragione vada 
                  rintracciata nella simpatia che ogni biografo finisce per provare 
                  per il proprio biografato, e che talvolta porta a minimizzarne 
                  gli errori e i difetti. È un meccanismo ormai noto, fin 
                  troppo umano, a cui è obiettivamente difficile sottrarsi, 
                  soprattutto quando la frequentazione con i documenti che riguardano 
                  la vita e le opere di un autore si prolunga per diversi anni.
 Sensini nega che di simpatia nel suo caso si tratti, 
                  e io non posso fare altro che prendere atto della sua affermazione. 
                  Egli rivendica piuttosto di avere voluto fornire con precisione 
                  tutti gli elementi possibili, in modo che ciascuno possa giudicare 
                  con il massimo di obiettività. Come dichiarazione 
                  di intenti non è male, si potrebbe anzi dire che questo 
                  sia il compito precipuo di ogni storico autentico. Purché 
                  non ci si dimentichi dei giudizi di valore di fondo, che in 
                  questo caso dovrebbero essere assodati e che non è necessario 
                  rimettere in discussione ogni volta. Intendo dire che giudico 
                  con favore lapparizione di ogni nuovo studio storiografico 
                  serio sul fascismo o sulla Shoà che faccia avanzare la 
                  conoscenza su questi fenomeni, ma non ho bisogno di nuovi studi 
                  per formulare il mio giudizio sul fascismo e sulla Shoah. Quello 
                  è ormai chiaro, e da tempo. E diffido di una storiografia 
                  che si dichiari afascista, che cioè prescinda 
                  da ogni giudizio di valore e che pretenda di essere obiettiva 
                  proprio perché programmaticamente rifiuta di prendere 
                  posizione, come se fosse possibile essere neutrali in tali questioni. 
                  Il carnefice e la vittima, loppressore e chi lotta per 
                  la libertà, non possono mai essere messi sullo stesso 
                  piano.
 Detto questo, passiamo alle argomentazioni utilizzate da Sensini 
                  nella sua lettera, che del resto ricalcano analoghe argomentazioni 
                  contenute nella sua introduzione al volume. Anzitutto, Sensini 
                  rimarca che allepoca in cui Rizzi scriveva (prima metà 
                  del 1939) non vi era alcuna avvisaglia della cosiddetta 
                  soluzione finale. Che nel 1939 non fosse stato 
                  ancora avviato dai nazisti lo sterminio sistematico e pianificato 
                  su larga scala degli ebrei lho riconosciuto anchio 
                  nel mio articolo (e ho anzi rilevato che questa era lunica 
                  concessione che possiamo fare di fronte alla gravità 
                  delle dichiarazioni antisemite di Rizzi). Ma questo riconoscimento 
                  non giustifica affatto Rizzi, perché numerosi erano i 
                  segnali che andavano in quella direzione, e numerose le umiliazioni 
                  e le vere e proprie persecuzioni che gli ebrei già avevano 
                  dovuto subire in Germania (tanto è vero che alcuni di 
                  loro ne erano fuggiti, sperando di trovare scampo allestero).
 Credo che questo sia lunico punto vero di dissenso tra 
                  di noi. Secondo la mia opinione Sensini minimizza eccessivamente 
                  quanto stava accadendo in Germania almeno fin dal 1933, sotto 
                  gli occhi del mondo. Per brevità, mi limito a riprodurre 
                  qualche riga di Léon Poliakov, tra i massimi studiosi 
                  dellargomento (Antisemitismo, in Il mondo contemporaneo, 
                  vol. 2, Storia dEuropa, tomo 1, La Nuova Italia, 1980, 
                  p. 53): Una volta preso il potere, i nazionalsocialisti 
                  applicarono il loro programma fino in fondo, anzi, al di là 
                  delle stesse promesse elettorali (
). Dopo la promulgazione 
                  delle prime leggi antiebraiche (epurazione degli uffici pubblici) 
                  venne organizzato, nella primavera 1933, il boicottaggio del 
                  commercio ebraico. Dopo che erano stati messi al bando, progressivamente, 
                  dal paese, ai non ariani fu imposto il più assoluto isolamento 
                  con le «leggi di Norimberga» dellestate 1935, 
                  che proibivano il matrimonio e qualsiasi tipo di rapporto sessuale 
                  o sentimentale tra loro e gli ariani. Parallelamente allesclusione 
                  dalle università di studenti e professori di origine 
                  ebraica, inoltre, veniva proibito linsegnamento delle 
                  materie definite ebraiche, come la teoria della relatività 
                  e la psicanalisi; vennero pubblicamente dati alle fiamme tutti 
                  i libri che trattavano questi argomenti, insieme con le opere 
                  del filosofo Spinoza, del poeta Heine, di Karl Marx. Fine dichiarato 
                  dei dirigenti del Terzo Reich era di «ripulire» 
                  la Germania dagli ebrei, renderla judenrein. (Per 
                  una ricostruzione più dettagliata si veda, dello stesso 
                  autore, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Einaudi, 
                  1964, pp. 19-49)
 Dovrebbe bastare, ma si può aggiungere che in questo 
                  clima si verificarono chiaramente anche violenze nei confronti 
                  degli ebrei, dapprima sporadiche, che infine sfociarono nel 
                  massacro della Kristallnacht (9 novembre 1938, prima 
                  della compilazione del libro di Rizzi). Ecco la ricostruzione 
                  di Enzo Collotti (Hitler e il nazismo, Giunti Casterman, 
                  1996, p. 81): Il 7 novembre un giovane emigrato polacco 
                  uccideva a Parigi un consigliere dellambasciata tedesca 
                  nella capitale francese per protestare contro lavvenuta 
                  deportazione dal Reich dei suoi genitori. Nella notte tra il 
                  9 e il 10 novembre la Germania fu percorsa dallondata 
                  di violenze antisemite più spettacolare che lEuropa 
                  avesse conosciuto dai tempi dei pogrom zaristi. Centinaia di 
                  sinagoghe furono date alle fiamme, migliaia di negozi e studi 
                  professionali di ebrei furono distrutti, abitazioni incendiate, 
                  innumerevoli ebrei percossi, poche decine gli uccisi, ma decine 
                  di migliaia gli ebrei arrestati e deportati in campo di concentramento. 
                  Non fu una reazione spontanea della popolazione tedesca al complotto 
                  dellinternazionale ebraica per soffocare la Germania, 
                  come voleva la propaganda nazista. Fu unaltra delle grandi 
                  campagne di massa promosse e manovrate dallo stesso responsabile 
                  delleducazione e della propaganda Goebbels, che autorizzò 
                  di fatto la NSDAP e le SA a scatenare il pogrom.
 La seconda argomentazione può essere affrontata più 
                  brevemente. Non ho mai inteso rimproverare a Sensini di avere 
                  dato conto di quello che fu lapproccio alla questione 
                  ebraica allinterno del movimento rivoluzionario 
                  nellOttocento. Né mi si può accusare seriamente 
                  di difficoltà e inibizioni nellaffrontare 
                  questo passato, ossia gli elementi di antisemitismo presenti 
                  in alcuni testi di Fourier, Proudhon, Bakunin, Marx (e altri 
                  esponenti del socialismo rivoluzionario, aggiunge giustamente 
                  Sensini). Credo di avere anzi usato, nella mia recensione, una 
                  rara franchezza. Ho sostenuto, e sostengo, che con questa tradizione 
                  bisognerà decidersi prima o poi a fare compiutamente 
                  i conti, senza nessuna indulgenza. La presa di distanza 
                  mi sembra esplicita. Che altro avrebbe voluto Sensini? Che entrassi 
                  ancora di più nel merito? Una recensione al libro di 
                  Rizzi non era certo loccasione giusta per farlo. Daltra 
                  parte, si rende conto piuttosto Sensini che lampio spazio 
                  dato a questo aspetto nella sua introduzione (senza peraltro 
                  prenderne la stessa esplicita distanza mia) potrebbe essere 
                  interpretato, da qualcuno più malizioso di me, come un 
                  modo per attenuare la gravità delle affermazioni di Rizzi?
 Infine la risposta alla terza argomentazione, ancora più 
                  in breve. È vero, non ho preso in considerazione nella 
                  mia recensione le pagine  e non sono poche  in cui 
                  Sensini cerca di dimostrare che diversi ebrei avrebbero sostenuto 
                  in forme diverse il nazismo, durante il suo avvento al potere 
                  e anche dopo, talvolta fino alla fine. Non ne ho parlato semplicemente 
                  perché mi sembra che non abbia nulla a che vedere con 
                  la questione centrale di cui si stava e si sta discutendo. Posso 
                  aggiungere che ho letto con una certa curiosità quelle 
                  pagine, ho appreso alcune cose che non sapevo, mi sono nate 
                  delle curiosità e un generico desiderio di approfondire 
                  largomento, cosa che forse farò in futuro. Detto 
                  questo, ribadisco che il comportamento di alcuni ebrei in quegli 
                  anni (potrebbero essere anche tutti gli ebrei) non aggiunge 
                  o non toglie nulla al giudizio sulle affermazioni antisemite 
                  di Rizzi.
 Chiudo con un auspicio. Faccio mia la speranza di Sensini che 
                  da ora in poi, almeno tra noi, si possa discutere entrando nel 
                  merito dei problemi teorici e storici sollevati nel libro di 
                  Rizzi, che anchio giudico in parte ancora aperti e non 
                  irrilevanti. Lasciando da parte la questione ebraica, 
                  su cui ritengo che ormai le posizioni siano chiare. E su cui 
                  credo che sia stato detto tutto ciò che era necessario, 
                  almeno da parte mia. Buon lavoro.
 Gianpiero Landi(Castel Bolognese)
   
                      
                     
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                          nostri fondi neri 
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                      |  
                           Sottoscrizioni. A/m Flavio, Milena e Paolo Soldati (Clermont Ferrand), 
                            66,00; Cesare Vurchio (Milano), 20,00; Aurora e Paolo 
                            (Milano) ricordando Alfonso Failla, 500,00; Luca Capata 
                            (Roma), 10,00; Mauro Zanoni (Asola), 20,00; Piero 
                            Bertero (Cavallermaggiore), 20,00; Fabrizio Tognetti 
                            (Larderello), 20,00; Gian Paolo Pastore (Milano), 
                            40,00; I. e G. (Milano), 20,00; Rino Fiorin (Marghera), 
                            3,00; Bruno Corsini (La Spezia), 1,00; Gino Perrone 
                            (Brindisi), 5,00; Nicola Piemontese (Monte SantAngelo), 
                            20,00.
 Totale euro 745,00.
 Abbonamenti sostenitori. Paolo Santorum (Arco), 150,00; Giuliano Cortopassi 
                            (Cerveteri), 100,00; Francesco Zappia (Gioiosa Marea), 
                            100,00; Luca Todini (Brufa Torgiano), 100,00; Giordana 
                            Garavini (Castel Bolognese), 100,00; Livio Ballestra 
                            (Nizza - Francia), 100,00.
 Totale euro 650,00.
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